lunedì 5 settembre 2011

In arte tutto è permesso?

Prendo spunto dal post dell’interessante blog di Eustaki per parlare di una questione molto controversa (ma sulla quale io ho una posizione molto ferma, univoca e chiara!) e che mi sta particolarmente a cuore.
Da antispecista quale sono mi sforzo di battermi ogni giorno affinché lo sfruttamento degli animali da parte dell’uomo abbia fine. Finora ho parlato in maniera abbastanza diffusa di tutti quei settori in cui questo orrore è più manifesto: allevamenti, intensivi e non, produzione di accessori in pelle, vivisezione, zoo e simili ecc.; si parla poco invece, in generale (o lo si fa solo in casi estremi) dell’uso degli animali  e della loro strumentalizzazione, più o meno diretta, nell’arte.
Mi limiterei a qualche esempio nell’arte contemporanea e nel cinema, tralasciando il passato in quanto certamente c’era meno sensibilità riguardo agli animali e molta più ignoranza sulla loro fisiologia, emozioni, capacità di provare dolore, gioia ecc. (è noto a tutti che Cartesio sostenesse che i guaiti di dolore di un cane bastonato fossero una mera reazione meccanica, un po’ come quando si carica un orologio a pendolo e quello ad un tempo stabilito si mette a suonare).
Innanzitutto, cosa ci si dovrebbe aspettare da un artista? Beh, non so voi, io però mi aspetterei che sia una persona che in virtù di una particolare capacità critica (sensibilità più sviluppata, acume, intelligenza, fervida immaginazione, abilità nello stabilire associazioni inedite e legami tra cose apparentemente scollegate), abbinata ad un talento espressivo in grado di dare forma a ciò che sono le proprie intuizioni, sia poi in grado di offrirmi una visione inattesa della realtà (e delle sue tematiche esistenziali, filosofiche, sociali, nonché nella rielettura del mito, ad esempio); l’artista si esprime per simboli, si avvale dell’uso di metafore, disegna allegorie. L’arte è finzione (come scrive anche  Eustaki nel commento al sopracitato post), ma nella finzione dice la verità o, quantomeno, tenta di avvicinarcisi.
In particolare, da un artista, il cui sguardo sulle cose è indicato nell’opera che si sta ammirando, mi aspetterei prospettive talmente inedite tali da mettere in discussione ciò che è sempre apparso come ovvio. Semplicemente, una lettura critica della realtà, e non una constatazione passiva di essa (che forse spetta al sociologo). L’arte è anche mimesi, è vero, ma nella riproduzione c’è sempre anche un atto creativo. Ed in ogni atto creativo che si rispetti c’è anche distruzione del già dato, del noto. Si distrugge per ricreare, per dare nuova vita, nuova linfa, nuove ispirazioni. Per questo raramente l’artista è dentro al sistema culturale in cui vive, ma sempre un tantino fuori, ai margini, proprio per avere la possibilità di osservare con distacco e lucidità l’oggetto della propria analisi ed arte.
Ovviamente sull’arte e l’artista è stato detto di tutto e di più (ci sono diatribe storiche che vanno avanti da secoli) e non sarò certo io a dire qualcosa di nuovo. Anzi, mi sono dilungata anche troppo, ma questa premessa mi era fondamentale.
Trovo che l’arte contemporanea abbia prediletto i contenuti rispetto alla forma. Ed infatti, non a caso, si parla di arte concettuale, proprio ad indicare la preminenza del concetto rispetto alle forme. L’arte contemporanea inizia con le avanguardie, quindi con la soppressione (tanto sul piano formale e stilistico, quanto su quello contenutistico) dei vecchi schemi. Ovviamente (penso al surrealismo, ad esempio), c’è sempre anche un discorso socio-politico sotteso o esplicitamente dichiarato.
Occhi nuovi per cogliere la realtà insomma, una realtà che appare sempre più frantumata, soggettiva, aleatoria. Ma anche qui mi sto dilungando.
Tutto ciò per dire che, soprattutto nell’arte contemporanea, mettere in discussione la realtà attraverso una visione critica, appare a me come urgenza prioritaria. Dall’artista mi aspetto questo, e non una riproduzione a-critica di ciò che mi circonda. Aspetto che mi apra gli occhi, che mi faccia vedere qualcosa di nuovo. E che mi faccia riflettere.
L’arte è anche provocazione, a patto che non sia fine a se stessa ma finalizzata appunto ad una riflessione, ad un voler richiamare l’attenzione su qualcosa che l’artista intende dire.
L’arte può anche essere dissacrante, o ripugnante (o “crudele”, come ha scritto sempre Eustaki). Si è sempre detto infatti che qualsiasi discorso di tipo estetico dovrebbe prescindere da qualsiasi considerazione di tipo morale, in quanto la morale è anche sempre legata alla contingenza di un periodo storico o di una precisa cultura. Insomma, suvvia, l’arte è atemporale, mentre le categorie morali sono soggette al trascorrere dei tempi.
Mi domando però, ed è questo il vero senso del mio post, se tutto nell’arte debba essere, per ciò solo, davvero lecito. 
Davvero il giudizio estetico può trovare una sua validificazione solo a patto che tenga fuori considerazioni di tipo etico o morale?
Fino a che punto può spingersi l’artista per realizzare la propria opera?
E allora, per richiamare il tema portante di questo post, si può giustificare la crudeltà verso gli animali solo perché l’arte ed il giudizio estetico devono essere avulsi da considerazioni di questo tipo?
