domenica 19 agosto 2012

Ambientalismo, animalismo, zoofilia, antispecismo

Pubblicato anche su Asinus Novus

La differenza tra animalismo, zoofilia, antispecismo, ambientalismo dovrebbe essere scontata, ma di fatto non lo è per tutti e quindi proverò a dare sinteticamente alcune delucidazioni in merito. (1)
L’ambientalismo mira a ripristinare e/o mantenere l’equilibrio dell’ecosistema (sia locale che globale). In poche parole gli ambientalisti non sono contro la caccia, la pesca, lo sfruttamento delle risorse del pianeta (compresi gli animali) di default, ma limitatamente al pericolo che queste attività possano mettere a rischio alcune specie, danneggiare l’equilibrio flora/fauna o causare inquinamento (inquinamento falde acquifere, dell’aria ecc.). All’ambientalismo non interessa la singola vita in sé, a patto che la specie cui appartiene non sia a rischio d’estinzione. La pesca, la caccia, gli allevamenti debbono poter essere sostenibili, ossia appunto non creare scompensi a livello di mantenimento dell’equilibrio ecologico. La pesca e la caccia selvaggia invece non vanno bene. Questa è anche ad esempio la politica di Greenpeace che si premura di salvare le balene e di sensibilizzare la gente ad acquistare tonno pescato in maniera sostenibile. Ovviamente anche molti ambientalisti vedono di buon occhio la scelta vegetariana o vegana, ed anzi consigliano di ridurre il consumo di prodotti animali, ma non ritengono che mangiare animali sia assolutamente sbagliato. Agli ambientalisti interessa il benessere del pianeta nel complesso, ma se lo sfruttamento e morte della singola vita non incide su questo, allora non ha importanza. Uccidere una formica, visto che non mette a rischio la specie, è un male minore. Così allevare polli o vitelli. Purché appunto, lo si faccia in maniera sostenibile (ossia tale da non smottare il terreno su cui si tiene in equilibrio il pianeta).
Conosco tantissime persone che si definiscono ambientaliste e di fatto si preoccupano tantissimo degli effetti delle loro azioni cercando di ridurre il più possibile l'impatto del loro stile di vita sull'ambiente: fanno la raccolta differenziata, non sprecano le risorse idriche, sono contro il nucleare, usano poco o niente la macchina, si interessano alle energie alternative ecc. però continuano ad indossare scarpe in pelle, a portare i loro figli allo zoo, a mangiare carne e pesce (pure se magari sarà carne "biologica" o pesce pescato in maniera sostenibile): queste persone sono ambientaliste, ma non animaliste. Mi sembra ovvio che invece l'animalista autentico non potrà non essere anche ambientalista perché se la sua battaglia è quella finalizzata a vedere un giorno tutti gli animali liberi nel loro habitat, ci terrà a preservare questo habitat, così come il proprio. Il mantenimento dell'ecosistema in condizioni sane ed ottimali è necessario per preservare la vita della fauna e della flora, finanche del più piccolo insetto, visto che tutto è correlato. La regola numero uno dell'ambiente è che tutto è correlato.
L’animalismo a sua volta viene spesso confuso con quell’atteggiamento di cura e protezione verso determinate specie - in genere le cosiddette specie d’affezione, ma potrebbe includerne anche altre, come i rettili ad esempio - che è tipico invece della zoofilia (ossia, amore per gli animali). L’amore per gli animali o, come spesso accade, per il proprio animale, non necessariamente collima con un’istanza di liberazione. Anzi, la vecchietta che tiene il canarino in gabbia è sicurissima di riversare su di lui tutto il proprio affetto; così come la signora che veste il cagnolino con abiti firmati e gli mette persino gli stivaletti per non fargli sporcare le zampette, è la stessa che poi una volta a casa si aprirà la confezione di prosciutto per prepararsi un bel panino. E il ragazzo che acquista il pitone in un negozio e lo tiene chiuso dentro una teca dandogli topolini vivi in pasto e che giurerebbe di amare alla follia il proprio animale, può dirsi animalista? Ovvio che no!
La gattara che ama i gatti, ma mangia il pollo, è animalista? No, sempre e ancora no!
Il cacciatore che si dichiara amante degli animali (quelli cui spara!), dei propri cani da caccia e rispettoso della natura, può dirsi animalista? Non fatemi ridere, per favore!
Chi pratica equitazione e si sacrifica ogni giorno (con la pioggia, la neve, il vento, il sole, la nebbia) per montare, strigliare, nutrire il proprio cavallo - il proprio cavallo che adora alla follia e per il quale darebbe la propria vita - è animalista? No, se poi va a casa e mangia altri animali o se sostiene attività come il palio e si veste con scarpe di pelle.
Già il verbo “amare” viene usato spesso a sproposito, confondendosi con la cura spesso ossessiva, con il possesso verso un altro essere, con la gelosia al fine di preservare l’unicità di una relazione, ma comunque sia, amare il proprio animale o una determinata specie non è animalismo, bensì zoofilia.Tanti si definiscono amanti degli animali, ma ad approfondire un pochino scopriamo che essi amano solo determinate specie: cani, gatti, criceti, furetti ed altre cosiddette d’affezione o anche ammirano i grandi felini, i primati e si accontentano di soddisfare il proprio amore osservandoli con meraviglia da dietro le sbarre: quelle dellle gabbie in cui questi esseri viventi sono rinchiusi affinché gente ignara della complessità del termine “amare” possa dire: “ooohhh, quanto amo le tigri, sono i miei animali preferiti!”. Questo NON è animalismo! È zoofilia.
L’animalismo invece, e qui veniamo al punto, è quella pratica e prassi che mira alla liberazione degli animali, alla fine del loro sfruttamento e all’ottenimento dei loro diritti ad essere rispettati, tutelati ecc.; va da sé che un vero animalista non mangerà quegli esseri senzienti che mira a liberare. Né incentiverà - anzi, si darà da fare per abolirle definitivamente - tutte quelle pratiche ed attività in cui l’animale è ridotto a cosa, a mera risorsa rinnovabile: quindi dirà no ai circhi, ad ogni tipo di allevamento, alla sperimentazione animale, agli acquari, agli zoo ecc..
Il limite dell’animalismo è che esso in genere non mira ad una trasformazione radicale della società, ma pretenderrebbe di abolire lo sfruttamento degli animali pur lasciando inalterato il sistema vigente, convinto che basterà informare e sensibilizzare la massa sulla sofferenza degli animali per far sì che essa smetta di sfruttare gli animali. In poche parole spererebbe - in buonissima fede, ché qui non si vuole certo biasimare chi si adopera per tale nobilissimo ideale - di riuscire ad aprire tutte le gabbie una volta che avrà avuto luogo un’evoluzione di tipo morale per cui ogni individuo si renderà conto che non ha diritto di uccidere le altre specie. Per l’animalista lo sfruttamento degli animali è un pregiudizio morale, quel pregiudizio nato in seno alla cultura in cui è nato per cui viene dato per scontato e considerato “normale” cibarsi o sfruttare le altre specie. Ora, in parte ha ragione. Verissimo che la prassi di sfruttare gli animali è culturale, ma è altrettanto ingenuo pensare di estirparla semplicemente prendendone atto.
