giovedì 15 marzo 2012

Della libertà e dell'impegno civile

Questo è un altro di quei post in cui farò delle considerazioni sparse, prendendo spunto da cose viste, lette, sentite in questi giorni. Come sempre però i pensieri arrivano concatenati l’uno all’altro, ma forse un filo comune e logico ci si può sforzare di trovarlo anche tra gli argomenti apparentemente più disparati.
Un’altra cosa cui infatti faccio caso spesso è che se in alcuni giorni capita di riflettere e pensare a qualcosa in particolare, poi quel qualcosa di particolare finisce per essere visto e trovato in tutto, il che farebbe pensare ad una strana forma di sincronicità cui si potrebbe essere tentati di attribuire un qualche significato recondito, in realtà succede semplicemente che la nostra mente finisce per focalizzare, notare e concentrarsi solo su ciò che in quel momento si ritiene importante, tralasciando il resto ed è sempre la nostra mente magari a suggerire o riscontrare delle associazioni e dei legami. Nulla di sovrannaturale o preordinato insomma, nessun “messaggio” mandatoci dalla realtà, solo la predisposizione a voler necessariamente trovare rapporti di causa-effetto ovunque, pure quando non ve ne sarebbero.
Quindi sforziamoci di trovare un filo logico e conduttore in quanto sto per scrivere, in maniera poco ordinata mentalmente, ma seguendo un po’ il libero corso delle associazioni,
Quanto mi piace poi questa cosa di poter scrivere così liberamente, senza dover rendere conto a niente e nessuno, in fondo l’unico vero motivo per cui ho aperto il blog; poi spesso faccio dei post precisini, un po’ da maestrina, con un inizio, un centro, una fine, ma la verità è che nulla mi dà più soddisfazione ed appagamento del buttare giù i miei pensieri così... come vengono vengono.
Dunque, l’altra sera ho visto un grandissimo film, un capolavoro a tutti gli effetti - un film che per tematiche e conclusioni avrebbe potuto benissimo girarlo Kubrick, e anzi, un po’ mi ha ricordato, per alcuni particolari, Arancia Meccanica; il film in questione, del 1975, è Rollerball, di Norman Jewison, lo stesso regista di quell’altro capolavoro che è Jesus Christ Superstar (1973), per capirci, e racconta una sorta di distopia (o anche utopia, dipende dai punti di vista) ambientata in un futuro non tanto lontano (2018) in cui non esistono più guerre, né crimini, né povertà, né singoli Stati o Nazioni e nemmeno più violenza, essendo quest’ultima stata incanalata nella partecipazione collettiva ad un gioco chiamato appunto Rollerball. Ovviamente la maggior parte della gente vi partecipa solo come spettatrice, i giocatori sono una minoranza e trovano nel gioco anche una maniera per raggiungere le loro ambizioni (“il sogno di ogni giocatore è diventare uno di quei dirigenti ingessati che prendono decisioni per il mondo da dietro una scrivania, ma il sogno di ogni dirigente è quello di essere un giocatore di Rollerball”). L’intero pianeta è infatti diviso in Corporazioni ed ognuna di queste - gestita da pochi dirigenti di altissimo livello che cooperano affinché il benessere raggiunto da tutti possa essere mantenuto - si occupa di una questione particolare: economia, salute, sesso ecc..
Una cosa divertente che noto sempre nei film di fantascienza realizzati negli anni settanta è che il futuro è iconograficamente rappresentato sempre allo stesso modo, significativo di quanto l’immaginario collettivo di un’epoca precisa incida sulla visione e concezione di un’idea e di un mondo a venire. Oggi un film come Rollerball, ambientato appunto nel 2018, fa sorridere perché le cose, soprattutto la tecnologia, si sono evolute in maniera diversa da come si poteva immaginare negli anni settanta e soprattutto a tutto siamo giunti fuorché ad un mondo (per quanto asfittico ed illusorio e comunque segretamente controllato in cui l’individuo ha perso ogni facoltà decisionale perché tutto viene deciso dalle Corporazioni, come avviene appunto in Rollerball) di benessere collettivo.
Ora non racconterò il film nei particolari per non rovinarvi un’eventuale visione (che vi stra-consiglio!), ma quel che ho trovato interessante è proprio l’elaborazione del concetto di violenza.
Pure in un mondo immaginario evoluto di benessere e pace, quale quello immaginato in Rollerball, la violenza sembra essere concepita come pulsione ineliminabile ed insopprimibile dell’animo umano, tanto che il gioco che dà nome al film serve proprio da valvola di sfogo ed è ritenuto necessario per mantenere il controllo del benessere collettivo. Una sorta di contenitore controllato di violenza insomma.