Alcuni artisti contemporanei tra cui Damien Hirst, Maurizio Cattelan, Jan Fabre non si sono fatti scrupolo di usare animali VERI (morti, imbalsamati, conservati in formaldeide) o parti di essi, per portare avanti il loro personale discorso sulla morte (o sulla vita, o sulla morte-in-vita o sulla vita-in-morte, e sulla corruzione delle carni ecc. ecc., discorsi pure molto interessanti di cui da sempre l’arte si occupa) per realizzare le loro “opere”.
Io trovo questa ennesima strumentalizzazione degli animali davvero ignobile.
Ignobile perché? Perché innanzitutto, confermando ancora una volta la considerazione dell’animale come oggetto non fa che rimarcare e rinforzare culturalmente lo specismo presente nella nostra società e cultura (quindi ci vedo una mancanza di vera capacità critica, una riproposizione dell’ovvio che anziché mettere in discussione la realtà circostante non fa che ribadire posizioni e comportamenti massificati). E poi anche perché, come al solito, viene rimarcata ancora una volta l’intoccabilità dell’essere umano rispetto all’animale.
La provocazione mi sta bene, ma allora estendiamola pure agli esseri umani, no?
Perché Cattelan utilizza un vero cavallo imbalsamato per una sua opera mentre però adopera fantocci di bambini riprodotti artificialmente per un’altra?
Perché Hirst usa vere farfalle con il corpo trafitto di spilli o quarti di bue e squali in formaldeide mentre non usa veri cadaveri di esseri umani (al massimo una riproduzione)?
Come al solito, è lo specismo che non posso fare a meno di notare.
E mi dispiaccio che alcuni cosiddetti artisti - trovandosi evidentemente a proprio agio nei clamori di un mondo che ha “consumizzato” tutto, finanche gli animali nel loro essere trattati come mere risorse rinnovabili - non si rendano conto di essere essi stessi agenti passivi di una cultura che tende a svilire l’arte e ad amplificare il consumo. Altro che innovatori!
Ancora: il regista Giuseppe Tornatore nel suo ultimo film Baarìa ha sgozzato un bovino facendolo morire lentamente dissanguato (la scena è stata dovuta girare in Tunisia, in quanto da noi la legge non consente un simile metodo di abbattimento dei bovini... anche se purtroppo consente l’abbattimento...) perché, a suo dire, e riporto letteralmente le sue parole: “quella scena mi era necessaria per evocare un clima arcaico”.
A parte che oggi gli effetti speciali nel cinema si sono talmente perfezionati ed evoluti che è possibile girare qualsiasi scena artificiosamente dando l’impressione che sia quanto mai realistica (ed un regista come Tornatore aveva sicuramente mezzi e budget per farlo, oltretutto gli sarebbe costato anche meno), ma poi, mi chiedo, davvero per un fine “artistico” è giusto sacrificare e far soffrire un essere vivente? 
E, l’ulteriore domanda che mi (vi) pongo è: ma allora, per rendere più realistico uno stupro, che so, tanto per fare un esempio, sarebbe stato giusto stuprare davvero una donna? E se, per evocare nuovamente un “clima arcaico” si fosse reso necessario uccidere un essere umano? Ma no! Certo che no! Gli esseri umani sono inviolabili, intoccabili (ed è giusto!), mentre però un animale (che soffre tanto quanto un essere umano, piccolo particolare eh, e chissà quanto quel bovino, sotto le luci dei riflettori, attorniato da cameramen ecc.  avrà provato terrore, angoscia, oltre all’agonia proprio fisica di dover morire dissanguato... e tutto questo perché si doveva “evocare una scena dal sapore arcaico”) può essere tranquillamente ucciso, fatto a pezzi, imbalsamato ecc..
Di animali fatti a pezzi sono pieni i supermercati, che bisogno c’è di riempirne anche i musei?
Per vedere un bovino fatto a pezzi (quello di Hirst è in formaldeide) mi basta rivolgere l’occhiata (disgustata!) a qualsiasi banco frigo di una macelleria.
Qualsiasi discorso sulla presenza ingombrante ed ossessiva del pensiero della morte o del tentativo di rimozione in atto nell’attuale società dei consumi che continua a far ricorso all’ennesima provocazione di sapore mortifero che prevede l’utilizzo di animali morti (o, anche uccisi all’uopo, che è accaduto anche questo) è, a mio avviso, oltre che un gesto davvero poco artistico (per i motivi di cui sopra), del tutto ingiustificabile.
Oltretutto, non è nemmeno più originale (proprio a voler dare anche un giudizio disgiunto da considerazioni etiche) come tipo di discorso.
Eustaki, nei commenti in calce al suo post, cita la body-art, le perfomances estreme in cui persino il corpo umano è soggetto a manipolazioni e mutazioni (anche nell’incontro-scontro con la tecnologia); ma c’è una bella differenza: in questo caso è il soggetto stesso (l’artista o chi volontoriamente si presta per lui) a decidere. Per quanto scioccante e provocante sia, se un artista decide di eseguire una performance in cui si recide i lobi delle orecchie (per dirne una) sono affari suoi. Parecchio diverso sarebbe invece se decidesse arbitrariamente di recidere la coda di un cane, visto che non può  chiedere, né tantomeno ottenere, il suo consenso!
Insomma, gli animali devono essere lasciati in pace di vivere liberamente la loro esistenza. Non c’è fine che tenga per giustificare il contrario. Nemmeno nell’arte!


