martedì 29 marzo 2011

Luce ed Ombra - Quiete e Movimento

In Inland Empire di David Lynch c'è un dialogo molto significativo tra Nikki Grace, la protagonista, interpretata da Laura Dern e la sua vicina di casa, un'inquietante signora interpretata da Grace Zabriskie; in particolare, a un certo punto, la vicina di casa dice: "un giorno un bambino uscì all'aperto a giocare. Nel momento esatto in cui aprì la porta vide il mondo. Nell'attraversare l'uscio causò un riflesso. E così nacque il male." (la traduzione è mia, avendo trovato su internet solo il dialogo originale in inglese e non potendo ricordare a memoria il dialogo del film doppiato in italiano).
Precedentemente la stessa signora, nella stessa scena, aveva messo in guardia Grace, esortandola a riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni: "le azioni hanno conseguenze".
Inland Empire è un film grandioso. Uno dei migliori di questo straordinario regista. Non intendo discuterne tutti gli aspetti o parlare del film - non adesso almeno, non questa volta - ma di uno dei temi portanti, che è quello della necessità di non trascurare il peso delle proprie azioni e scelte poiché anche dal gesto apparentemente più insignificante potrebbero derivare conseguenze importanti.
Tante volte mi sono interrogata sul concetto di Male. E sempre ho faticato a riconoscervi una matrice univoca o a circoscriverlo entro confini ben precisi. Inoltre, non essendo cattolica (anzi, essendo totalmente a-religiosa), non ho parametri dogmatici cui fare riferimento nel controllo delle mie azioni.
E  so dell'illusorietà di controllare l'esito o la direzione di ogni gesto.
Una buona azione può, infatti, paradossalmente condurre ad esiti totalmente negativi e viceversa. Come ci muoviamo possiamo essere artefici del male. Anche senza volerlo. Il male sembra derivare dal concetto stesso di azione e di movimento, a prescindere dalla sua carica di positività o negatività (e la parabola del bambino che esce di casa per giocare è emblematica: è il sole che crea l'ombra, è il movimento che crea il riflesso).
Una volta ho dato dei soldi a un mendicante. Quel mendicante poi ci ha comprato degli alcolici. Era un alcolista. Ho aiutato un alcolista a continuare a farsi del male, ma io non potevo saperlo. Di sicuro la mia intenzione era di fare del bene ma il suo effetto è stato l'esatto contrario.
Conta l'intenzione o l'esito di un'azione?
O non sarebbe più corretto dire che ogni azione, di per sé, è neutra?
L'altra sera, distrattamente, mentre camminavo come al solito con la testa  completamente fra le nuvole, ho urtato una persona anziana che camminava con il bastone. Fortunatamente non è caduta ma ci è mancato poco. Se fosse caduta magari si sarebbe rotta una gamba. Per la mia distrazione ho rischiato di far male a qualcuno. Dite che sarebbe stato un semplice incidente, niente di più e niente di meno? Può darsi. Un incidente causato dalla mia distrazione (come ne avvengono a migliaia, ovunque).
A me sembra che però sia molto importante sapere questa cosa, e cioè che la mia distrazione potrebbe far del male. E per questo mi sono ripromessa di fare più attenzione.
Ecco, dove voglio arrivare è a questa enorme responsabilità che ci portiamo dietro, quella di causare - anche inconsapevolmente - il male.
E forse la matrice religiosa cattolica del "peccato originale" e del senso di colpa è solo l'interpretazione romanzata di questa assunzione di responsabilità che ci portiamo dietro. E del senso di colpa che ne scaturisce. Su cui la religione, strumentalmente, fa leva.
E' vero anche il contrario. Dal male può nascere il bene.
Circa sette anni fa un conoscente - sapendo del mio amore per gli animali - abbandonò nel cortile della mia abitazione un cucciolo di gatto. Era la mattina di ferragosto, e io - che solo per puro caso mi trovavo ancora a casa - solo per puro caso quindi potei accorgermi del miagolio insistente del gattino e così soccorrerlo, portarlo al riparo dal sole cocente, dargli da mangiare, da bere, metterlo al sicuro. Venni a sapere solo in un secondo tempo che era stato questo conoscente a lasciarmi il gattino, lì per lì pensai infatti che l'avessero abbandonato degli ignoti. Mesi dopo, quando mi capitò di incontrare questa persona e lo interrogai sul motivo del suo gesto; mi rispose:" avevo preso quel gattino per far giocare mia figlia, ma poi mia moglie non l'ha voluto e allora le alternative erano: o gettarlo in un cassonetto, o lasciarlo sull'autostrada, o lasciarlo davanti casa tua, che so che ami gli animali".
Cosa volete che io pensi di una persona simile?  Di una persona che "compra" (mi confessò pure che l'aveva "comprato" in un negozio di animali e che l'aveva pagato ben 80 euro! E lo disse come se avesse compiuto chissà quale prodezza!) un animale per far "giocare" (come fosse un semplice oggetto) la figlia e poi, incapace di prendersene cura, lo abbandona? Ecco, lo sapete cosa penso, no?
Eppure da questo gesto di così inaudita idiozia sono poi derivate tante cose positive. Il gatto sta bene e nei mesi ed anni successivi è stato affiancato da altri compagni di gioco e di vita (altri trovatelli soccorsi perché in difficoltà o malati ecc.).
Vivere con lui e con i suoi amichetti pelosi ha affinato la mia sensibilità verso gli animali. Non potendo più guardarli negli occhi senza sentirmi in colpa ho deciso di diventare vegetariana. E - entrando più da vicino nel mondo dei gatti - ho acquisito consapevolezza di tante altre cose nelle quali ho potuto rendermi utile (ad esempio del problema delle colonie feline a Roma, problema perché sono numerose e non bastano i volontari per accudirle, e poi dell'esigenza delle sterilizzazione per il controllo delle malattie da immunodeficienza e di tanti altri aspetti legati al mondo felino), e da allora mi sono attivata per portare il mio modestissimo contributo per la cura di queste splendide creature.
Ieri riflettevo su come tutto sia cominciato lì, quella mattina di ferragosto di sette anni fa, e su come il mio percorso "evolutivo" - che mi ha condotta alla scelta vegetariana, scelta che a sua volta mi ha spalancato un mondo e mi ha fatto prendere coscienza di tutto l'orrore dello sfruttamento animale, rendendomi, tutto sommato, una persona "migliore" - sia stato in definitiva "scatenato", messo in moto dal gesto idiota e sconsiderato di una persona del tutto inconsapevole degli esiti delle proprie azioni. Da un gesto malvagio, come quello di abbandonare un gattino, si è prodotto qualcosa di positivo. Il gesto idiota di quella persona si è fatto strumento di valore, e quella persona si è fatta artefice - totalmente a sua insaputa - di un qualcosa di positivo. Il velo di Maya che prima poggiava sui miei occhi è stato sollevato da un conoscente che disprezzo.
E' corretto parlare in questo caso di un male che si è fatto strumento di un bene? Non volendo parlare di un'assolutezza del male - Bergman, non a caso, ne Il posto delle fragole, fa dire ad un personaggio (il figlio del professore che si mette in viaggio con la nuora): "Bene e male non esistono: esistono solo le necessità" - si potrebbe allora parlare delle necessità che ci portano ad agire, a compiere delle scelte (il bambino che esce fuori a giocare, il cui movimento crea il riflesso) e delle scelte che avranno delle conseguenze, il cui esito non sempre - anzi, quasi mai -  ci è dato conoscere.
E' corretto allora continuare a parlare di Male e di Bene in termini di categorie assolute?
A me sembra allora molto più importante divenire consapevoli e farci responsabili del peso di ogni nostro gesto. E' l'assunzione della responsabilità che conta.
E in questa accezione, si può ancora parlare di problema ontologico del Male?
Io so solo che l'ombra è l'area scura proiettata su una superficie da un corpo che, interponendosi tra la superficie stessa e una sorgente luminosa, impedisce il passaggio della luce (da Wikipedia).
Quel corpo - metaforicamente - è dato dalle nostre azioni, da noi che - come il bambino della parabola - ci muoviamo ed entriamo nel mondo; ma senza il sole, senza la luce, l'ombra non si formerebbe. E non si formerebbe senza il nostro movimento, senza il nostro agire nel mondo.
Forse solo la quiete è bene. L'impassibilità ed il distacco del Buddha.
Forse noi, le nostre azioni, sono come il mare che si increspa in superficie. Ma sotto, nelle profondità degli abissi, tutto è pace, tutto è quiete.

