domenica 26 febbraio 2012

Olocausto Invisibile IX

Io credo che per tante persone non si tratti nemmeno di mancanza di empatia (non stiamo parlando infatti di sociopatici), di ignoranza, di abitudine, di menefreghismo o altro; credo, al contrario, che a volte possa trattarsi di un ECCESSO di empatia.
E che forse il pensiero di quello che facciamo agli animali (dico “facciamo” intendendo la specie umana, di cui io stessa faccio parte, seppure ho deciso di tirarmi fuori dal sistema dello sfruttamento degli animali e di non volerne più in alcuna maniera farne parte) è talmente terribile, talmente insopportabile, talmente doloroso, da aver bisogno di essere rimosso o comunque negato.
In quale maniera? Alla rimozione ovviamente ci pensa la cultura stessa che tiene in piedi il business dello sfruttamento, veicolando attraverso i media il messaggio che gli animali sono venuti al mondo per finire nei nostri piatti o nei nostri armadi e mostrandoceli felici di assecondare quelle che vengono fatte passare come nostre necessità (per quanto non sia affatto necessario che l’uomo mangi ed usi animali per vivere; ovviamente delle alternative alimentari nei media non si parla affatto); si tratta di rimozione perché la vera realtà dei fatti - ossia quelli dei macelli, degli allevamenti, degli stabulari preposti alla vivisezione, delle gabbiette minuscole in cui vengono rinchiusi i visoni, le galline, gli orsi, le scimmie, i cani, i gatti, i maiali ecc. - NON viene MAI mostrata, né attraverso i media (fatta eccezione per qualche video di straforo che gli attivisti riescono ad ottenere, entrando di nascosto negli allevamenti ed in altri luoghi di orrore), né in luoghi che possano risultare visibili a chiunque. Vi siete mai chiesti come mai i tir che trasportano gli animali verso la morte viaggino soprattutto di notte? E perché i mattatoi non vengono costruiti nei luoghi urbani? Perché sempre posizionati in zone poco accessibili, cui è vietato l’accesso? Perché nascondere questa realtà della morte e dell’orrore se però i “frutti” poi devono comunque finire sulle tavole di tutti?
Perché quando si pubblicizzano le pellicce sulle riviste di moda non viene anche mostrato come vengono tenuti gli animali e come vengono uccisi e scuoiati? Perché nella pubblicità dei salumi c’è sempre il maialino che ride e non la foto scattata nel momento in cui viene ucciso? Perché nelle pubblicità che passano in TV vengono sempre fatte vedere queste famigliole felici che ridono e scherzano e si amano intorno ad un barbecue e non vengono mostrate le immagini delle mucche e dei vitelli che vengono trascinati verso il mattatoio con le zampe rotte cui è stato infilzato un gancio - rotte durante estenuanti viaggi in cui letteralmente crollano gli uni sugli altri per lo sfinimento fisico?
No, tutto questo non viene mostrato perché deve essere rimosso, altrimenti, chi comprerebbe più il salame o la bistecca?
Lo sapete che le ditte che commissionano le foto per le pubblicità dei loro prodotti chiedono di modificare i colori affinché il sangue sia meno rosso, meno fastidioso a vedersi? E lo credo bene. La vista del sangue che scorre da un essere indifeso che è stato ucciso non è mai un bello spettacolo a vedersi. 

La negazione vera e propria invece credo che sia un procedimento più intimo e complesso, difficile da riconoscere. Se io mi convinco che l’animale non soffre, allora ci sto meno male anche io e posso tranquillamente continuare a mangiarlo, alleggerendomi dei sensi di colpa.
Perché parlo di incapacità di sopportare il dolore e di conseguente rimozione o negazione di esso? Perché è esattamente quello che gli psicanalisti e gli psicologi affermano che accade nella nostra mente nel momento in cui si trova a vivere un trauma (unico o reiterato) altrimenti insopportabile ed ingestibile. Lo si rimuove o lo si nega, altrimenti sarebbe impossibile continuare a vivere.
Talvolta il malesse di natura psichica, anziché essere la malattia, è la cura stessa di cio che sarebbe enormemente ancor più devastante. La mente mette in atto una serie di meccanismi distorti per alleggerire e correggere il peso di un problema che viene intimamente avvertito come mille volte più doloroso e difficile da gestire. Il problema originario quindi viene elaborato in maniera da non essere più immediatamente riconosciuto, lo si camuffa, lo si maschera da altro, alleggerendolo, spostandolo, rimuovendolo, negandolo.

