venerdì 18 marzo 2011

Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro (e solite prolisse divagazioni)


Nella primavera del 2009 lessi questo romanzo di Kazuo Ishiguro, autore giapponese che vive in Inghilterra da quando era bambino e che mi ricorda un po' - in questo miscuglio di cultura orientale ed occidentale - Haruki Murakami. Il libro mi attirò per via della copertina (lo so, lo so... sembra una frase un po' ad effetto, dicono tutti così, sono i libri che scelgono noi e non noi che scegliamo i libri, e da qui poi uno si mette a pensare alla sincronicità di aver notato proprio quella specifica copertina in mezzo a tutte le altre e gli attribuisce chissà quale significato, mentre invece io in questo non ci trovo nessun significato particolare o romantico, capisco solo che la copertina - in quanto strumento di marketing - ha fatto il suo dovere di copertina, cioè ha attirato l'attenzione di chi compra), e poi anche per la trama, ovvio e poi anche il fatto che la storia fosse ambientata in Inghilterra ha avuto le sue buone ragioni (essendo io un'anglofila convintissima!).
Insomma, leggo questo romanzo e da allora non faccio che tornare a pensarci ogni tanto, lo cito come esempio quando mi trovo a discutere di alcune questioni, l'ho regalato a diversi amici, lo consiglio ecc..
In questi giorni sono in attesa del film che ne hanno tratto, con un misto di ansia, preoccupazione ed entusiasmo come sempre mi accade quando avviene che dai romanzi che ho più amato ne segue una trasposizione cinematografica: un po' non vedo l'ora di scoprire quale sarà il risultato, un po' ho paura di restare delusa, un po' mi sento "privata" di qualcosa di "mio"; ecco, non saprei bene come spiegare questa sensazione, ma ci provo lo stesso: tra un lettore ed un romanzo si crea un rapporto molto intimo, quasi privilegiato. Si ha come l'impressione di starsene chiusi dentro una stanza a chiacchierare con l'autore, nasce una relazione di amicizia, di scambio reciproco (sì, reciproco, perché anche se lo scrittore non può sentire il lettore, quest'ultimo però ogni tanto lo interrompe - cioè interrompe la lettura - e resta con il naso sospeso per aria trascinato da un vortice di riflessioni magari innescate da una frase, da una riga, da una parola che ha letto, e questo andirivieni di riflessioni che intervallano la pagina scritta secondo me sono come un dialogo, un botta e risposta tra lo scrittore e chi legge; e non è vero che il lettore non ci metta qualcosa di suo. Ogni lettore arrichisce l'opera che sta leggendo con le proprie riflessioni, i propri pensieri e così quella pagina cresce, cresce, si gonfia, e tutto questo gonfiarsi io lo chiamo "relazione tra scrittore ed autore"). Ora, quando da un romanzo viene tratto un film è come se questo rapporto esclusivo venisse spiattellato all'esterno, come se divenisse appannaggio "di tutti".
Si sa, i film prendono una fetta più ampia di persone, vengono pubblicizzati, promossi attraverso i trailer, le locandine, e per me è come se improvvisamente venisse messa a nudo, "violata" l'intimità di una relazione. Sono gelosa delle mie letture. Non gelosa nel senso di non volerli condividere, perché poi di fatto io consiglio e regalo e tendo a promuovere i libri che amo (tanto che ho deciso di aprirci anche un blog, apposta per parlarne), ma gelosa nel senso che non mi piace che "le perle vengano buttate ai porci" (con tutto il rispetto per i "porci" eh, e che cavolo... tutta la nostra cultura è intrisa di specismo e dovrei iniziare io stessa ad abolire certi modi di dire o proverbi che non fanno che rimarcare la nostra alterità o presunta superiorità rispetto agli animali!). Evidentemente ho una considerazione del pubblico di cinema (inteso come pubblico di massa) un po' snobistica. Lo