sabato 5 marzo 2011

Piccolo Spazio Pubblicità

Nel precedente post ho accennato brevemente al ruolo predominante della pubblicità nella televisione. In alcune fasce orarie (quelle in cui è previsto un maggior numero di spettatori), i minuti di spot mandati in onda arrivano a superare persino la durata complessiva del programma. Ovviamente la scelta degli spot non avviene a caso: le trasmissioni rivolte ad un pubblico essenzialmente femminile saranno interrotte da avvisi pubblicitari volti a favorire l’acquisto di prodotti che riguardano il mondo delle donne, viceversa, durante le partite di calcio sarà più facile assistere a spot pubblicitari di automobili, rasoi e tutti quei prodotti che “formano” l’universo maschile. Ed è anche così che si definiscono culturalmente i ruoli del maschile e del femminile. Sono dei cliché ma la TV si basa interamente sui cliché, anzi, contribuisce a rafforzarli e a crearne di nuovi.
Le pubblicità - non solo quelle che passano in TV ma anche sulle riviste, internet, manifesti affissi nelle città -  rispettano delle regole ben precise. O meglio, per funzionare devono agire su determinati meccanismi; affinché seducano e facciano nascere nello spettatore il desiderio di acquistare i più svariati prodotti (molti essenzialmente inutili) bisogna che facciano leva sulle pulsioni primarie dell’individuo e che agiscano simbolicamente a stimolare e rafforzare tutte le sovrastrutture che regolano e su cui poggia la società.
L’essere umano, sebbene evoluto tecnologicamente, non ha dimenticato la sua funzione primaria, che è quella di riprodursi come specie. Al di là di tutte le scoperte scientifiche, mediche, tecniche, se l’essere umano smette di procreare, andrà incontro all’estinzione sicura. In una società evoluta (tecnologicamente evoluta), come la nostra, tale funzione si manifesta diversamente da come avveniva in passato (mi riferisco a quando l’uomo era ancora un essere primitivo), e quindi non è immediatamente riconoscibile come tale.
Noi non siamo più animali che mettono in mostra i propri attributi ed organi riproduttivi a conferma della nostra capacità di riprodurci ma siamo esseri socialmente costruiti che hanno demandato alla tecnologia ed alle sovrastrutture sociali il compito di portarci avanti come specie. Agli attributi fisici abbiamo sostituito - in parte - il possesso di determinati beni che simbolicamente attestano la forza e lo status sociale dell’individuo affinché - attraverso di essi - venga riconosciuto e scelto colui che, come “migliore tra i candidati possibili”, potrà assolvere in maniera soddisfacente al compito della riproduzione.
Un uomo che possiede una bella automobile, vestito con abiti di qualità, di bell’aspetto (quindi, presumibilmente sano, non minato dai segni fisici della malattia o della decadenza), che frequenta un certo tipo di ambienti, che si dedica ad un certo tipo di attività, che mangia e beve determinati prodotti ecc., assembla in sé tutte le caratteristiche per essere definito un uomo affidabile, di successo e quindi adatto a portare avanti la specie. Lo stesso avviene per le donne. Solo che in questo caso le caratteristiche simboliche sono diverse.
Il compito di riprodursi assolve anche - indirettamente - alla funzione di sconfiggere quella che resta la paura più grande dell’essere umano - più grande perché riferita al più ineluttabile degli eventi: ossia la morte. Solo procreando, trasmettendo il nostro dna ai nostri figli, ci rendiamo immortali. Il pensiero della morte trascina con sé una miriade di paure e di riflessioni che l’essere umano cerca di rimuovere ed obliare costantemente: la malattia, la vecchiaia, il senso di inutilità quando non si è più socialmente attivi, il nonsense esistenziale, la depressione, la solitudine, il disagio, il fallimento ecc.., sono tutte pensieri ed eventi che ci ricordano la nostra precarietà. 
Quindi, riassumendo, se la morte (e quindi la malattia, la vecchiaia, il disfacimento fisico ecc.) sono pensieri forieri di angoscia, bisognerà promuovere ed incentivare tutto ciò che ad essi si oppone e contribuisce a tenerli lontani (dagli occhi e dalla mente), a combatterli, a sconfiggerli (prima ed ultima illusione inconscia), a rimuoverli, ad obliarli.
La pubblicità si basa essenzialmente su questo.
Gli attori degli spot sono sempre giovani, belli, sani, ricchi, realizzati, soddisfatti, sessualmente attraenti, intelligenti, di successo (e, se non lo sono, potrebbero diventarlo semplicemente seguendo determinati "consigli per gli acquisti" e comportamentali); le donne sono sempre sensuali (il nudo e l’erotismo restano ancora la maniera più efficace per il richiamo sessuale attraverso la semplice equazione SESSO=RIPRODUZIONE=SCONFITTA DELLA MORTE), ovviamente disponibili, giovani, curate, ben vestite e truccate, perfettamente depilate, sane, divertenti, realizzate, sempre sorridenti ecc..; ogni prodotto che viene pubblicizzato rimanda, simbolicamente, a qualcos’altro. Così non si compra l’automobile solo perché serve per spostarsi ma perché  freudianamente riassume in sé ed ingloba moltissimi dei simboli riconosciuti come fondanti del successo sociale ed anche perché rassicura quella conferma di virilità primordialmente legata alla necessità della riproduzione: l'uomo che possiede una macchina potente ed elegante è un uomo in grado di rassicurare la continuità della specie, spostando la propria virilità dagli attributi anatomici a quelli inerenti l’oggetto che dà prova di possedere e padroneggiare.
Nelle pubblicità le lussuose automobili vengono sempre mostrate in un'atmosfera di fondo rilassante e suggestiva, abitate da uomini e donne bellissime o  abbinate a situazioni di piacevolezza  e rilassatezza familiare: felici coppie con prole che salgono nella loro auto per compiere il viaggio che hanno sempre sognato, uomini eleganti e  raffinati con al fianco donne sensualissime e disponibili, uomini e donne in carriera che velocemente si spostano per andare a firmare un prestigioso contratto,  oppure - le auto - vengono mostrate con inquadrature in primo piano ad evidenziare qualità tecniche e prestazioni particolari (di velocità, di capacità di frenata, di comfort ecc.) inerenti l'oggetto in sè, il tutto presentato attraverso immagini  che si avvalgono di un'estetica formale di alta qualità su sottofondo di musiche che deliziano le nostre orecchie, in una sinestesia di sensazioni visive, uditive e - per estensione del potere immaginativo anche tattili ed olfattive - che in maniera subdolamente suadente conquista i nostri sensi e ci induce a desiderare, ad immedesimarci, a sognare e, infine, a comprare. 
