giovedì 19 maggio 2011

The Tree of Life di Terrence Malick


(come mio solito, non sarò breve)
Da tempo sostengo che Terrence Malick sia uno dei più grandi registi viventi, e sfido chiunque conosca la sua filmografia a darmi torto; certo, può non piacere, de gustibus non disputandum est, oppure si potrà non essere d’accordo con quello che dice, ma difficilmente si potrà restare indifferenti di fronte ai suoi lavori o non riconoscerne la grandezza oggettiva. Intanto è un regista tecnicamente perfetto - anche perché non gli interessa realizzare un film ogni anno e si prende tutto il tempo necessario per portarlo a compimento nel migliore dei modi, ossia secondo quella che è la sua maniera di fare cinema, una maniera che sfiora la perfezione sotto ogni aspetto - e poi affronta sempre tematiche di grande importanza - filosofiche, metafisiche, mistiche - racchiuse in storie di grande suggestione.
Da mesi attendevo l’uscita del suo ultimo film The Tree of Life e infatti non ho perso tempo: appena uscito in anteprima qui a Roma - ieri, per l’esattezza - mi sono precipitata a vederlo. 
Sono andata con animo prevenuto ed esageratamente critico, perché, non volendo commettere l’errore di “farmelo piacere per forza” solo perché è di Malick, ho voluto predispormi con un certo distacco “professionale”.
Il mio giudizio - e ci tengo a ribadirlo e sottolinearlo, scevro da ogni “pregiudizievole simpatia” verso il regista - è che si tratti di un film assolutamente grandioso. A fine visione ricevo un sms dal mio amico Rocco, grande cinefilo - che sarebbe dovuto venire a vedere il film, ma mi ha dato buca  ;-) - il quale mi chiede: “da uno a dieci?”; io rispondo: “per me è un dieci. E’ un film assoluto. Ma in sala c’era anche qualcuno che ridacchiava, a prova del fatto che comunque non è un film che può essere apprezzato da tutti”.
Perché, se innegabilmente chiunque non potrà fare a meno di riconoscere una maestosità tecnica di cui raramente si ha avuto prova nella storia del cinema - mi sento di accostarlo, per eccezionalità della resa filmica, pur con tutte le differenze tematiche e di forma, ad un capolavoro quale 2001: odissea nello spazio di Kubrick - ottenuta tramite un mix di scene girate in Super 8 ed altre realizzate con una cinepresa Imax digitale ed utilizzando uno speciale obiettivo per immagini a infrarossi: tecnologia "spaziale", in ogni senso, in quanto è la medesima con cui è stato realizzato il megatelescopio Hubble che, in uso dal 1990, permette l'osservazione dello spazio, tuttavia il contenuto potrebbe non "raggiungere" ogni spettatore, ma non per una complessità o eccessiva astrattezza della trama (come alcuni critici hanno affermato: e mi domando se davvero abbiano prestato quell'attenzione minima richiesta per la comprensione che un film degno di chiamarsi tale richiede), quanto piuttosto per la predisposizione verso una determinata visione del mondo ed uno specifico "sentire" (specifico in Malick) che potrebbe non essere terreno comune di chiunque. C'è chi infatti ha una visione più materialistica del mondo, chi una più sociale, insomma, non necessariamente è dato che chiunque si trovi a condividere il percorso spirituale che questo regista conduce dagli albori della sua carriera e che, mi sento di dire, proprio in questo suo ultimo lavoro, potrebbe aver portato finalmente a compimento.
Il risultato - la tecnica di cui si avvale per esprimersi contenutisticamente - è a dir poco straordinario: le scene hanno una tale forza visiva che non soltanto restituisce autenticità massima a ciò che viene mostrato, ma che addirittura arriva a colpire e a coinvolgere, per estensione, ogni senso, rendendo lo spettatore partecipe di ogni singolo movimento di macchina e di ogni singola inquadratura con un'amplificazione tale dei particolari - dal raggio di luce, al granello di polvere, alla grana della pelle, al filo d'erba, alla nuvola nel cielo - in grado di sfumare sapientemente dal micro al macro, rendendo possibile abbracciare, cogliere e penetrare con lo sguardo tutto ciò che appare sullo schermo. Lo schermo, alla maniera impressionista, si fa portatore di un racconto che è percezione ed evoluzione interiore dei personaggi.
L'estetica di The Tree of Life è anche la trama di The Tree of Life: le immagini si fanno narrazione a definire e costituire l'intreccio e lo sviluppo della vicenda, le voci - dialoghi scarni, come negli altri film del regista - come uno scheletro portante, mantengono e sorreggono i fili di questa narrazione, la musica è parte integrante di questa stupenda ed armonica orchestrazione del tutto.
Malick affronta le tematiche di sempre: "chi siamo, da dove veniamo, perché esiste il male, Dio esiste, e se Dio esiste perché ci ha abbandonati, perché permette che accada il Male?". E, come sempre - in opposizione e superamento di tutte le poetiche del post-moderno che si sono limitate a fare domande senza azzardare risposte (il secolo passato, tanto in letteratura, quanto nel cinema, è stato il secolo dell'inquietudine, del nichilismo, dello smarrimento totale, della perdita di ogni punto fermo al di fuori di un nevrotico solipsismo che solo induce ad una regressione e negazione) - egli dà la sua - bellissima - risposta.
The Tree of Life è la storia di una riconciliazione, esattamente come lo è La tempesta di Shakespeare. Una storia in cui da un'apparente dicotomia iniziale si giunge infine alla comprensione  - e soluzione - dei due opposti.
"Ci sono due vie per affrontare la vita: la via della natura e la via della grazia": la prima ricerca la propria soddisfazione, il dominio, la sopraffazione, conduce e riporta a noi stessi, la seconda accetta il dileggio e le offese, ma è apertura verso l'altro, è empatia, è amore e rispetto di tutte le cose esistenti. Porta all'esterno, al di fuori di noi stessi, e per questo è eterna e non effimera, perché se nell'altro ritroviamo la medesima scintilla di vita che è in noi, quella scintilla sarà inesauribile e moltiplicabile all'infinito, almeno fino alle fine dei tempi.
Malick racconta la storia di tutti, la storia dell'universo, dalle origini fino ad un'immaginata estinzione finale (il fuoco ha generato la vita, ma è anche ciò che la distruggerà), attraverso la storia di una famiglia americana a partire dagli anni '50, dislocata poi in vari momenti e rimandi tra passato, presente e futuro.
Gli O'Brien marito e moglie rappresentano simbolicamente le due vie attraverso le quali si esplica la vita. L'uomo è il Padre che deve mostrare ai figli come farsi strada nella vita, il Padre rispettato ma temuto (e rispettato proprio perché temuto, e indicativo il fatto che imponesse di essere chiamato proprio Padre o Signore, anziché, semplicemente, papà), il Padre che dice ai figli: "non si deve essere troppo buoni, altrimenti poi la gente si approfitta".
Egli rappresenta la Natura intesa nella sua logica di dominio e sopraffazione. Una logica in cui non ci può essere spazio per l'arrendevolezza o per l'amore, pena il proprio fallimento.
La signora O'Brien invece è colei che non solo contrasta efficacemente e si oppone a questa visione attraverso la scelta dell'altra via, quella dettata dalla Grazia, ma addirittura, nella scelta dell'apertura e della comprensione esente dal giudizio, la supera e la risolve efficamente, riuscendo a dare una risposta al problema ontologico del male nell'ottica di una riconciliazione anziché di una lotta/opposizione.