Ed è qui che entra finalmente in gioco l’antispecismo. L’antispecismo va oltre l’istanza di liberazione degli animali tutti  - ché non discrimina tra animali umani e non umani, cosa che invece l’animalista potrebbe fare, con quel suo spesso macchiarsi di razzismo e pregiudizio verso altri popoli, in primis verso la propria specie d’appartenenza, lasciando emergere tratti di una misantropia nemmeno troppo velata, lanciandosi in invettive di odio verso altri umani che egli additerebbe come responsabili della pratica di maltrattare gli animali, alla ricerca di un capro espiatorio verso il quale riversare tutta la propria rabbia, amarezza, delusione - mira infatti a decostruire radicalmente l’intero sistema entro il quale - nel corso dei secoli, quindi da una prospettiva che è storica, sociale, antropologica e politica insieme - lo sfruttamento del vivente si è strutturato.
Che significa? Ve lo spiego con un esempio. Molti si ostinano a non voler riconoscere Michela Vittoria Brambilla come animalista. Così come a non voler credere possibile un animalismo di una certa destra liberista. Invece secondo me un animalismo di destra di questo tipo è possibilissimo. Ma non l’antispecismo. L’animalismo infatti, come abbiamo visto, mira a liberare gli animali non umani, pur pensando ingenuamente di poter lasciare inalterato l’attuale sistema capitalista entro il quale avviene e si è radicata la prassi dello sfruttamento del vivente. Non è quindi affatto inusuale vedere animalisti fautori e sostenitori del libero mercato e del capitalismo più sfrenato. Così si inneggia a non abbandonare i cuccioli dall’alto della proprie torre d’avorio dove tutto rimane inalterato. Si propugna lo stile di vita vegano in ottemperanza alle regole del libero mercato. Si vorrebbero liberare tutte le gabbie e poi fotografare il successo con l’ennesimo prodotto tecnologico per produrre il quale migliaia di operai sono stati sfruttati. Come si può pensare di liberare gli animali, sostenendo al contempo lo sfruttamento della forza lavoro? Per l’animalista ingenuo non c’è contraddizione in questo. O meglio, forse non la vede, oppure se ne disinteressa. Molti animalisti odiano la specie umana, la stessa cui appartengono, ritenendola la causa di tutto il male che c’è nel mondo. In realtà, così come dalla relazione tra due persone si viene a costituire un terzo elemento che è l’essenza peculiare di ogni relazione, così quella radice di ogni male che è lo sfruttamento normalizzato del senziente è nata dall’interazione di una serie di fattori non strettamenti riconducibili alla semplice azione diretta del singolo. Quindi non basterà convincere il singolo (e la somma dei tanti singoli) ad abbandonare determinate pratiche per abolire lo sfruttamento del senziente. Esso, lo sfruttamento, non è la somma di due + due, è qualcosa di più che deve essere analizzato alla radice e quindi messo in discussione. Il punto è che mettere in discussione ciò che appare a tutti come ovvio è un compito difficilissimo. Compito che l’antispecismo si prefigge come concreto, possibile, valido, necessario. Non siamo matti. Noi semplicemente mettiamo in discussione questo sistema che ha normalizzato la follia della violenza.
All’ultima manifestazione animalista cui ho partecipato due persone su tre avevano l’iPhone. Certo, l’animalista dirà che nessun animale è stato ucciso per realizzare tale oggetto tecnologico. Non è fatto di pelle animale, né di osso o altro.
L’antispecista radicale (non estremista, bensì appunto radicale, ossia che cerca di andare alle radici della questione) che è in me però non può tollerare la vista di un oggetto che è simbolo del capitalismo e consumismo attuale. La Apple è un marchio sporco, sporchissimo. Di recente si è scoperto che in alcuni stabilimenti asiatici gli operai venivano costretti a turni di lavoro durissimi, sottopagati, non tutelati dai diritti sindacali. Dico la Apple perché è il primo marchio che mi viene in mente. Ma potrei dirne altri.
Come si può definirsi antispecisti se poi con i propri acquisti si contribuisce allo sfruttamento del vivente? Ora, sia chiaro, io non intendo biasimare nessuno, ché qui nessuno di noi è puro, né le azioni di nessuno potrebbero mai dirsi ad “impatto zero”. Sono sicura che anche io contribuisco attraverso i miei acquisti allo sfruttamento di esseri viventi. Quando compro le scarpette in eco-pelle “made in china” ad esempio avrò evitato di partecipare dell sfruttamento degli animali, ma sicuramente avrò incrementato lo sfruttamento del lavoro minorile o femminile in quei paesi in cui non è regolamentato (in Cina, appunto).
Quello che sto dicendo di dire è che però essere antispecisti significa essere consapevoli di questa complessa realtà di sfruttamento e volerla cambiare, destrutturare, decostruire. La visione antispecista è lungimirante, certo, alcuni, anzi molti, la definiscono utopica, idealista, donchisciottesca. Chi ci definisce così magari è altrettanto indignato, ma finisce per rassegnarsi, il che equivale a dire ad accettare. Si rende quindi complice in prima persona del sistema che egli stesso depreca volentieri. Chi ha i mezzi per fare, ma non agisce, si rende egli stesso colpevole.
Voler cambiare il sistema basato sullo sfruttamento del vivente non è utopico, affatto. Così come l’essere umano è riuscito a mettere su un certo tipo di società, ha anche le potenzialità per distruggerla o cambiarla.
Chi si rassegna non è che diviene più adulto perché ha finalmente compreso le dure leggi della realtà, semplicemente ha scelto la via più comoda, quella dell’ignavia, del mantenimento dello status quo. Ha scelto, per comodità, di stare dalla parte del Potere perché il Potere ha sempre in vista il mantenimento dello status quo.
L’opposizione, la lotta verrà quindi sempre additata come ribellione giovanile, come estremismo, tutti trucchetti semantici messi in atto dalla propaganda per mettere a tacere chi invece ha consapevolezza politica e desiderio di agire per imprimere un cambiamento.
Diffidate - mi rivolgo soprattutto ai giovani - di chi vi dice: “devi mettere la testa a posto, devi accettare la realtà”.
Mai omologarsi, mai accettare, sempre dubitare di tutto, sempre mettere tutto in discussione. Solo così ci si potrà allenare per il sano esercizio della critica del reale.
Vorranno sempre darvela a bere, ché la realtà è immodificabile e che prima la si accetta e prima si vive felici. No, prima la si accetta e prima si muore. In gabbia.
Nella gabbia di questa società che noi stessi abbiamo collaborato ad erigere. Ma così come abbiamo avuto la chiave per chiuderci dentro, abbiamo anche quella per aprirla. Basta sapere di che pasta siamo fatti! 

