martedì 13 novembre 2012

Philip Roth non scriverà più

OK, ne hanno parlato tutti, la notizia la sanno pure i muri, ma potevo non dire nulla io che sono la fan numero 1 di Philip Roth? 
Dunque Nemesi (che ho recensito qui) pare che sia stato il suo ultimo romanzo, dopodiché noi lettori italiani potremo ancora contare su pubblicazioni di suoi vecchi racconti e romanzi ancora inediti in Italia (o riedizioni di vecchie opere ormai fuori stampa) e sulla sua biografia che uscirà postuma, per la quale ha incaricato Blake Bailey. 
I motivi della sua ritirata li spiega qui, in questa intervista che ha rilasciato per la rivista francese LesInRocks.

Non la traduco tutta (magari nei prossimi giorni, ora ho fretta), riporto però un passaggio che mi ha colpita particolarmente: 

"Écrire, c’est avoir tout le temps tort. Tous vos brouillons racontent l’histoire de vos échecs. Je n’ai plus l’énergie de la frustration, plus la force de m’y confronter. Car écrire, c’est être frustré : on passe son temps à écrire le mauvais mot, la mauvaise phrase, la mauvaise histoire. On se trompe sans cesse, on échoue sans cesse, et on doit vivre ainsi dans une frustration perpétuelle. On passe son temps à se dire : ça, ça ne va pas, il faut recommencer ; ça, ça ne va pas non plus, et on recommence. Je suis fatigué de tout ce travail. Je traverse un temps différent de ma vie : j’ai perdu toute forme de fanatisme. Et je n’en ressens aucune mélancolie."

Trad.: "Scrivere è avere sempre torto. Tutte le vostre bozze raccontano la storia dei vostri fallimenti. Non ce la faccio più a provare questo tipo di frustrazione, non ho più la forza di confrontarmici. Perché scrivere, significa sentirsi frustrati: non si fa che scrivere parole sbagliate, frasi sbagliate, storie sbagliate. Ci si sbaglia di continuo, si fallisce senza sosta, e si è costretti a vivere in una sorta di frustrazione perenne. Si passa tutto il tempo a dire: questo non funziona, bisogna ricominciare; quest'altro non funziona più, e si ricomincia. Sono stanco di tutto questo lavoro. Sto attraversando un momento particolare della mia vita: ho abbandonato ogni forma di fanatismo. E non ne sento malinconia."

Beh, in effetti, come non comprenderlo? Solo chi almeno una volta nella vità avrà provato a buttare giù qualcosa di più sostanzioso di un pensiero sa quanta frustrazione si celi dietro la ricerca della parola giusta, dell'aggettivo appropriato, di quella precisa frase che solo potrebbe riuscire a rendere la sensazione ed il pensiero che si vuole comunicare.
Per di più, ogni volta che ci si rilegge, capita sempre di trovarsi vagamente ridicoli, ingenui, come dire... ci si sente nelle condizioni di chi ci ha provato, ma non ci è ancora riuscito. E questo succede sempre. Sempre. 
Insomma, io lo capisco Philip Roth, dopo una vita dedicata alla scrittura, alla letteratura, vorrà pure riposarsi un po' sugli allori giustamente meritati, eppure il pensiero che non leggerò più qualcosa di nuovo di suo, che dalla sua penna non uscirà qualcosa di nuovo, ecco... mi rattrista tanto. Ma apprezzo tanto la sua decisione, pare che abbia altresì dichiarato al suo editore che in effetti non ha più nulla da dire e beh, gente, questa è onestà intellettuale, un'onestà che me lo rende ancor più caro.
Sì, ho ancora qualche vecchio suo romanzo da leggere, ma non è la stessa cosa perché in questi anni, seguendo cronologicamente l'uscita delle sue opere, ho potuto seguire quello che è stato un po' il suo percorso letterario, un percorso che necessariamente ha seguito non solo l'evolversi della sua scrittura, ma anche delle sue tematiche, via via, con l'approssimarsi della vecchiaia, sempre più dimesse ed esistenziali. E quanta differenza c'è tra l'esorbitante e dissacrante prosa di Pastorale Americana e il tono più mesto ed intimista - una confessione che ha il sapore del timore reverenziale della morte, ma anche intrisa di una rabbia per un corpo ormai destinato al disfacimento fisico - di Everyman! 
Non si può leggere Roth saltando di palo in frasca, bisogna averlo conosciuto nei suoi esordi disillusi, cinici e dissacranti, poi saputo corteggiare per la circonvoluzione della sua prosa dalla sintassi costruitissima che ti costringe a soffermarti e ritornare indietro per poi riprender fiato e che ben si attaglia ed esprime tutta la pienezza di una mente sempre in fermento, per poi meglio saperlo apprezzare e comprendere nella sua ultima fase, quella appunto in cui il sarcasmo si stempera nelle ombre della sera e ci restituisce la grandezza di uno scrittore in tutta la fragilità dell'uomo. 
Avrei voluto scrivere un post migliore per Philip Roth, l'avevo in mente da sempre, ma poi non lo facevo mai e così ho deciso che è meglio così, buttar giù queste due righe in fretta e furia per salutare il suo addio alla scrittura.
C'è da aggiungere ancora che non sempre mi sono trovata d'accordo con le sue idee, con la sua visione del mondo, ma sempre sono rimasta affascinata dai suoi percorsi mentali e dalla capacità di dargli forma con la sua scrittura, e questo è ciò che per me significa apprezzare l'arte, a prescindere dall'artista, ossia separare l'opera dal suo creatore. 
Non credo che mi abbiano influenzata più di tanto le sue idee, ma la sua maniera di dargli forma, questo sì.  
E adesso non mi rimane che augurargli di vincere il Nobel, quel Nobel che nessuno più di lui si merita. 
Glielo volete dare questo Nobel, sì o no?   

