lunedì 1 ottobre 2012

Reality di Matteo Garrone: finzione della realtà o realtà della finzione?

Dreams are my Reality”, faceva un noto motivetto di un noto film adolescenziale degli anni ottanta, ed è esattamente un lungo sogno – o una lunga favola – quello che vive Luciano, il protagonista dell’ultimo film di Matteo Garrone (presentato a Cannes 2012 e vincitore del Gran Premio della Giuria, attualmente nelle sale italiane).

11 commenti:

Unknown ha detto...

una recensione non banale e completa, decisamente sul pezzo. Io dico che reality e realtà hanno varcato il reciproco confine. Ci comportiamo, ci vestiamo, parliamo secondo uno spartito, quello prodotto dai media, come fossimo costantemente sotto telecamere... ogni coppia di occhi che incontriamo.

bla78 ha detto...

Che cosa vi aspettate dalla nuova puntata di "The Apprentice" stasera?

Rita ha detto...

Grazie Giorgia.
In realtà - siamo - costantemente sotto le telecamere, che siano quelle poste sul bancomat in cui andiamo a prelevare, o quelle del supermercato o della metro; per non parlare della facilità con cui mettiamo in rete i nostri dati. Insomma, mi pare che il Grande Fratello si sia realizzato, solo che mentre nel romanzo di Orwell c'era un regime oppressivo che obbligava le persone ad essere costantemente osservate, ora ci esponiamo spontaneamente, traendone piacere, e anzi, se non lo facciamo, ci sentiamo tagliati fuori dal mondo.
Nel film di Garrone c'è anche questo aspetto, anzi, forse l'unico che emerge forse con chiarezza dalla visione.

Rita ha detto...

@ bla78

Io non guardo la tv da tre o quattro anni almeno, non per snobismo, ma perché non mi piace proprio. Quel tempo lì, lo impiego facendo altro, ho altri tipi di interessi. Non giudico chi la guarda, ognuno alla fine è libero di impiegare il proprio tempo come crede, ma mentirei se dicessi che ho una buona opinione di chi si perde dietro a certi programmi. Non ho nemmeno il digitale terrestre, sullo schermo guardo solo dvd. Ovviamente sono informata sui vari programmi che circolano perché ho curiosità di sapere qual è la realtà - anche televisiva - che mi circonda e poi basta entrare nella pagina di qualsiasi quotidiano online per sapere cosa ha successo e cosa no.
Briatore poi sinceramente non è proprio il mio punto di riferimento, anzi, riassume un po' tutto ciò che definisco volgare nel mondo.

Ady ha detto...

ho una tale voglia di andarlo a vedere...baci ady

Rita ha detto...

Ciao Ady, a me di Garrone sono piaciuti molto L'Imbalsamatore e Primo Amore, questo qui l'ho trovato un po' superficiale, mi aspettavo di meglio. Però è piaciuto quasi a tutti, quindi magari sono io troppo esigente.
Fammi sapere.
Baci.

Antonio ha detto...