(1) Ovviamente i confini entro i quali ho rinchiuso le categorie degli animalisti, ambientalisti, zoofili, antispecisti sono propedeutici ad un'estrema sintesi che qui ho voluto fare, quindi arbitrari, non corrispondenti - se non a grandi linee appunto - alla complessità dei fenomeni teorici e pratici che essi rappresentano. 
Io, ad esempio, sono sia animalista che antispecista, ovviamente anche ambientalista nel senso che ho a cuore il benessere del pianeta tutto, ma vi includo quello di ogni singola vita e, in una certa misura, sono anche zoofila perché nutro un affetto sconfinato per i "miei" gatti e cane, senza che esso però vada a discapito di tutti gli altri. Anzi, direi che in me l'animalismo prima ed antispecismo poi è stata la conseguente evoluzione di un immaturo atteggiamento zoofilo. Da bambina amavo gli animali infatti, principalmente i cani, ma mangiavo altre specie. Insomma, come sempre la realtà è infinitamente complessa e credo che pochi quanto me detestino le approssimazioni e le riduzioni terminologiche, ma talvolta non si può fare a meno di usarle, soprattutto per evidenziare differenze. 
Quello che è importante è sforzarsi di evolversi, di superare i confini, di lasciare che alcuni atteggiamenti acerbi poi abbiano tempo e modi di farsi più maturi e consapevoli.

