lunedì 8 ottobre 2012

Violenza verbale e violenza effettiva


Pubblicato anche su Asinus Novus.

Vorrei chiarire la mia posizione sulla violenza verbale talvolta manifestata da alcuni animalisti nei confronti di chi sfrutta e uccide gli animali, così come sulle varie espressioni di giubilo spesso intonate alla notizia di cacciatori che si sono sparati tra di loro, toreri incornati, macellai cui è partito un dito mentre affettavano un maiale e così via. 
Dunque, cercherò di essere il più chiara possibile, sperando di non essere fraintesa. 
Penso che definire un animalista verbalmente violento solo perché a sua volta accusa un macellaio o un vivisettore di essere appunto un violento, un aguzzino ecc. sia, quanto meno, paradossale. Voglio dire, per quanto nella nostra cultura e società la violenza dello sfruttamento animale sia normalizzata ed accettata, rimossa e negata, credo che l'atto dello sgozzare un maiale o del provocare stress sui topi nei laboratori tramite scariche elettriche sia, e rimanga, inconfutabilmente, quale sia la maniera in cui lo si voglia vedere, un atto violento. Mi rendo conto che dal singolo consumatore (che brutta questa parola, "consumatore", ma tant'è) tale violenza non venga affatto percepita o venga considerata tutt'al più "necessaria", "utile" per una serie di ragioni legate ad un massiccio condizionamento culturale sul quale sarebbe ozioso dilungarmi al momento, ma, tuttavia, l'atto di uccidere, schiavizzare, sfruttare miliardi di esseri viventi rimane un atto indiscutibilmente violento. Mi rendo conto tuttavia che esistono toni e toni e che stigmatizzare una violenza effettiva tramite una violenza verbale è altrettanto paradossale del macellaio che accusa l'animalista di essere violento: si tratta di due tipi di violenza, quella effettiva certamente peggiore di quella verbale - la quale, quest'ultima, potrebbe pure essere definita "difensiva", in quanto interviene per denunciare la prima - ma rimane pur tuttavia un esercizio gratuito; inoltre dare dell'assassino ad un mangiatore di bistecche non solo indispone immediatamente l'interlocutore inducendolo a mettersi sulla difensiva anziché invitarlo all'ascolto, ma è anche del tutto inutile e fuorviante ai fini della liberazione animale. Urlare e sfogarsi contro chi sfrutta gli animali rimane, nel novantanove per cento dei casi, l'urlo inascoltato di un ego esasperato ed inacidito. Io capisco la rabbia, la frustrazione che scaturiscono dalla consapevolezza dell'orrore dello sfruttamento animale e quindi l'inevitabile reazione di pancia che spesso porta gli animalisti ad inveire contro gli aguzzini, ma sono altresì consapevole che non saranno gli insulti e le offese a liberare gli animali. A volte su Facebook vedo girare drammatiche foto di animali morti, fatti a brandelli, insanguinati e giù a seguire una sequela di insulti diretti agli esecutori di tale scempio: "maledetti assassini", "mi auguro che tu crepi", "ti farei questo e quell'altro". 
Ora, ripeto, inutilità a parte di questi sfoghi di rabbia - che appunto tali sono, sfoghi, per l'appunto - mi pare evidente che NON è in questo modo che si faranno progressi nella liberazione animale. Non è augurando la morte a tizio e caio che verrà decostruita la cultura dello sfruttamento animale.
Mille volte più costruttivo, anziché distruggere verbalmente l'altro, è rispondere - anche in maniera decisa, chi dice che dobbiamo essere agnellini? Io no di certo! - mettendo in evidenza le falle del ragionamento di chi sostiene lo sfruttamento animale o vorrebbe negare l'evidenza della sofferenza degli animali. 
Se io comincio a dare dell'assassino a tizio perché mangia la carne, tizio mi replicherà a sua volta dicendomi, nella migliore delle ipotesi, che sono esagerata, oppure insultandomi per tutta risposta. Nel frattempo gli animali continueranno a morire dentro gli allevamenti e nei macelli e di certo non si sentiranno sollevati nel sapere che c'è qualcuno che si è preso la briga di dare dell'assassino ai suoi aguzzini.
Allo stesso modo, augurarsi la morte del cacciatore, del pellicciaio e del torero, non è molto costruttivo, anche perché, morto uno, avanti il prossimo. Voglio dire, non si tratta della cattiveria di un singolo soggetto isolato per cui conviene augurarsi che si tolga dalle scatole il prima possibile, ma della follia di un sistema in cui il fatto che miliardi di esseri viventi vengano ridotti a meno di cose, imprigionati, sfruttati fino allo sfinimento ed uccisi è considerato "normale" e perfettamente "naturale". E il sistema non lo si combatte a forza di accettate verbali contro i singoli, ma smantellando dall'interno quei meccanismi culturali, sociali, economici e politici che ne permettono il mantenimento.