Così la percezione del trattamento che infliggiamo agli animali può essere da taluni percepito come un dolore troppo immenso da sopportare e per questo negato. La mente, non riuscendo a sopportare la verità, la sostituisce con una alternativa, quale, ad esempio, che gli animali in fondo non soffrono come noi, o che è nella loro natura nascere per poi finire in gabbia nell’attesa di essere macellati e via dicendo. A questo processo intimo poi si va ad aggiunge la cultura della rimozione di cui sopra. E il gioco è fatto.
Una volta vidi un servizio in cui venivano mostrate una serie di sevizie e crudeltà inflitte ad alcuni animali (mucche, maiale, galline) negli allevamenti da parte degli addetti al settore (operai con varie mansioni). Uno psicologo intervenne e spiegò che la vista continua della sofferenza di queste creature può divenire talmente dolorosa da sopportare che la mente dell’essere umano che per lavoro si trova costretto ad averla davanti agli occhi tutto il giorno, giorno dopo giorno, in qualche maniera mette in atto una sorta di auto-difesa psichica per cui si smette di percepire l’animale come un essere vivente degno di rispetto e dotato di dignità, e lo si ridicolizza per ridurlo sempre più al ruolo di oggetto.
Capite cosa sto dicendo? Si tratterebbe di un meccanismo di difesa.
La mente non può sopportare di vedere tanta sofferenza e allora mette in atto un meccanismo inconscio per cui l’essere vivente che si ha davanti smette di essere percepito come tale. Come si fa per cancellare lo status di essere vivente da qualcuno? Tramite la privazione della dignità (come fanno i soldati americani sui prigionieri di Guantanamo, come facevano i Nazisti sugli Ebrei), tramite la ridicolizzazione, tramite un trattamento che riduce l’essere a oggetto.

Quindi il sistema dello sfruttamento degli animali per molte persone è una questione talmente dolorosa da venire rimossa, o negata. Non si tratterebbe per queste persone allora di assenza di empatia, ma di eccesso persino di empatia. Empatia che viene ridimensionata altrimenti sarebbe impossibile vivere con questo pensiero di ciò che viene fatto agli animali.

Ma invece bisogna farci coraggio e lottare tutti insieme. Non è negando la realtà che riusciremo a cambiarla.
C’è poi un’altra considerazione da fare: questo dolore così annichilente a volte non viene nemmeno rimosso o negato, ma semplicemente accantonato con la scusa che - e proprio poiché il problema è immenso - sarebbe inutile tentare di arginarlo.
Persone così, ed io ne conosco molte, hanno ben presente la tragedia dello sfruttamento animale e ci stanno anche male, ci soffrono, vorrebbero poter fare qualcosa ma restano annichilite di fronte all’immensa mole di lavoro e di strada che ancora c’è da compiere per cambiare le cose e quindi si arrendono, si mostrano sfiduciate e mettono a tacere la loro coscienza con giustificazioni del tipo: "ma tanto pure se smetto di mangiare la carne, comunque i derivati animali sono contenuti anche nei prodotti più insospettabili tipo le pellicole per la fotografia o il domopack”.
Io a queste persone vorrei dire due cose: innanzitutto, fare quello che è nelle nostre possibilità fare, è già meglio di niente; il fatto che non si potrà arrivare ad un risultato pari a 10, non significa che ci si debba arrendere in principio e che non si debba cercare di fare del nostro meglio arrivando almeno fino ad 8. Secondo poi è ovvio che la maggior parte del commercio che si basa sullo sfruttamento degli animali è quella dell’allevamento per fini alimentari; ora, siccome il business è business e si cerca sempre di ottenere il massimo profitto, è ovvio che dell’animale ucciso per finire sulle tavole si cerca poi di non sprecare nulla e di ottimizzare ogni parte; ecco quindi che verrà usata la pelle, i nervi, le ossa, il pelo, i denti e ogni minuscola parte. Sarebbe uno spreco buttare via qualcosa. Uno spreco proprio in termini di business (così ragiona l’imprenditore).
Se però non ci fossero più gli allevamenti destinati all’alimentazione, di conseguenze anche tutta la produzione secondaria legata allo sfruttamento degli animali verrebbe riconvertita a materiali alternativi; tanto più che oggi viviamo in un’epoca in cui la tecnica e la tecnologia hanno fatto passi da gigante e di certo non ci serve che la pellicola per fotografia sia realizzata con gelatina animale o che il pennello per farsi la barba sia di pelo di tasso.
Insomma, come ho scritto anche tempo addietro in un altro post, c’è un centro della ragnatela (perdonate l’espressione specista!) che bisogna combattere e che è quello dell’allevamento per fini alimentari, a cui poi è legato tutto il resto, insieme anche a quello della sperimentazione animale, altra mostruosità indegna di paesi definiti civili ed evoluti (visto che le alternative ci sono).
Ovviamente lo sfruttamento degli animali è in tante altre attività: quelle ludiche o cosiddette "tradizionali" (pali, corride, circhi, zoo, delfinari, acquari ecc.), quella dell’industria dell’abbigliamento, quella del commercio stesso di cuccioli ed altri animali da compagnia ecc., ma io sono più che sicura che se intanto si cominciasse a sensibilizzare la gente sull’orrore di quello legato all’allevamento per fini alimentari poi ci sarebbe una presa di coscienza collettiva ed estesa ad ogni altro settore.
Inoltre, ed anche questo l’ho scritto tantissime volte, quando si comincia a smettere di mangiare gli animali, tanto per compiere un primo passo - ed è una scelta che non deve venire considerata come una rinuncia, bensì come una conquista - poi pian piano è come se veramente cadesse un velo dagli occhi e si comincia a rendersi conto di quanto sia enorme e diffuso il business dello sfruttamento animale e di quanto è invece nelle nostre possibilità fare. La sensibilità e la percezione si affinano. E qui mi riferisco a quelle persone che davvero hanno un difetto di empatia per vari motivi, non ultimo quello legato all’ignoranza atavica che da sempre gli ha fatto credere che gli animali siano altro da noi, diversi da noi, che non soffrono ecc..


