lunedì 1 agosto 2011

Non Lasciarmi di Mark Romanek (analogie, divergenze, pregi e difetti a confronto con il romanzo)


Del romanzo da cui - su sceneggiatura di Alex Garland - il regista statunitense Mark Romanek ha tratto l'omonimo Non lasciarmi (titolo originale Never Let Me Go), avevo già parlato qui, come anche delle perplessità e timori che avevo in merito al buon esito dell'operazione.
Commettendo l'errore - e me lo si perdoni! - di mettere a confronto l'opera filmica dal libro da cui è tratta - è un tipo di analisi che non andrebbe mai fatta poiché la diversità del mezzo espressivo, pregiudicando la rielaborazione sotto il profilo contenutistico, non può mai consentire una resa del tutto conforme all'originale, rendendole di fatto due opere ben distinte e che come tali andrebbero quindi analizzate - mi appresto a dare un giudizio di valore dell'una e dell'altra.
Il film di Romanek non è un brutto film: ben girato, fotografia che ben rende le atmosfere malinconiche della storia, scelta degli attori e recitazione impeccabili (ho trovato particolamente azzeccata la scelta degli attori bambini in quanto molto rassomiglianti e credibili come gli adulti che saranno diventati poi, rispettivamente interpretati da Andrew Garfield, Carey Mulligan, Keira Knightley) ed espressivamente toccante senza scadere nel retorico o nel melenso; una resa formale fin troppo scarna ed asciutta, a tratti persino didascalica, voluta, immagino, proprio per evitare un risultato stucchevole, è stata ottenuta però al prezzo - a mio avviso troppo alto - di una banalizzazione e semplificazione tematica che trasformano la distopica storia dei tre ragazzi in una metafora  fin troppo scoperta; non solo: quel che nel romanzo viene costantemente ritardato - la nuda e cruda verità - e che ne costituisce un pregio narrativo, nel film viene enunciato quasi subito, così da rendere poco credibile la ragione d'essere stessa di quelle esistenze.
Delle varie critiche e recensioni del film che ho letto, ho notato infatti che uno degli aspetti che più ha colpito l'immaginazione è quello della rassegnazione dei personaggi: "perché non provano a ribellarsi al loro destino?". Nel romanzo questa domanda non si pone poiché ai giovani protagonisti non viene mai detta esplicitamente la verità, a differenza di quanto accade nel film; molto più semplicemente, crescendo, imparano ad accettare ciò che per loro doveva essere visto come un destino ineludibile. E quindi la metafora con ciò che riguarda infine il destino dell'umanità tutta, ossia che - quale sia stato il senso che abbiamo dato alle nostre esistenze, o quale ne sia stato il fine provvisorio - avremo comunque tutti una sorte ultima che è quella di terminare un ciclo, è molto più sottile e meno enunciata, rispetto invece a quanto avviene nel film dove il tutto viene semplicemente detto in chiusura attraverso il monologo di C. Mulligan.
Se il maggior pregio del film è quello, come è stato da molti sottolineato, dell'asciuttezza formale e di una sceneggiatura sintetica che è stata perfettamente in grado di collazionare e riassumere tutti gli innumerevoli fili secondari della storia, allora è stato anche il suo peggior difetto. La riduzione ha sacrificato infatti anche parte del pathos e la rielaborazione di episodi portanti - che nel romanzo hanno una loro valenza esclusiva e necessaria, quale quello di straziante malinconia in cui Kathy viene sorpresa a canticchiare e a dondolarsi sulle braccia un cuscino sulle note di Never Let Me Go (di cui il disco, proprio come oggetto in sé, rappresenta e scoglie un nodo narrativo fondamentale) -  nel film vengono mostrati, mi è sembrato, più per introdurre brevi note didascaliche - per aggiungere particolari, potremmo dire - ma senza tuttavia riuscire a caricarli simbolicamente ed iconicamente di significato; sono immagini che aggiungono qualcosa, ma senza dire, e quindi, trattandosi di un'opera filmica, immagini che falliscono.
