martedì 22 marzo 2011

Olocausto invisibile (VI) - riflessioni sparse - flash di pensieri discontinui - dell'Orrore e della Bellezza - del Dolore e dell'Oblio


Una visita in un museo, tanta Bellezza, presente-passato-futuro compresi in un'unica tela, effimera eppure sostanziale. I miti ed i temi biblici, l'iconografia religiosa, un percorso di natura estetica che narra la storia del mondo e dell'umanità, e della sua rappresentazione nei secoli.
E realizzo che difficilmente potrei farne a meno. Ho bisogno di sentire il mondo anche attraverso altri sguardi, di quelli che mi hanno preceduta e di quelli che verrano, che però sono già lì, in certi dipinti che racchiudono un potenziale enorme.
Esco dal museo, e quella stessa Bellezza ora è senza mediazione: ha smesso di piovere, macchie disomogenee di azzurro si fanno spazio nel nero, tutto è nitido, le endorfine salgono, l'adrenalina rende tutto inedito.
E faccio tesoro di questo, per le carestie dell'anima, che verranno ancora. E metto da parte, a conservare tutto. E so che, qualsiasi cosa accada, nessuno potrà privarmi della mia scorta di Bellezza, a cui attingere a piacere.

Poi, più tardi, entro nel supermercato dove vado di solito e mi soffermo ad osservare - reprimendo le lacrime, come sempre - il bancone dove sono esposti i pesci in vendita. E' un attimo. E lo vedo. Vedo qualcosa muoversi. E vorrei scappare. Ma resto lì, inorridita ed incapace di reagire. La mente mi si annebbia. Improvvisamente sono aliena in un luogo di cui non comprendo le leggi. Tutto ciò che prima mi era familiare diviene estraneo. Sento le voci ma non le parole. Suoni a vanvera.
Su quel bancone - dove per legge dovrebbero essere esposti solo pesci morti - ci sono creature che sono ancora vive - astici e scampi - sul ghiaccio - muovono le chele - agitano le zampette - aprono la bocca - qualcuno li comprerà - ancora vivi - li porterà a casa - ancora vivi - qualcuno, uscendo, con la busta della spesa sotto al braccio - con dentro quelle creature ancora vive - allungherà una mano per gettare una monetina ad un mendicante - qualcuno penserà all'iniquità della sperequazione sociale - qualcuno penserà che una monetina è sempre meglio di niente - ognuno fa quel che può - qualcuno salirà in macchina e distrattamente appoggerà la sua busta della spesa - con dentro delle creature vive - sul sedile posteriore - qualcuno metterà in moto e si immergerà nel traffico - alla radio le notizie del giorno - qualcuno rifletterà sulla follia delle guerre - qualcuno rifletterà sulla follia altrui senza accorgersi della propria - qualcuno arriverà a casa - finalmente - dopo una giornata di lavoro - ed ora, tutto il diritto di rilassarsi - e di gustarsi una bella cenetta - stappiamo anche una bottiglia di vino pregiato - si vive una volta sola e non bisogna lesinare sui piccoli piaceri - qualcuno si toglierà gli abiti che portano addosso l'odore della fatica del lavoro e si metterà sotto la doccia - calma - con tutta la calma possibile - e intanto di là, sul tavolo - le creature continuano a vivere, a muoversi, a sentire, a sentirsi aliene in un mondo di cui non conoscono le leggi, in un habitat diverso da quello che erano abituate a conoscere, un luogo troppo diverso per non far paura, inconferente, incubotico - qualcuno intanto si starà asciugando i capelli - preparandosi con cura, con gesti pigri e lenti - qualcuno poi andrà in cucina - e l'orrore avrà inizio - nel calore dell'intimità domestica l'orrore avrà inizio - qualcuno prenderà quelle creature e le getterà - incurante - cieco - inconsapevole - distratto - nell'acqua bollente - bollente - e quelle creature moriranno - moriranno per soddisfare il gusto di qualcuno.
Il mondo va avanti, incurante di tutto l'Orrore che si porta dietro.