Il film dà una risposta meravigliosa alla domanda dell'esistenza del Male (nella trama simboleggiata dalla morte di uno dei figli della famiglia O'Brien, anticipata dal tragico evento della morte di un altro ragazzo avvenuta a causa di un incidente in piscina) cui nemmeno la Fede in Dio -  con le sue imperscrutabili azioni - riesce a dare una risposta esaustiva  e bellissimo infatti è il discorso del prete durante l'orazione funebre del figlio, in cui - citando l'episodio biblico di Giobbe, un passo del quale peraltro è mostrato in apertura di film - ribadisce che la sfortuna può toccare chiunque perché nessuno viene risparmiato dai colpi delle disgrazie, e che a nulla serve comportarsi bene e condurre una vita da giusti poiché Dio è colui che ci dà la vita, ma anche colui che ce la toglie, senza dover rendere conto di nulla. Questa imperscrutabilità del volere di Dio è essenzialmente simboleggiata dalla figura di Mr O'Brien (appunto, simbolicamente, colui che si fa chiamare Padre), la cui severità sembra essere incomprensibilmente lontana da quell'amore che ogni padre dovrebbe riuscire a dimostrare per i propri figli; "perché ci fa questo, se è nostro padre?" chiede il figlio maggiore, colui che tenta di ribellarsi a questo volere paterno e che attraverso il proprio percorso comprende che commettere il Male non porta a nulla  ("che cosa ho ottenuto?", si domanda dopo aver commesso un piccolo gesto di malvagità contro il fratello minore, poi subito pentitosi e corso a chiedergli scusa).
 La signora O'Brien, muta di fronte alle restrizioni ed imposizioni educative del marito nei confronti dei figli, è colei che tutto sopporta, ma non per rassegnazione - come sarebbe in una logica cristiana - bensì per una intima predisposizione di spirito che è accoglimento e manifestazione di meraviglia scevra da ogni giudizio, di tutto ciò che accade ed esiste.
E la sua vocazione - per meglio dire, la sua essenza spirituale - è anche l'unica - bellissima - risposta che ella può dare (e che insegna e tramanda ai propri figli, con poche parole, soprattutto attraverso l'esempio del proprio agire e fare): non importa sapere da dove veniamo, o chi siamo, se esiste un Dio e se gli siamo o meno indifferenti, quello che conta è amarci, farci del bene, aiutarci, rispettare ed onorare ogni singola manifestazione di vita, dalla più piccola foglia di un albero, alla più grande delle stelle in cielo: "voletevi bene tra di voi, aiutatevi... ", dice ai propri figli che le domandano il perché del comportamento del proprio padre.
"Se vivi senza amare, la tua vita passerà in un attimo". Solo l'amore e l'empatia verso il Tutto che ci circonda - perché noi tutti facciamo parte di questo Tutto - ci permette di vivere una vita degna di essere vissuta.
Dalla più piccola forma di vita siamo nati noi, dal micro si è evoluto il macro, da quella luce sfolgorante iniziale si sono sprigionate tante piccole infinitesimali luci, il cui riflesso è la sola via che dobbiamo seguire se vogliamo restare eterni ricongiungendoci a quel nucleo di scintilla iniziale dal quale si è evoluto il Tutto dell'universo.
La Grazia di cui parla Malick è così una Grazia conciliatrice anche degli aspetti più brutali e del tutto casuali della Natura. E' una Grazia che, esplicandosi come accettazione ed amore, arriva a comprendere anche l'indifferenza apparente della Natura. Perché è vero che la vita nell'universo (e tutta la scena dell'origine dell'universo è di una bellezza che sfiora la poesia senza tuttavia voler esser pretenziosamente tale, in quanto si avvale di un taglio essenzialmente documentaristico la cui poesia è data proprio dall'evento in sé, evento che si pone come meraviglia, come esplosione di luce, di colori, forme, di fuoco, evento che è sì luce, ma non luce divina, quanto luce in sé, che genera vita e a cui la vita ritorna, che è scintillio vitale perenne) conosce e sperimenta anche il dolore, la sofferenza, il Male (come comunemente viene inteso) ma attraverso questo stato di Grazia che è amore ed empatia verso il tutto e per il tutto, si può arrivare a comprendere, ad accogliere e ad accettare anche il più casuale, inaspettato, crudele degli eventi.
Per Malick colui che riesce a vedere questo scintillio di vita e che riesce a riconoscerlo in ogni manifestazione della natura (quanto nell'insetto, quanto nel filo d'erba) è colui che è portatore e dispensatore di Grazia, non quindi in un'accezione religiosa ma più diffusamente mistica, spirituale.
Ciò che conta non è arrivare a definire un Dio, o a comprenderlo, o a capire come è fatto e se si occupa o meno di noi o ancora se esiste o meno, ciò che conta è riconoscere un afflato lucente di grazia e di meraviglia in tutto l'universo che ci circonda e di cui facciamo parte.
E, cosa importantissima, e che personalmente ho apprezzato particolarmente, è che questa luce di vita, questa scintilla di Grazia - grazia che appunto è data dal riconoscere la vita in sé - non appartiene solo agli esseri umani - anche se specie più evoluta del pianeta - ma è presente a tutti i livelli ed è stata presente in tutte le ere preesistenti la comparsa dell'uomo sulla terra. C'è infatti una scena bellissima - per me una delle più suggestive di tutto il film - ambientata in epoca preistorica, quindi in un momento in cui il pianeta terra è abitato ancora solo dai dinosauri: riverso a terra, sul bordo di un fiume, c'è un dinosauro ferito e morente. Il suo corpo viene avvistato da un altro dinosauro predatore, il quale, a grandi falcate minacciose, si avvicina. L'altro, morente, aspetta di essere ucciso. Il predatore infatti immediatamente alza una delle sue possenti zampe e la poggia sopra la testolina del morente. Poi accade qualcosa di inaspettato e di immensamente commovente. E di meraviglioso. Tra i due avviene un contatto: si guardano negli occhi, si scrutano, passa qualche secondo ed il predatore, sollevando la zampa dalla testa del moribondo, rinunciando a finirlo, se ne va. Si chiama empatia. Si chiama Grazia. Si chiama scelta, ed è la scelta della via dell'amore e della vita contro quella della chiusura egoistica che conduce all'inaridimento ed alla morte.
La luce della Grazia non appartiene solo agli uomini, ma si manifesta in tutta la natura, in ogni livello, ed è una scelta che viene data a chiunque, è ovunque vi sia il riconoscimento della bellezza e della meraviglia di tutto ciò che è vivo. Di tutto ciò che, semplicemente, è.
In questo senso allora anche quello che percepiamo come brutale necessarietà - la morte, il dolore, la sofferenza - se accolto secondo la via della Grazia, è in grado di essere sopportato e superato, perché non esiste male o bene, non esiste bello o brutto, non esiste morte in opposizione a vita, tutto fa semplicemente parte di un unico esistere. Tutto è perché un giorno è iniziato e tutto finirà quando casualmente avrà fine, non c'è un disegno, non c'è un perché, quello che conta è vivere tutto, ogni giorno, meravigliandosi, finché sia, finché sarà, nel rispetto e nell'amore di ogni manifestazione di questo Tutto.
Il finale (nonostante gli inconferenti e disturbanti risolini di una sparuta parte del pubblico in sala) è il coronamento possente, toccante e perfetto di questo affresco che - come è stato scritto da Curzio Maltese - potrebbe essere visto dai nostri figli come il primo vero film del terzo millennio.