Se la scuola non funziona, per dire, non vado a prendermela col singolo insegnante, ma cerco di analizzare e capire le falle del sistema. Se la sanità fa schifo, non me la prendo col singolo medico, ma sempre con il sistema che ha permesso la degenerazione di determinati servizi sociali. Certamente anche il singolo è responsabile perché poi il sistema è fatto di singoli, ma è al tempo stesso vittima di una terza entità che è l'ingranaggio culturale nel suo complesso e dal quale è difficile, ossia rimanendone compresi all'interno, auto-osservarsi con capacità critica. 
Quindi, che un cacciatore o un macellaio sia morto o meno e che si esulti o meno per la sua dipartita dal mondo, non sposterà di una virgola il sistema sfruttamento animale perché tanto, il posto di chi è anch'egli carne da macello, seppure questa volta simbolica, sarà comunque rimpiazzato dalla prossima risorsa rinnovabile del sistema forza lavoro, non diversamente dagli animali che ha ucciso. 
La società dello sfruttamento del vivente è un tritacarne in cui vittima ed aguzzino finiscono per perire insieme. E se non si capisce questo allora non si è compreso nulla dell'antispecismo.
Odiare la specie umana, i propri simili, è un atteggiamento di immaturo solipsismo. Di totale chiusura. Un atteggiamento che nuoce profondamente alla liberazione animale. 
Attenzione, questo non significa però che automaticamente dovrei considerare alla stessa stregua la tragedia dello sfruttamento animale con il singolo caso del cacciatore che è rimasto ferito da un suo collega durante una battuta di caccia. C'è un distinguo da fare e a me pare dettato dal semplice buon senso: gli animali indifesi che si trovano a vivere una non-vita dentro un allevamento con destinazione finale al macello di certo non hanno alcuna colpa della loro condizione. Si sono trovati a nascere dentro una gabbia, non hanno avuto scelta, la loro orrenda sorte è stata segnata sin dall'inizio. E questa è indubbiamente una tragedia. Il cacciatore invece sceglie consapevolmente di girare per i boschi con un fucile carico. È responsabile delle proprie azioni e degli effetti che potrebbero derivarne. Quindi, permettetemi di dire che il suo "incidente" mi colpisce meno della sofferenza di un animale che viene torturato nei laboratori. Ma questo non perché, si badi bene, io ami gli animali più degli uomini, o sia misantropa, o faccia un distinguo tra valore della vita di un topo e valore della vita di un cacciatore, ma semplicemente perché lo sanno pure i bambini che chi gioca col fuoco finisce col bruciarsi e che a volte è perfettamente normale che le vittime si ribellino e finiscano con l'avere la meglio sul proprio aguzzino. La prendo quindi, questa volta sì, come una legge di natura. Non sempre i predatori hanno la meglio, a volte la preda ce la fa a scappare o a ribellarsi. Il cacciatore è un predatore artificiale (e non avrebbe necessità di esser tale), se diviene preda per sbaglio, per incidente, per puro caso, lo metto nel conto degli effetti derivabili dalla sua infelice scelta. Ci sono casi di felini che hanno aggredito il domatore, di orche che hanno tirato sott'acqua il loro addestratore, ma anche casi di ferimenti riportati in seguito a contatti ravvicinati con animali che, causa il loro lungo stato di detenzione e maltrattamento, hanno reagito in maniera aggressiva verso gli inservienti.
Voglio dire, se io tengo una tigre chiusa dentro una gabbia è ovvio che quella prima o poi, stanca di essere tenuta prigioniera, si innervosisce; se poi un bel giorno riesce ad addentarmi un braccio, ebbè, ma di chi è la colpa? Della tigre o mia che la tenevo rinchiusa? 
Quindi, ricapitolando, premesso che chi sfrutta direttamente ed uccide direttamente gli animali, ma anche chi partecipa - silente o meno, consapevole o meno - di questo sistema di sfruttamento, esercita comunque violenza; premesso che però la questione dello sfruttamento animale non si risolve meramente accusando l'altro di essere violento con maniere verbalmente aggressive; premesso che ogni vita persa - pure quella del cacciatore, del macellaio, del torero - è sempre una vita persa, a doppio titolo: persa perché estinta, persa nel senso di aver perso un'occasione per comprendere cosa sia il rispetto dell'altro; premesso altresì che essere antispecisti significa lottare per scardinare questo sistema e non per distruggere l'altro - a parole o nei fatti - ché la visione dicotomica di un'umanità divisa in buoni e cattivi la lascio volentieri  a certi americani, ai veterotestamentari, a chi crede nella tentazione del diavolo e a chi ha una maniera davvero semplicistica e riduttiva di vedere la realtà, non comprendendo la complessità del tutto; premesso questo e forse anche altro che sicuramente mi sono scordata di dire, chi accusa gli animalisti di essere violenti, a volte si dimentica - o non comprende - che esiste una violenza effettiva, che è altrove, negli atti, più che nelle parole e questo continua a rimanere per me abbastanza paradossale. Ciò detto, non giustifico chi inneggia a mandare a morte il macellaio, il vivisettore, il pellicciaio ecc.; inneggio invece ad un mondo liberato dall'oppressione e voglio liberarlo costruttivamente, non trasformandomi a mia volta in un boia. 

