domenica 13 luglio 2014

Il seno



Un altro raccontino (sono esercizi di scrittura e li pubblico perché non sopporto di tenere roba, anche se robaccia, nel cassetto).

Sono il seno sinistro di una giovane donna e mi restano poche ore da vivere. Domani mattina presto verrò asportato. Carcinoma duttale infiltrante. 
Non si può fare altrimenti, le hanno detto, o me o lei, ne va della sua vita. 
A proposito di vita, la mia non è stata particolarmente avventurosa, sono uscito poco allo scoperto, sempre nascosto, come se ci si vergognasse di me. Dicono che siano le convenzioni sociali ad aver fatto di me una presenza che ancora suscita scandalo, se non in determinati ambienti e contesti, e pare che decenni fa fosse ancora peggio. 
Ho per questo un ricordo abbastanza nitido della mia adolescenza, quando, protuberanza appena accennata e ancora considerato privo di malizia, trascorsi una delle mie ultime giornate in spiaggia; una delle ultime in cui non fui nascosto sotto quegli orridi costumi a fascia, intendo, a soffocare dal caldo. Ricordo tutto di quella giornata: la freschezza dell’acqua, la carezza delle onde, l’aria frizzantina che odora di salsedine, e poi lo stridere dei gabbiani e le urla giocose dei bambini, non c’è particolare che sia andato perso nella memoria, nemmeno lo sguardo insistente di quel signore e quella tremenda scottatura per la prolungata esposizione al sole. La notte fu un tormento, alleviato soltanto dalle immagini della giornata trascorsa che arrivavano a sprazzi sulla mia pelle, ad alleviare il dolore della pelle arrossata e dolente. Dicono che i raggi uva siano cancerogeni e chissà, forse fu allora che le mie cellule cominciarono a impazzire. “Il dolore di oggi fa parte della felicità di ieri”, si dice in quel bel film che è Viaggio in Inghilterra, sbirciato da sotto la maglietta della donna cui appartengo. 

Dal costume a fascia, visto che la mia vitalità si faceva sempre più incontenibile -  esplosiva, diceva la mia donna, con un tono misto a orgoglio e preoccupazione - si passò a comprarmi vari tipi di indumenti, alcuni, debbo ammettere, davvero carini e sexy e che mettevano in risalto la mia rotondità, ma comunque sempre molto scomodi. Un vero e proprio supplizio il solo pensiero di non potermi più muovere liberamente, per non parlare dei fastidiosi arrossamenti e pruriti che mi provocavano quelle orribili stoffe sintetiche, gancetti di metallo e sostegni rafforzati con cui si pretendeva di volermi sorreggere mentre in realtà mi si costringeva a un’immobilità insopportabile.  
- Io non voglio essere sostenuto – urlavo da sotto quelle ridicole armature, non ho bisogno di stampelle per tenermi in piedi, mica sono invalido! Non capivo perché in alcuni contesti la visione di un seno era fonte di ammirazione – come nei musei ad esempio, penso a La Fornarina o a La Venere, che avevo sbirciato a fatica sempre attraverso le magliette della mia donna – mentre in altri mi veniva sbattuta in faccia l’accusa di volgarità. 
Ogni tanto ci provavo a fuoriuscire, giusto per dare un’occhiata al mondo come si deve, ma subito venivo rimesso al mio posto; e sì, perché vivere quasi costantemente sotto ai vestiti era come girare con una coperta sopra alla testa. Provateci voi, e poi vedrete quanto sia scomodo! 
Dev’essere strano il mondo e in tutti questi anni – sarà per via della coperta sopra alla testa - non sono ancora riuscito a capirlo. Come un bullone non può comprendere quasi nulla struttura totale che pure contribuisce a tenere in piedi, così io a malapena conoscevo i miei vicini di corpo, ma poco o nulla sapevo della realtà esterna, ad accezione della cabina doccia o della camera da letto, al massimo di qualche camerino dei negozi. Mi intrattenevo sovente in conversazione con la pancia, che stava poco più sotto di me: quanto mi affascinava il mistero dell’ombelico! Passavo ore e ore a fantasticare sulla sua natura. Poi un giorno, avrei scoperto tutto...
Eppure se c’è un qualcosa che ho imparato è che in certe situazioni non serve capire, non serve porsi domande, ma basta semplicemente sentire, esserci, starci dentro. 
È così infatti che ricordo il periodo più strano e particolare della mia, seppur breve, esistenza. E, decisamente, anche il più bello!
Le alterazioni ormonali erano cominciate nove mesi prima: ogni giorno che passava le mie fibre si addensavano conferendomi un turgore mai sperimentato prima e le mie dimensioni aumentavano progressivamente come se dovessi contenere chissà che cosa. Mi fu riservata ogni cura, massaggi con creme e lozioni ammorbidenti ogni sera, olio di mandorle sparso senza parsimonia sulla mia pelle, come se dovessi essere preparato per chissà quale evento speciale.  Un mistero che accettai senza riserve, intuendo che qualcosa di grosso doveva certamente essere in serbo per me. Mi furono comprati dei vestiti nuovi, certo meno maliziosi e sexy dei completini che avevo conosciuto fino a quel momento, ma sicuramente più pratici e comodi. Finalmente mi sentivo a mio agio. In pace con me stesso. 
Poi un giorno, dopo tutti questi mesi di preparazione – in cui, stranamente, anche la pancia al di sotto di me crebbe in maniera spropositata – avvenne un miracolo: ci fu un gran subbuglio, come una specie di terremoto, un’esplosione vulcanica, non saprei come definirla, tra pianti, urla, chi correva di qua e chi di là, un gran frastuono. Fino a che, quando le cose si furono un po’ placate, vidi lui: un esserino tenero e urlante, diretto verso la mia parte più delicata: poi la sua piccola bocca mi strinse e fu allora che sentii quel liquido caldo fuoriuscire da me. E poi tutto mi fu chiaro, o meglio, non esattamente, ma lo accettai e lo vissi con ogni fibra del mio essere. Avrei voluto che durasse per sempre, ma ogni cosa ha un inizio e una fine e la mia è ormai prossima. 
Mio fratello, il seno destro che ha vissuto le mie stesse esperienze e che in tutti questi anni è stato il mio confidente prezioso, dice che non sa come riuscirà ad andare avanti senza di me e che la sua vita, dopo che domani io sarò stato fatto a pezzi, non avrà più alcun senso.
Io sono sicuro invece che quando vedrò il luccichio della lama del bisturi avvicinarsi penserò alla meraviglia e allo stupore di quel periodo così bello, quando mi sono fatto vita liquida per placare i pianti del piccolo e, senza rimpianti e con la speranza che il mio sacrificio non sia vano, chiuderò gli occhi, per sempre.  

(Rita Ciatti)

3 commenti:

Edo ha detto...

Questo il sottofondo mentre leggevo:
http://www.youtube.com/watch?v=mZT5jmL6b0E
la commozione forse è compartecipe

Rita ha detto...

:-)

Grazie per averlo letto, io sto ascoltando il brano che hai linkato, e sì, è decisamente appropriato.

Anonimo ha detto...

E' bellissimo, ti ringrazio