mercoledì 15 agosto 2012

Di un piccione ferito, di un principe biondino e di una volpe



Fuori è una bella giornata e mi farebbe bene fare una passeggiata in una Roma deserta. Oh sì, specialmente in questa Roma deserta. Ma in questo periodo, oh sì, specialmente, in questo periodo, quando mi viene voglia di scrivere non posso rimandare, ho come una strana urgenza. E pazienza, la passeggiata aspetterà.
Non che i miei pensieri siano sempre meritevoli di essere condivisi, infatti, forse per la primissima volta in vita mia, senza finzione, posso dire di scrivere più per me che per gli altri. Se poi chi si troverà a passare di qui trovasse questi pensieri degni di approfondimento, beh, benvenuto.
A 14 anni mi hanno fatto leggere Il Piccolo Principe, in francese. Un testo semplice per imparare la lingua, adatto ai principianti (io ho frequentato il liceo linguistico) e per di più non banale, denso di riflessioni. O almeno questo è quanto mi si diceva all’epoca. A dire il vero a me Il Piccolo Principe non è che abbia mai fatto impazzire. O forse non è neanche del tutto vero. Non saprei, trovavo che fosse una bella storia, impreziosita da quei bei disegni, ma non un capolavoro. C’è che forse a 14 anni avevo già letti tanti classici e quindi le mie esigenze erano piuttosto alte. Non lo dico per vantarmene, ma è la verità. Quando hai letto Delitto e Castigo, hai letto tutto, pensavo. E, in effetti, continuo in parte a pensarlo ancora oggi. Comunque mi hanno sempre dato fastidio quei libri cult che piacciono a tutti, di quelli che le ragazzine regalano ai loro fidanzatini per far veder loro quanto sono sensibili e “strane”, e “pazze” ed “originali”: libri come Siddharta, per capirci. E Il Piccolo Principe, appunto. “Un concentrato di poesia”, “un libro cooosì poetico”. Mah. Certo, sono letture di formazione, adatte agli adolescenti. Eppure Grandi Speranze, Il giovane Holden, così come I turbamenti del giovane Törless sono romanzi che rimangono non privi di sorprese pure se letti in età più adulta, sono letture polisemantiche in cui, anzi, i dialoghi e le scene mutano il loro valore, spessore, significato a seconda della testa di chi legge. Il Piccolo Principe no. Non è uno di questi. Fatto sta che all’epoca pensavo di dover fingere che il libro di Saint-Exupéry mi piacesse perché sapevo che quello avrebbe dovuto essere il giudizio di una ragazzina come me, della mia età. E la cosa mi faceva sentire a disagio, un po’ perché fingere mi ha sempre fatto sentire a disagio, un po’ perché sforzarmi di provare certi sentimenti per aderire ad un concetto di “normalità” mi faceva sentire ancora più disattata, proprio come Mersault, il protagonista de Lo Straniero (questo sì che era un romanzo che mi era piaciuto davvero!), un po’ perché pensavo che in me ci fosse una mancanza, che fossi priva della capacità di commuovermi ed apprezzare le avventure del biondo principino. Ora non fraintendetemi, non è che non mi fosse simpatico, non è che non mi fosse piaciuto leggerlo, ma l’ho sempre trovato stucchevole, forzato, plasticosamente poetico.
Comunque poi lo rilessi negli anni a venire, più volte ed una l’ho persino regalato. Ero a corto di idee.
Vi sto parlando del principino biondo per via della famosa scena con la volpe. Quella che tutti amano e che tutti si commuovono a leggere perché parla del valore dell’amicizia.
L’altro giorno una ragazza l’ha citata su un blog e così mi è tornata in mente. E insieme uno strano fastidio. La verità è che quella scena è il trionfo dell’avarizia dell’empatia. La volpe dice al principe: “Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo.”.