ammetto. A volte penso che un bel romanzo non debba venire sputtanato da un film perché al cinema ci va un pubblico meno esigente - cioè magari lo stesso pubblico che va a fare la fila per film molto molto ma moooolto dementi (e qui mi censuro, non voglio sembrare la snob che sono! Sia chiaro, solo cinematograficamente o letterariamente parlando, eh! ), e poi magari ti demolisce - così su due piedi - qualcosa che invece per me ha significato molto... ed inoltre spesso accade che un romanzo bellissimo viene sputtanato da un film meno riuscito e finisce per banalizzare anche il libro stesso. E poi vallo a spiegare al pubblico che non è la stessa cosa, che insomma, il romanzo vale davvero la pena di leggerlo, che la storia è bellissima. Io vorrei tutelare la bellezza, ecco. Non vorrei banalizzarla, commercializzarla. E infatti mi dà fastidio che ora Caravaggio sia diventato un autore di moda e che lo scorso anno c'erano file enormi per andare a vedere le sue tele. Io detesto la commercializzazione dell'arte in questo modo. Detesto che la gente vada a vedere Caravaggio solo perché fa figo, perché "va visto". Detesto la spettacolarizzazione dell'arte e dell'evento in sé. Infatti non si capisce come mai ami tanto il cinema, il quale - anche nei suoi esiti più autoriali - corre spesso il rischio di essere una spettacolarizzazione. Dovrebbe invece essere pura traduzione in immagini di un pensiero, di un'idea. Ma quando si ha a che fare con le immagini poi spesso i registi si lasciano prendere la mano, ed iniziano a strafare. Beati i Fratelli Lumière che almeno, con la pochezza di mezzi che avevano rispetto ad oggi, più di tanto non potevano strafare. Chissà cosa avrebbero pensato del 3D? Sicuramente sarebbe piaciuto di più a Méliès, me lo sento.
Insomma, io adesso tremo all'idea di andare a vedere Non lasciarmi perché il romanzo è davvero bello e non vorrei che - se il film andasse male - venisse sputtanato anche il romanzo. E soprattutto sono gelosa del fatto che tra Ishiguro e me, tra i personaggi del romanzo e me, si mettano in mezzo un sacco di altre persone!
Parliamo del romanzo. Premetto subito che è difficile farlo perché è una di quelle opere di cui sarebbe meglio dire il meno possibile altrimenti si rovina il piacere della lettura.
Infatti l'aspetto più sconcertante di questa storia è che il lettore, sin dalle prime pagine, si trova nella condizione di apprendere alcuni elementi, alcuni fatti, per così dire, da cui dovrebbe essere in grado di trarre delle conclusioni; non sarebbe esatto dire che le "cose" vengono taciute, od omesse, o che sia possibile che vengano fraintese o che al loro posto venga raccontata una menzogna. La verità di quel che accade è lì, sotto gli occhi del lettore sin dalle prime pagine, è detta, è palesata, solo che, semplicemente, la crudezza e la brutalità di quello che "viene detto ma non viene detto"  è talmente inaccettabile che uno - uno a caso, il lettore - finisce per pensare ma no, ma non sarà proprio così, ma non sto leggendo veramente questo, andiamo, andiamo avanti, e vediamo come prosegue, cosa accade.
Perché definisco sconcertante ciò? Perché questa verità che si fa strada piano piano nella mente del lettore procede di pari passo con l'acquisizione di consapevolezza dei personaggi, i quali - da piccoli bambini che sono all'inzio del romanzo - diventeranno ragazzi, adulti senzienti in grado di comprendere il loro destino ed il senso del loro essere venuti al mondo.