Ecco, io invece sono giunta ad una conclusione diversa. Secondo me a forza di dire che l’essere umano è per natura violento, che non si può affrancare da determinate pulsioni, abbiamo finito non solo per crederlo fino in fondo, ma anche ad usare questo “mantra” come una sorta di alibi e di giustificazione per non assumerci determinate responsabilità.
Io lo vedo ogni volta che mi trovo a discutere con un carnivoro: le scuse adottate sono sempre le stesse, più o meno, ossia che la natura è violenta, che noi facciamo parte della natura, che tanto l’essere umano sarà sempre un predatore, che ci piace e ci serve uccidere per poterci sentire più forti e più vivi (morte tua, vita mia? A mio avviso solo un residuo dei sacrifici che facevano le popolazioni antiche per tener buoni gli Dei).
A me sembra che concependo la violenza quale pulsione insita ed insopprimibile nell’animo umano non si voglia far altro che giustificarla e confermarla, perché in fondo uno degli scudi dietro i quali si è sempre trincerato il Potere è proprio quello di lasciare che lotte intestine proseguano - a distogliere l’attenzione da altro -  affinché qualcuno - dietro - possa controllare indisturbato ad esercitare la propria indiscussa Autorità. Tanto che uno degli strategemmi adottato dai regimi Nazista e Fascista è stato quello di creare un apparato di alti funzionari e dirigenti e di seminare discordia e zizzania tra loro, così che, troppo occupati a contendersi il Potere, avessero lasciato indisturbato il Leader indiscusso dell’intera organizzazione.
Se si creano le condizioni affinché un popolo continui a lottare per un osso (inteso metaforicamente, la cosiddetta guerra tra poveri, di cui, ad esempio, Ladri di Biciclette di V. De Sica è un superbo esempio), stai pur sicuro che qualcun altro dietro, il cosiddetto “terzo”,  si godrà il beneficio assoluto.
La verità è che la violenza fa comodo e chi detiene il Potere (le varie classi sociali che si sono succedute nei secoli, oggi ormai l’astrattezza delle Banche, dell’alta Finanza, di chi muove i fili dell’economia globale) da sempre ha cercato di strumentalizzarla perché, senza di essa, senza persone intente a prevaricarsi le une sulle altre (i più forti sui più deboli, sempre), non potrebbe continuare a fare indisturbato i propri giochi. Le guerre sono sempre state strumentalizzate da qualcuno. Tanto chi va a morire... è il popolo, no?
Non è vero quindi che l’essere umano non può affrancarsi dalla violenza, basta volerlo.
Quindi, ricorrere a questa scusa che la violenza sia ineliminabile è solo per una questione di comodo (cui molti, ossia chi ha determinati interessi in determinati business, ricorrono al fine di mantenere lo status quo del loro potere).

Io penso che possiamo scegliere, ma penso altresì che la tanto abusata parola “libertà” vengo di sovente usata a sproposito ed assimilata in maniera confusa ed errata al concetto di scelta.
Non ne posso più di queste persone che millantano il diritto di usufruire di questa tanto decantata libertà confondendola in realtà con l’incapacità di compiere una vera scelta e con il qualunquismo più assoluto.