2 commenti:

Dinamo Seligneri ha detto...

Bel pezzo, Biancaneve.

anche io rifletto sul male, ma penso che è un discorso che ha a che fare colla libertà. è una cosa lunga e che può ingenerare molti paradossi e malintesi.
Pensa a quanto male si fa con l'amore. ma non nel senso di far soffrire le pene dell'abbandono, al contrario le pene della presenza. l'amore genitoriale, l'amore coniugale (quello pattuito col Marcimonio e quello anche non pattuito), l'amore che lo Stato mostra per gli artisti. alla fine tutto spinge a soffocare le libertà altrui.
Landolfi diceva che l'uomo odia la libertà, che ci si sposa, o accompagna e si fa figli anche per questo: perdere sempre di più la libertà.

Su Inland Empire, una frase mi colpì, siamo alla fine del film, c'è un dialogo in un abituro sopra un palazzo dove è finita la protagonista, prima di chiedere l'autobus per Pomona. La ragazza (Laura Dern, of course), riferendosi al marito mi pare ora non ricordo bene, dice "le persone non cambiano... si rivelano".
E' una pugnalata questa frase.

Inland Empire è un capolavoro, a prescindere da quello che si possa dire su David Lynch.

ciao Biancaneve

Rita ha detto...

Accidenti quant'è vera quella frase: le persone non cambiano... si rivelano.
Dici bene, una pugnalata.
Quanta verità e profondità in questa frase.

Concordo su tutto quello che dici a proposito della libertà e dell'amore e mi viene in mente uno dei miei film preferiti, che è "Film Blu" di Kieslowski.
Avrei tantissime cose da dire in merito, ma un'altra volta, ora non posso dilungarmi.

I Buddhisti, non a caso, vedono nei legami affettivi una forma di attaccamento negativo che ostacola la liberazione e la fine del ciclo della reincarnazione.