Sorvolando sul termine “addomesticare” che, così come lo intende la volpe significa “creare dei legami”, è proprio il concetto di empatia e riconoscimento dell’altro in quanto individuo unico in virtù di un legame di amicizia e quindi limitato che mi lascia perplessa. Ora il messaggio metaforico è in fondo molto semplice e bello - appunto si riferisce all’amicizia e al tempo che richiede per conoscere l’altro, per fare in modo che da due individui si formi quel cosiddetto terzo elemento che non è la somma dell’uno e dell’altro, ma un qualcosa di più, di unico e possibile solo nell’incontro tra quelle due specifiche persone perché se al posto di una ce ne fosse stata un’altra non sarebbe stato la stessa cosa, ma un’altra ancora; e quindi è dell’unicità dell’individuo e insieme dell’amicizia tra due specifici individui che parla Saint-Exupéry - e forse non ha senso andare a scavare così a fondo, eppure quel “Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro” mi ha fatto inevitabilmente pensare all’amore che la gente prova per il proprio animale e per gli animali d’affezione in genere, mentre tutti gli altri rimangono invisibili. Conosco persone che si farebbero togliere un rene pur di curare il loro cane o gatto, ma che non si degnano di portare due croccantini ad un randagio palesemente in difficoltà. Per non parlare di tutti gli altri invisibili, quelli lontano dagli occhi, lontano dal cuore che sono rinchiusi nei macelli, negli allevamenti, negli stabulari, nelle gabbie dei circhi e degli zoo.
Questo concetto di empatia limitata ad un solo individuo - nello specifico quello con cui si instaura una relazione amicale o con cui è possibile intravederne gli sviluppi - a me non piace, trovo che sia di un’aridità infinita. Sì, è molto bello che la volpe poi impari a riconoscere le sfumature del biondo dei capelli del principino e a riconoscere i suoi passi e che trovi gioia in questo, nell’attenderlo, nell’unicità di questa relazione e che il principino impari a fare altrettanto, ma di tutto il resto delle volpi, dei bambini, di ogni “altro”, che ne è? Che ognuno dovrà arrangiarsi a trovarsi qualcun altro che l’addomestichi affinché diventi per lui unico al mondo? E quindi dovremmo vivere ognuno a comparti stagni sotto una campana di vetro con l’ossigeno limitato al soffio dell’uno sull’altro?
L’essenziale è invisibile agli occhi” dirà ancora la volpe. “È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”. Già.
Ma chi dedicherà del tempo a tutti gli invisibili del mondo? Essi dunque non conteranno mai niente perché nessuno si è mai soffermato ad osservare quella particolare scintilla di vita nei loro occhi? Non mi piace, non mi piace questo concetto espresso da Saint-Exupéry. È un invito a chiudere il cerchio dell’empatia, un invito a considerare solo colui con cui si instaura una relazione di tipo affettivo, un invito a considerare il bisogno che l’uno ha dell’altro come presupposto fondante dell’amicizia o dell’amore. “Se tu mi addomestichi... io sarò per te unica al mondo.” dice la volpe. E invece no.
Non c’è alcun bisogno di “addomesticare” per poter riconoscere l’altro come unico al mondo. Unico è ogni singolo individuo, animale, uomo che pure non incrocierà mai il nostro sguardo.
Pensateci cari signori e signore che amate tanto il vostro cagnolino, ma che non degnate nemmeno di uno sguardo l’ennesimo piccione trovato ferito sul ciglio di un marciapiede. Io non ho mai addomesticato quel piccione, eppure gli ho dedicato il mio tempo. E ora non è più unico di altri. Sono anche tutti gli altri ad essere sempre stati unici. 
Ed è per questo che ho potuto vederlo mentre continuava a restare invisibile al resto del mondo.
 