I bambini del romanzo - poi adolescenti, poi ragazzi più maturi - vengono cresciuti in un college molto esclusivo situato nella campagna inglese, un college in cui vengono abituati a sentirsi "speciali", in cui vengono costantemente sollecitati ed incoraggiati a perseguire i loro talenti - quali essi siano - il disegno, la musica, la scrittura, la poesia, la scultura, la pittura ecc. . Anzi, per persuaderli a tirare fuori il meglio di loro stessi viene allestito anche un concorso speciale, cui tutti, sin da bambini, ambiscono partecipare con una selezione delle loro opere. Fanno di tutto affinché una delle loro opere venga scelta. Non capiscono bene quale importanza abbia questa cosa - né viene detta loro esplicitamente, e nemmeno a noi lettori - ma invece si capisce che è dannatamente importante.
Poi, da adolescenti, ad un certo punto, lasceranno il college per andare a vivere - in gruppetti selezionati - in case speciali, in attesa di essere "pronti"... pronti affinché il loro destino si compia.
Io adesso non voglio svelare di cosa si tratti. Perché rovinerei l'eventuale curiosità a qualcuno che - dietro questo mio resoconto - potrebbe essere invogliato a leggere Non lasciarmi.
Aggiungo solo che, sotto molti aspetti, collocherei il romanzo nel genere "distopia", al pari di Il mondo nuovo di Huxley e, al tempo stesso, lo accosterei anche al genere "di formazione", al pari de Il giovane Holden o I turbamenti di Torless o anche a molti di Dickens.
Di fatto Non lasciarmi è l'uno e l'altro. Come ogni distopia che si rispetti fa riflettere il lettore su alcune conseguenze che potrebbero derivare dalla nostra visione del mondo, specie quella occidentale, così volta a rimuovere costantemente il pensiero della malattia e della morte. E, come ogni romanzo di formazione, è anche un progressivo percorso di acquisizione e di consapevolezza, da parte dei personaggi, del loro essere nel mondo (o forse, semplicemente, del loro essere).
Come ogni buon romanzo che si rispetti quindi ha un duplice livello: quello narrativo, dato dal semplice dipanarsi degli eventi raccontati, della storia in sé, nuda e cruda (interessantissima ed avvincente comunque), e quello metaforico, dietro la cui apparenza figurata (si chiama infatti "figura retorica") si cela un altro significato, o tanti altri significati. In parole povere, molto povere, è una storia che dice altro, molto di più di quello che è la trama in sé.
Inoltre è molto originale (e, come ho scoperto poi, ricorrente in Ishiguro) la costruzione formale: la storia procede per analessi (flashback) continua, una dentro l'altra; ogni evento narrato ne richiama un altro del passato, e questo a sua volta si spinge ancora indietro nel tempo, un flashback che insegue l'altro, flashback che si rincorrono.
E' un romanzo che - pur nella sua evidente fantastica distopia, visione per alcuni versi ancora fantascientifica - parla di una condizione che ci riguarda molto da vicino, che riguarda da vicino l'umanità tutta. Parla della nostra condizione, di noi tutti, nessuno escluso, seppure, ripeto, metaforicamente.
E, da animalista quale sono, dovrebbe far riflettere anche sulla condizione dei nostri compagni animali, creature esattamente come noi ma a cui - arbitrariamente - destiniamo una vita del tutto strumentale e che facciamo nascere al fine di poterli usare come risorse rinnovabili. Ed allora penso a tutti quegli allevamenti e stabulari per la vivisezione, in cui milioni di creature vengono fatte nascere ed allevate al solo scopo di poterne poi usare le loro parti (carne, pelle, organi interni, ossa, liquidi organici, denti, pelo, viscere, cartilagini e chissà cos'altro... una volta uno ridendo mi disse, eh eh, del maiale non si butta via niente.... eh già, brutto stronzo, gli ho risposto io, pensa quanto sarebbe più felice però il maiale se tutte le sue parti del corpo potesse tenersele per sé, se potesse restare tutto intero, vivo, felice, sano, VIVO!).