15 commenti:

Eloisa ha detto...

Che coincidenza...! Proprio questa mattina ho fatto una "ricerca" su questi cosiddetti "artisti" e sono inorridita.
Sposo del tutto il tuo punto di vista, sia quando affermi che l'arte è (o dovrebbe essere!) ben altra cosa, sia quando invochi una coerenza di trattamento fra umani e animali.
L'uomo, purtroppo, oltre a essere un animale crudele, è anche un animale arrogante, che crede di poter sempre decidere della vita altrui, considerandosi intoccabile...

Eloisa ha detto...

PS: ho linkato il tuo post sulla pagina FB dedicata a "Natividad"...

Rita ha detto...

Grazie Eloisa per avermi linkato :-)

Anzi, quando avrai terminato la tua ricerca, mi farebbe piacere sapere quali altri "artisti" usano e strumentalizzano gli animali.
Io ricordo (ma purtroppo ho del tutto rimosso il nome ed anche la nazionalità) che c'è anche un'artista donna che alleva personalmente dei cavalli (o bovini, non ricordo esattamente), per poi abbatterli. E sempre per un discorso, a suo dire, artistico. Mi sai dire qualcosa di questo personaggio?
Poi c'è stato ovviamente il famoso caso di Natividad (da cui il tuo blog ha preso spunto).
Alla faccia della presunta sensibilità degli artisti!

ivaneuscar ha detto...