39 commenti:

Anonimo ha detto...

il tuo amico Rocco non l'ha ancora visto :-)

Rita ha detto...

Lo immaginavo. Sono curiosissima di conoscere la sua impressione :-)

Anonimo ha detto...

Lo vado a vedere stasera! Non vedo l'ora! Tornerò a leggere il tuo scritto una volta visto il film!

P.S. Scusa, sono estremamente paranoica per queste cose. Evito di leggere persino le trame prima di vedere i film! :-D

Rita ha detto...

Ma certo, fai bene a non leggere prima (anche perché ho rivelato un paio di cosette).
Nemmeno io ho voluto leggere nulla prima del film e nemmeno prima di scrivere la mia recensione per timore di restare influenzata.
Sono curiosa di conoscere le tue impressioni. Ne riparleremo in seguito allora :-)

ExpatMichael ha detto...

Grazie per quello che hai scritto. Avevo bisogno di capire meglio che cosa avevo visto.

Rita ha detto...

Grazie a te per avermi letta :-)
The tree of life è comunque un film da rivedere più volte ed immagino che - come succede per i capolavori in genere - ogni volta ci si potrà cogliere qualcosa di più. Opere del genere non hanno mai un significato univoco, ma una stratificazione di temi e di spunti che sarebbe anche riduttivo esemplificare in una sola chiave di lettura.

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Marcella ha detto...

Grazie concordo in pieno con ciò che hai scritto. La scena dei dinosauri è stata per me emozionante...perchè lì ho riconosciuto qualcosa che accomuna gli esseri viventi, se vuoi anche la compassione per il debole.
Hai scritto esattamente il mio pensiero. Grazie ancora

Anonimo ha detto...

Ho letto con interesse questa recensione e l'ho molto apprezzata.
Ho visto questo film due giorni fa, quasi casualmente; classica scelta dell'ultimo minuto all'ingresso del cinema.
Dopo i vari io vorrei vedere questo, no io preferisco quell'altro ripieghiamo per il conciliante "The tree of life".
Superata la fase delle chiacchiere ci accomodiamo ed assisto a quello che secondo me non può essere definito solo "un film". The tree of life è di più.
Ho notato, leggendo quà e là le critiche del pubblico, che The tree of life viene spesso giudicato come un film "spirituale" che pretende di dare allo spettatore la risposta sul senso alla vita. Io credo che di strettamente "spirituale" abbia ben poco, (o quantomeno non è il tema centrale), credo sia piuttosto un film che semplicemente rappresenta la vita e l'esistenza, dell'uomo e della materia, del visibile, dei ricordi, delle paure e delle eterne domande che, fedelmente con quanto accade nella vita, non danno oggettive risposte.
Ho notato la tendenza da parte di alcuni atei ad etichettarlo come un film "su Dio" partendo dall'idea preconcetta che si sono fatti leggendo non so quale critica; allo stesso modo molti "credenti" tendono ad assegnare la medesima etichetta, chiaramente con un sentimento opposto all'avversione manifestata dai primi. Ed i dico, ma che film hanno visto?
Beh, secondo me, di questo "Dio" (in tutto il film) non viene certificata, oggettivata alcuna presenza se non negli occhi del singolo spettatore che vuole vederlo. Anzi, in diversi punti del racconto la "preghiera umana" viene rappresentata come un soliloquio che non riceve alcuna risposta "divina" e che piuttosto sembra perdersi nel vuoto del tempo e dello spazio i quali, intanto, continuano ad esistere "con e a prescindere" da noi. Nel quadro di un'esistenza dilatata fino al macrocosmo, l'essere umano sembra quasi un bambino ingenuo che si rifugia, da sempre, nella speranza del "Dio esiste" per esorcizzare paure ataviche. Una su tutte la paura della morte.
Ma di fatto Malick non nega e non conferma Dio. Registra quasi "giornalisticamente" ciò che è, ciò in cui l'uomo spera perché di fatto nella vita accade.
In questo film, così come nella vita, Dio c'è per chi crede; non c'è per chi non crede;
c'è per chi ritiene che la natura sia una sua manifestazione sufficiente; non c'è per chi ritiene che la natura non sia sufficiente a determinarlo. E' un film che non si concentra sulle risposte ma che preferisce esortare lo spettatore all'osservazione.
Osserva!
La telecamera ci obbliga ad osservare, a scrutare ogni dettaglio di ciò che caratterizza la vita nell'universo, con superbe, grandiose inquadrature.
Il lungo ed attento soffermarsi della telecamera sul molteplice della materia è un invito costate al guarda! osserva! Tutto questo non è scontato! C'è, esiste ma anche finisce. Esortazione insistente ed un invito costante ad allargare la pupilla forse nel tentativo di stimolare la consapevolezza umana nei confronti della vita e di tutto quello che la caratterizza. Vita che forse, chissà, è l'unica che ci è data di vivere. Ma questo Malick, giustamente, non ce lo dice se non sotto forma di speranza.

Cristina

Rita ha detto...

@ Marcella

"... perchè lì ho riconosciuto qualcosa che accomuna gli esseri viventi, se vuoi anche la compassione per il debole"

Esatto, la compassione per il debole, quella che io definisco "empatia", sentimento, purtroppo, non così diffuso quanto sarebbe auspicabile che fosse.
Grazie a te per il tuo intervento :-)

Rita ha detto...

@ Cristina

Innanzitutto ti ringrazio per il tuo commento ricco di ulteriori spunti.