Tutto questo è stato un attimo. Me lo sono visto passare davanti agli occhi in un flash. E mi sono sentita aliena anche io. Più vicina a quelle creature che a tutto il resto dell'umanità che procedeva nei propri acquisti.
Di chi è la Follia? E' la mia? O non è forse quella di tutti gli altri che comprano un tanto al chilo creature che ancora si muovono? Sono io la pazza? E perché, quando ho esposto l'irregolarità di tenere astici e scampi vivi sul ghiaccio (a Roma è vietato dal regolamento comunale sulla tutela degli animali tenere animali acquatici al di fuori di adeguate vasche. Anche se purtroppo non è vietato acquistare e mangiare animali, e lì resto impotente, ma che almeno vengano rispettate quelle piccole normative che sì, lo so, sono infinitamente piccola cosa - ipocrita - perché comunque vivi sul ghiaccio o già morte quelle sempre creature che finiranno nella pancia sono - e perché non esiste un modo "etico" di uccidere e sfruttare gli animali - e però che almeno - ove riconosciuto e legalmente stabilito - venga risparmiata un'agonia maggiore), e perché, dicevo, quando parlavo con il Direttore, mi sono sentita sola al mondo, come una pazza che tenta di far comprendere ciò che vedi solo tu? Chissà, forse anche i grandi rivoluzionari, quale io non sono, si sono sentiti almeno una volta così, nella loro vita. Soli. Controcorrente. Mentre tutti vanno nella direzione opposta.
E in un attimo tutta quella Bellezza di quel pomeriggio è svanita, scivolata giù, in un luogo troppo lontano per poterla ancora raggiungere. Ho tentato, tentato di riafferrarla ma era sempre più evanescente, come una piccola pozza d'acqua che il sole inizia a prosciugare.
Poi mi sono fatta forza. Ho ripreso il controllo della mia emotività. Ho provato a pensare - ho dovuto forzarmi a pensare - che la Bellezza e l'Orrore possono coesistere anche in un unico luogo. Che l'una non annulla l'altro, e viceversa. Che sono sempre presenti - una dualità irremovibile.
L'Orrore e la Bellezza coesistono. Punto. E non c'è molto altro da aggiungere. Bisogna solo fare attenzione a non lasciare che si confondano l'una con l'altra. Perché la Bellezza è una e resta tale. E l'Orrore anche, è uno, e resta tale. E il ricordo di quelle tele al museo l'ho faticosamente ritirato su, riacciuffato per un pelo, e sono tornata a bearmene.
E no, non è una rimozione, non è un oblio. E' solo un compiere la fatica più immane di questo nostro essere al mondo: provare a far convivere la Bellezza accanto all'Orrore. Senza che il secondo annulli la prima.