Leggo il titolo di un saggio pubblicato di recente, di cui si sta molto discutendo (con recensioni positive, spesso però da parte di chi ha precisi interessi economici dietro, quindi a mio avviso confutabilissime poiché denoterebbero un preciso conflitto di interessi, come si suol dire): Fumo, Bevo e Mangio molta Carne e mi viene da fare un paio di considerazioni; premetto che il libro non l’ho letto quindi non entrerò nel merito del suo contenuto, mi fermerò quindi a riflettere sul solo titolo.
Innanzutto “fumo, bevo e mangio molta carne” è prima persona singolare, tempo presente, modo indicativo, quindi enuncia un’affermazione, una volontà, statuisce alcune azioni soggettive, sta ad indicare qualcosa di ben preciso, indica una condizione certa. Fumo, bevo e mangio molta carne, come dire... in altre parole, io faccio questo, posso farlo, (eccola, la parola libertà, che qui entra gioco implicitamente ed a cui si ricorre  sovente per giustificare le proprie azioni, anche le più discutibili o quelle che, guarda caso, limitano invece la libertà altrui).
Fumo, bevo, mangio molta carne... Benissimo. Peccato però che a due azioni che, tutto sommato, rientrano nella piena facoltà di autodeterminazione di un individuo, viene accostata, come se si trattasse del medesimo genere di azione che rientra appunto nella facoltà di autodeterminazione di un individuo, quella di mangiare carne.
Ora, i tre verbi NON sono uguali; non sono uguali e non possono essere assimilabili al concetto di libertà di un individuo. Non sono uguali perché provocano conseguenze diverse: quelle delle prime due rivolte all’individuo stesso, ma quelle della terza, no!  Se uno vuole fumare cinque pacchetti di sigarette al giorno, ammesso che lo faccia ove non è vietato, ossia non nei luoghi pubblici dove costringerebbe altri a subire i danni del fumo passivo, è liberissimo di farlo. Cazzi suoi. Se uno anche si vuole sfondare di alcool, a patto che poi non se ne vada in giro in macchina rischiando di provocare incidenti o che non diventi molesto, sono altrettanti cazzi suoi; ma se uno invece si sfonda di bistecche... eh no, mica tanto, non sono per niente cazzi suoi, ma dei poveri animali che vengono uccisi per fornirgli le bistecche.
E allora, ‘fanculo il perbenismo, il politically correct, i benpensanti, io qui divento autoritaria e ti dico che tu la libertà di provocare la morte di animali innocenti non dovresti averla manco per niente! E che di questo termine, libertà, con cui tu ti sciacqui la bocca, io invece mi ci pulisco il culo. E sono stanca di tutta questa gente che nasconde il proprio qualunquismo sciacquandosi, sì, sciacquandosi, la bocca con parole come libertà, liberale ecc..
La tua libertà non può essere solo tua e basta, deve includere anche quella dell’altro, altrimenti è prevaricazione, non libertà!
Non ne posso più di tutta questa gente che continua a dire: “ah, ma tu non puoi imporre agli altri di prendersi questo impegno e quell’altro, tu devi lasciare libero ognuno di compiere le proprie scelte, ognuno deve essere libero di fare ciò in cui crede”. Benissimo. Allora lasciamo liberi i pedofili di importunare i bambini. Lasciamo liberi gli assassini ed i ladri di agire impunemente. Lasciamo libera la gente di sporcare e vandalizzare le città, le strade, i beni pubblici. Lasciamo libero chiunque di non assumersi  nessuna responsabilità delle proprie azioni in nome di questa illusione di libertà. Liberi di fare tutto ciò che si vuole.

Io ho capito una cosa diversa invece. Esiste solo un’unica libertà ed è quella di compiere scelte responsabili nei confronti della comunità tutta, quella di compiere scelte che siano in vista di un bene e di un benessere comune, collettivo, globale. Nessuna scelta rivolta verso l’interesse del singolo potrà dirsi libertà, ma solo qualunquismo e prevaricazione del più forte sul più debole.
E chi non sceglie è un ignavo, colui che, trincerandosi dietro la libertà di non volersi assumersi mai nessun tipo di impegno, in realtà contribuisce a tenere in piedi e a mantenere lo status quo di chi detiene il Potere.