Sono questioni che secondo me è giusto affrontare.
Alle domande che poni - "Mi domando però, ed è questo il vero senso del mio post, se tutto nell’arte debba essere, per ciò solo, davvero lecito.
Davvero il giudizio estetico può trovare una sua validificazione solo a patto che tenga fuori considerazioni di tipo etico o morale?" - rispondo di NO.
Non ci si può scrollare di dosso ogni responsabilità, dicendo: "Sono un artista, pertanto non devo dare conto a nessuno di quello che scrivo/rappresento/descrivo nelle mie opere".
E' vero che non è più tempo di censure; però non penso che, senza censura, "allora vale tutto". Dobbiamo renderci forse conto che, se parliamo ad un pubblico, dobbiamo farci carico dei sentimenti che suscitiamo e dei comportamenti che finiamo per legittimare; se siamo artisti o scrittori, ciò che descriviamo/scriviamo non è neutro, e avrà sicuramente effetti in chi legge/segue/osserva la nostra opera. E non possiamo cavarcela dando tutta la responsabilità al pubblico, agli spettatori e ai lettori.
Quali valori vogliamo trasmettere? Anche se siamo "anticonformisti" e "trasgressivi" (e poi c'è da intendersi su questi concetti, ma è un altro discorso...), ci sono valori "minimi" che dovrebbero appartenere a tutti/e e che non possiamo far finta di ignorare.
Una riflessione analoga a quelle che fai tu, l'ho sempre fatta riguardo alla rappresentazione della violenza: laddove, in romanzi o in film, è troppo compiaciuta e tendente a strizzare l'occhio a pulsioni "malate", non è opportuna, e deve essere evitata.
E poi, comunque ho sempre detestato, anche a livello istintivo, le violenze sugli animali, e quando mi è capitato di vederle in qualche film (e al momento non ricordo i titoli, forse perché li ho "rimossi"...), la cosa mi ha irritato e ho pensato che il regista quelle scene avrebbe potuto benissimo risparmiarsele, e risparmiarcele. E si trattava, voglio specificare, di scene di violenza compiaciuta, rappresentata quasi nei dettagli; lo stesso modo di "descrivere" la violenza sugli umani, che critico e non approvo assolutamente.

Rita ha detto...

Grazie Ivaneuscar per il tuo commento, come sempre puntuale e pertinente.

Ed infatti, come affermi tu, ci sono dei valori minimi che restano atemporali e che dovrebbero essere condivisi da tutta la collettività (ivi compresi gli artisti).
E non parlo della "morale", che appunto è più soggetta ai costumi ed ai cambiamenti di una società (e che quindi nel tempo muta, si evolve, o anche regredisce), ma proprio di valori etici che contemplino il rispetto dell'altro (uomo o animale che sia).

La violenza nell'arte, seppure quando è palesemente finzione, se compiaciuta (come scrivi tu) e fine a se stessa, la trovo volgare, inutile e dannosa perché - proprio se privata di un messaggio forte quale potrebbe essere un fine di denuncia, ad esempio - viene, come dire, banalizzata, legittimata, ossia diventa consuetudine a cui lo spettattore finisce per abituarsi ed assuefarsi.
Alla violenza, purtroppo, ci si abitua. Nella nostra società siamo così tanto pieni di violenza da non farci quasi più caso. Anche su internet (youtube) vengono messi continuamente video in cui si mostrano violenze su animali ed anche persone (e non per un fine di denuncia, ma per pura morbosità, per divertimento, per sfregio... per malattia mentale, suppongo); il rischio però è proprio quello di arrivare a considerare "neutre" certe immagini. Anche perché gli adolescenti ed i bambini, non hanno la capacità critica e di elaborazione di un adulto.
Questo è il danno.
E, nel caso specifico degli animali, che sono i soggetti più maltrattati nella nostra società, continuare a riproporli come "oggetti", anziché, esseri viventi, anche nell'arte, è un qualcosa cui, purtroppo, tanti non fanno più caso, ma che rafforza il messaggio della legittimità dello sfruttamento.