13 commenti:

Anonimo ha detto...

D'accordissimo sia con lui che con te. Le poche volte che mi son messo a scrivere qualcosa di più "serio", la frustrazione era sempre lì a far capolino. La parola d'ordine era riscrittura. E riscrittura. E ancora.

Ho un paio di cose pubblicate e non ce la faccio a rileggerle: le poche volte che l'ho fatto le ho trovate inappropriate, da correggere e migliorare.

Alessandro Cassano ha detto...

...e ora attendiamo buone notizie da Moccia.

Dinamo Seligneri ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Dinamo Seligneri ha detto...

Il Nobel a Roth? Non sono d'accordo, credo sia più giusto darlo agli scrittori in bolletta. Roth è già ricco coi libri che ha scritto, a che gli servono altri soldi?
Io i Nobel li darei agli scrittori che non arrivano a fine mese. Sò soldi.
Lo credo davvero.

Rita ha detto...

@ some1else

Ma finché sono scritti non pubblicati va pure bene che uno poi ci rimetta mano dopo averli lasciati sedimentare qualche tempo, il problema è rileggere cose pubblicate nelle quali uno non si riconosce più o le sente proprio inadeguate rispetto a quanto si era voluto esprimere. Però evidentemente fa parte del gioco.
D'altronde, sempre Roth, dice che comunque si fa sempre il meglio che si può fare in quel preciso momento con gli strumenti che si hanno. E questo vale per tutto, anche per le scelte della vita. Pure quelle sbagliate... e beh, si vede che in quel preciso momento le si riteneva giuste. ;-)
Bisogna essere un po' meno severi con sé stessi insomma. ;-)

Rita ha detto...

@ Alessandro

Già, certe notizie purtroppo le danno sempre le persone sbagliate. :-D

Rita ha detto...

@ Dinamo

C'hai ragione pure tu...
ma lo sai che io con Roth sono un po' di parte, ognuno ha le proprie debolezze. ;-)
Però certo, come principio bisognerebbe sostenere gli scrittori in gamba, ma squattrinati.

Massimo ha detto...

Ma che bisogno aveva di dire che smette di scrivere? Smetteva e basta.
Mi sa di manovra pubblicitaria ...
Con tutto il rispetto ... per te, non per Roth.
Il Nobel non glielo daranno mai. Motivo? Non è un dissidente cinese o un profugo africano, o un ospite di Fabio Fazio.

Rita ha detto...

Boh, Massimo, me lo sono chiesta anche io in effetti e la prima risposta che mi sono data è stata la stessa tua: pubblicità. Ma poi mi sono anche detta, ha davvero bisogno di farsi pubblicità? E' uno degli scrittori più stimati al mondo, forse ne ha bisogno proprio per il Nobel.
Il Nobel comunque non glielo daranno, oltre che per i motivi che hai indicato tu, anche perché non ha mai preso una posizione a favore di Israele, anzi, ne La Controvita dichiara che è un stato per fanatici religiosi, che lui, pur essendo ebreo, si sente americano perché nato e cresciuto negli States e che non gliene può importare di meno di andare a riunirsi con tutto il popolo ebraico in Israele (o almeno è questo che fa dire al suo protagonista, uno dei protagonisti del romanzo, uno dei suoi tanti alter ego). Inoltre non ha mai scritto un vero e proprio romanzo sull'Olocausto e questo all'establishment culturale non va giù.
Con cosa ha vinto l'Oscar Spielberg? E Benigni? Insomma, mi pare ovvio che se Roth avesse scritto il suo romanzo sull'Olocausto a quest'ora si sarebbe già intascato il Nobel.

Massimo ha detto...

Spero invece che il Nobel lo diano a qualcuno che si batte per l'antispecismo invece ... ma chissà perché, dubito che accadrà.

Rita ha detto...

ahhhaahh... magari Massimo, ma dubito anche io che accadrà, la maggior parte dell'elite culturale ignora cosa sia l'antispecismo. Ne dovrà passare di acqua sotto ai ponti prima che si realizzi questa grande rivoluzione culturale. ;-)


Anonimo ha detto...

addio triste e profondo. molto onesto anche. ma la "debolezza" sta nel prendere troppo sul serio un artefatto.

Rita ha detto...

Hai ragione Dulcamara, io prendo sempre troppo sul serio tutto, compresa la letteratura, la finzione... e questa è una debolezza perché chi prende le cose sul serio finisce per esporsi sempre troppo; e però sappiamo bene quanta verità ci sia nella finzione, a volte, e quanto l'arte spesso sveli e riveli pur dando l'illusione di sentirsi al sicuro.