Sono stanca di quelli che dicono - restando in tema veganismo, antispecismo, animalismo - “io ho fatto questa scelta, ma è la mia, non la posso imporre agli altri, ognuno è libero di fare quello che vuole”, perché qui non si tratta di mia e tua scelta, ma si tratta della vita, della sofferenza e della morte di miliardi di esseri viventi al giorno. Certo, imporre a qualcosa a qualcuno no, ma parlarne, discuterne, sensibilizzare, voler porre all’attenzione pubblica l’urgenza di una questione credo che sia dovere di tutti farlo (ovviamente riguardo qualsiasi questione, non solo quella dello sfruttamento degli animali). Chi sta zitto, che resta silente, chi si fa da parte, in realtà non fa che subire ed assecondare il gioco del più forte e degli aguzzini.
Se tu che mi leggi passi in una strada ed assisti ad uno stupro e passi via, senza intervenire in qualche modo, senza chiamare la Polizia, senza cercare di fermare il delinquente, è come se fossi responsabile anche tu di quello stupro. Perché vi hai partecipato assistendovi, senza dire nulla.
Scegliere, compiere una scelta, significa fare buon uso del termine libertà. L’unico uso possibile.
Altrimenti non è libertà, ma è solo un piegarsi al volere del più forte.

Noto che siamo nell’epoca del totale disimpegno sociale, nessuno si interessa più di nessuno, degli altri, del prossimo, se non il tempo della notizia che passa su Facebook.
Badate bene, tutti voi che mi leggete, io non sono una moralista, io anche credo che ognuno, purché nel rispetto del prossimo, debba e possa fare quello che gli pare. Quando mi appresto a voler giudicare un’azione, l’unica domanda che mi faccio è: “si fa del male a qualcuno (animale o uomo che sia)?” Se la risposta che mi do, è “no”, allora va bene.
Quel che però vorrei fosse chiaro che fare del male non significa soltanto fare un danno a qualcuno, ma anche lasciare che impunemente qualcun altro continui a farlo.
Se io noto che si sta facendo un danno e non dico nulla, lascio che avvenga, sono responsabile tanto quanto chi agisce direttamente (forse un po’ meno, ma comunque responsabile, in effetti anche la legge in alcuni casi punisce chi non è intervenuto ad evitare un crimine).
Questo è il senso della vera libertà: agire affinché possa esistere per tutti allo stesso modo, nell’interesse comune e non del singolo soltanto. Questo è vivere in modo partecipe, la maniera di far parte di una collettività. Dobbiamo capire che facciamo tutti parte di un unico ingranaggio e che se sta male una parte, prima o poi staremo male tutti.
E attenzione pure ad un’altra cosa: non c’entra nulla l’essere individualisti o meno; anche io sono un’individualista, perseguo una mia singolare maniera di pensare, non ho mai seguito, né avvertito come intimamente mia nessuna ideologia, né politica, né di altro tipo. Ho sempre tenuto a distinguermi dal comune pensare, ossia, mi spiego meglio, a cercare di svincolarmi da un pensare massificato e propagandato dai media o dalla cultura in cui sono nata, usando il più possibile una capacità critica, allenandola sempre; ho sempre tenuto a coltivare un mio gusto, un mio stile, una mia indipendenza di pensiero insomma. Sono un’individualista. Però capisco che, come singolo individuo, faccio parte di un tutto che è più grande di me - la società, ma il pianeta intero direi -  e che di questo tutto non posso non tener conto, soprattutto perché ne usufruisco a livello di benefici.
Fate conto di stare con tante persone in un appartamento: vivere liberamente significa perseguire e coltivare le proprie passioni, hobbies, interessi, ma anche sapere che nessuno dovrà invadere gli spazi vitali dell’altro ed attivarsi affinché questo non accada, quindi intervenire nel momento in cui ci si rende conto che qualcuno si sta approfittando dello spazio di qualcun altro. Questo non è un pensare ed un agire massificato, è un pensare e vivere in maniera individuale, ma rispettosa dell’altro, chiunque egli sia. In società, nel pianeta, dovrebbe poter avvenire la stessa cosa.
Questo sì che sarebbe un vivere nell’adempimento più pieno e totale della parola libertà.