13 commenti:

Ady ha detto...

hai ragione, ma certe manifestazioni di "non violenza", sono davvero al limite...volevo invitarti a conoscere un nuovo blog h2ofashionadded.blogspot.com, averi così il rpivilegio di conoscere la tua opinione, baci ady

Chumani ha detto...

Questo tuo post mi piace molto, come gli altri del resto; apprezzo in particolare la chiarezza delle cose che scrivi e il fatto di non aggredire verbalmente coloro che magari consideri degli esseri meschini.
I tuoi articoli mi insegnano molte cose, sai come sono sensibile alla detenzione degli animali e quanto detesti la caccia: forse ho esultato anche io quando capita che si sparino a vicenda; ma sono fermamente convinta che la conoscenza sia la migliore arma contro le crudeltà a gli animali e a tutta la violenza
e l'ignoranza che li circonda.
Grazie per le informazione che mi dai.
Un caro saluto:))!!

Rita ha detto...

Grazie Keiko, mi fa piacere che apprezzi le mie riflessioni.

Certo che le reazioni di pancia esistono e che impulsivamente quando si sente o si legge di un torero incornato o di un cacciatore che si è beccato una pallottola viene da dire "ben ti sta", ma, poi, ragionando, rimango anche io fermamente convinta, come te, che la conoscenza e l'informazione e l'attivismo nonviolento siano i metodi migliori per combattere lo sfruttamento e violenza sugli animali. Il che non vuol dire porgere l'altra guancia o essere necessariamente pacifisti passivi, ma nemmeno aggredire o insultare l'altro.
Un caro saluto a te. :-)

Alessandro Cassano ha detto...