24 commenti:

D. ha detto...

Ciao, Rita. È possibile inviarti un'email all'indirizzo che hai nel profilo?
Ciao!

Rita ha detto...

Ciao D., sì, certo, manda pure.

Unknown ha detto...

tu posti cose così interessanti mentre l'asinello langue!? :)

Rita ha detto...

Ciao Marco :-)
Mi sembravano riflessioni scontate per l'asinello, nel senso che di queste differenze si è già spesso parlato. Se però credi che in fondo ribadire certe differenze sia sempre utile, beh, corro subito a postare anche lì. :-)
Tra l'altro ho voluto scrivere della differenza tra ambientalismo ed animalismo proprio leggendo uno dei commenti all'ultimo post di Serena (e ho risposto anche lì).

Unknown ha detto...

sì avevo intuito la genesi di questo pezzo che è di una chiarezza davvero notevole e quindi secondo me è utile. Non solo perché repetita juvant, ma perché il modo in cui i pensieri vengono appropriati e rilanciati è la forma stessa in cui secondo me il pensare si dà. Nessuno pensa da solo. E ora aspettiamo che Serena trovi la citazione adorniana qui nascosta :D

Rita ha detto...

OK, l'ho pubblicato.
Volevo rimpicciolire i caratteri della nota, ma non ci sono riuscita, mi ci puoi pensare tu per favore?
Ho messo un'immagine di pura libertà, quella cui aspiro per tutti gli esseri viventi. :-)
Attendiamo Serena. ;-)
Ovviamente molti miei pensieri provengono dalla lettura dei tuoi pezzi e saggio. E condivido totalmente con quanto dici, ossia che "... il modo in cui i pensieri vengono appropriati e rilanciati è la forma stessa in cui secondo me il pensare si dà. Nessuno pensa da solo".

Anonimo ha detto...

Il pensiero ha il momento dell'universalità. Ciò che è stato pensato con buon fondamento deve venir pensato altrove, da altri: questa fiducia accompagna anche il pensiero più solitario e impotente.

:-)

Unknown ha detto...

bingo! :)
va beh questa era facile ;)

Ti riposto qui ciò che ho scritto su FB:

veramente un bell'articolo, chiaro, preciso ed essenziale! brava Rita (anche se non puoi leggeri qui! :D)

Unknown ha detto...

non sono riuscito! :(
però ho corretto un refuso...