Mi ritrovo in particolare in questa tua riflessione:
"Anzi, in diversi punti del racconto la "preghiera umana" viene rappresentata come un soliloquio che non riceve alcuna risposta "divina" e che piuttosto sembra perdersi nel vuoto del tempo e dello spazio i quali, intanto, continuano ad esistere "con e a prescindere" da noi. Nel quadro di un'esistenza dilatata fino al macrocosmo, l'essere umano sembra quasi un bambino ingenuo che si rifugia, da sempre, nella speranza del "Dio esiste" per esorcizzare paure ataviche. Una su tutte la paura della morte.
Ma di fatto Malick non nega e non conferma Dio. Registra"

Malick prende atto di una delle domande più comuni che l'essere umano si pone da tempo, ossia, se è vero che Dio esiste, perché non si occupa di noi e perché lascia che accadano cose terribili (la morte, la sofferenza)? Mi sembra che tale domanda venga sintetizzata, per l'appunto, in tutto il discorso del parroco durante la funzione, il quale, ovviamente, non può che dare la sua unilaterale risposta di uomo di chiesa, prendendo ad esempio la storia di Giobbe per spiegare l'imperscrutabilità del volere divino.
NON è quindi, come giustamente dici tu, un film su Dio (o sull'assenza di Dio), ma un film sulle domande che l'umanità si pone, ivi incluse quelle dei credenti.
E' un film spirituale, a mio avviso, nel senso che egli fa coincidere materia e spirito. La bellezza dell'universo - riscontrabile ovunque, nel filo d'erba come nella luce del sole, nel fuoco che crea come in quello che distrugge - è tangibile, è cosa concreta, ed in questo prendere atto di ogni manifestazione dell'esistere si rivela una predisposizione di spirito - la Grazia di cui appunto parla la signora O’Brien - (e soltanto in quest’accezione può essere considerato un film spirituale) che è infine accettazione.
Malick, come giustamente affermi, NON risolve (né è interessato a farlo) il mistero dell'esistere, ma ne prende atto, lo accetta, e, per quanto mi riguarda, credo che questo sia un atteggiamento di gran lunga più spirituale rispetto a qualsiasi religione o dogma assunti come principio fideistico.
Poi dà anche una visione “inedita” della morte e del problema ontologico del male, visti non come “punizione” o atteggiamento di “indifferenza” da parte di un presunto Dio, quanto come manifestazioni, ancora una volta concrete, tangibili, di quei mutamenti ed accidenti che attraversano l’esistenza, l’esistenza di ogni cosa, degli esseri umani, come degli animali, delle piante, delle rocce, della natura ecc..
E, come unica certezza, postula un’auspicabile sentimento di fratellanza gli uni verso gli altri, gli uni verso tutto ciò che fa parte della meraviglia dell’universo: “voletevi bene l’un l’altro, aiutatevi tra di voi”, dice la signora O’Brien ai suoi figli, monito che è inteso a rendere partecipe l’universo tutto (da cui la bellissima scena dei dinosauri) e non solo gli uomini.

Grazie ancora per il tuo prezioso intervento :-)

Rita ha detto...

P.S. (sempre per Cristina):

in effetti, anziché spirituale, lo si potrebbe definire un film filosofico, metafisico.

Kitty ha detto...

Andrò a vederlo sicuramente, anche se veder citato maltese mi ha spaventata.

Rita ha detto...

Non conosco Maltese così bene. Mi sono solo trovata a condividere quella sua affermazione su The Tree of Life, forse, primo vero film del terzo millennio. Magari c'ha ragione. Del resto i presupposti non mancano.

G. Cara ha detto...

@ Kitty:
neppure io conosco Maltese: né lui (Curzio) né il suo parente Corto (Maltese); così come neppure ho frequentato troppo (e me ne dispiaccio) il suo quasi omonimo il Falcone (Maltese).
E d'altra parte non posso neppure dire che mi spaventano solo l'Inferno, i Capuleti, e te. Lo so, lo so, in Giulietta e Romeo il Tebaldo, un po’ ribaldo, afferma piuttosto di odiare tutti quelli, non di averne tema; ma i nostri politici, licenziandi una legge contro l'omo-fobia ci mostrano una nuova e luccicante interpretazione del vetusto termine (fobia dal greco phobos, letteralmente paura).
Ma insomma, ciò non significa affatto che il Maltese (Curzio) non possa, in questa selezionata occasione, aver ragione nel profetizzare glorie imperiture a TTOL.
Le profezie, d'altra parte, acchiappano sempre (anche se spesso non ci acchiappano). Di per me, deluso dai mancati sconquassi previsti rispettivamente per undici ed il ventuno corrente mese, resto in attesa del ventun dicembre, dell'anno prossimo venturo: quella fine del mondo dev'esser vera veramente, e non perché lo dicessero i saggi Maya (che ovviamente erano più furbi perché friggevano leggero e con gusto): ma certo perché ne parlavano nell’indimenticato X-Files. E, come noto, Mulder predicava la saggia filosofia dello “I Want to Believe”. Chissà se sarebbe piaciuto a Pascal od almeno a Camillo Langone Manifestante della Destra Divina o finanche - forse appropriatamente in subordine - a Costanza Miriano propugnatrice dell’imperativo “Sposati e sii sottomessa” (con quella sottomissione tutta in minuscolo per coerenza, ritengo).

G. Cara ha detto...

@ me stesso:
orrore d'un errore: Tebaldo odiava i Montecchi e non i Capuleti ai quali apparteneva (non c'era ancora Freud). Ah, l'età!

Rita ha detto...

@ G. Cara

Più che dell'età mi preoccuperei del fatto che indirizzi messaggi a te stesso :-DDD

(Mulder avrà anche predicato la filosofia dello "I want to believe", ma almeno era un figo pazzesco, e quindi gli si perdonava tutto!)

Kitty ha detto...

Per carità, il film non l'ho visto, quindi non mi esprimo nel merito di quanto scritto da maltese. Però i suoi articoli di critica cinematografica, che apparivano su d, erano tremendi.
E poi non sono spaventosa, credo.

Prestuplenie ha detto...

posso dire la mia? Sarò breve e concisa. L'ho trovato di una banalità disarmante, per quanto riguarda i concetti. Sono d'accordo con te, invece sulla perfezione della tecnica registica, anche se la scena dei dinosauri ha segnato un calo nel profondo grand canyon dell'orrore cinematografico.

Rita ha detto...