12 commenti:

Maura ha detto...

Ciao cara Rita.
Ti leggevo già ieri, ma non sono riuscita a commentarti prima d'ora.
Sai, anche se vivo sola (come umano, ma circondata da varie specie animali:))sono una persona estremamente estroversa, attenta alle necessità altrui fino all'eccesso.
Capisco molto bene l'argomento che tratti, soprattutto oggi...
L'ennesima storia di atrocità compiuta ai danni di un povero cane vecchio ed ammalato lasciato morire solo, abbandonato dai padroni partiti per le vacanze.
Quello che però mi ha fatto ancor più male è stato leggere che i condomini erano spettatori consapevoli e orrendamente silenti della tragedia che si stava compiendo!
Fatto sta che hanno evidenziato il maltrattamento fuori tempo massimo, IPOCRITI!
Ma io dico, dove stava la loro coscienza fino a ieri?
Già, non era il loro di cane e quindi perchè guardare in faccia la realtà?
Molto più semplice girarsi dall'altra parte che occhio non vede, cuore non duole!
IPOCRITI!
Sempre più spesso noto come il mondo sia pieno di persone come queste, tutte prese a curare il loro bell'orticello, incapaci di vedere al di là del proprio naso.
Non auguro il male a nessuno, solo (e a chiunque)di raccogliere ciò che è stato seminato!

Buona serata!

Rita ha detto...

Cara Maura,
che storia triste... non ho parole, guarda.
L'atteggiamento di chi si cura solo del proprio cane (o gatto o altro), ma si volta dall'altra parte di fronte alla palese sofferenza di altri esseri è quello che depreco maggiormente.
Purtroppo mi capita spesso di constatare questo tipo di indifferenza, menefreghismo, ipocrisia. Pensa che alcune estati fa trovammo un gattino semi-morente all'angolo di una strada. Subito io e il mio compagno gli portammo acqua e cibo e poi lo prendemmo e portammo dal veterinario (ma purtroppo non ce la fece, era ridotto troppo male). Mentre stavamo lì col trasportino per prenderlo passarono alcune persone di quel quartiere e un paio ebbero pure il coraggio di dire: "ah, sì, poverino, era da giorni che stava lì". Ma come, tu vedi da giorni un gatto che sta male, che non si muove, che ha sete e fame e non fai niente??? Ma come si fa? Infatti io a queste persone manco rispondo, come non rispondo a quelle che mi dicono: "ah, brava, meno male che ci pensa lei". Ma perché, tu non potevi pensarci???
Uh... lasciare stare guarda.
Povero cane questo di cui mi racconti... le persone che non l'hanno soccorso in tempo andrebbero tutte denunciate.

Buona serata a te, e ai tuoi animaletti, che non ti deludono mai. Io pure sono qui circondata da un po' di gatti. ;-)

D. ha detto...

Sarò ripetitivo, ma per me l'unica salvezza per gli animali innocenti sarebbe una bella estinzione totale di tutti primati; le povere scimmie che non hanno colpe accetterebbero il sacrificio ben volentieri alla sola idea di poter diventare come noi e ricreare 'sto tumore nel giro di qualche millennio...

Rita ha detto...

D., ma tanto che tu lo pensi o no, questo non cambierà le cose.
Nell'attesa di un'estinzione della nostra specie - che forse avverrà pure, in fondo tante specie si estinguono nel corso del tempo e visto i danni che siamo in grado di fare può essere benissimo che questi ci si ritorcano contro - nel frattempo io mi batto per salvare il salvabile e cercare di cambiare le cose. Sarò utopica? Probabile. Ma sempre meglio che essere rassegnati.
Va bene lamentarsi, però poi bisogna agire.
Le povere scimmie comunque le salverei, può essere che riescano a realizzare un mondo come quello del pianeta delle scimmie. ;-)

Sara ha detto...

Quel libro non mi è piaciuto, più che altro per il buonismo in cui mi è stato incartato alle medie.
Poi si capiscono i risultati di quell'educazione, alla luce anche dell'indifferenza che tu racconti.

Rita ha detto...