14 commenti:

de spin ha detto...

Scegliere di diventare vegetariano sposta il baricentro dalla violenza alla non-violenza. Io l'ho percepito in modo molto chiaro su me stesso.
Quando "da giovane" facevo il ricercatore spirituale, non mi disturbava il fatto che mangiando carne uccidevo deliberatamente gli animali. E non che non fossi consapevole dell'esistenza di un'alternativa vegetariana.
Viaggiavo in India, frequentavo luoghi ove il vegetarianesimo era frequente, ma non mi interessava.

Pensavo vhe "evolversi" significasse diventare speciale, un guaritore magari, o un terapista. Ero, di fatto, concentrato solo su me stesso e sui miei fini egoistici. Rimorchiare più ragazze, essere più carismatico, più profondo e meditativo. E perchè no farci sopra dei bei soldi.

In quegli ambienti ho assistito a molte forme di violenza, e ne ho anche subita. Violenza psicologica.
Quando sono diventato vegetariano è cambiato qualcosa. Innanzitutto mi sono accorto che il vegetarianesimo di quelle Comuni Spirituali era solo di facciata. Lo sapevo anche prima, ma la cosa non mi aveva mai toccato.
A livello pubblico, ufficialmente la "casa" era vegetariana, ma la stragrande maggioranza dei "residenti" aveva sempre un frigo "nascosto" a disposizione, in cui era consentito mettere le proprie cose non vegetariane.
Nascosti agli occhi del loro pubblico, dei loro studenti, dei loro clienti, quasi tutti mangiavano carne. E quasi tutti i giorni.

Diventare vegetariano è stato per me il vero spartiacque tra me e la violenza. Oltre tutte le parole, le ideologie le filosofie e quant'altro, quel semplice gesto mi ha spalancato la porta su un mondo meraviglioso che era sempre stato lì, ma io non lo vedevo. Troppo intento su di me , sul mio ego, sui miei egoismi. Non vedevo altro che me stesso. Egoismo e violenza vanno insieme. E cecità e stupidità.

Mangiare carne è la base di ogni violenza. E ci viene imposto da piccolissimi. Violenza omogeneizzata. E la violenza entra così profondamente nel nostro sistema che non ce ne accorgiamo neanche più.

Diventare vegetariano è fondamentale a tantissimi livelli. E' l'atto sine qua non.

Martigot ha detto...

Mi è capitato di vedere Rollerball qualche anno fa, e anche a me è piaciuto molto. Tutto sommato si potrebbero istituire "sport" del genere, così chi vuole esercitare la violenza sarebbe libero di sfogarsi senza che ci vadano di mezzo degli innocenti. Un po' come i fight club. Mai belle cose, è ovvio, ma forse una valvola di sfogo per gente che purtroppo sente questo bisogno di "menar le mani".
Io credo che la violenza sia insita nella natura di alcuni individui, mentre è totalmente assente da altri. E' probabilmente una predisposizione, in un verso o in un altro. Poi certamente facendo passare di continuo il messaggio che la violenza sia inevitabile, in qualche modo la si giustifica, la si esalta anche in certi casi, ed è deplorevole e triste.
Smettere di mangiare gli animali è un passo molto importante, concordo con de spin qui sopra. E' già un prendere le distanze dalla violenza, e il diventare vegetariani di certo migliora la persona che compie questa scelta per motivi etici.
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Se tutti si attenessero a questo le cose a questo mondo andrebbero molto meglio, per umani e animali, e la violenza sarebbe solo un evento sporadico.

Rita ha detto...

"Egoismo e violenza vanno insieme. E cecità e stupidità.