Certo che puoi dire la tua ;-)
Posso raccontarti una cosa (cercherò di essere concisa anche io), ma non per farti cambiare idea, solo per condividere la mia prima esperienza con questo regista?
Me lo fece conoscere un amico, ormai una decina di anni fa (il caro Diego, che se mi legge, ringrazio), regalandomi "La sottile linea rossa". Lui me ne aveva parlato in maniera a dir poco entusiasta, presentandomelo appunto per un capolavoro del cinema.
Io lo vidi. Ne apprezzai l'aspetto formale, ma lo ritenni un film banale, retorico. Almeno a quella prima visione. Lo ritenni retorico perché, secondo me, il film trattava argomenti triti e ritriti su cui la letteratura - la grande lettaratura - si era già espressa a dovere, e quindi era banale, secondo me, l'aver sentito l'esigenza di tornare ad affrontare cinematograficamente quelle tematiche. "E' già stato detto", "non ha detto nulla di nuovo", queste, più o meno, furono le mie obiezioni principali.
Poi lo rividi, a distanza di qualche anno, e mi colpì profondamente.
Soprattutto, capii che riuscire a raccontare - ok, vuoi anche cose già dette - esclusivamente attraverso le immagini (in Malick infatti è la pura forma che esprime, essendo i dialoghi pressoché assenti), era già qualcosa di grandioso. E farlo, per di più, con un linguaggio visivo estremamente peculiare (un film di Malick si riconosce anche solo da un singolo fotogramma, tanto che quando ho visto al cinema il trailer di The Tree of Life, prima ancora di leggere "nuovo film di Malick ecc.", avevo capito che si trattava di lui), è, secondo me, indice di grande espressività artistica.
Ogni grande regista ha un suo proprio stile, che è l'equivalente di un preciso linguaggio. Per poterne apprezzare tutte le sfumature - d anche i contenuti - serve di prendere confidenza con questo peculiare-soggettivo linguaggio. Altrimenti l'oggetto di quello che vuole comunicare non arriva.
Ecco, questa è stata niente altro che la mia esperienza. Capisco però che ciò che io posso trovare bellissimo, per altri possa essere banale, e viceversa. E' bello il confronto tra posizione diverse.
Posso chiederti se hai visto altri film di Malick? Appunto, "La sottile linea rossa", "La rabbia giovane"?
Perché comunque The tree of life rappresenta, secondo me, il punto di arrivo della sua poetica, della sua concezione "metafisica", che ha affrontato, film dopo film, durante l'arco della sua carriera. E quindi potrebbe essere importante - ai fini di un giudizio - conoscere anche i suoi primi film.
Ahimé, non sono stata affatto concisa ;-)
Un saluto e grazie.

Prestuplenie ha detto...

Purtroppo non ho mai visto "La sottile linea rossa",ma appena finisco di scrivere qua lo metto a scaricare perché me lo ripeto da troppo tempo. L'altro film che citi non l'ho mai sentito nominare, da grande ignorante che sono. A dire la verità Malick non sapevo chi fosse, e dire che la mia vita si divide tra schermo (cinema o televisione),oltre che spartiti e tavola periodica.
Il fatto che tu aggiunga che The Tree of Life è il punto di arrivo della poetica del regista non mi conforta molto. Magari vedendo gli altri film potrei ricredermi, magari Malick ha percorso un cammino artistico particolare che potrei apprezzare e poi, beh, "la fine non mi è piaciuta", potrebbe essere così.
Sinceramente penso che registicamente, fotograficamente quel film sia perfetto (tranne, ripeto, la parte dei dinosauri :D): l'ho pensato quando ho visto il trailer per la prima volta, l'ho pensato all'inizio del film, l'ho ripetuto e ribadito mille volte nelle critiche post-visione, però... C'è sempre un però. Sarà che quando vedo un film (ascolto un brano, leggo un romanzo) me la prendo sul personale: non riesco proprio a vedere il mondo come lo propone lui. Non perché sia troppo "religioso" ma perché sono convinta che tutto dipenda dal soggetto, dall'ambiente, dalla particolare situazione. Non mi piace generalizzare, non mi piace chi generalizza e non mi piace l'idea che esistano solo due vie. Ci sono troppe variabili e sono tutte ugualmente importanti, devono essere prese in considerazione sempre. E' un lavoro difficile ma si può e si deve fare, utilizzando quella massa grigia contenuta nella propaggine corporea più alta.
Superando le mie fisime, ho trovato i due genitori-simbolo troppo caricaturali. O caricati. O forse entrambi gli aggettivi. Per questo, e per mille altri motivi, dico che è banale.
Un altro esempio: la nascita del bambino. L'ho capito che questo regista parla per immagini, ma potrebbe impegnarsi un po' di più invece di propormi un ragazzino che nuota sott'acqua ed esce da una porta. L'avrei apprezzato di più. Almeno per l'impegno!!!
Un'ultima cosa: nel ruolo della cinepresa io ci ho visto dio (ahahahah, letta così questa frase è degna di un devoto di medjugorje!). Non il dio cristiano, ebreo o quant'altro, ma il dio che può essere anche natura, il disegno intelligente, quel qualcosa che "è sempre con te e non ti lascia mai, ti guida ti osserva, al 50% ti influenza e al 50% ti lascia libero di scegliere".E m'ha dato troppo ar cazzo!

Ok, finisco qua. Spero che tu possa apprezzare la crassa ironia malcelata nel mio messaggio e spero che tu possa perdonarmi: ho cercato di essere più seria che potevo, ma alla fine ho ceduto alla stanchezza di un'ora di macchina sotto il sole cocente.

Rita ha detto...

Ma certo che apprezzo la tua ironia (io quando scrivo mi lascio sempre un po' prendere la mano da una certa "seriosità", ma non significa che non mi piaccia l'ironia, anzi, vorrei riuscire a saper farne più uso).