Infatti Sara, esattamente. Anche a me ha sempre dato fastidio quell'alone di buonismo e sentimentalismo da cui era accompagnato. E rileggendola, da adulta, mi accorgo di quanto avessi ragione.

Volpina ha detto...

Giusto ieri avevo detto ad un caro amico che la gente non sa il vero significato della parola "amore" e la cosa mi fa arrabbiare...
Il piccolo principe mi piace parecchio, è uno di quei libri che sento il bisogno di leggere 4-5 volte l'anno, perchè ogni volta mi rispolvera dei concetti meravigliosi.
E' ovvio che se letto nell'ottica specista di una persona che ama il suo cagnolino solo "perchè suo" o ama le sue piante solo "perchè sue", il libro perde di forza.
Secondo me è vero che le cose per il quale perdiamo tempo diventano molto più importanti per noi, ma non vuol dire che le vite degli altri valgano meno.
Credo che l'essenziale sia davvero invisibile agli occhi, non si vede bene che col cuore. Infatti se la gente aprisse di più il cuore, e si guardasse dentro, capirebbe che l'amore, quello vero, non lo avevano mai provato.
Quale amore più grande che permettere agli altri di vivere, degnamente? Quale forza più grande del vero amore che permette la libertà?

Delitto e castigo l'ho letto, pesantuccio, ma l'ho letto alle medie, e si sa, alle medie si fa fatica ad apprezzare certe cose.
Devo ripescarlo.

Rita ha detto...

Ciao Volpina,
secondo me il vero problema de Il piccolo principe è che appunto viene banalizzato. Devi ammettere che però è un tipo di lettura che offre contenuti che si prestano ad essere banalizzati. Sono sicura che tu lo leggi nella maniera più profonda possibile, ma la maniera in cui invece viene decodificato spesso lascia a desiderare. Oltre ad offrire il fianco alle critiche che io ho mosso.
Delitto e Castigo non è pesante, è denso, è ricco di temi, certamente va letto con attenzione e spirito giusto. Io ti consiglio di riprenderlo in mano. E' uno di quei testi che periodicamente vanno ripresi perché ogni volta permette l'affiorare di certe sfumature e significati. Una lettura appunto polisemica. Magari procurati un'edizione moderna, io ne ho alcune vecchissime con traduzioni piene di termini ormai desueti che di certo non aiutano la scorrevolezza della lettura. C'è anche tanta azione, per dire. Tutta la prima parte è azione febbrile.

Dany ha detto...

Anche a me, il piccolo principe piace, la penso come la signorina volpina...
però ti dico la verità, non avevo mai interpretato il discorso della volpe nel modo in cui l'hai fatto tu. Semplicemente non ci avevo mai pensato. E letto nel tuo modo, beh...si, non è un concetto bellissimo, ma non credo che la tua lettura sia quella che voleva dare l'autore, credo davvero che lui volesse esprimere dei concetti (seppur a volte banali e ormai triti e ritriti) nel modo più semplice e accessibile possibile

Un bacio

Rita ha detto...

Ciao Dany,
come stai? E' un po' che non ti sento, spero tutto bene.

Sì, sicuramente Saint-Exupery voleva semplicemente parlare del valore dell'unicità dell'amicizia, però i romanzi sfuggono sempre al controllo delle intenzioni dell'autore e quindi si rende lecita ogni altra possibile lettura e decodificazione. Altrimenti poi i critici di cosa scrivono? :-D

Volpina ha detto...

Mi ricordo di aver avuto ansia io per il protagonista... XD sto maledetto... le cose vanno sempre fatte bene o non si fanno!

Rita ha detto...

Le azioni hanno conseguenze. Conseguenze che a volte sfuggono di mano. Quindi prima di compiere qualcosa di definitivo e risolutivo come togliere la vita a qualcuno (pure se nel caso di Delitto e Castigo questo qualcuno rappresenta un parassita della società e quindi razionalmente pianificare la sua morte sembra che non causi una grossa perdita), bisogna pensarci bene. :-D