Rita ha detto...

Grazie Marco, sia per aver corretto il refuso, che per il commento che mi hai lasciato su FB. :-)

E brava Serena! Ma conosci Adorno a memoria? :-)

Eloisa ha detto...

E' davvero un bell'articolo: se mi dai il tuo permesso, vorrei diffonderlo sul gruppo che ho aperto su FB, dedicato all'antispecismo.

E' sempre bene fare chiarezza sui concetti di fondo: troppo spesso, infatti (e forse non sempre in buona fede, da parte di alcuni!) si tende a fare confusione e a gettare tutto in un unico calderone.

In particolare concordo con te sul fatto che l'antispecismo non possa e non debba essere di destra. Ne aveva parlato anche la "Veganzetta", qualche tempo fa, se non vado errata... E io stessa fui costretta a discutere con un anonimo commentatore, proprio a tale proposito e in seguito a un post da me pubblicato sulla "famigerata" Brambilla. :)

Rita ha detto...

Ciao Eloisa,
sì, certo, diffondi pure, anzi, ne sono felice.
Io non ho l'account su FB quindi non posso seguire ed unirmi al gruppo che hai creato, però sono felice di partecipare anche solo tramite un articolo.

In effetti la principale mancanza di chiarezza è sull'animalismo ed antispecismo. L'antispecismo, almeno per come lo intendo io, propugna proprio una rivoluzione a livello sistemico, una rivoluzione politica, culturale, sociale, storica per eliminare le strutture alla cui base vi è lo sfruttamento del vivente (sia dell'animale umano, che non umano) e quindi non vi può essere spazio per una visione di destra conservatrice, imprenditoriale ecc..
Io non metto in dubbio che vi possano essere invece anche animalisti di destra (animalisti, ma non antispecisti), persone con una certa sensibilità che davvero vogliono liberare gli animali e lottare per i loro diritti solo che la loro visione è miope e la loro battaglia, ove non contempli anche la fine di questo sistema così strutturato sullo sfruttamento (leggasi pure, per semplificare, Capitalismo, in passato era il sistema feudale o altro, comunque sia parliamo sempre di sistema di forza e di potere che sfruttano i più deboli) per forza di cose limitata.
Non si può essere antispecisti e poi sostenere le banche, l'alta finanza, le multinazionali che sfruttano gli operai, l'imprenditoria che prospera sul precariato ecc.. Forse si può essere animalisti, ma in maniera appunto cieca, miope e comunque non antispecisti perché l'antispecismo vuole abbattere ogni gabbia, anche quelle simboliche.
La Brambilla a me, ti dirò, sembra pure sincera nel suo amore per gli animali, ma credo che il suo amore sia quello che rientra nella zoofilia (non so nemmeno se sia vegetariana e poi pare che sia proprietaria di una fabbrica di surgelati di pesce, il che la dice lunga), nemmeno nell'animalismo, di certo non nell'antispecismo. E credo che ove ci sia la sporca politica partitica italiana di mezzo, si badi molto a certi interessi, si debba scendere a troppi compromessi. L'antispecista non può pensare di liberare gli animali restando dentro al sistema che li sfrutta. Quindi far parte del partito di Berlusconi, come la Brambilla, di certo offre un panorama troppo desolante, per come la vedo io.
Insomma, i miei punti di riferimento dell'attivismo animalista semmai sono gli ALF, di certo non la Brambilla, non so se mi spiego... ;-)

Giorgio Cara ha detto...

Ecco l'anonimo (non troppo tale, in verità) commentatore.
Senza voler nulla togliere alla legittimità di una visione politica dell'antispecismo, è chiaro che questa rappresenta solo uno dei possibili sguardi e - auspicabilmente - esiti rispetto al problema. Si può infatti parlare di antispecismo etico o scientifico con pari dignità rispetto ad un antispecismo politico.
Quale via seguire, secondo la propria sensibilità e preparazione, è scelta personale. Non direi comunque di dover (sic) limitare il pensiero costringendolo in "gabbie" semantiche o visioni politiche preesistenti alle quali adattare, a posteriori, il proprio impegno antispecista; si rischia di rendere un cattivo servigio alla causa comune. Nel senso che si dovrebbero - metaforicamente - menar le mani verso chi sfrutta gli animali, non fra noi. Ma, nella terra dei Guelfi e Ghibellini, questa sembra esser pia illusione.
Buona giornata.