Inoltre ho trovato estremamente banale tutta la storia legata all'importanza di far emergere il talento artistico nei ragazzi e, più in generale, di sensibilizzarli attraverso l'arte.
Nel film viene banalmente e retoricamente detto: "i vostri disegni erano importanti per mostrare che avevate un'anima", mentre invece il discorso di Ishiguro è un tantino più complesso: essendo l'anima il risultato di tutto ciò che si apprende in vita e procedendo lo sviluppo della nostra sensibilità e la nostra evoluzione spirituale sulla base di un percorso formativo, in questo accezione allora l'arte, così come tutto ciò che stimola i nostri sensi, può avere un valore immenso in quanto ci permette di affrancarci da una condizione di pura necessità vitale.
Il talento artistico non serve quindi a dimostrare che si possiede un'anima, ma a contribuire semmai alla formazione di un'anima, innalzandola verso la bellezza, conferendo un senso ulteriore a quelle che altrimenti sarebbero state solo esistenze votate ad un fine puramente meccanico e materiale.
Parliamoci chiaro: gli allievi di Hailsham erano comunque bambini privilegiati, rispetto alla condizione attuale nella diegesi filmica - menzionata ad un certo punto - e pure rispetto all'orrore cui erano destinati - proprio perché a loro, quantomeno, veniva data la possibilità di crescere, di affinare la loro sensibilità e di sviluppare ed ampliare così la loro anima; detto in altre parole, a loro veniva comunque data la possibilità di vivere una vita degna di chiamarsi tale, completa di tutta la gamma di sentimenti e di emozioni che sia possibile provare, ivi inclusi l'amore e l'amicizia,  mentre ad altri - cui era precluso tutto ciò - non restava che un'esistenza molto simile a quella che oggi - con inenarrabile orrore - potrei paragonare a quella degli animali negli allevamenti intensivi (o anche non intensivi, che non è l'intensità a conferire l'orrore, bensì proprio il concetto di "allevamento"): un'esistenza votata alla morte, ma privata di tutto ciò che solitamente sta in mezzo, per cui lottiamo e ci affanniamo, cui cerchiamo di donare un senso e che noi esseri umani definiamo, appunto, "vita degna di essere vissuta".
Interessante invece, e questo nel film viene abbastanza evidenziato, l'atteggiamento di compassione e pena con cui le persone fuori di Hailsham trattano quei poveri bambini: una compassione che però non vuole essere - quale è nell'accezione semantica -  di condivisione empatica della loro condizione, ma che ne rimarca invece l'alterità ed il marchio di "vittime sacrificali". Curioso come infatti nel romanzo gli insegnanti e gli esterni provassero quasi orrore e ribrezzo nei confronti dei piccoli di Hailsham, e come nel film ad un certo punto si pronunci la frase "povere creature". Interessante questo aspetto perché denota la necessità di dover comunque mantenere sempre attiva quella barriera tra noi e coloro cui abbiamo destinato il marchio di "vittima sacrificabile per i nostri interessi", pena lo straripare di un orrore senza pari che non saremmo più in grado di arginare e contenere e che rivelerebbe, senza indugi, la nostra complicità ed il nostro coinvolgimento - seppure indiretto - in quell'orrore.