Mangiare carne è la base di ogni violenza. E ci viene imposto da piccolissimi. Violenza omogeneizzata. E la violenza entra così profondamente nel nostro sistema che non ce ne accorgiamo neanche più."

Sono d'accordissimo. Più d'accordo di così non potrei esserlo.

Dici bene, la violenza ci viene fatta "introiettare" sin da piccolissimi, a cominciare dallo svezzamento ed anche attraverso i cartoni animati che veicolano immagini di dominio su esseri indifesi. Tutti i cartoni animati per bambini fanno vedere gli animali come messi a disposizione per l'essere umano e felici di stare negli zoo, nei circhi, nelle fattorie a darci il latte ecc..
I bambini iniziano così, a loro insaputa, a prendere confidenza con la violenza, talmente tanta confidenza da non percepirla più come tale (la cosiddetta "banalità del Male", diceva la Arendt).

Credo anche io fermamente che nel momento in cui si compie la scelta di tirarsi fuori da questo sistema indotto di violenza e perpetuazione dello sfruttamento dei più deboli poi è come se si valicasse un confine, oltre il quale tutto appare diverso e non puoi più far altro che scorgere la meraviglia di ogni essere.

Rita ha detto...

@ Martigot

In un certo senso esistono già contenitori di violenza controllata, anche a livello di solo sfogo emotivo, basti pensare agli stadi di calcio dove spesso poi alcune tipologie di tifosi si picchiano, si insultano, offendono con slogan razzisti, dando libero sfogo ad un disagio e ad una frustrazione latenti che però lì, in quel momento, vengono canalizzati e deviati sulla squadra avversaria. Credo che a molti tifosi di questo tipo nemmeno interessi poi tanto la realtà del gioco, ma ciò che esso simboleggia e racchiude proprio a livello sociale.

Mi sono dimenticata di citare nel post, ma lo faccio ora, un romanzo molto interessante di James G. Ballard che è "Regno a venire", in cui si descrive un mondo, per alcuni versi simili a quello di Rollerball, in cui la gente è sempre più violenta, in preda ad una smania collettiva di menar le mani ed il tutto si amplifica e prende corpo nel momento in cui vengono trasmesse le partite dello sport nazionale, divenuto quasi una vera e propria ossessione. Il binomio sport (inteso come spettacolo, in alcune manifestazioni) e violenza è sempre esistito, del resto.

Quel che trovo assurdo è che socialmente le manifestazioni di violenza esplicita sono sempre stigmatizzate, mentre altre, quali quelle contro gli animali, vengono camuffate e, sebbene anch'esse esplicite, vengano però rimosse, intese come "normali", come necessarie, come naturali.

La gente non si sente violenta quando mangia un panino al prosciutto. Nemmeno quando taglia a pezzi e cucina un animale, nemmeno quando addirittura mette a bollire i crostacei ancora vivi.

A Roma ci sono alcuni ristoranti di pesce che espongono astici e scampi ancora vivi, sul ghiaccio (episodi da me sempre denunciati alle autorità perché è vietato dal regolamento comunale tenerli vivi sul ghiaccio), e la gente, famiglie felici, con bambini ecc., entra e dice: "vorrei mangiare quello e quello" e lo vede che è un animale vivo e sa che quell'animale verrà ucciso per lui, eppure con indifferenza, nell'indifferenza più assoluta, decreta la morte di un essere vivente.

Il diritto alla vita lo dà la vita stessa. Come non riconoscerlo? Eppure per molti, per la maggioranza, gli animali non hanno diritti.