Non sono pienamente d'accordo con la tua recensione! Anche io ho preferito altri film di Garrone. Ma Reality l'ho trovato comunque buono! In particolare mi è sembrata efficace la regia, che mette continuamente a raffronto realtà e rappresentazione. Il primo piano sequenza sembra farci scivolare nella favola, ma subito ci accorgiamo che della favola c'è solo l'apparenza (nella villa si festeggiano più matrimoni, in serie, stessa scenografia, stessa favola). L'eroe de GF, Enzo, è un fantoccio che ripete ossessivamente lo stesso leitmotiv, con lo stesso identico sorriso stampato in faccia. Agli sfarzosi (in vero un pò kitsch) abiti fa da contraltare un mesto ritorno a casa con svestizione. Insomma la realtà è sempre diversa da quel che appare. La realtà è triste, vuota, amara, povera di soddisfazioni. Nella realtà il giudizio degli altri ci condiziona, ci sentiamo inadeguati, criticati. E vorremmo essere stimati, amati. Condizionato dalle pressioni, aspettative e speranze dei familiari, il protagonista cade nella trappola dell'apparenza, scivola nel buco nero dell'ossessione mediatica. Fa ciò che fa perchè si sente osservato e giudicato dal GF. Tra ciò che è giusto fare (la realtà, la verità delle proprie scelte e comportamenti) e ciò che si fa in vista di un premio (una rappresentazione di sè che non coincide con il proprio autentico sè)si apre un abisso. In fondo non è il rapporto di tanti con la religione e con Dio? Una religione dominata dal rito e dalla rappresentazione. Queste riflessioni (forse non originalissime, ma importanti ed utili)ed altre ancora che il film suggerisce, sono condotte, a mio parere, senza didascalismi e con la sola forza delle immagini e del montaggio.Il finale, poi, che a qualcuno può sembrare debole, per me è giusto. Ambiguo,sospeso tra realtà e sogno, in verità certifica il dissolvimento del protagonista, il suo farsi fantasma (nessuno riesce a vederlo, nessuno lo giudica), ma per questo non più uomo (l'io esiste nella certezza dell'altrui riconoscimento). Anonimo inquilino di una casa come tante, inquadrate tutte dall'alto, dallo sguardo demiurgico del Regista, Signore e Padrone della fiction a cui abbiamo assistito, che svela come anche il realismo, ad altezza d'uomo, del film non sia altro che rappresentazione, finzione con attori e set. Qualche difetto mi sembra possa essere scovato nello script, talvolta ripetitivo, altre volte un pò scontato da un punto di vista narrativo. Non mi sembra poi tanto superficiale. Altro aspetto: la regia di Garrone sceglie di stare dalla parte del protagonista, perchè tutti siamo o possiamo trovarci in quella situazione. Sono d'accordo. Non nel senso che tutti vorremmo entrare in TV, la TV è solo un pretesto narrativo. Tutti corriamo il rischio di trasformare i nostri sogni (quanto, poi siano nostri e quanto indotti da famiglia, amici, contesto culturale e sociale è tema da discutere ed affrontare)in ossessioni divoranti e distruttive. Per questo per me è un bel film. Certo, poi, è possibile sostenere che le atmosfere malsane e disturbanti dell'Imbalsamatore e Primo Amore fossero più sorprendenti ed originali. Forse tale giudizio non è sbagliato, ma non annulla certo il valore dell'ultima fatica del regista romano.

Rita ha detto...

Antonio, grazie per il tuo bel commento e la tua raffinata analisi, che in parte condivido.
Mi rimane però l'impressione che queste riflessioni scaturiscano più dalla capacità di elaborazione dello spettatore, nello specifico la tua, che non dalle immagini vere e proprie.
Allora mi viene in mente la famosa scena di Io e Annie di Allen, quella in cui sono in fila per entrare al cinema e c'è persino McLuhan che fa un cameo (sicuramente sai di cosa sto parlando). Quanto è nel film e quanto fa parte del nostro patrimonio ed orizzonte interpretativo? Quando ci apprestiamo a decodificare un'immagine ci portiamo sempre dietro la peculiarità del nostro bagaglio di conoscenze, un bagaglio imprenscindibile, impossibile da dismettere.
Una scena funziona quando, pur a digiuno di certe tematiche, ti dice qualche cosa e te la indica magari per la prima volta. Se certe riflessioni sono già dentro di te, allora invece è più facile che riesci ad estrapolarle anche se nel film sono appena accennate.
Quel che ho detto di Reality: ricchissimo di spunti e letture, ma estrapolabili solo grazie ad un'operazione di analisi semantica, non immediatamente intuibili e nemmeno dirette.
Ti faccio un esempio: prendi la scena del famoso lancio dell'osso in aria che poi si trasforma in una navicella spaziale in "2001:odissea nello spazio"; ebbene, quella è una scena che in maniera diretta ed immediata ti dice tutto, ti racconta una storia, anzi, la Storia. Non ha bisogno di elucubrazioni, di elaborazioni ed analisi semantiche per essere compresa. E' un'immagine che parla. E certo, il regista si chiama, non per caso, Kubrick.