In conclusione: ritengo il romanzo tematicamente più complesso rispetto al film, ma credo che, al di là dei due distinti (e certamente molto soggettivi) giudizi di valore, siano entrambe opere degne di attenzione, soprattutto per la riflessione, senz'altro molto attuale,  del baratto della parte più nobile della nostra umanità, quella veramente empatica verso ogni essere vivente, clone o animale che sia,  che la scienza  ci costringe a dismettere per un'illusoria idea di eternità. Mentre invece, come suggerisce Non lasciarmi (e questa volta tanto il romanzo quanto il film), è sempre e soltanto il dono dell'amore - e non quello coatto dei propri organi - a salvarci e a renderci davvero eterni.

7 commenti:

Caden Cotard ha detto...

Commento bellissimo!
Oltre che bello davvero molto tecnico e professionale (che studi hai fatto?).

Praticamente le risposte che cercavo sono tutte qua, se mi viene in mente qualcos'altro ritorno volentieri.

L'unica che ti faccio ora è una semplice curiosità (dato che, ripeto, alcune fondamentali domande hanno risposta nel commento):

Il braccialetto a cosa serviva di preciso? Era un controllo simil arresti-domiciliari?

Rita ha detto...

Wow, grazie per i complimenti!
Ho studiato Lingue e Letterature straniere, ed amando molto il cinema ho scritto una tesi proprio in Storia e Critica del Cinema (su David Cronenberg) :-)

Il romanzo non menziona il braccialetto (almeno per quanto mi ricordi, tieni presente che l'ho letto un paio di ann fa), e nel film ho pensato che potesse servire a distinguerli dalla "gente comune". Una sorta di "marchio distintivo" insomma.

Caden Cotard ha detto...

Non credo Biancaneve perchè, se ben ricordo, il braccialetto lo passavano in una sorta di congegno elettronico. Se fosse solo stato di distinzione non avrebbero dovuto "certificare" in quel modo.

Comunque, poco importa.

Sto ancora aspettando il tuo faccino nei lettori!

Rita ha detto...

Può essere che fosse per verificare una sorta di check-up delle loro condizioni fisiche; se ricordi bene era molto importante che stessero in ottima salute (dovendo donare organi) e infatti al college venivano continuamente sottoposti a controlli medici. Trovo improbabile che fosse per evitare che si allontanassero dall'Inghilterra tipo arresti domiciliari. Nel film si capisce poco e nel romanzo non c'è questa cosa dei braccialetti.

Non mi sono ancora aggiunta tra i tuoi lettori perché non riesco a visualizzare proprio l'opzione (pensa che dal mio pc non riesco nemmeno a visualizzare i MIEI lettori fissi o i commenti recenti perché dovrei utilizzare un altro applicatore, mentre invece dal telefonino del mio compagno li vedo).
Ora riprovo comunque :-)

Alessia ha detto...

Ciao Rita, passavo per lasciarti un saluto e recuperare le letture dei post che avevo perduto durante questi ultimi tempi in cui ho latitato un po' dalla rete.
Molto interessante questo tuo post, son felice tu l'abbia scritto. Non fa che accrescere la mia voglia di leggere il libro, come ti avevo detto qualche mese fa. Anche se so che purtroppo molto del coinvolgimento della lettura nel suo aspetto di storia di narrazione l'avrò perso per via della visione del film.
Ti mando un saluto e auguro buone vacanze.

Rita ha detto...

Ciao Alessia :-)
Ti do il "bentornata" anche qui allora!

Non credo che l'aver visto prima il film possa rovinarti la lettura del romanzo, in quanto quest'ultimo è molto più particolareggiato, più ricco di descrizioni e anche di eventi e di episodi particolari. Poi, come ho scritto sopra, cambiano alcune cose ed anche il senso complessivo, secondo me. Insomma, vale la pena leggerlo.
Un salutone anche a te, e a presto (niente vacanze per me, ma non importa, l'importante è sentirsi in vacanza nell'anima) :-)

Giovanni ha detto...

commento anche qui, anche se ilk film devo ricvederlo. vorrei ritornare sul concetto dell'espressione artistica xche da un senso compiuto alle esistenze dei cloni. lego questa riflessione al nostro rapporto con gli altri animali e al nostro personale 'mi importa' che rivolgiamo sempre a loro.
per noi umani, il 'senso' che possiamo ricevere dalla libera nostra espressione artistica si ha anxche quando seguiamo quella che si potrebbe chjiamare potenziale, o vocazione, a cui diamo ascolto e poi seguito e realizzazione - indipendentemente che sia scrivere, suonare, cantare, recitare, fare sport o essere bravi a coltivare carote, fiori o costruire ibiciclette o infornare il pane. L'arte, quindi, diviene l'arte del vivere, anche del vivere momento dopo momento, con presenza e consapevolezza. Penso, andando oper la tangente dei oensieri - come fai così bene anche tu! :) - a Tich Nath Han, che parla del miracolo della presenza mentale, da realizarsi finanche mentre si lavano i piatti. Un miracolo che ha molto a che fare col respiro. Un miracolo - e qui scivolo nella seconda riflesskone, chissà quanto goffamente - che gli altri animali comoiono davanti ai nostri occhi, tutti i giorni. Dunque: gli animali non hanno bisogno della filosofia per vivere nel pieno della vita; e allo stesso tempo, noi questa pienezza la neghiamo o gliela sottraiamo, dal momento in cui li ingabbiamo per i nsotri scopi specisti.
Col che, è chiaro come il dubbio se gli animali abbiani una consapevolezza della loro vita, o che abbbia un senso o un valore la loro esistenza, è un dubbio che dovrebbe sparire all'istante - e che rimane invece solo come sapone per le coscienze ammorbate