Rita ha detto...

L'antispecismo etico però finora non ha dato i suoi buoni frutti, e per due ragioni.
L'antispecismo etico considera lo specismo un pregiudizio morale. Ossia ritiene che alcune persone siano speciste sulla base di una differenza che essi riscontrerebbero tra la loro specie d'appartenenza e le altre, ritenute in genere inferiori e quindi sfruttabili impunemente. L'antispecista etico quindi spera di sensibilizzare queste persone a mutare la loro considerazione delle altre specie, quindi di indurle a rispettarle diventando via via vegetariani, vegani ecc..
L'aporia dov'è? Che la considerazione delle altre specie come inferiori non appartiene all'uomo come pregiudizio morale dalle origini, ma essa si è andata via via strutturando storicamente e socialmente dal momento in cui si è strutturata la prassi dello sfruttamento anche degli altri animali umani. Ossia, nel momento in cui un certo accumolo di risorse nelle prima società stanziali ha favorito l'interesse di pochi a far lavorare i molti. L'animale nelle primitive società nomadi era sacro. Si cacciava, ma da pari a pari. L'uomo si considerava egli stesso animale fra gli animali. La prassi dello sfruttamento invece ha legittimato la falsa considerazione dell'animale come essere inferiore.
Ora, deve essere chiaro un punto. L'uomo non sfrutta gli animali perché li considera inferiori, porre così la questione è sbagliato. E' vero il contrario. L'uomo li considera inferiori perché li sfrutta.
E lo sfruttamento è prassi storica e sociale, quindi politica. Per questo si pensa che rispondere ad una prassi politica con l'antispecismo politico sia migliore. Inoltre, anche ammesso che si voglia credere in un'evoluzione etica collettiva, mi dici come si fa a convincere le singole coscienze se queste si formano però in seno alla società - una società appunto in cui lo sfruttamento del vivente è la norma, ossia è normalizzato - una società che modella e plasma le menti a sua immagine e somiglianza? Infatti finora non ci siamo riusciti. Il problema non è pubblicizzare i prodotti vegan, semmai dovremmo abolire la propaganza del marketing basato sul vivente sfruttato.
Che poi, per realizzare il mondo liberato, magari ci si debba inventare qualcosa di ancora del tutto nuovo e non far riferimento alle visioni ed ideali politici che già conosciamo, posso essere d'accordo con te.
Ma di certo l'antispecismo, ossia il mondo liberato dalle prigioni dal capitalismo, dallo sfruttamento del vivente, non può collimare con gli interessi appunto del grosso capitale o della finanza o nemmeno del piccolo imprenditore.

Rita ha detto...

P.S.:
a tutti consiglio la lettura del notevolissimo saggio di Marco Maurizi "Al di là della Natura".

Eloisa ha detto...

Le "gabbie" del pensiero sono quelle in cui sono prigionieri coloro che teorizzano la supremazia di una "razza" o di una "etnia" o di una "religione" e poi pretendono di proclamarsi "antispecisti" - perché loro sì che amano tanto gli animali...

Potranno essere animalisti o zoofili, ma non certo antispecisti - poiché l'antispecismo è un'evoluzione del pensiero antirazzista e implica un sentimento di empatia nei confronti tutte le specie - inclusa quella umana nella sua interezza.

Chi afferma che affondare i barconi degli immigrati sia cosa buona e giusta, che l'omosessualità sia una devianza pericolosa ecc. ecc. (chi più ne ha più ne metta!) non può proclamarsi antispecista. E nel nostro Paese, ahinoi, ce ne sono tante, di persone del genere.

Non so, ma così... a pelle... mi pare che siano LORO a non rendere un buon servigio alla causa, non noi, che amiamo fare chiarezza e chiamare le cose col loro giusto nome. :)

Giorgio Cara ha detto...