Insomma, bisogna aprire gli occhi, prendere coscienza e trovare il coraggio di agire anziché restare annichiliti e privi di forza.
Noi abbiamo il potere di cambiare la realtà, le cose della realtà che non ci piacciono. Noi abbiamo questo potere a cominciare dalle nostre singole scelte.
Rifiutatevi di partecipare a questo immenso Olocausto invisibile che è il massacro di miliardi di animali al giorno.
Riappropriatevi della vostra dignità di compiere scelte senzienti, scelte dettate da consapevolezza e conoscenza.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Ultimamente stanno venendo fuori una serie di documenti sconcertanti riguardo agli allevamenti europei: molti dipendenti esibiscono una serie di comportamenti fenomenicamente frequenti, come episodi di accanimento e violenza sugli stessi animali a cui dovrebbero badare. Mi chiedo se gli "indecisi", oltre a disinteressarsi della sorte di galline, mucche, maiali, riescano a fregarsene bellamente anche delle evidenti patologie che sviluppa chi è costretto per professione a sentirli piangere e lamentarsi tutto il santo giorno, tenerli rinchiusi ed infine ammazzarli.

Rita ha detto...

Credo che i comportamenti di queste persone che si accaniscono sugli animali vengano più semplicemente liquidati dalla "massa" come "sadici". Perchè? Perché così facendo, ossia riducendo l'altro a "mostro sadico", in qualche maniera è come se si volesse porre una distanza tra noi e lui, convincendoci che il problema non riguarda minimamente la società tutto ed il business mostruoso degli animali che rende possibile ciò, ma solo il sadico che compie tali efferati atti.
Tanta gente poi nemmeno ci crede a certe immagini di sevizie, pensa che siano eccezioni, casi isolati, quando invece il maltrattamento degli animali è la norma. E' una maniera come un'altra per negare la verità, per alleggerirsi dal senso di colpa.

Se chi compie l'atto malvagio è altro da noi, noi siamo al sicuro.
Quindi liquidare il tutto con: "ma quello è sadico" in realtà allontana la questione, il problema, che è quello, come scrivi tu, di queste persone che tutto il giorno, per "lavoro" sono costrette a sentire i lamenti, le urla e a vedere la disperazione e la sofferenza.
Persone che ovviamente si sono trovate a fare quel tipo di lavoro per necessità e non certo per scelta, tanto che oggi nei mattatoi vi lavorano soprattutto immigrati e persone davvero poverissime, che per un pezzo di pane, per non morire di fame, farebbero di tutto. E fanno di tutto. Ma la colpa non è loro. E' del sistema che permette ciò, che permette che ci sia un simile commercio legato allo sfruttamento e maltrattamento degli animali.