Sinceramente, quando un cacciatore muore impallinato sorrido. Lo stesso varrebbe se un macellaio si amputasse un braccio per sbaglio.
Non mi ritengo un boia, tantomeno un violento.
Non considero chi ci ha liberati dall'oppressione nazista un assassino, sia per la posta in palio sia per il fatto che ci sono lotte nelle quali la diplomazia si rivela un'arma a salve.
Siamo - in quanto esseri umani - complici di un vero e proprio olocausto. Qui si parla di esseri senzienti sgozzati, torturati, scuoiati vivi. Si potrà discutere in eterno dell'efficacia o meno di questo o quel tono. La verità è che non trovo esagerato nemmeno il parteggiare per l'estinzione dell'uomo in quanto cancro per la Terra.

Riccardo ha detto...

ciao Rita, concordo in tutto. Spero solo che chi odia gli esseri umani al punto da rallegrarsi della loro morte sia in grado di trovare un momento di lucidità per capire quello che hai scritto.

Tra l'altro distinguerei pure le proteste il cui unico fine è insultare lo sfruttatore di turno (tipico il caso dei presidi contro i circhi che si risolvono in un lancio di insulti ai circensi) e le proteste più intelligenti volte ad ottenere risultati concreti mettendo in evidenza le colpe del singolo sfruttatore, come questa azione di nemesi animale: http://www.nemesianimale.net/2012/07/una-risposta-pubblica-e-visibile-alle-menzogne-dei-vivisettori/

Rita ha detto...

@ Alessandro

Io non voglio discutere sulle reazioni emotive, che, come tali, pertengono al singolo. Ma proprio sull'efficacia del metodo della violenza verbale ai fini della lotta contro lo sfruttamento animale ed anche sul circolo vizioso della violenza (pure se in un caso è effettiva, quindi ben più grave, come ho detto, in un altro verbale) dal quale sembra che non si possa o voglia uscire.
Il paragone con lo sterminio degli Ebrei da parte dei Nazisti, per quanto io stessa l'abbia fatto più volte, lo trovo però inadatto a spiegare e comprendere lo sfruttamento degli animali. Mi spiego meglio: lì si parlava di un gruppo - i Nazisti - che hanno imprigionato, schiavizzato, ucciso migliaia di persone. Ma i Nazisti erano pur sempre una minoranza. Qui invece si tratta del 99 per cento della popolazione. Lo sfruttamento degli animali comincia dai vertici della finanza mondiale, delle multinazionali ecc. per finire col singolo consumatore. Che facciamo, uccidiamo tutti quelli che mangiano la carne o vanno a caccia? Capisci che c'è qualcosa di più profondo che va smantellato - il sistema appunto, che è ben diverso dal caso isolato del terzo Reich - e che augurarsi la morte del singolo o sorridere quando muore (reazione emotiva a parte) non conduce da nessuna parte?
E' diritto incontestabile di ognuno di piangere o gioire delle morti di chi gli pare a lui. Ma inneggiare alla morte, augurare la pena di morte (occhio per occhi, dente per dente, in puro stile veterotestamentario), visto che magari in altri momenti ci si dichiara contrari alla pena di morte istituzionalizzata, non mi pare un atteggiamento costruttivo o che serva granché. Lo vedo come uno sfogo fine a sé stesso.

Poi, per carità, che sia un atto un vero e proprio olocausto animale l'ho detto sin dall'inizio, su questo blog, e continuerò ad urlarlo finché avrò fiato nei polmoni.
Ricordati però che mangiatore di animali sei stato anche tu, siamo stati tutti a nostro tempo carnefici.

