martedì 2 aprile 2013

Liberazione animale: che significa? - Riflessioni scritte di getto.

La liberazione animale non può che essere politica. Sempre.
Perché l'abolizione dello sfruttamento animale inciderà sul sistema economico-sociale ad un livello profondissimo.
Molte categorie di lavoratori, tra cui gli allevatori, ovviamente difendono il loro lavoro e noi siamo tenuti a dare anche risposte di tipo politico, in questo senso. Non basta dire: "vogliamo liberare gli animali", dovremmo trovare delle alternative all'attuale sistema, altrimenti risultiamo poco credibili.
Sbaglia chi crede che liberare gli animali non sia un atto politico. Lo è eccome, nel profondo, e lo era anche già l'antispecismo di Singer e Regan, a prescindere dalla loro mancata analisi di come nei secoli si è andato a strutturare lo specismo.
Anche l'antispecismo debole è politico, solo che contempla strategie diverse e più attuabili nell'immediato, in vista di risultati più conseguibili a breve termine, ma anch'essi volti a scardinare l'attuale sistema in un progetto più a lungo termine (e non potrebbe essere altrimenti, appunto) e ritiene prioritario e preminente intervenire laddove la sofferenza si fa insostenibile, laddove la questione si pone come urgenza immediata: in quei non-luoghi di orrore che sono i macelli, i laboratori della vivisezione, gli allevamenti intensivi e degli animali da pelliccia ecc..
Infine, anche l'etica è politica. Perché essa riguarda la maniera in cui i viventi si inter-relazionano e quindi la gestione dei rapporti in società.
Considerare gli altri che mi circondano e che abitano il pianeta con me, rispettare questo rapporto e sistema complesso di coabitazione del pianeta è una questione che riguarda sostanzialmente l'etica.

Liberare gli animali significa anche rendere possibilmente concreta la liberazione umana perché ogni volta che nel corso della storia si è voluto discriminare l'umano lo si è potuto fare solo assimilandolo all'animale non umano relegato nell'assolutamente altro da sé e quindi denigrato. Ma sarebbe pretestuoso pensare alla liberazione animale in questi termini, essa deve essere condotta solo ed unicamente per "loro" altrimenti si ricade nel vizio antropocentrico dal quale è necessario affrancarsi.

Le lotte devono essere contestualizzate e richiedono tempi, modi e strategie diversificate, altrimenti rischiamo ancora una volta di annullare e violentare la specificità degli animali non umani. La lotta per la liberazione animale ha caratteristiche inedite rispetto a tutte le altre lotte del passato perché per la prima volta i soggetti in causa non possono scendere i piazza a reclamare i loro diritti, ma siamo noi, soggetti altri, che dobbiamo farlo al posto loro. Non riconoscere questa importante distinzione sarebbe deleterio. Ed è nel solco di questa importanta distinzione - e di altre considerazioni e critiche all'antispecismo politico di Marco Maurizi - che si innesta e viene elaborato l'antispecismo debole di Leonardo Caffo.
(Per capirne di più, leggasi dossier sull'antispecismo debole pubblicato raccolto in Asinus Novus).  

Al di là di questo, mi rendo conto che ci sono tantissime persone che non hanno proprio capito che liberazione animale significa lotta per abolire ogni forma di sfruttamento degli animali, anzi, di più, abolire il concetto stesso di dominio sugli animali, spazzar via anche la sola semplice idea che si possa continuare impunemente ad abusare di altre vite senzienti poiché solo appartenenti ad altre specie.
Ciò - ossia che a molti sfugga proprio il concetto di liberazione animale - mi pare tanto evidente laddove continuamente ci si sente obiettare che "gli animali negli allevamenti stanno bene", "sono trattati bene", "l'importante è che abbiano avuto una vita dignitosa e quindi va bene allevarli e poi ucciderli purché siano cresciuti liberi nei prati", "ma prima di essere sgozzati vengono storditi", "ma esiste la catena alimentare" e via dicendo.
Ma chissenefrega se vengono prima storditi, non devono proprio più essere uccisi, né allevati per soddisfare le nostre necessità indotte dal mercato. Sì, indotte dal mercato, perché la storia della catena alimentare per quanto riguarda la specie umana è una balla colossale, visto che siamo onnivori e che da secoli non abbiamo nessun bisogno di nutrirci dei corpicini di esseri senzienti fatti a pezzi. Ma poi non capisco perché appellarsi alla "natura" solo quando fa comodo. Dunque, per legittimare lo sterminio degli animali non si esita a tirare in ballo questa fantomatica storia della selezione naturale (che, ripeto, non riguarda la specie umana, a meno che non si tratti del solito esempio del tizio che si trovi a dover provvedere a sé stesso su un'isola deserta dove l'unica prospettiva per non morire di fame sarebbe quella di pescare... ma non mi pare che chi compri il prosciutto al supermercato si trovi ogni volta a dover fronteggiare tale emergenza di vita o di morte), poi però quando vogliamo dimostrare quanto ci siamo evoluti allora ricorriamo al progresso civile, scientifico ecc..
Come dice Oscar Horta, anche le malattie sono naturali, esse fanno parte della natura, eppure cerchiamo di curarci, di tirarci fuori dalla natura per stare meglio. Non si capisce invece come mai quando vogliamo sostenere lo sterminio delle altre specie continuiamo a sostenere questa legge naturale del più forte quasi fosse ineludibile.

3 commenti:

Sara ha detto...

Argomento serissimo, ma mentre leggo c'è il gatto Miro che reclama la "sua" liberazione e invece io dopo le 8 di sera gli ho imposto il coprifuoco, ma è per proteggerlo dalle auto.
L'appello alla Natura come ente etico superiore, con cui giustificare un mondo di sofferenza , violenze e di inquinamento, è una risorsa per i poveri di idee.

Riccardo ha detto...

ciao Rita, ovviamente (come sai) concordo assolutamente. E' bene che si scriva (e si parli) di antispecismo come movimento di liberazione *animale*. Un caro saluto,
Riccardo

InLeagueWithSeitan ha detto...

"Ma poi non capisco perché appellarsi alla "natura" solo quando fa comodo."
ESATTO! 9 volte su 10 ricorre alle "leggi della natura" gente che per ogni minimo mal di testa si riempie di antidolorifici.