E del resto questo tuo ultimo commento è stato utilissimo perché ora ho capito meglio cosa tu indessi per banale.
Certo, messa così, la rappresentazione dicotomica del mondo (via della Natura, via della Grazia, simboleggiate dai due genitori, i quali - in quanto simboli - forse sì leggermente stereotipati), non piace nemmeno a me. Però secondo me voleva dire qualcosa di più complesso (ma anche semplice al tempo stesso). Io l'ho inteso così: tanta gente si fa un sacco di domande sulle questioni capitali dell'esistenza: perché si muore, perché c'è il dolore, Dio esiste, e se esiste perché allora si comporta come un Padre indifferente e crudele? Allora Malick risponde: tutte queste domande sono solo inutili paranoie in quanto una risposta certa non ce l'avremo mai (o meglio, ognuno potrà avere la sua, che sarà per forza di cose soggettiva, ognuno alla vita darà il senso che gli piacerà dargli; epperò, per come la vedo (io Terrence Malick), il modo migliore per riuscire a sopportare il dolore, l'idea della morte, le cose brutte, è accoglierle ed accettarle come una manifestazione del maraviglioso, dell'immenso, dell'universo. Universo imperscrutabile, indecifrabile, ma comunque meraviglioso solo per il fatto che esiste e che noi ne facciamo parte e ne partecipiamo.
E' un pensiero di accettazione, ma non nella logica cristiana (ce' tocca soffrì a tutti, ma tanto poi saremo ricompensati), non nel senso di una rassegnazione, ma proprio di un'esaltazione per la vita, per ciò che è vivo. Vita che poi, così come casualmente è iniziata, un giorno finirà (per una catastrofe naturale, perché si estinguerà naturalmente, per un disastro causato dall'uomo... non ci è dato saperlo ed in fondo nemmeno importa).
Ecco, a me comunque piace questa risposta. Mi ci trovo. Può essere che sia per questo che mi sia piaciuto il film. Proprio per un'affinità di contenuti.
Però ti potrei fare anche questo discorso, e cioé che la premessa della bellezza di questo film non sta nella sua condivisione o meno da parte del pubblico, quanto nella riuscita - soggettiva - del regista di aver dato la SUA visione del mondo; con la quale si può essere d'accordo o meno (e infatti io nella mia recensione l'ho premesso).
Diciamo che, per come la vedo io, ci sono due modi di affrontare un film: quello distaccato, e quello di "pancia".
A me piacciono, "di pancia", alcuni film che sono... come dire... filmetti. E però magari raccontano qualcosa che mi tocca nel profondo, mostrano una visione e concezione della realtà simile alla mia, mi ci trovo d'accordo insomma, e mi piacciono per quello.
Poi ci sono altri che, nel portare sullo schermo le idee, i pensieri, la peculiarità del regista, anche lontanissimi da me, dalla mia concezione del mondo, riesco però a valutare in maniera distaccata e a trovarli ugualmente grandiosi.
Ora non mi viene nessun esempio, ma magari ci penso.
Nel criticare un'opera (qualsiasi essa sia, film, libro, dipinto), bisogna stare attenti a non cadere nell'errore di partire dai propri personalissimi assunti. Un po' come quando si giudica un'altra cultura, bisogna sforzarsi di non cadere nell'errore dell'etnocentrismo (cioè giudicare la propria come punto di partenza da cui partire).
Un'opera va valutata (a mio avviso, eh), tenendo conto di quello che l'autore voleva dire (che può essere anche, ripeto, NON condivisibile) e poi chiedersi se ci è riuscito, a dirlo, con i mezzi che ha usato.
Perdona la prolissità :-)

Guardati di Malick "La rabbia giovane", io l'ho trovato interessantissimo ;-)

Ciao ciao, buona giornata :-)

Rita ha detto...

(sempre per) Prestuplenie
(ammesso che tu non ti sia stancata di leggermi) ;-)

Ecco, ho trovato l'esempio perfetto di un grande film di cui però non condivido il contenuto (e quindi, ad una prima impressione potrei "riutarlo"): Ombre rosse di John Ford.
E' sostanzialmente un film di propaganda americana nella sua politica colonizzatrice. Allora, c'è questo schema: natura selvaggia da domare (vista come Male) rappresentata dagli Indiani (appunto, le Ombre rosse, Indiani visti come una minaccia costante) V la civiltà (simboleggiata da vari rappresentanti del tessuto sociale, anche fuorilegge, anche persone moralmente discutibili).
La natura (gli Indiani) deve essere domata per lasciare spazio alla civiltà che avanza (il popolo colonizzatore).
Poi ci sono altre tematiche, com'è tipico di tutti i grandi film, ma è giusto per farti capire.
Ecco, io non sono per niente d'accordo con la visione del regista. Però il film, tenendo conto di quello che voleva dire Ford, e vedendo come è riuscito a dirlo, è innegabilmente un grande film.
Non si può discutere sul valore morale del film insomma, se si pretende una critica estetica oggettiva.
Grazie ancora :-)

Rita ha detto...

Ancora Prestuplenie :-)

"Non mi piace generalizzare, non mi piace chi generalizza e non mi piace l'idea che esistano solo due vie. Ci sono troppe variabili e sono tutte ugualmente importanti, devono essere prese in considerazione sempre. E' un lavoro difficile ma si può e si deve fare, utilizzando quella massa grigia contenuta"

Su questo sono d'accordissimo.
Ma quando si realizza un film, si compone un brano musicale (visto che tu ti intendi di musica), si scrive un romanzo, come si fa a tener conto di tutte queste variabili? Si finisce sempre per scegliere e privilegiare un punto di vista, no? Si sceglie di raccontare UNA cosa (e per questo bisognerebbe, per poter giudicare un regista, tener conto di tutta la sua filmografia, perché ogni film aggiunge una tessera al mosaico).
Oppure si può realizzare un'opera corale, relativissima, che imponga una pluralità di sguardi e di momenti, che mostri la complessità della realtà a partire da diverse prospettive... eh, ma nel cinema è più difficile perché comunque l'occhio che riprende (la telecamera) è una. E' il mezzo che delimita il messaggio.
Come diceva McLuhan, provocatoriamente, "il mezzo E' il messaggio".

Prestuplenie ha detto...

Ma sai io darei più fiducia al cinema: la telecamera è una ma le tecniche sono tante e, ad esempio, la butto là, per esprimere tutte le visioni del mondo si potrebbe usare una tecnica diversa, dal parkinson di lars von trier alla telecamera soggettiva...
Certo, se lo si proponesse a Malick ci metterebbe non dieci, non venti ma trent'anni a fare un film.
Per quanto riguarda il messaggio che il regista ha voluto dare (risposta al commento del 27/5 13:15), mi dispiace ma non ci troviamo d'accordo. Penso che lui non abbia risposto alle domande esistenziali con un "ma chi se ne frega, ognuno la vede come vuole, tanto alla fine c'è in ognuno di noi c'è una scintilla di quel fuoco primordiale che ci ha creato". Per me lui ha proposto due vie, da cui non ci si può discostare. Anzi, in questo film ti frega: tu PENSI che sia molto fricchettone, new age, e invece ZAM! eccoti la gabbia mentale, eccoti i paletti. Questa è una delle cose che ho visto e che mi ha dato fastidio.
Anch'io vedo film più con la pancia e altri più con la testa. Per fortuna esistono i dvd e posso vederli più volte per farmi un'opinione "di cuore" e una "ragionata". Ci sono altri film che sono così immediati che le due opinioni riesci a fartele (più o meno) subito, insomma, dopo solo una visione. Per me the tree of life è uno di questi ultimi: è effettivamente un film, ripeto, tecnicamente perfetto, una novità, "è proprio da paura", ma per quello che propone, ecco, no. Per me è un miliardo di volte meglio "2001 odissea nello spazio" che tratta gli stessi temi esistenziali, il regista ti lascia la libertà di pensarla come vuoi e tecnicamente, che te lo dico a fa', è perfetto. (vabbè, tralasciamo che Kubrick lo preferisco anche a mia madre... mhhh, lei perde in partenza, allora facciamo che lo preferisco anche al mio cane).
Alla fine, io non disprezzo affatto questo film, anzi, l'ho consigliato a tutti i miei amici almeno per sentire le loro opinioni. I film che disprezzo sono ben altri: cinepanettoni, Nowhere Boy...