Altri pensieri. Una sera su internet -  finisco per caso - di link in link - su un blog di una ragazza malata di cancro; poi, scopro non essere l'unico - così come esistono i satira blog, i cinema blog, i libri blog, i poesia blog, i musica blog, l'anoressia blog, i fashion blog, i cazzeggio blog, i politica blog, i nulla blog, esistono anche i "cancer blog". Persone coraggiose che raccontano senza tabù e senza ipocrisia e senza stare tanto a scomodare eufemismi la loro malattia. Persone che si muovono in un inferno quotidiano fatto di dolore, di umiliazione, di arrendevolezza, di perdita della dignità, ma anche di tutto ciò che ne è l'esatto contrario. Ed è stato per me una grande lezione leggere di queste persone che davvero soffrono - e non in senso metaforico ma proprio in senso letterale - le pene dell'inferno. Uno strazio quotidiano, senza remissione, di dolori continui, attenuati solo dalla morfina o da altri antidolorifici potenti.
E solo chi l'ha provato sa quanto la continuità del dolore sia annientante. Devastante. Basti pensare al mal di testa, o di denti, o alla colica di reni più forte che si sia mai avuta, e poi moltiplicarla per mille, e poi immaginare che non duri solo il tempo di qualche ora o qualche giorno ma molto, molto di più.
Ci sono persone, ho letto su questi blog, che vivono tra un ciclo di chemio e l'altro, costrette a patire una sintomatologia sempre più invasiva.
E per me, dicevo, è stata una grande lezione, come uno schiaffo in pieno viso, perché poi queste persone continuano a svolgere - tentano disperatamente di farlo - anche un quotidiano che è quello di noi sani tutti. Un quotidiano che a me - sana - a volte (spesso) pesa da morire. Alzarmi dal letto, la mattina, a volte proprio mi sembra una fatica immane. Un nonsense. E fatico a trovare una motivazione che sia una.
Poi però, andando avanti nella lettura, oltre all'ammirazione e alla compassione (in senso profondo di piètas, di con-partecipazione - di immedesimazione fin là dove la mia esperienza lo consente), ho iniziato ad avvertire anche, ad un certo punto, una punta di fastidio, come un'irritazione silente pian piano a salire, un qualcosa che si avverte e non si avverte chiaramente.
Poi ho capito. Lì per lì ho stentato. Ma poi ho capito.
In particolare, una di queste ragazze, raccontando il suo quotidiano, ha citato il suo fidanzato, dicendo - en passant - che era un cacciatore e che per questo sulla spalliera del suo letto d'ospedale aveva messo un peluche a forma di cinghiale, perché era stato un regalo del suo fidanzato, che era un cacciatore. E poi, più avanti, riferendo di una giornata buona - buona sotto il profilo della qualità della vita, con remissione dei dolori ecc. - racconta di una giornata nei boschi, a raccogliere funghi, e poi, a seguire, di una sosta pranzo in un locale dove si riuniscono i cacciatori ed i cercatori di funghi.
E di un'altra ragazza ancora: che, sempre malata di tumore, parla di bistecche e di carne da mangiare.
E allora. Io non sono nessuno per poter parlare del dolore di queste ragazze. E le mie riflessioni non vogliono essere un giudizio, ma solo, appunto, delle riflessioni. E mi piacerebbe che chi mi leggesse abbia il buon senso e l'intelligenza di capire che sto parlando di qualcosa di infinitamente più ampio, che sono partita dal resoconto di queste esperienze lette su un blog per approdare ad una speculazione di natura più esistenziale, fors'anche metafisica.
Perché, mi domando, è così' difficile comprendere che il Dolore è solo UNO? Che non esiste un dolore che sia diverso dall'altro? Esiste una scala QUANTITATIVA del dolore, questo sì, per cui chi soffre di cancro ha certamente un dolore infinitamente più grande del mio che ho mal di testa, ma la QUALITA', la RADICE, è sempre la stessa. Ed è unica.
Come non comprendere che il Dolore è una delle poche esperienze che ci accomuna tutti? E per tutti - ormai lo saprete - io intendo proprio tutti. Gli animali e gli uomini. Anche gli astici e gli scampi, e le cozze e le vongole. Sì, perché anche quelli sono animali (una volta un'amica mi disse: ma nemmeno gli spaghetti con le vongole mangi? Quelli mica sono animali, sono molluschi. Per non parlare di quell'altro ancora che: ma nemmeno il prosciutto mangi? Il prosciutto è prosciutto, mica carne).
