lunedì 12 marzo 2012

Cani e Letteratura


Ci sono tanti scrittori cani, è vero... ma non è di loro che vorrei parlarvi oggi, bensì di alcuni cani resi celebri dalla letteratura, unendo in un unico post due mie grandi passioni, quella per la lettura di romanzi, che mi accompagna da quando ho iniziato a leggere e la curiosità e l’attenzione verso il mondo animale, che mi accompagna da quando ho iniziato ad aprire gli occhi sul mondo stesso (così dice mia madre).
Sono tantissimi i romanzi che raccontano dell’amicizia tra l’uomo ed il cane, ma ce ne sono alcuni più belli di altri e sono quelli in cui il confine (e la tanto discussa diversità) tra uomo ed animale viene messa da parte e si narra semplicemente dell’amore, di quell'amore e di quella comprensione capace di abbattere tutte le barriere linguistiche e di specie.
Inizio questa breve carrellata presentandovi Mr. Bones, l’adorabile compagno a quattro zampe di Willy, un poeta vagabondo, le cui avventure sono narrate in Timbuctù, romanzo di Paul Auster. Timbuctù è il nome di un posto speciale, un posto in cui finalmente cani ed umani potranno ritrovarsi, parlare la stessa lingua e vivere in armonia per sempre, fino alla fine del tempi. Il romanzo racconta la storia di una splendida amicizia e dei tentativi di Willy, cosciente di essere prossimo alla morte, di insegnare a Mr. Bones come cavarsela nel mondo e come fare a capire di quale umano potrà fidarsi e di quale no, dopo che sarà rimasto solo.
Le peripezie di Mr. Bones sono quelle di un classico romanzo di formazione; avventure e disavventure, in alternanza, faranno infine maturare in lui la convinzione di mettersi alla ricerca di Timbuctù, nella speranza di ricongiungersi al suo adorato amico Willy. Un romanzo tenero e struggente, a tratti esilarante, che ci farà parteggiare per il piccolo protagonista a quattro zampe e ci mostrerà il mondo visto e percepito attraverso gli odori e la sensibilità canina, diversa da quella umana, ma non per questo meno intensa o meno valida.
Altri due personaggi pelosoni che conservo nel cuore sono Blitz e Bella, molto più che semplici compagni di gioco del piccolo Useppe, protagonisti a tutto tondo di quel capolavoro letterario (ed uno tra i miei romanzi preferiti in assoluto) che è La Storia di Elsa Morante.
La bravissima scrittrice li considera e tratta al pari di veri e propri personaggi con tanto di pensieri e ricordi, spingendosi persino ad immaginare che Bella - uno splendido pastore maremmano bianco - componga dei veri e propri versi canini.
Useppe, il piccolo protagonista, è un bambino speciale, nasce, per così dire, già saggio, ignorante del mondo eppure capace di comprenderne a fondo l’intima armonia, così come ne sperimenterà quell’ineludibile condizione del dolore di cui porta il segno evidente attraverso la malattia che lo mina sin dalla più tenera età.
Un misto di bellezza e dolore, di poesia e crudeltà è la condizione dell’essere vivi, del venire e lo stare al mondo, una condizione di eterna tensione e lotta tra due opposti cui ogni essere vivente, tutta la Natura stessa - e tra le pagine più belle vi sono quelle in cui Useppe e Bella passeggiano in campagna e compongono versi interiori capaci di estendersi ad una comunicazione totale con tutto il creato - partecipano, pur se tenuti all’oscuro dei grandi eventi e meccanismi che regolano e fanno la Storia del mondo; e anzi, la bellezza di questo romanzo sta proprio nel riscatto che la Morante offre a tutti gli invisibili del mondo - la maestrina Ida, il piccolo Useppe, il fratello, compresi i due cani Blitz e Bella - personaggi invisibili, ma che pure fanno parte essi stessi della Storia, anzi, sono La Storia.
Altro personaggio indimenticabile della letteratura è Karenin, il cane reso famoso da Milan Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Karenin è molto di più di un personaggio, si può dire che strutturalmente, con il suo semplice apparire e scomparire tra le pagine, venga proprio a configurare quelle pause che permettono il procedere dei protagonisti Tomàs e Tereza; vera e propria sintesi tra la levità e la pesantezza del vivere, vissuta dall’animale senza mediazione alcuna e sperimentata nella piena e consapevole accettazione dell’amore e fedeltà vissuti come scelta.
Karenin è un’oasi di pace, il vero momento di leggerezza cui gli umani ambiscono senza mai davvero raggiungerla.