Ultima cosa (ma, come sempre, quando scrivo "ultima cosa" seguono come minimo altre quattro pagine ;-)): c'è una parte del romanzo che mi è piaciuta immensamente, provo a parlarne cercando di non svelare più di tanto. Si dà una definizione di "anima" che secondo me è fantastica. Ossia, non si dà esattamente nessuna definizione ma la si evince dal contesto. Uno dei ragazzi, ad un certo punto, presa coscienza del suo destino, chiede ad una delle sue vecchie insegnanti del college: ma se sapevi in anticipo quale sarebbe stato il nostro destino, allora perché tutto quell'insistere ad insegnarci l'arte, l'amore per la musica, per la pittura, perché tutto quell'accanimento nel farci perseguire e sviluppare i nostri talenti, a cosa è servito tutto ciò? (non sono le parole esatte ma... ahimé, la mia copia del libro l'ho prestata e non posso consultarlo, quindi vado a memoria). L'insegnante risponde, più o meno, così: è proprio per questo, proprio per via del destino che tutti vi attendeva, che era importante che voi diveniste anche altro, che voi foste anche altro, che voi coltivaste anche il vostro spirito... proprio per non essere solo... quello... cui eravate destinati (non posso usare i termini giusti, anzi, temo di essermi spinta già troppo in là).
Comunque sia, il discorso sta a significare qualcosa, ed è un discorso sull'anima, secondo me. E' vero, parlando del romanzo come metafora esistenziale, visto come narrazione metaforica della condizione dell'esistenza di ognuno, che tutti noi un giorno diverremo solo - per usare le parole di un grande - "carne per vermi", ed è vero che pensando alla morte ci coglie un senso di assoluta inanità del tutto, ma proprio per questo, affinché noi non si debba essere solo "carne per vermi", bisogna coltivare quella parte più astratta di noi e meno soggetta a "marcire", se non altro perché il prodotto del nostro intelletto, visto come arte, musica, scultura, scrittura, ha buone probabilità di perdurare nel tempo, ben oltre la fine della nostra fragile fisicità.
L'arte, intesa come creatività, come progettualità nel voler partorire altro da noi - che non è detto che solo la procreazione intesa come mettere al mondo figli può servire a renderci eterni, prolungando la nostra esistenza di generazione in generazione ed attraverso la trasmissione dei geni - è il modo migliore per divenire creature - se non proprio eterne - un po' meno caduche, un po' meno soggette ad essere spazzate via dal tempo che passa.
Inoltre, a mio avviso, coltivare l'arte (tutto quello che si intende per arte, musica, architettura, pittura, scultura, poesia, narrativa... produrre qualcosa da noi e di noi) serve anche ad altro: serve anche a formarci un'anima (intesa come spiritualità, in senso del tutto laico,  non come anima nell'accezione religiosa) ricca di stimoli, vivace, curiosa, cioè ad essere anche non solo corpo, non solo carne ma anche spirito. Altrimenti, che differenza c'è tra noi ed il tavolo sul quale sto scrivendo?
Questo concetto di anima inteso come somma di un insieme di sensazioni e percezioni che vengono stimolate ed accresciute dall'arte a me è piaciuto moltissimo.
Non l'anima cattolica, quella che continua a sopravvivere anche dopo la nostra morte fisica, ma l'anima che esiste perché esistiamo noi, perché sentiamo, ci emozionamo, creiamo, ragioniamo, disegniamo, suoniamo e componiamo musica, danziamo, cantiamo, scriviamo, inventiamo, immaginiamo ed amiamo. L'anima come l'essenza delle nostre aspirazioni e dei nostri sogni e come passione che ci mettiamo per realizzarli, anche se dobbiamo tutti morire. Altrimenti, cosa saremmo? Senza passione, cosa saremmo? Ecco, Non lasciarmi, oltre ad essere una distopia, un romanzo di formazione, è anche una bellissima storia d'amore. Una particolarissima, struggente, annichilente, sconcertante storia d'amore. E ve lo consiglio. E non andate prima a vedere il film. Prima il libro! ;-)