E comunque per violenza verbale non intendo il gioire intimamente per la morte di un cacciatore, ma proprio l'augurare esplicitamente la morte, inneggiare a compiere questo o quel gesto di rivalsa.
C'è gente su FB che a me sinceramente fa paura, inneggia proprio all'odio, alla violenza fisica contro quello o quell'altro. Non è antispecismo questo. E' solo autentico furore distruttivo.

Rita ha detto...

@ Riccardo

Esatto, nemmeno a me piacciono le proteste in cui l'animalista di turno si riduce a fare buuuuuuu al circense o botticellaro di turno, o alla singola signora impellicciata.

Per dire, un conto è mettersi davanti ad un negozio di pellicce e distribuire volantini informativi sull'orrore che si nasconde dietro tale commercio, un altro è entrare dentro al negozio e prendere ad insultare la commerciante. Il primo è un attivismo che paga, che ha il suo scopo, quello appunto di informare, protestare, posso ammettere anche i toni fermi, decisi, il secondo è fine a sé stesso, un circolo chiuso in cui i due tipi di violenza, effettiva e verbale, si reiterano e propagano senza sosta.
Poi alle manifestazioni può scappare anche a me un "basta assassini", ma nell'ambito di una protesta ben articolata in cui il tutto assume un suo senso. Lì c'è un gruppo compatto, i manifestanti, che stanno scuotendo l'opinione pubblica (o che mirano a farlo e magari certi toni possono essere efficaci proprio per scuotere, ma inneggiare alla morte del singolo è tutt'altra storia).

E poi appunto non si può dichiararsi antispecisti ed odiare la propria specie. Pure io sono molto critica nei confronti degli esseri umani, sono poche le persone che mi vanno a genio, trovo che la maggior parte delle persone non sappia fare un buon uso della propria intelligenza, ma provo anche compassione, empatia, voglia di aiutare questo mio prossimo a divenire consapevole, così come a sua volta qualcuno ha aiutato me a divenirlo, a suo tempo.
Certo, se un vivisettore convinto - come è successo di recente - continua a dirmi che lui praticherebbe il bene, che la sofferenza degli animali è utile ecc., allora posso rispondere per le rime; così come anche quando quelli ad essere insultati siamo noi antispecisti (e succede spesso).
Cioè, voglio dire, se uno viene a dare della nazista a me perché nella sua visione distorta delle cose sarei così cattiva da volerlo privare della fettina di carte, allora gli ricordo ben volentieri che quello che difende il filo spinato è semmai chi rinchiude e sfrutta il terzo elemento in gioco - gli animali, di cui negli scambi dialettici sembrano sempre tutti dimenticarsi - e non certo chi mira ad aprire le gabbie, quindi, se tanto mi dà tanto, chi si avvicina al Nazismo è lui e non io. ;-)
Bisogna sempre comunque fare discorsi ragionati, altrimenti diventa tutto molto sterile, un fronteggiarsi inutile.

Avevo letto quell'articolo di Nemesi Animale, sì. Loro mi piacciono molto.
Ciao Riccardo, un abbraccio. :-)

de spin ha detto...

Se crescessimo molto di numero, sarebbe guerra? Con feriti e morti? Io credo di sì e che ci volete fare, me lo auspico. E datemi pure addosso, datemi del violento, non mi importa. Dico solo un fatto. Magari mi sbaglio.
Che succederebbe il giorno che amanti degli animali e amanti della bistecca cominceranno ad essere meno equidistanti di numero?

Non esistono giustificazioni per quello che viene fatto agli animali. E' un olocausto così infinito e atroce. La razza umana non meriterebbe certo di andare avanti in questo universo.

Detto ciò, e ci metto non una ma dieci firme, vorrei parlare di attivismo.

Piuttosto che insultare e morire di frustrazione, meglio unirsi a chi va in giro a liberare gli animali. Senza violenza.
Efficacia. Azione. La guerra è già iniziata, speriamo che resti tra gli umani non violenta.

Rita ha detto...