Tra le pagine più belle e struggenti della letteratura mondiale (almeno per chi ama i cani e gli animali in genere, senza distinzioni di sorta) rientra a pieno titolo proprio l’ultimo capitolo di questo capolavoro di Kundera, capitolo intitolato, non a caso, Il sorriso di Karenin; il sorriso di chi sa.
Un altro cane, reso però tristemente famoso, è Febo, di cui ho riportato alla fine di questo post proprio l’estratto che lo riguarda contenuto nel celebre romanzo di Curzio Malaparte, La Pelle.
Un vero e proprio racconto di denuncia dell’ignobile e inutile pratica della vivisezione: “E Febo mi guardava con una meravigliosa dolcezza negli occhi. Io vidi Cristo in lui, vidi Cristo in lui crocifisso, vidi Cristo che mi guardava con gli occhi pieni di una dolcezza meravigliosa. "Febo" dissi a voce bassa, curvandomi su di lui, accarezzandogli la fronte. Febo mi baciò la mano, e non emise un gemito.”.
Febo viene trasfigurato qui a simboleggiare la statura superiore di colui che comprende e perdona l’incapacità dell’essere umano di percepire il meraviglioso e di accedere a quella dimensione elevata di amore ed empatia che sola riscatterebbe tutto il dolore e la sofferenza di cui la condizione dell’esistere appare impregnata in ogni sua fibra.
Febo, così come i suoi compagni di sventura, ridotti a corpicini messi in croce dall’umana stoltezza e miopia di sentimenti. Quel che ne emerge è la bellezza della vita animale, deturpata e sfregiata dall'umano.
Tempo fa mi fu consigliato invece di leggere un racconto di Thomas Mann, Cane e Padrone, in cui si narra della bella relazione che si viene ad instaurare tra un uomo e Bauschan, per l’appunto, il suo devoto e fedele cane.
Devo confessare che non sono riuscita a superare il primo quarto di libro e non per pigrizia o perché fosse poco coinvolgente, ma perché - seppure con tutto lo sforzo di un’indugenza resa possibile dalla conoscenza della stesura del romanzo, prima edizione risalente appunto al 1918 e quindi ad un periodo in cui certamente c’era meno sensibilità e più ignoranza riguardo la giusta maniera di rapportarsi e relazionarsi agli animali - mi ha infastidito parecchio la maniera in cui il protagonista uomo, l’io narrante - definito emblematicamente sin dal titolo, Padrone - tratta il “suo” cane, arrivando così a dispiegare tra le pagine una relazione tra uomo ed animale che conferma e ribadisce la sudditanza del secondo al primo e che, anziché abbatterle, pur nelle intenzioni di raccontare una grande amicizia, mantiene inalterate le barriere della diversità tra specie.
Premetto che potrei anche sbagliarmi, non essendo arrivata alla fine, magari procedendo nella lettura questa mia prima e frettolosa (lo ammetto: frettolosa!) lettura potrebbe venire del tutto ribaltata, ma già il titolo... insomma... predispone a leggere la relazione tra il cane e l’uomo in una maniera che reputo inaccettabile; nessuno deve dirsi padrone di nessuno.
E come non menzionare, arrivati a questo punto, il cane per eccellenza della storia della letteratura, il cane del famoso poema cui tutta la letteratura è debitrice e senza il quale probabilmente non avrebbe mai avuto inizio? Il cane è Argo e la storia è ovviamente l’Odissea di Omero. Argo è il primo ed unico che riconosce il suo amico Ulisse nel momento in cui, travestito da mendicante, mette di nuovo piede, dopo vent’anni di assenza, nella sua patria natale Itaca; e, ormai vecchio e stanco, come se per andarsene non avesse atteso ormai che quel momento, agita la coda, abbassa le orecchie, e poi spira, contento di aver rivisto almeno una volta il suo Ulisse; emblema della fedeltà per eccellenza, simbolo di un’intera esistenza vissuta nell’adorazione ed attesa del suo compagno umano. Un amore, un dono di sé totale, da cui avremmo molto di che imparare.
La lista dei cani famosi della letteratura, protagonisti indiscussi o solo co-protagonisti di personaggi umani, potrebbe senz’altro proseguire; si potrebbe citare ancora ad esempio la magnificenza animale di Zanna Bianca, lupo con un quarto di sangue di cane, nell’omonimo romanzo di Jack London, o anche Melampo in Pinocchio, il cane del contadino che furbescamente aveva stretto un accordo con le faine: quello di non abbaiare per avvertire il furto, a patto di ricevere una gallina come ricompensa; ma arrivati a questo punto io mi fermerei lasciando a voi la parola ed il piacere di raccontarmi, se vi va, qualche altra storia di qualche altro cane che la letteratura ha reso immortale.