Eppure io amo anche il cinema horror, ma un certo cinema horror (appunto non quello in cui si mostrano torture e squartamenti fine a se stessi del tipo di Hostel e simili), quello in cui il genere diventa strumento per dire altro (e penso a Zombie di Romero, parabola critica del consumismo), o Alien di R. Scott (metafora della paura dell'altro, del diverso, inteso in tutti i modi possibili). Ma lì la finzione ed il discorso sotteso sono palesi, scoperti.

eustaki ha detto...

complimenti per il post, sei proprio brava.
personalmente io giudico sempre un'espressione artistica dal punto di vista estetico, della comunicazione. un'opera mi piace istintivamente. in un secondo momento, ma non necessariamente, posso anche pormi il problema morale se si tratta di un messaggio buono o cattivo, se è bene o male ma questo non implica il valore estetico che ormai ho già espresso al primo contatto con l'opera.
ovvio, anch'io sono contro ogni forma di violenza che va condannata senza dubbi o esitazioni però anche la violenza può avere una valenza artistica in grado di appagare il mio senso estetico.
trovo eccezionale un romanzo come justine, molto bello un film violentissimo come reservoir dogs e riuscito dal punto di vista della comunicazione cannibal holocaust anche se condanno la brutale uccisione della testuggine.
per quanto riguarda hostel penso sia un'ingenua allegoria del nazismo e mi sono divertito a vederlo.
a presto

Rita ha detto...

Ciao Eustaki,
grazie per i complimenti ed anche per il tuo commento.
Bè, Justine è un'opera formidabile perché dice qualche cosa. In realtà è un romanzo profondamente etico, ovvero che si pone il problema ontologico del Male.
Cannibal Holocaust non l'ho mai visto, però ne ho sentito molto parlare.
Interessante invece il tuo punto di vista su Hostel; io invece l'avevo interpretato più come una critica della società capitalistica e dell'accumulo di denaro in genere (i mandanti delle torture erano persone molto ricche, annoiate proprio perché avevano comprato tutto quello che potevano comprare, provato ogni tipo di divertimento e che si spingono sempre oltre, finanche a pagare per vedere dei poveri ragazzi soffrire), ma comunque poco riuscita, e per questo l'avevo trovato inutilmente violento.
La violenza di Tarantino invece è talmente eccessiva e ridondante che diventa fumettistica, non mi fa impazzire, trovo che sia un regista molto sopravvalutato (mi sono piaciuti comunque molto Jackie Brown, Pulp Fiction e Kill Bill).

Per me il valore estetico è una somma di cose. Non riesco a separare la forma dal contenuto. I capolavori sono quelli che enunciano il contenuto attraverso la forma senza che i due criteri appaiano disgiunti, come se l'uno non fosse possibile senza l'altro (un es. nel cinema è Quarto Potere, dove il contenuto è proprio inscritto nelle immagini).
Quando osservo, comprendo e giudico anche. So che "estetica" significa proprio "cogliere con i sensi" e quindi la mediazione intellettuale (quindi anche la riflessione di tipo etico) dovrebbe essere assente, ma invece secondo me nell'osservazione c'è sempre anche il giudizio.

"Beauty is Truth, Truth is Beauty" diceva Keats ;-)

lupogrigio ha detto...

Sono entrato qui perchè la sezione (si dice sezione o come?) era intitolata MORTE.
Con tutto il rispetto, non mi aspettavo che si parlasse di animalismo, antispecismo, ecc.
Perchè l'argomento MORTE, parlando degli uomini, è di grande interesse. Tutti dicono che si ha paura della morte, quando ci si arriva vicino. TUTTI?

lupogrigio ha detto...

Sono entrato qui perchè la sezione (si dice sezione o come?) era intitolata MORTE.
Con tutto il rispetto, non mi aspettavo che si parlasse di animalismo, antispecismo, ecc.
Perchè l'argomento MORTE, parlando degli uomini, è di grande interesse. Tutti dicono che si ha paura della morte, quando ci si arriva vicino. TUTTI?

Rita ha detto...

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Questo post in particolare parla di animali che vengono uccisi appositamente per realizzare opere d'arte e quindi parla anche della morte.