E allora, come non comprendere che lo stesso dolore che stai sentendo tu - che sei malata di cancro - e che vorresti che sparisse - lo stai però anche infliggendo - senza volerlo, o senza farci troppo caso - a tutte le migliaia di creature che ti mangi? E Perché tu, proprio tu, che conosci il dolore meglio e più di qualsiasi altro, non vedi che è ovunque, in scala diversa, e che no, non c'è bisogno di aggiungerne altro? E no, non te ne faccio una colpa. Perché non ti sto giudicando. Perché non sono nessuno per capire l'inferno che stai passando. Ma leggendo di questo inferno, del tuo inferno, che racconti proprio bene, io non posso fare a meno di vedere tutti gli altri, di inferni.  E rifletto. E porto qui le mie riflessioni. Che non hanno la pretesa di essere altro di quello che sono: riflessioni.
Come non capire che il cinghiale cui spara il cacciatore prima correva felice, se ne stava andando per i cazzi tuoi, esattamente come tu prima di ammalarti. Tu hai avuto un destino terrificante. Ma pensi che infliggendolo anche al cinghiale, possa cambiare il tuo?
Il Dolore è uno. La radice è unica. E allora, prima di sostenere la ricerca per il cancro o la sclerosi multipla tramite associazioni, che notoriamente effettuano la vivisezione sugli animali e - metodicamente, clinicamente - attraverso procedure medico-scientifiche - provocano in loro tumori affinché poi ci si possano sbizzarrire su (ricordo che in natura in topi non avrebbero tumori), mi piacerebbe che si riflettesse un po' sulle alternative, che ci sono fuor di ogni dubbio. E sì, anche io vorrei che la scienza trovasse una cura per i tumori, ma vorrei che questa rivoluzione medica non passasse attraverso la sofferenza di milioni di creature senzienti. Perché anche loro soffrono e provano dolori infernali quando gli scienziati gli provocano arbitrariamente il cancro. Vorrei che la lotta per sconfiggere la sofferenza non passasse attraverso altra sofferenza. E mi sembra che più chiara e più sincera e più onesta di così non avrei potuto essere. E sono pronta ad assumermi tutta la responsabilità delle mie parole. Ho il coraggio delle mie idee, di queste riflessioni.
E allora continuo a ripeterlo.
Il dolore tuo non è diverso da quello che provano milioni di animali che soffrono ogni giorno; persino tanti reduci dai campi di concentramento, poi, nell'esperienza del dolore condiviso, hanno riflettuto sull'altro Olocausto, quello che continua ancora ad  avvenire indisturbato sotto gli occhi di noi tutti, quello che vede il massacro quotidiano di milioni di creature viventi. Il dolore cambia solo nella QUANTITA'. Il dolore del cinghiale che viene ucciso per sport non è diverso dal tuo. Il dolore dei topi e di tutti i milioni di creature viventi usate come cavie nei laboratori non è diverso dal tuo. E no, non può esserlo. Non può essere diverso. Perché il dolore, la sofferenza, come la morte, ci accomuna tutti, tutti noi esseri viventi. Tutti nati dalla medesima radice malvagia.
E tra quegli scampi e quegli astici che brancolavano nel ghiaccio in attesa della morte e noi, e tra le altre specie animali e noi, c'è solo una differenza quantitativa ma non qualitativa. Siamo infatti, tutti, nessuno escluso, esseri viventi.
(Qualcuno adesso potrebbe dirmi che io non avevo il diritto di parlare così della sofferenza di persone che nemmeno conosco, perché, così facendo, ferisco la loro sensibilità. Io rispondo che il problema me lo sono posto, e che ci ho pensato su un po' prima di parlare di questo. Poi ho pensato che anche esporre i pesci sul bancone del supermercato ferisce la mia sensibilità, che anche vedere la gente che compra il salame come se niente fosse ferisce la mia sensibilità. E che, parlandone, mostrando una maniera diversa in cui si può venire feriti, forse, involontariamente, ci facciamo del bene reciproco).