Anonimo ha detto...

alla base c'è proprio un profondo e radicato menefreghismo.
solo che ci vuole uno scossone per svegliarsi dal torpore, e lo scossone qualcuno preferisce ignorarlo per comodità, asserendo che è così che va la natura(perchè a me è stato anche detto che è l'ordine naturale delle cose).
solo che dopo aver visto ORE di filmati allucinanti, dopo aver letto CHILOMETRI di parole, io la natura l'ho proprio persa per strada.

il tuo post tocca un sacco di argomenti..sarebbe bello riprenderli tutti.
ad esempio anche io ho la certezza che ci stiano lasciando ammazzare fra di noi, mentre "un terzo" ci guarda dall'alto. pensavo ad esempio alla campagna che stanno facendo adesso in tv (l'ho vista domenica scorsa in casa di mia suocera) sull'evasione, in cui invitano caldamente a chiedere lo scontrino agli esercenti.
che la mia affermazione non venga travisata eh, ma è questo che sta mandando a rotoli l'italia? lo scontrino da due euro del panettiere? davvero??
e quel che è peggio è che purtroppo ogni cosa che passa alla televisione pare verità indiscutibile.

ciao!

Rita ha detto...

Purtroppo i media (tv in primis, perché è il mezzo di comunicazione più diffuso) da sempre cooperano per mantenere un certo status quo sociale, ossia, leggi pure gli interessi delle classi che detengono il vero potere finanziario ed economico.
Guarda, ne parlavo giusto oggi a pranzo con un amico, il vero problema in Italia riguardo l'evasione non è certo il panettiere che non ti fa lo scontrino, ma sono i grossi capitali che poi vengono esportati nei cosiddetti paradisi fiscali ed anche tutti i professionisti che non rilasciano le fatture (parliamo di medici che beccano tre, quattro, cinquecento euro a visita, ma poi non ti fanno nemmeno uno straccio di ricevuta, e se provi a chiederla allora ti dicono che a questo punto il prezzo sale perché devono inserire l'IVA... ladri, sono veri e propri ladri).

Purtroppo tutto ciò che passa in TV viene preso come fonte autorevole; per me è sempre stato il contrario... se uno va in TV... hmmmm, mi fido poco. ;-)

de spin ha detto...

Io sono personalmente convinto che una svolta la potrebbe solo dare il riuscire ad entrare in qualche modo dentro questi maledetti media.

Se avessi qualche soldo da spendere ad esempio comprerei uno spazio nelle tv private, quelli delle televendite per intenderci, e farei uno show vegano, con tanto di musica dal vivo e veline...di idee ne avrei parecchie, magari anche bizzarre ma il punto deve essere attrarre la gente e bombardarla...d'amore...

Rita ha detto...

De Spin, lo so, l'unica sarebbe usarli i media, anziché esserne usati, e per farlo bisognerebbe appunto comprare uno spazio nelle tv private (nei canali di stato purtroppo dubito che ci lascerebbero spazio, il business degli allevatori è sempre più grande, guarda per esempio cosa è successo da Vespa di recente, i vegani non li fanno nemmeno parlare); il problema quindi è sempre quello dei soldi, servono soldi, soldi, soldi... come quando si fanno campagne politiche.
E comunque i canali privati però alla fine hanno un pubblico limitato, mentre secondo me riuscire ad invadere gli spazi cosiddetti ufficiali sarebbe ancora meglio. Il punto è, come?

de spin ha detto...

Certo sono limitati, ma se si è in gamba e si propone uno show di buona qualità piano piano la platea si allarga...

Il problema è la mancanza di soldi. Io personalmente riguardo a questo problema sto seguendo due strade parallele.

La prima: sto cercando di fare soldi. E lo sto facendo con il chiaro intento di mettere questo denaro in un progetto di propaganda vegan/antispecista.

La seconda: incontrerò prima o poi una persona piena di soldi che vorrà finanziare un mio progetto. Una vecchietta miliardaria, un'ereditiera, la figlia di un boss della plastica cinese...

Rita ha detto...

Se trovi un modo di fare i soldi che funziona... fammi sapere. :-D

Io riesco solo a far debiti. :-(

Una cosa è certa: se facessi i soldi anche io li userei per la propaganda vegan-antispecista; e poi mi piacerebbe tanto costruire una clinica veterinaria a basso costo, e proprio perché so quanto alte sono le spese veterinarie, proprio con l'intento di andare incontro alle tante persone che amano e si prendono cura degli animali.