9 commenti:

Caden Cotard ha detto...

Complimenti Biancaneve, il tuo commento è così ben scritto e così ricco di spunti di riflessione che aggiungere altro è quasi impossibile. Solita prolissità, tua qualità che però rischia di tramutarsi in difetto per il lettore occasionale. Ma te scrivi soprattutto per te stessa credo, quindi fai benissimo a continuare così. Molto bella la parte del dialogo con lo scrittore. Magari dopo che hai visto il film (o scaricato o noleggiato, è uscito da una settimana) ti faccio 2,3 domande. Ciao!

Rita ha detto...

Ciao Oh dae-soo :-)

In effetti riconosco che la mia prolissità sia un difetto (me lo imputavano sin dal liceo), e credimi se ti dico che mi sto sforzando di essere più sintetica perché se è vero che scrivo per me stessa, è altrettanto vero che da me stessa esigo e pretendo costantemente dei miglioramenti (non per ricercare un'impossibile perfezione, ma per crescere, imparare ecc.).
C'è anche da dire che spesso mi vengono fuori questi post lunghissimi perché tratto troppi argomenti tutti insieme ed ho davvero tante cose da dire; ad esempio in questo su "Non lasciarmi" ci ho messo in mezzo tutta la storia del dialogo del lettore con lo scrittore, che invece avrebbe potuto diventare materiale per un post a sé.
Grazie comunque per i tuoi apprezzamenti, e ovviamente ti farò sapere non appena avrò visto Non lasciarmi.

Caden Cotard ha detto...

Ci son 2 tipi di prolissità. Quella ragionata, scelta a tavolino per cui lo stesso "scrittore" fatica ad andare avanti ma vuol mettere più cose possibili per chissà quale motivo (bella figura?) oppure quella istintiva, come la tua, dovuta ad entusiamo, passione, in cui si capisce paradossalmente che si è addirittura fatto fatica a contenere ciò che si voleva dire. Tu non riempi il pezzo ripetendoti, semplicemente prendi tangenti della mente o del cuore che non riesci ad evitare. Quindi il tuo è solo un pregio ma, come ti ho detto, diventa un difetto per un lettore, occasionale e non, che si imbatte in un tuo pezzo. Putroppo in questo mondo della rete (perchè in quello reale no?) la fretta, il poco tempo a disposizione, sono i motori principali, il tuo blog è per gente che sa aspettare, pensare e prendersi il suo tempo.

Ciao!

Non mi ero lesso lettore fisso, scusami!


P.s: togli il verifica parole sui commenti, è massacrante!

Rita ha detto...

Nemmeno sapevo che ci fosse il "verifica parole" sui commenti, in effetti a gestire il blog sotto il profilo tecnico sono un po' una pippa (come si dice a Roma) ;-)
L'ho appena tolto, e ti ringrazio per avermelo fatto notare.

Un'altra cosa: come si fa per aggiungersi lettore fisso? Io ad esempio ho messo i blog che seguo, basta quello? Ad esempio, avendo messo il tuo blog tra quelli che seguo, appaio anche automaticamente come tua lettrice fissa? O devo fare un'ulteriore operazione?

Ti ringrazio anche per la critica molto costruttiva che fai della mia scrittura; sì, è vero che il mio tipo di prolissità non è in assoluto un difetto, ma può esserlo per il blog (anzi, lo è decisamente).
Un buon "scrittore" in effetti dovrebbe sempre tener conto del potenziale lettore cui si rivolge, quindi, scrivendo in un blog, per lettori di blog, oltre che per me stessa, dovrei cercare di "contenermi", o, al massimo, non potendo sacrificare riflessioni e pensieri, dividere quello che povrebbe essere un unico post, in più post.
Grazie per la tua sincerità, l'apprezzo molto.

Caden Cotard ha detto...

Mi prendi "in diretta".

Anch'io sono una pippa, non ti credere.

Per i lettori fissi vai sul blog e sopra le faccine c'è "segui questo blog". Clicchi lì ed hai praticamete fatto, ti basta cliccare l'opzione "segui pubblicamente".

L'idea di dividere in più post non è male...

Comunque i post lunghi molte volte sono ancor più apprezzati, ad esempio la mia amica Lucia (ilgiornodeglizombie) fa recensioni oceaniche ma proprio per questo è molto apprezzata. Lei però sta parecchio "dentro" il film, te lo analizza quasi scena per scena, per questo la lettura è semplice, anzi ti spinge ad andare avanti. Te invece mantieni sempre un livello altissimo di qualità concentrando tutto sui tuoi pensieri e le tue osservazioni. Hai pochi momenti di stacco, di riposo, di semplice descrizione. Per questo realizzi post di livello altissimo ma a rischio "pesantezza" per il lettore casuale.