Come ebbi a dire all'epoca, sono antispecista; perciò non distinguo le persone e ogni altro vivente in base al sesso, etnia, censo, opinioni (anche politiche), in particolare quando discuto con altri antispecisti. A questo noto che ancora una volta - purtroppo - si risponde con una sorta di "chi non è con noi è contro di noi", che indica, questa sì, una "gabbia" (sempre tra virgolette) mentale. Non vorrei inziare a credere che tale impostazione discenda da una visione dell'umanità come rigorosamente divisa in classi sociali, che penso andrebbe - per quanto detto sopra - abrogata in favore di più ampie vedute nell'alveo dell'antispecismo. D'altra parte devo ancora trovare chi mi indichi le pagine in cui Marx ed Engels scrivano di liberazione animale; o i regimi sottoposti a socialismo reale in cui tale liberazione sia stata attuata.
E peraltro è stato autorevolmente detto, da un filosofo di sinistra, che non è affatto scontato che la liberazione umana, ipoteticamente realizzata tramite il marxismo, porterebbe ad un'analoga liberazione delle specie non umane.
Un grazie a Biancaneve che sta ospitando, gentilmente e pazientemente, le mie povere elucubrazioni.

Dany ha detto...

E' sempre bello tornare a leggerti...
Uno dei tuoi articoli più belli!
Un abbraccio!
Dany

Rita ha detto...

Grazie Dany, troppo gentile. :-)

Ricambio l'abbraccio.

Anonimo ha detto...

io da tempo mi pongo una serie di dubbi; amo gli animali e non mangio carne però mi rendo conto di avere le scarpe di pelle e i maglioni di lana; allora da qualche mese ho deciso che comprerò solo scarpe in ecopelle e borse di tessuto. Ho pensato che posso sostituire la lana con il pile...poi mi sono detta: ma se tutti all'improvviso facessero le mie stesse scelte sarebbe un bene per l'ambiente?io sono ambientalista quanto animalista ma quale sarebbe l'impatto della lavorazione dei materiali plastici sull'ecosistema? Potrebbe concretamente reggere la conseguenza di un incremento della lavorazioni di derivati plastici/sintetici? non parliamo poi dei miei amici che mi hanno assalito per dirmi che se tutti facessero così metà della popolazione mondiale si ritroverebbe disoccupata e sarebbe pure inutile perché la risorsa cui ci stiamo aggrappando (il petrolio) è destinata ad esaurirsi in breve tempo quindi non avremo risolto nulla.
Allora, ho pensato a un modello sociale in cui gli animali non sottomessi (non più di quanto lo siamo noi quando stancamente ci rechiamo al lavoro), collaborino con noi, non come carne da macello che di quella ne possiamo fare benissimo a meno ma come lavoratori normali; vivendo con noi, dandoci latte e lana ma in condizioni di libertà senza violenza e costrizione.
Voi che ne pensate? (gradirei non essere insultata magari)

Rita ha detto...

@ anonima

Ti risulta che io abbia mai insultato qualcuno su questo blog? :-)
Tranquilla, non è la mia maniera di pormi.

Dunque, io anche quando ho smesso di mangiare carne ho continuato per un certo periodo a comprare maglioni di lana e scarpe in pelle (tutt'ora indosso i vecchi che posseggo, visto che ormai li avevo comprati, e visto che un certo numero di animali sono morti per poterli confezionare, che almeno non siamo morti invano, li consumerò fino allo sfinimento, o li darò in beneficenza).
La prima domanda che ti poni è intelligente. Posso risponderti dicendo che buona parte delle alternative non animali per confezionare scarpe, borse, maglioni ecc. NON sono inquinanti, ma provengono da prodotti naturali come canapa, lino o altri derivati naturali.
Chi l'ha detto che i sostituti debbano essere necessariamente di platica o di derivati del petrolio? Guarda, in rete ci sono tantissimi siti di scarpe ed accessori vegani, molto di loro indicano i materiali e specificano che sono naturali, non inquinanti. Basta informarsi.