MrJamesFord ha detto...

Un post profondo e dettagliato, è evidente che il film ti ha travolta emotivamente, e non solo grazie a tecnica e meraviglie "malickiane".
Un film come questo, sicuramente, è in grado di spaccare come, prima di lui, fu per Hereafter o Inland empire: pellicole capaci di spiazzare anche i fan più affezionati dell'opera di questi Maestri.
Sarebbe una discussione da approfondire, magari in bilico tra i due blog.

Rita ha detto...

Hereafter infatti a me non ha fatto impazzire: di Eastwood ho apprezzato senz'altro molto di più Mystic River, o Gran Torino, ma anche il sottovalutato I ponti di Madison County.

Su Inland Empire non sarei obiettiva, semplicemente perché io adoro Lynch e di lui amerei qualsiasi cosa ;-) Però ad esempio il suo capolavoro - summa di tutti i film che ha fatto precedentemente - per me resta Mulholland Dr.
Inland Empire lo trovo un film grandioso (ne ho accennato brevemente, ma solo relativamente ad un certo discorso che ho affrontato, qui:
http://ildolcedomani.blogspot.com/2011/03/luce-ed-ombra-quiete-e-movimento.html ), ma imperfetto, nel senso che ad esempio tutta la parte centrale è, a mio modesto avviso, eccessiva, ossia ridondante, nel senso che, se l'avesse tagliata un po', nell'economia del significato il film ne avrebbe gioito.
Ecco, direi che Lynch con Inland Empire ha voluto fare un film più per se stesso che non per il pubblico (e a me sta più che bene!), senza fare grossi tagli, senza preoccuparsi che fosse fruibile o meno.
E comunque questa è una caratteristica di tutti gli autori degni di chiamarsi tali: ossia realizzare la loro opera, senza fare sconti a nessuno. Qualche volta capita che se la suonino e se la cantino, ma, come nel caso di Malick o di Lynch sempre di musica divina (per restare nella metafora) si tratta :-)
Grazie per essere passato a leggere, poi nei prossimi giorni mi leggerò altre tue recensioni :-)

P.S.:
tornando ancora un attimo a The Tree of Life, molti hanno detto di averlo apprezzato intellettualmente, ma non emotivamente. Certamente ci vuole una certa predisposizione per il tipo di argomenti (metafisici, filosofici, spirituali, ma non in senso di religiosità, proprio in senso di ricerca profonda su qualcosa che possa conferire un senso più pieno all'esistenza) che lui affronta. Come dire: non tutti gli argomenti sono in grado di interessare chiunque, e se qualcosa interessa meno, allora emozionerà anche meno. Non dico sia il tuo caso, eh, sto parlando in genere basandomi su varie recensioni che ho letto.

MrJamesFord ha detto...

Forse io sono clintiano, oltre che filo-Natura, come dicevo dalle mie parti.
Perchè ho trovato la posizione del vecchio pistolero in Hereafter splendida e leggera, e profondamente legata all'aldiquà e alla vita, mentre per The tree of life ho percepito un'eccessiva attenzione e curiosità per l'oltre, che sento talmente lontano da quello che posso avere e sentire qui da non riuscire ad approcciarlo a fondo emotivamente quanto razionalmente. Forse non mi interessa, o forse mi interessa troppo quello che c'è qui.
Concordo su I ponti di Madison County, un film meraviglioso.
Mystic e Gran Torino, poi, non si discutono neppure.
Diciamo che, per quest'ultimo Malick, io farei un discorso molto simile al tuo per Inland empire, cui non toglierei un minuto, seppure la sua visione risulti difficoltosa e a tratti quasi insostenibile.
Mulholland drive, comunque, bellissimo.
Mi leggerò altro anch'io, nel frattempo mi followo, per usare un linguaggio moderno che poco mi si addice. :)

Rita ha detto...

Ma non è vero che The Tree of life sia un film troppo improntato sull'aldilà; l'aldilà è presente come ricerca, come speculazione dell'uomo (che appunto si pone delle domande, se esiste un Dio, se gli siamo indifferenti o meno ecc.), però il discorso della signora O'Brien, colei che simboleggia la Grazia, alla fine si apre al presente (e ciò avviene esemplarmente quando dice ai figli "aiutatevi tra voi, voletevi bene tra voi", come a sottointendere, non state a perdere tempo con domande che resteranno irrisolte, vivete il presente e cercate di viverlo al meglio, rispettando tutto, la Natura ecc.).
Anche io sono una persona pragmatica, che cerca di vivere al meglio quello che riesce a vedere, senza cercare di guardare oltre. O meglio, non mi interessa sapere. C'è già tanto da guardare qui. A me interessa solo il rispetto di tutti gli esseri viventi, animali compresi perché sono antispecista. Quindi figurati quanto possa importarmi dell'aldilà.
E comunque, come spiegavo a Prestuplenie (che mi ha lasciato dei commenti sopra), per apprezzare un film non bisogna necessariamente condividere il messaggio dell'autore. Il giudizio estetico è separato da quello morale, o no?

Di Hereafter anche io ho apprezzato moltissimo il significato, però nell'insieme l'ho trovato un film meno intenso rispetto agli altri. Ci sono delle parti che mi sono piaciute meno.
Come, e forse ti sembrerà un'eresia, ho trovato ad esempio retorico MIllion Dollar Baby. Nel senso che quel finale - giustissimo - era pleonastico (se si può dire di un film), già scontato, inutilmente strappalacrime.
Ma sai, poi ci sono tanti fattori che influiscono su una prima visione (per questo i grandi film andrebbero rivisti almeno due o tre volte).
Soprattutto mi sono resa conto di una cosa: sulla visione dei film influisce moltissimo l'esperienza di vita che uno si porta alle spalle, ma non nel senso che si deve essere grandi o aver vissuto certe cose per capire, nel senso che però ci sono alcune tematiche (ad esempio quella sulla morte, o sulla paura di morire), che quando sei un ventenne, ad esempio, avverti di meno, o comunque in maniera differente rispetto ad un quarantenne (parlando in generale, eh, poi ci sono anche dovute singole eccezioni).
Ad esempio tempo fa ho visto Peggy Sue si è sposata (di Coppola), e l'ho trovato bellissimo. Il mio compagno mi ha detto che quando l'aveva visto molti anni prima, non l'aveva "sentito"; che non significa "compreso", ma proprio "sentito" a livello emotivo. E questo probabilmente perché, essendo più giovane allora, non sentiva quella nostalgia del passato, di ciò che è andato perduto per sempre, con la medesima urgenza di oggi.
Grazie per il tuo "following me" :-)
Ti aggiungo tra i blog che seguo, non per ricambiare, ma proprio per piacere di leggere i tuoi scritti.