Questo post è dedicato a King, Bubes, Charlie, Marty: tutti i cani della mia vita; e a quelli il cui sguardo ho solo incrociato, ma che, ugualmente, conservo nella memoria.

(nella foto, di Giorgio Cara, il mio amico Marty)

9 commenti:

Massimo Caccia ha detto...

E' sempre un piacere leggere i tuoi post. Complimenti, perché non sono mai banali. Detto da uno, inoltre, che ha un cane di nome Artù.

Rita ha detto...

Ciao Massimo, ti rigrazio per i complimenti. :-)

Allora attendo un racconto su Artù, da aggiungere alla lista di cani resi celebri dalla letteratura. :-)

L ha detto...

Marty :)

Rita ha detto...

L, dal tuo sorriso ne deduco che tu conosca Marty. ;-)
Chi sei?

Anonimo ha detto...

segnalo julius, il cane epilettico di ben malaussene

Rita ha detto...

Vero Rò, come ho potuto dimenticarlo?
L'ho amato dal primo istante perché mi ha subito ricordato il mio Charlie, anche lui epilettico.
Grazie per la segnalazione allora. :-)

Volpina ha detto...

hahahah stupendo l'inizio XD

"comprende e perdona"...quanto siamo inferiori... mamma mia, se lo siamo... Loro hanno così tanto da insegnarci e nonci fermiamo neppure un secondo a osservarli...

Nemmeno io se un libro "tratta" male o denigra gli animali riesco a finirlo. Mi fa incazzare...

Rita ha detto...

@ Volpina

Anni fa comprai un romanzo di Irvine Welsh, intitolato "Colla" in cui, un gruppo di ragazzi cresciuti in un ghetto di Edimburgo entrano dentro un magazzino per rubare (o compiere atti di vandalismo, nemmeno lo ricordo) e poi picchiano, torturano ed uccidono i cani che erano di guardia all'ingresso. Arrivata a quel punto, letteralmente, ho preso quel libro e l'ho sbattuto contro la parete della mia camera.
Il senso voleva essere quello di descrivere la disperazione di questi giovani, insomma, le solite quattro cazzate sull'argomento, ma a me, sinceramente, la descrizione di una violenza su un animale indifeso fa incazzare e basta.

Volpina ha detto...

Trovo molto stupido usare la violenza su creature idifese per descrivere una sensazione di inadeguatezza o di malessere per un essere umano.
Fomentare questa sensazione come questi mezzucci non fa altro che fare incazzare il lettore. Ma forse è davvero questo il suo scopo. Creare sgomento o rabbia.

Però a quel punto, non lo leggi più il libro. Lo odi e speri che muoiano tutti XD