Anche a me piacerebbe fare come te, ma il mio blog nasce dopo i commenti che mettevo su filmscoop, quindi mi ero adeguato alla lunghezza massima che un sito di appassionati poteva sopportare.

Ormai ho trovato questa lunghezza quasi naturale, mi soddisfa molto, è una buona via di mezzo.

Poi, in film come The Orphanage, film che ho amato alla follia, contenermi è impossibile...

Ciao!

Poi oggi ti rispondo su The Hamiltons, mi hai sorpreso!

Caden Cotard ha detto...

Mi prendi "in diretta".

Anch'io sono una pippa, non ti credere.

Per i lettori fissi vai sul blog e sopra le faccine c'è "segui questo blog". Clicchi lì ed hai praticamete fatto, ti basta cliccare l'opzione "segui pubblicamente".

L'idea di dividere in più post non è male...

Comunque i post lunghi molte volte sono ancor più apprezzati, ad esempio la mia amica Lucia (ilgiornodeglizombie) fa recensioni oceaniche ma proprio per questo è molto apprezzata. Lei però sta parecchio "dentro" il film, te lo analizza quasi scena per scena, per questo la lettura è semplice, anzi ti spinge ad andare avanti. Te invece mantieni sempre un livello altissimo di qualità concentrando tutto sui tuoi pensieri e le tue osservazioni. Hai pochi momenti di stacco, di riposo, di semplice descrizione. Per questo realizzi post di livello altissimo ma a rischio "pesantezza" per il lettore casuale.

Anche a me piacerebbe fare come te, ma il mio blog nasce dopo i commenti che mettevo su filmscoop, quindi mi ero adeguato alla lunghezza massima che un sito di appassionati poteva sopportare.

Ormai ho trovato questa lunghezza quasi naturale, mi soddisfa molto, è una buona via di mezzo.

Poi, in film come The Orphanage, film che ho amato alla follia, contenermi è impossibile...

Ciao!

Poi oggi ti rispondo su The Hamiltons, mi hai sorpreso!

Giovanni ha detto...

eccomi a commentare, Rita, dritto dritto dal link nella tua risposta all'interno del post sui lettori e-book.

anche a me è piaciuta molto la teoria sul dialogo tra scrittore e lettore, suggestiva e intelligente - ha fatto tintinnare qualche piccola campanellina dentro di me, ma non saprei dire perché, né chi l'abbia suonata. Si dice comunque che lo scrittore, quando scrive, abbbia comunque in mente un 'suo' lettore (non sto parlando di quello da titillare , ma una specie di ideal-lettore, che ogni scrittore si immagina e che gli loiacerebbe avere e poter riconoscere e contare tra i suoi effettivi lettori) e che quindi il dialogo avviene già nella fase di scritura, perché lo scrittore, amche lui, si interrompe, rimane a naso per aria, parte per tangenti di idee o di emozioni, e cerca di capire se e quanto e quando e come potrebbero essere un huono e onesto diapason per l'animo del lettore.

Giovanni ha detto...

sena rivelare nulla del libro - o del film, che dovrei e vorrei rivedere - mentre leggevo, ho pensato spesso al destino degli altri animali, in balia di un umano che si serve prepotentemente e arbitrsriamente dei loro copri e che li fa nascere solo per quello, in vista della loro morte. Noi, però, non diamo chance di crescita intellettiva o emotiva ai nostri prigionieri animali; e quando lo facciamo (tipo gli 'arricchimenti ambientali' negli stabulari anticamere delle vvivisezioni; o tipo 'carne felice'), mentiamo sspendo di mentire - e non importandocene nulla.
non parlo dei presnti, chiaramente...

Rita ha detto...

Caro Giovanni,
grazie per i tuoi commenti innanzitutto. :-)
Del rapporto tra scrittore e lettore penso anche che il primo, essendo anche sempre lettore di opere altrui, sappia esattamente quali sono quelle qualità che solitamente egli stesso cerca in un buon libro e che quindi magari si sforzerà anche di raggiungere quando scrive.

A proposito degli animali invece, anche io ho fatto le tue stesse riflessioni. :-(