Il problema della disoccupazione non trovo giusto pormelo. Ti faccio un esempio: quando è stata abolita la schiavitù dei neri un sacco di produttori di cotone ci hanno rimesso perché è venuta loro mancare la manodopera principale.
Se un lavoro non è etico, con il progresso civile e morale, dovrà essere convertito in altro. Tanto non è che questa rivoluzione economica avverrà dal giorno alla notte, ci sarà tempo per adeguarsi. Ora, lascia perdere gli animali, ma nella Storia sai quante rivoluzioni economiche sono avvenute? Qualcuno ci rimetterà sempre, ma questo vale per qualsiasi altro discorso, l'importante è che non debbano più rimetterci miliardi di animali al giorno.
Chi produce carne si potrà mettere a produrre seitan o altro. A coltivare soia invece che allevare, a produrre maglioni in cotone invece che in lana e così via.
Non si può chiedere agli animali di lavorare per noi perché il loro stato naturale è privo delle sovrastrutture culturali che abbiamo noi (come il lavoro).
E comunque il discorso del latte non è fattibile perché le mucche non è che danno sempre il latte, lo danno solo dopo aver partorito e quel latte che producono è per il loro vitello. Non basterebbe pure per noi. Hai una qualche vaga idea dello sfruttamento cui è sottoposta oggi una mucca per produrre latte in abbondanza da soddisfare la richiesta sul mercato? E di quei vitelli che nascono che si fa? Oggi vengono mandati al macello. In questa maniera il ciclo della produzione da latte ha il suo guadagno. Ma se tu un domani allevassi una mucca per te, nel tuo giardino, per avere il tuo latte, poi che ci fai con i vitelli? Li tieni in giardino anche loro? Li metti in libertà? Non ha senso che la mucca debba stare nel giardino di uno per dargli il latte. Deve essere libera. Come me, come te. Libera di scegliere se accoppiarsi o meno. E' impossibile il concetto di allevare animali senza che non vi sia una qualche costrizione o forma di violenza. Riflettici.
Come fanno gli animali a diventare lavoratori normali come noi? Gli apriamo un conto corrente, gli facciamo la busta paga? Essi hanno il nostro stesso diritto alla vita, ma non possiamo trascinarli nella nostra cultura fatta di lavoro, denaro, o altro.
Guarda, non voglio bollare come assurdo il tuo ragionamento comunque, per alcune specie ormai addomesticate in un certo senso questo discorso già avviene; penso ai cani, spesso usati in mansioni nobili come la pet therapy o la guida per ciechi, in cambio ricevono cibo, rifugio, affetto. E stanno bene, almeno credo. Conosco tanti casi (divenuti famosi anche su internet ed in tv) di cani che convivono con umani disabili, addestrati per aiutarli a svolgere le normali mansione. C'è un rapporto reciproco di amore, di affetto, solidarietà. Questo lo posso ammettere.
Ma la mucca il latte lo produce per il suo vitellino. E solo per un periodo limitato al suo svezzamento. Dopo?

Rita ha detto...

P.S.:
ti posso dare un consiglio spassionato, semplice semplice?
Se tu ritieni (come mi sembra di capire, visto che hai smesso di mangiar carne) di amare veramente gli animali, smetti di sfruttarli. Punto. Non serve porsi tante domande. Pian piano, anche gradualmente, ma non cercare scappatoie per poter in qualche modo continuare a giustificare uno sfruttamento attenuato. Capisco le resistenze. Sono normalissime. Io dopo essere diventata vegetariana ci ho messo quattro anni a diventare vegana perché mi dicevo (mentendo a me stessa) che in fondo un po' di latte o di uova non erano la fine del mondo. Ma lo sono invece perché dietro c'è uno sfruttamento ben peggiore di quello della produzione di carne.
Gli animali destinati alla produzione di carne vengono allevati ed uccisi. Una cosa terribile. Quelli destinati alla produzione di latte, uova, lana vengono tenuti in vita per anni ed anni e sfruttati fino allo sfinimento. Cosa ancor più terribile. Sfruttati come macchine. Ma non sono macchine, sono esseri viventi. Ma non possiamo bere il latte di soia, di avena, di riso? E' buono uguale. Anzi, meglio.
Peraltro il latte vaccino fa malissimo, non è vero che fornisce calcio, al contrario, lo consuma.

InLeagueWithSeitan ha detto...

Questo intervento me lo tatuerei.
Bellissimo, mi inebrio di ogni parola, verso la fine sembra che tu mi legga nel pensiero sull'immutabilità della legge del dominio, che anch'io ogni santa volta denigro.
Alla gente gliela mettono così in testa attraverso qualsiasi mezzo di comunicazione, film, dicerie, proverbi la legge del "Kill or be meat" che alla fine ci crede davvero e si rassegna.
Ma questo non è il nostro caso!

Rita ha detto...

Grazie Elena,
troppo gentile.
Sei in assoluto la lettrice che mi dà più soddisfazione. ;-)
Eh sì, purtroppo la maggior parte delle persone ha questa idea del mondo che sia un ente astratto, immutabile, immodificabile, mentre esso diviene con noi. E la cosa triste è che chi si impegna per cambiare le cose viene tacciato di essere un sognatore utopista. Se c'è una cosa che non sopporto è il disfattismo, il dire "tanto le cose sono sempre andate così e non cambieranno mai".