Ma una buona pubblicità (cioè che funzioni, che induca a desiderare e a comprare l’oggetto) non deve limitarsi solo a  promuovere giovinezza, bellezza, sesso, deve altresì scongiurare il pericolo che possa ricordarci la nostra caducità e mortalità e quindi obliare e rimuovere tutto ciò che potrebbe riferirsi alla precarietà dell’esistenza. Prendiamo ancora l’automobile: è forse il feticcio per eccellenza nella nostra società (appunto perché racchiude in sé una miriade di simboli sessuali legati alla riproduzione e al successo sociale), ma non è solo questo, è anche tutto ciò che le pubblicità non dicono: è una delle principali cause di morte del nostro tempo; migliaia di persone, ogni giorno, restano ferite o perdono la vita negli incidenti stradali. Le cronache ci riportano quotidianamenti resoconti di simili tragedie (che generano non solo traumi fisici ma provocano e lasciano ferite indelebili anche nella mente, forse per sempre), ma avete mai visto uno spot pubblicitario di automobili in cui si parli delle conseguenze nefaste della velocità, dei guasti tecnici o anche del semplice caso (tutte queste auto che circolano sulle strade prima o poi, casualmente, finiscono per scontrarsi)? MAI. Certo, si parla di sicurezza, di airbag o misure preventive tecniche atte a prevenire e proteggere in caso di incidente, si parla di buona capacità di frenata, ottima tenuta stradale ecc., ma sempre in termini positivi, sempre in termini volti a rimuovere il pensiero del pericolo e della morte.
Eppure, ripeto, l’automobile, lungi dall’essere quel seducente oggetto tutto luccicante e dalle linee accattivanti, resta una delle principali cause di morte, anche tra i giovani.  Nessuno, guardando gli spot di automobili pensa mai al lato oscuro di questo oggetto: una sorta di  "Moloch" moderno che ogni giorno richiede la sua dose di sangue; è come se il sangue versato a causa degli incidenti automobilistici sulle strade di tutto il mondo divenisse sostituzione degli antichi sacrifici che antiche civiltà offrivano ai loro Dei per ingraziarsene il volere. Ciò che le pubblicità non dicono è questo. Inducono a comprare mettendo in rilievo la convenienza del prezzo, sconti, possibilità di rateizzazioni, incentivi statali, rottamazioni; ma non fanno mai invece accenno al prezzo che ogni giorno innumerevoli vittime pagano sulle strade, restando cicatrizzate nella mente e nel corpo.
Ho scelto di parlare dell’automobile - forse il prodotto più pubblicizzato per eccellenza - perché si offre come esempio perfetto per svelare i meccanismi della pubblicità. Ma è così per tutto. Basti pensare anche alle pubblicità degli alcolici: anche l’alcolismo è, guarda caso, una delle principali cause di morte ma negli spot si mostrano sempre situazioni piacevoli, di divertimento: party scintillanti in cui ragazzi strafighi bevono insieme a ragazze strafighe, in cui si balla, si ride, si gioca a sedursi a vicenda ecc.. Mai una volta che venisse mostrata l’immagine di un fegato cirrotico o di un alcolista disperato.
Finisco con un’ultima considerazione: sul sito Lav leggo un articolo, del 28 febbraio, che trovo attinente al discorso sopra: il Preside della Facoltà di Medicina dell’Università Tor Vergata di Roma, tale Giuseppe Novelli, ha annunciato una sperimentazione sui topi per combattere la vecchiaia. Migliaia di topolini, trattati come meno di oggetti (ricordo che i topi sono animali intelligentissimi, ma anche se fossero stupidi sono comunque creature in grado di sentire e soffrire), verranno ringiovaniti ed invecchiati a comando, andando a modificarne i telomeri, per sperimentare farmaci d’uso comune atti a combattere l’invecchiamento (vi invito a leggere l’articolo in proposito, qui).
A parte l’inutilità della sperimentazione sugli animali, che rifiuto ed associo al Male assoluto, vogliamo analizzare ed elaborare con attenzione questo concetto?
Farmaci per combattere l’invecchiamento? Ma i farmaci non si usano per combattere le malattie? E da quando l’invecchiamento è diventato una malattia? Ma di cosa ci illudiamo, di essere immortali?
Ed è esattamente questo l’inganno perpetrato ai nostri danni dalle innumerevoli pubblicità che ci bersagliano da ogni dove: quello di indurci a credere di poter restare eternamente giovani, belli e sani. Quello di trasformare e far apparire ai nostri occhi il processo naturale dell’invecchiamento come qualcosa di “insano”, di “innaturale”, nel mostrarcelo come una menomazione anziché il risultato di un processo biologico cui tutti siamo soggetti, in quanto esseri mortali e finiti.
Certamente invecchiare non piace a nessuno. Ma nessuno pensa mai che invecchiare significhi anche vivere a lungo? Se arrivo alla vecchiaia vuol dire che non sono morta prima, vuol dire che sono riuscita ad avere una vita piuttosto lunga. La vecchiaia non è un qualcosa da scongiurare ma è un traguardo.
E ora la si vuole curare. Ci hanno talmente abituato (in TV, nei vari programmi, nella pubblicità, che è ovunque, su internet, sulle strade, alla radio, ormai anche su youtube) a considerare un valore l’essere giovani e belli (e magri: ci sarebbe da scrivere moltissimo anche sulle disfunzioni percettive provocate sempre dalla pubblicità per cui non si è mai magri e belli abbastanza, e quindi si diventa facilmente vulnerabili all’insorgere di disturbi legati all’assunzione di cibo) che ormai, come contraltare, la vecchiaia è diventata una malattia da sconfiggere anziché il naturale processo biologico che è.
Siamo talmente assuefatti a vedere donne plastificate simili a bambole gonfiabili intrise di silicone che una persona “normale” (ossia non ritoccata chirurgicamente) ci appare brutta, avvizzita, non accettata socialmente.
E torno a ciò che dicevo nel precedente post: la televisione e tutta la pubblicità di cui si serve (processo anche equivalente, volendo: è la TV che si serve della pubblicità o la pubblicità che si serve della TV?) ci restituiscono un’immagine distorta e falsata della realtà, inducendoci a desiderare, ad illuderci di sconfiggere la morte e la vecchiaia. Ma è una bugia, un inganno mostruoso. Invecchiare è naturale. Se si è vecchi vuol dire che comunque si è vissuto.
E lo so che la morte non la si accetta davvero mai. Ma non è gonfiandoci gli zigomi, tirandoci le rughe, acquistando una bella macchina, assumendo farmaci per ringiovanire che vanificheremo ciò che resta invece il più ineluttabile degli eventi.
Non è divertente leggere certe cose che ricordano la nostra mortalità, me ne rendo conto. Forse sono antipatica. Ma non me ne frega niente. Non è con l'oblio che le cose potranno essere diverse, ma con l'accettazione di esse. La TV e la pubblicità invece remano contro il processo di accettazione della caducità dell'esistenza, lasciandoci ancora più in balia delle nostre emozioni, delle nostre tragedie. Anzi, sono riusciti a trasformare in show anche le tragedie; ma poi, a riflettori spenti, ognuno dovrà fare i conti con la realtà, che non è mai quella di uno studio televisivo.