15 commenti:

L ha detto...

«aliene in un mondo di cui non conoscono le leggi»

Stupenda ripetizione del testo, con cambio di soggetto. Se passa di qui Sdrammy dirà lui il nome della figura retorica. Io zono drobbo niorante.

Però ne ho sentito dentro il peso sostanziale. Empatia perfettamente riuscita e funzionante in entrambe le direzioni. La gente percepisce per sé la stessa precarietà dei molluschi nel pvc, e crede che questo sia un buon motivo per calpestare gli altri nel tentativo di lenire il dolore proprio e dei propri cari.

Dolore che non finirà, finché non si prende coscienza della sua unicità. Della nostra unicità.

Ti abbraccio.

Rita ha detto...

La gente percepisce per sé la stessa precarietà dei molluschi nel pvc, e crede che questo sia un buon motivo per calpestare gli altri nel tentativo di lenire il dolore proprio e dei propri cari.

Questa è una riflessione molto interessante. Non l'avevo mai vista in questo modo, infatti.

Prendere consapevolezza della propria precarietà (arriva sempre quel momento, prima o poi) può essere devastante, per alcuni.
Ma il dolore non si lenisce aggiungendo altro dolore.
Noto infatti che quando parlo del dolore degli animali tutti (o quasi, tutti) rispondono inevitabilmente: eh, ma che vuoi farci, soffrono tanto anche gli esseri umani.
Ed è vero - come dico sempre - che tutti soffriamo, ma un conto è l'ineluttabilità del dolore cosmico, un altro è affliggerlo gratuitamente.
Mi sono tanto stancata di questa ipocrisia per cui tutti a dolersi se muore un essere umano e l'indifferenza più assoluta verso gli animali.
POchi, davvero pochi, fanno caso ad un piccione ferito in mezzo alla strada - ed i più, dopo aver gettato mezzo sguardo per curiosità - passano oltre indisturbati. Ma questo non succede se ad essere ferito è un essere umano.

Ti abbraccio anche io :-)

P.S.: aspettiamo Sdrammy per farci dire la figura retorica, che al momento sfugge anche me :-(

Claudio ha detto...

Facendo leva sulla mia puntigliosa curiosità intellettuale, e non riconoscendo la figura, mi avete condannato ad un'ora di ricerche e consultazioni. Senza peraltro venirne a capo.
In effetti la costruzione suona molto come una figura retorica, una sorta di ripetizione concettuale rafforzativa, ma per ora non mi risulta nulla di simile.
A breve potremo sancire con certezza che avete inventato una nuova figura retorica: non vi resta che trovarle un nome e brevettarla.

L ha detto...

Noi tre insieme siamo belli.

Rita ha detto...

Vi confesso che anche io questa mattina - dopo aver letto il commento di Luca - mi sono impegnata in una breve ricerchina, ma in effetti con scarsi risultati; mi è servito comunque per ripassare tutte le figure retoriche sino ad oggi conosciute ;-).
Qui però i creativi siete voi, quindi adesso sforzatevi di trovare un nome (poi, ovviamente, del brevetto mi prendo tutto il merito io) ;-)

Rita ha detto...

Sì, Luca, davvero belli. Potremmo fondare il comitato etico delle figure retoriche ;-)

L ha detto...

empatropia

Rita ha detto...

Bellissimo!!!
Posso dirti che sei un genio senza risultare retorica? ;-)

E' una parola bellissima e più che mai pertinente al contesto.

Vabbè, dai lo brevettiamo insieme: io, inventrice inconsapavole - a te il merito di aver realizzato l'invenzione ed avergli dato un nome - a Sdrammy, per la consultazione accurata e la conferma che trattavisi di figura retorica inedita.

'notte, un abbraccio.

Rita ha detto...

inconsapEvole.

L ha detto...

LOL, e manco so il greco.

Associazione culturale Empatropia?
Io curo l'aspetto giuridico.
Clà che ha braccia forti scava la sede in un blocco di tofu.
Biancarita pittura l'ambiente cantando versi.

Si-può-fare.

Rita ha detto...

...cantando versi?

Mi sa che allora stiamo messi malino ;-)
(penso che sia difficile trovare un'altra persona stonata quanto me!)

Poi non ho capito, a te l'aspetto intellettuale e a noi quello materiale? LOL

Comunque per il nome ci siamo: A.C.E. (come il succo di frutta con le vitamine).

Paolo ha detto...

Ma no, è che voi state in loco.
Questa ACE parte su basi capziose...

Ok, non resta che spartirci l'acronimo. Chi prende la carota? LOL

Rita ha detto...

Si estrae a sorte lol

(ieri ho ordinato Tutto è uno in libreria, mi è giusto arrivato or ora l'sms che mi avverte che è arrivato. Più tardi esco a prenderlo) ;-)

Claudio ha detto...

Luca, tu c'hai la sindrome di The dreamers!
Possibile nome per la figura retorica: endiadi semantica.

Rita ha detto...

Bella anche questa!
Però empatropia è più originale. ;-)

Adesso la dovete usare in un vostro prossimo post.