Anonimo ha detto...

Purtroppo questi comportamenti possono essere definiti "sadici" a tutti gli effetti, peccato negli allevamenti e nei mattatoi non viga una preselezione per l'assunzione esclusiva di squilibrati mentali: il sadismo è spesso un prodotto, un risultato, l'inevitabile conseguenza di questo sistema che il "normale" consumatore contribuisce a perpetuare. Faceva bene Adorno a definire l'inerzia come il male radicale! Uno sguardo distolto non gronda meno sangue del coltellaccio del macellaio.

Rita ha detto...

Sono d'accordo, l'inerzia è un male altrettanto radicale. Permette il perpetuarsi di atteggiamenti criminali (per quanto il mangiar carne non sia ancora definito un crimine, ma spero che un giorno lo diventerà).
Chi tace, acconsente.
Io per questo cerco sempre, nel mio piccolo, di combattere tutte le ingiustizie e le discriminazioni in atto nella nostra società, pure quelle che non mi riguarderebbero direttamente, ma di cui, facendo parte io stessa della società, percepisco come offesa pure rivolta a me. Se qualcuno offende un immigrato, offende anche me. Per dirne una.
E anche perché finché ci sarà chi discrimina e prevarica, siamo tutti al contempo vittime di qualcosa o di qualcuno.

Martigot ha detto...

Sì, potrebbe essere una spiegazione. Anche perché credo che la maggior parte delle persone, per fortuna, non sia insensibile e priva di compassione.
Molti con cui mi capita di parlare di animalismo, per esempio, si dicono d'accordo con me, mi dicono, hai ragione, è orribile quello che facciamo agli animali. Parecchie persone poi non sono davvero al corrente di quanto sia orribile la vita di un animale da allevamento, ma restano sinceramente colpiti quando ne vengono a conoscenza.
Io stessa cerco di non pensarci troppo, a volte, perché mi sento così impotente che cerco di allontanare da me il pensiero di questa terribile realtà. Il che non è giusto, non è così che potremo cambiare le cose, ma è appunto una sorta di rimozione messa in atto per sopportare il pensiero di tutta quella sofferenza.
Certo è che se ognuno di noi compisse determinate scelte, potremmo sì combattere in primo luogo la terribile industria della carne, anche secondo me un po' il centro dell'orrore.

buona serata :-)

Rita ha detto...

Ciao Martigot,

certamente se anche io stessi a pensare ogni secondo a quello che avviene dentro gli allevamenti, salirei su un terrazzo al nono piano di un palazzo e mi butterei di sotto, tanto il dolore è insopportabile; cerco allora di concentrarmi su quello che posso fare per eliminare lo sfruttamento e la sofferenza degli animali, di concentrarmi per fare qualcosa di propositivo che non sia il solo lamentarmi e piangermi addosso.
E cerco, per quanto mi è possibile, di far comprendere alla gente l'importanza delle nostre scelte, anche di quelle che apparentemente appaiono come irrilevanti.

Buona giornata. :-)

Giuseppe Pili ha detto...

E' proprio vero: l'idea della riduzione ad oggetto è il mezzo utilizzato dalla propaganda bellica per consentire ai propri soldati di uccidere il nemico superando il trauma e l'orrore scaturito dall'assurdità del gesto compiuto: ossia far del male a una persona che non conosci per obbedire alle decisioni di qualcun altro che conosci ancor meno.

Rita ha detto...

Infatti anche io avevo letto un po' di cose in merito (anche riguardo agli ordini impartiti ai soldati americani dai loro superiori per indurli ad annientare la dignità dei prigionieri rinchiusi a Guantanamo di modo che questi ultimi siano ridotti alla stregua di ridicoli oggetti sui cui accanirsi).

Ma è un po' anche il discorso che facevo nell'altro post ancora, ossia dell'analogia tra la maniera in cui il serial killer psicopatico percepisce la propria vittima - solo come oggetto della propria ossessione - che non come essere umano con una propria identità e dei sentimenti.