P.S.: a proposito degli incidenti stradali: le mie riflessioni e considerazioni non sono nuove. Adoro David Cronenberg e ritengo Crash un capolavoro; ovviamente ritengo un altrettanto capolavoro il romanzo omonimo da cui è stato tratto: Crash di J.G. Ballard. Alla visione di questo film e alla lettura di questo romanzo devo moltissimo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

'Crash' è davvero un capolavoro. Mi riferisco al film, visto che che il libro (ancora) non sono riuscito a leggerlo. Di una morbosità che non può non essere estremamente interessante.

Ti ringrazio qui per i complimenti che m'hai fatto di là, sul mio blog :)

(intanto sto girellando sul tuo)

Rita ha detto...

Ti ringrazio per essere passato a trovarmi ;-)
Crash film è estremamente fedele al romanzo, e solo un genio come Cronenberg - regista carnale e cerebrale insieme - poteva riuscire nell'impresa di filmare quella che resta un'opera - al di là del potere disturbante - estremamente intellettuale.
Ballard te lo consiglio anche per altri romanzi, che a mio avviso si stanno rivelando addirittura profetici: Condominium, Regno a venire (imperfetto, ripetitivo ma geniale nell'idea di fondo), La mostra delle atrocità, L'impero del sole. Se ti piace Dick non può non piacerti anche lui ;-)