L'argomento Morte è probabilmente, insieme a quello del Sesso, il più gettonato da sempre dagli esseri umani :-)
Il primo post del mio blog e un po' l'intero mio blog - prendendo spunto dal titolo del famoso film di Egoyan, appunto "Il Dolce Domani" - è un continuo riflettere sulla morte; o sulla vita, il che è la stessa cosa. Perché alla fine l'unica maniera per affrontare la Morte è quella di provare a vivere la vita.
Comunque, per rispondere alla tua domanda, credo che sì, tutti hanno paura della morte. Tutti gli esseri viventi. Animali compresi. Che hanno eccome la consapevolezza del vivere.
Basta guardare uno dei tanti video che mostrano il terrore di un maiale o di un vitellino che sta per essere ucciso per rendersene conto.
Certo che vedere una bistecca in un piatto, depotenzia invece l'orrore che c'è dietro.

Un saluto caro.

Anonimo ha detto...

Purtroppo, dal momento che è lecito utilizzare gli animali per ogni scopo, l'artista non capirà questo limite che alcuni intendono porgli e lo interpreterà come un'intollerabile forma di censura. Certo sarebbe auspicabile, se l'artista è ancora in grado di vederla più lunga rispetto alla società in cui vive, si rendesse conto di avere tra le mani gli organi di un animale che gli somigliava in tutto, prima che lo facessero fuori perché lo inserisse nella sua installazione, magari pure brutta da far schifo. Ma cosa vuoi aspettarti, da un Cattelan. Dal canto mio, sono disposta a tollerare quelle forme d'arte o performace artistica che utilizzino cadaveri solo se mirano a produrre uno scossone negli schemi consolidati di questo pubblico rincoglionito dallo specismo.

Anonimo ha detto...

(E scusa la franchezza, oggi mi sento così)

Rita ha detto...

E di cosa ti devi scusare, ci mancherebbe? Anzi, apprezzo la franchezza. :-)

Ecco, io capisco quello che vuoi dire. Diciamo che secondo me bisogna intendersi sul termine artista.
Chi conferma, rafforza, ripropone il già noto per me non è artista. Mi rendo conto di avere una concezione forse troppo romantica, troppo radicale e finanche parecchio personale, ma così è.
Un Damien Hirst è solo uno che trafigge farfalle. Qui al museo Bilotti di Roma ho visto una sua "opera" di questo tipo. Per me non è arte e lui non è artista.

Sul fatto di approvare (che siano arte o meno) opere, installazioni che diano uno scossone allo specismo posso essere d'accordo, anzi, lo sono. Purché il messaggio sia chiaro e l'animale non venga ucciso all'uopo. Altrimenti che differenza c'è tra la pelliccetta di cincillà e la volpe impagliata? Siamo sicuri che tutti questi artisti dediti alla tassidermia utilizzino solo e sempre animali già morti, alcuni lo dichiarano, sono esplicitamente vegani o vegetariani, come nel caso di Katinka Simone e va bene, ma altri?

Temo ad alcuni possa sfuggire l'intenzione di ribaltare gli schemi, temo possa passare come l'ennesima manipolazione e mercificazione del corpo animale.
Però d'altronde mi viene in mente che pure le Femen usano il loro corpo e lo fanno ovviamente per intenti di denuncia, in questo caso mi sta bene, il corpo è loro. Il fatto è che quello dell'animale però non ci appartiene e mai dovrebbe. Quindi un conto è usare il corpo proprio, un altro quello dell'animale. Non so se mi spiego...

Rita ha detto...

P.S.:
La riappropriazione del corpo per veicolare un messaggio che è l'opposto dell'oggettivazione cui di solito è sottoposto, mi sta bene. Ma del proprio.

Anonimo ha detto...

Sì, ti spieghi molto bene. Fra l'altro, proprio mentre ragionavo su questo tipo di iniziative c'è stato il salone del mobile a Milano, e una delle "creative" (detesto questa parola, ma è sulla bocca di tutti) proponeva dei soprammobili fatti con pulcini morti. Non c'era alcun intento provocatorio: dopotutto il pulcino è piccolo, non fa impressione come la testa di Fufi, per cui la gente, magari inizialmente spaesata, faceva prestissimo ad abituarsi e a non trovarci poi nulla di particolarmente strano. Questo per dire, è incredibile come si riescano a neutralizzare alla svelta gesti potenzialmente eversivi come quello della Simone, e a trasformarli in marketing.