Ma infatti De Spin io sono favorevole all'azione diretta, perché almeno ha un suo senso, una sua efficacia.
Invece di perdere tempo ad insultare o augurare la morte a tizio e caio (che non è altro che, come ha ben detto Claudio/Sdrammaturgo di là su Asinus, la stagnazione interiore di una rabbia inespressa che vuole uscir fuori e, aggiungo io, l'emozione primitiva di un pensiero che non è stato ancora elaborato) andiamo ad aprire le gabbie. Invece di augurare la morte al cacciatore, andiamo nei boschi a disturbare l'attività venatoria, andiamo a togliere le trappole dei bracconieri.
Ovviamente, anche qui, servono strategie mirate e contestuali.
Leggi, quando hai tempo e se ti va, il resoconto che ho scritto della conferenza di Steve Best in cui spiega la sua maniera di attivismo. Te lo mando via email.
Secondo me ti sarebbe piaciuto un sacco lui.
E sposo in pieno le tue ultime frasi: basta insultare, parliamo e soprattutto facciamo attivismo.

Alessandro Cassano ha detto...

Nella seconda, grande manifestazione per la chiusura di Green Hill ho realizzato i video per la LAV.
Dopo due ore di riprese, dopo aver visto foto di atrocità sugli animali su ogni manifesto, non ce l'ho fatta più e mi son seduto in un angolino a piangere. Provavo disperazione e rabbia, senso di impotenza.
Non accetto il fatto che la gente chiuda gli occhi davanti a queste atrocità. L'antispecismo è una causa per cui vale la pena di lottare a fondo. Ma quali sono i mezzi giusti? L'informazione? E' vero, vegetariani e vegani stanno aumentando. Ma tutta la popolazione mondiale aumenta, e in proporzione saremo sempre una goccia nel mare.

Rita ha detto...

Alessandro, il senso di impotenza, la rabbia, la frustrazione sono sentimenti legittimi che chiunque di noi (intendo noi animalisti) prova nel quotidiano. Sono sentimenti che però devono essere incanalati in qualcosa di costruttivo, altrimenti non servono a nulla.
Non dico che non devi piangere o arrabbiarti, ci mancherebbe, ma poi bisogna agire.
Di mezzi ce ne sono tanti e devono essere contestualizzati a seconda del singolo caso. A Green Hill ha funzionato l'informazione che si è protratta per lungo tempo e poi l'azione. Sì, è vero che la popolazione aumenta, ma di antispecismo si parla sempre di più. Sta prendendo piede, almeno in occidente, una consapevolezza che prima non c'era. I media, sebbene nella solita maniera distorta, ci dedicano sempre più tempo ed attenzione. Del veganismo si parla in maniera sbagliata, come fosse una dieta salutista, ma intanto se ne parla. Si parla di vivisezione, allevamenti.
Come ho detto altrove (non ricordo nemmeno se l'ho scritto qui sul mio blog o in qualche altro posto), c'è tutta una massa di persone la cui sensibilità purtroppo muterà solo con mutamento delle leggi e costumi. Per questa massa ciò che è legale e che fanno in molti, automaticamente è anche giusto (non possedendo capacità critica). Per dire, se domani riuscissimo a far abolire la caccia, per questa gente, nel giro di qualche anno, la caccia verrebbe considerata una barbarie.
Sono anche le leggi che mutano la coscienza e sensibilità collettiva. Quindi più che insistere col singolo, è lì che dovremmo andare a parare.

Alessandro Cassano ha detto...

Spero davvero che la tendenza di cui parli non si arresti, e che finalmente la coscienza animalista si risvegli anche in chi sino ad ora ha chiuso occhi e orecchie di fronte a questi continui massacri.

Riccardo ha detto...

@ Rita

> Cioè, voglio dire, se uno viene a dare della nazista a me...

io invece quando uno arriva a questi livelli con me ho già bello che chiuso il discorso, è il mio modo cordiale di mandare a quel paese ;-)

ciao un abbraccio virtuale anche a te!