Tutte le letture, per carità, legittime ed interessantissime che tu fai di Reality invece sono tue, interessantissime, per carità, elucubrazioni.

(continua)

Rita ha detto...

(segue da commento precedente)

Ad esempio prendiamo le scene in chiesa e sulla religione che, per analogia con l'occhio del Grande Fratello, potrebbero rimandare all'occhio onniscente di un Dio che ci guarda, giudica ecc..
A me questa lettura sembra legittima, mi sembra che possa starci, no? Quindi penso alla necessità che tutti abbiamo, per poter essere, dell'occhio dell'altro che ci guarda perché, se nessuno ci osserva, forse non esistiamo nemmeno. Mi sembra un discorso interessante, un discorso che nobilita il significato del film. Il punto è che quel discorso nel film invece manco c'era (e ora ti spiego perché, ma stava tutto nella mia testa; e, come ho scritto nella recensione, se un film me lo devo costruire io nella mia testa, allora il regista un po' ha fallito).
In conferenza stampa, per l'appunto, ho domandato a Garrone conferma di questa analogia tra occhio del Grande Fratello e occhio di Dio. Poco ci è mancato che mi guardasse come se fossi una deficiente, praticamente lasciandomi intendere che lui non ci aveva nemmeno pensato a questa cosa, ma che se lo spettatore poi ci vuol vedere un discorso del genere, e beh, libero di pensarla come vuole (ha detto "poi starà al singolo spettatore vederci quello che gli pare a lui". Mica tanto, l'arte e l'estetica hanno anche una validità oggettiva, altrimenti tutto diventa predicabile ed io posso dire che Natale in India è un capolavoro perché magari mi ci faccio un trip mentale... per dire). In particolare mi ha risposto dicendo che nella storia realmente documentata il personaggio ha un fratello credente e per questo ha pensato di sfruttare ironicamente il discorso della fede. Questo aneddoto, in sé magari anche insignificante e che certo non toglie valore al film, dimostra però come a volte nelle intenzioni di un regista manco ci sono certi discorsi e letture, ma siano noi spettatori ad attribuirle a posteriori. Per carità, l'arte è anche questo, ma fino ad un certo punto, altrimenti, torno a ripetere, tutto diventa predicabile.

Poi ecco, in alcune parti l'ho trovato anche un po' noiosetto. Ha giocato un po' troppo con certi cliché, con il kitsch.
Registicamente ineccepibile, girato benissimo, per carità. Ma non mi ha convinta.

Comunque grazie ancora per il tuo interessantissimo commento, mi piace confrontarmi così. E mi sa anche che sono una voce un po' fuori dal coro perché leggo recensioni entusiastiche.

Penso anche che se questo film l'avessi visto una decina di anni fa, quando mi basavo molto di più sul significato e sull'analisi a posteriori, l'avrei apprezzato enormemente di più.
Oggi invece bado di più alla capacità dell'immagine di comunicarmi con assoluta immediatezza, mi soffermo meno sulla sceneggiatura, più sull'emozione pura di ogni singola scena e sul suo potere evocativo.
Reality mi ha trasmesso poco nell'immediatezza della visione, ecco, forse così riesco a farmi capire meglio, e tutto quel che di interessante può avere sono dovuta andare a cercarlo riflettendoci a posteriori. E i film così mi piacciono sempre meno.
Adoro le suggestioni, l'immagine forte.
Ecco, penso a Pietà: sceneggiatura debole, pecca di automatismo, eppure sconvolgente ed immediato nel suo simbolismo, nel raccontare l'abbrutimento del denaro.

Giorgio Cara ha detto...

Toglimi una curiosità: visto il tuo noto impegno in favore dei mici ed altri animaletti, avresti recensito il film in maniera diversa se il regista fosse stato Gatteo Marrone? :-)

Rita ha detto...

@ Giorgio Cara

:-D

Mi sforzo sempre di essere il più obiettiva possibile, a prescindere da come si chiami il regista. ;-)

(certo che uno che eventualmente si chiamasse Gatt(e)o, beh, un pochino partirebbe avvantaggiato). :-D