MrJamesFord ha detto...

Certamente la nostra esperienza personale influisce sul modo di percepire opere artistiche, di qualunque ambito si tratti.
Ci sono alcuni libri o dischi che ho amato tantissimo prima dei vent'anni e ora mi paiono vecchi e spenti, o film che ho dovuto assimilare e vedere più volte prima di comprendere a fondo.
Anche io sono un grande sostenitore della visione multipla, che spesso regala sorprese e ci apre a nuove interpretazioni.
Quello che ho visto a proposito di The tree of life è quello che ho scritto, e quello che ho sentito l'ha portato clamorosamente lontano da quello che sono e vivo ora.
Cosa che, al contrario, Hereafter e Million dollar baby non hanno fatto.
Chissà cosa riserverà il futuro?
Intanto, so che Gli spietati è stato, è e probabilmente resterà il mio riferimento per l'opera di Clint, così come La sottile linea rossa per quella di Malick.
E a proposito di questo, ricordo che le prime volte che lo vidi mi sentii molto coinvolto dal personaggio di Witt, mentre ora mi sento enormemente più vicino a Welsh e Bell. La vita ci cambia, e noi cambiamo la percezione di lei.

Anonimo ha detto...

Ok, ok, forse torno al cinema (dopo mesi) e me lo guardo anche io :)

Rita ha detto...

Sì, è un film da vedere assolutamente sul grande schermo. Senza pregiudizi, ma anche senza aspettative. Vai, e cerca di viverlo come un'esperienza.

anto ha detto...

Mi trovo completamente in sintonia con tutto quello che hai scritto. Mi trovo qui per la prima volta e per caso. Il film mi ha emozionato intenansamente dalla prima all'ultima scena, sono andata a vederlo da sola perchè le persone che mi circondano erano molto prevenute. Oltre quello che hai scritto due cose mi hanno colpito. Il film è iniziato con la luce come simbolo di inizio della vita ed è finito con la luce come simbolo di superamento della morte. E poi mi sono emozionata quando il bambino prega, da solo cercando Dio e dalla immagine lo si percepisce in tutte le cose. Non so bene, l'ho visto questa sera e la mia testa è piena di pensieri e il mio corpo di emozioni.

Rita ha detto...

Grazie per il tuo commento Anto, dal quale traspare tutta l'emozione che "The Tree of Life" ti ha trasmesso.

anto ha detto...

Anhe io ho trovato l'incontro dei due dinosauri molto bello e l'ho apprezzato ancora di più dopo la scena dei due fratelli nel bosco, quando il più grande 'spara' provocando dolore fisico al fratellino che si fidava di lui. Il bosco è lo stesso in cui si sono incontrati i due dinosauri e quindi oltre alla possibilità o meno di dare dolore agli altri o al contrario alla possibilità della compassione, ho pensato al mondo, alla natura che si è evoluta dai dinosauri per arrivare all'uomo ma dove poi le domande e le possibilità fondamentali nella vita sono sempre le stesse. Come tu dici per gli uomini,per gli animali, per le piante e quindi per la natura originiaria. Ho trovato molto simili i due dinosauri e i due fratelli anche come età della vita. Infatti il dinosauro mi è sembrato giovane come i due ragazzi e quindi in una fase di esplorazione, di ricerca e di esperienza. Forse per questo il film può apparire banale a molti perchè l'essenza della natura e delle domande che ci possiamo porre sono fondamentalmente semplici. Ho trovato anche bellssimo nel film la voglia di arrivare sempre al limite dell'esperienza sia nelle piccole cose quotidiane sia nelle cose più grandi come la violenza, la morte, le manifestazioni estreme della natura come il deserto, il fuoco. Fino ad arrivare alla possibilità di superare questo limite quando 'Sean Pean' oltrepassa a fatica la soglia per raggiungere il fratello morto.
Solo un altro film mi ha dato tanta emozione ed è stato veramente fondamentale per la mia crescita, Stalker di Andrej Tarkovskij che vidi quando avevo venti anni e mi ha cambiato la vita.
Grazie a te e alle tue parole

Rita ha detto...

E' vero, l'incontro tra i due dinosauri in effetti potrebbe essere speculare alla vita dei due fratelli. Entrambi sperimentano il dono dell'empatia. Non ci avevo riflettuto. E sono contenta che tu l'abbia fatto notare.
Stalker io invece l'ho visto solo qualche anno fa, quindi non ha potuto avere - per forza di cose - questo grande impatto sulla mia formazione (non dico di essere già bella e formata, per carità, per crescere, per evolvere, per imparare ecc. c'è sempre tempo, anzi, per come la vedo io l'esistenza è un lungo percorso di apprendimento, però comunque determinati concetti penso di averli già introiettati), ma l'ho trovato estremamente suggestivo e potentissimo a livello di immagini. In ogni caso un capolavoro.

Io non saprei dire quale film mi abbia cambiato la vita. Penso a tanti e a nessuno in particolare. Probabilmente un pezzetto di tutti quelli che ho più amato.

anto ha detto...

Ho avuto solo la fortuna di vedere Stalker quando ero giovane e 'pura' senza sapere nulla del regista, per caso. E negli anni mi sono accorta quanto mi avesse colpito e trasformato.E adesso posso godermi gli altri film di Terrence Malick che non ho visto!

Unknown ha detto...

Essendo un cultore di "the free of Life" spesso cerco recensioni e pareri perché amo approfondirne il senso con chi come me adora questo capolavoro. Condivido pienamente ciò che ho letto e mi permetto perciò di aggiungere il mio piccolo contributo che riguarda il titolo in senso stretto e l'arte come prerogativa essenzialmente umana di esprimersi a solo fin di bene, nella fattispecie quella della musica. La colonna sonora che Malik ci propone (la moldava di Smetana) fa scivolare lo spettatore dalla nascita di un rivolo fino alla foce, passando per rapide, distese pianeggianti e sinuosi percorsi proprio come la vita ci offre e a volte ci impone. La metafora del ciclo dell'acqua ci riporta dentro l'elemento dove la vita ha avuto origine perpetuando un ciclo che sembrerebbe infinito. Malik riconduce l'arte musicale alla Grazia che il più piccolo dei fratelli aveva in dono come anche suo padre prima che la natura prendesse il sopravvento. Dunque un'evoluzione (the tree of Life) che sembra aver raggiunto l'apice del successo con l'arte e che spetta all'uomo moderno darle un senso compiuto adesso che l'arida conoscenza scientifica ha creato deserti ove l'anima vaga alla ricerca del suo ristoro trovandolo in riva al mare degli affetti.

Rita ha detto...

Grazie per il tuo commento e approfondimento sulla colonna sonora.