Speriamo, nel frattempo, di incontrare qualche miliardario che ci finanzi. :-D

Anonimo ha detto...

de spin il tuo spazio privato ce l'hai già: è il tuo blog!
io confido nel fatto che nel giro di venti - trent'anni la televisione venga soppiantata dal web, sperando che il web non ci controllerà e comanderà poi come la televisione fa adesso.
intanto il tuo blog dice chi sei e qual è il tuo posto nel mondo in maniera chiara ed esaustiva.

Anonimo ha detto...

de spin il tuo spazio privato ce l'hai già: è il tuo blog!
io confido nel fatto che nel giro di venti - trent'anni la televisione venga soppiantata dal web, sperando che il web non ci controllerà e comanderà poi come la televisione fa adesso.
intanto il tuo blog dice chi sei e qual è il tuo posto nel mondo in maniera chiara ed esaustiva.

Massimo Villivà ha detto...

"Il diritto alla vita lo dà la vita stessa. Come non riconoscerlo? Eppure per molti, per la maggioranza, gli animali non hanno diritti."

Il post è interessantissimo e mi trovi d'accordo praticamente su tutto. Ancora non ho eliminato completamente la carne, ma mi ci sto avvicinando ogni giorno di più. Diciamo che sono più consapevole, le poche volte che lo faccio, di stare addentando cadaveri di animali e la cosa non mi lascia indifferente come una volta. Credo di starmi avviando verso una alimentazione, se non vegana, perlomeno non carnivora.
Tuttavia, anche se credo nell'empatia, non credo in un "diritto" alla vita. Sarebbe bello che fosse così, ma in natura non esiste un diritto alla vita. Si vive, arriva un predatore, ci uccide. Se riusciamo a scappare, continuiamo a vivere.
Nelle epoche passate, non esisteva un diritto alla vita neanche per gli umani, figuriamoci per gli animali. La morte era universale presenza. Ora che la morte viene rimossa nasce il diritto alla vita, e contemporaneamente non ci si rende conto che anche gli animali sono vivi. Ma nel non riconoscere la vita animale non riconosciamo neanche la nostra.
Siamo dei morti viventi, ma reclamiamo il diritto alla vita.

Rita ha detto...

@ Massimo

Sono molto contenta che tu ti stia avviando verso un'alimentazione perlomeno non carnivora, poi vedrai che nel momento in cui si diventa consapevoli del fatto che mangiare gli animali sia privare degli esseri viventi della loro vita ti porterà a notare un sacco di altri particolari riguardo lo sfruttamento degli animali - come cadesse il classico Velo di Maya (ne parlo proprio nell'ultimo post) dagli occhi - e conseguentemente questo fatto ti renderà più consapevole delle tue scelte.

La morte è un evento naturale, certamente, ed ineliminabile; per diritto alla vita io non intendo infatti negare la natura caduca e mortale di tutti gli esseri, ma sforzarsi di riconoscere questo esser vivi come valore in noi stessi e negli altri, visto che abbiamo la capacità di farlo molto spesso e quando ci fa comodo.
Ossia, o non riconosciamo la vita come valore in ogni caso, nemmeno quella umana, oppure dovremmo riconoscerla sempre.

Verissimo che rimuovendo il pensiero dell'esser vivi degli animali, rimuoviamo anche quello del nostro esser tali e ci condanniamo ad essere degli zombie che si nutrono dei cadaveri altrui. Quindi, proprio per recuperare la pienezza e la sacralità (in un'accezione laica) della nostra esistenza, dovremmo estenderla anche ai nostri simili, diversi nell'aspetto, ma che con noi condividono l'assunto di essere vivi e mortali.
"Ciascuno è Re su una terra di cadaveri", diceva Elias Canetti: ecco, sforziamoci di essere meno Re e più solidali tra di noi, dico io. ;-)
Grazie per il tuo commento, sempre ben accetto ed apprezzato.