lunedì 11 agosto 2014

Di animali, di stranieri e della diversità in generale

In qualsiasi posto io sia e per quanto affollato e pieno di gente o cose interessanti possa essere, non appena scorgo la presenza di un animale non umano immediatamente la mia attenzione si focalizza su quest'ultimo e tutto il resto sembra scivolare in secondo piano. Da sempre è così. Giorni fa mi sono interrogata sul perché di questa mia passione per gli animali (passione che poi da semplice zoofilia si è evoluta in antispecismo) e ho capito che il mio interesse, al di là della dolcezza, tenerezza e simpatia che mi ispirano gli appartenenti al regno animale risiede soprattutto nella curiosità. Curiosità per il diverso, per colui che riconosco simile a me in alcune cose, ma diverso in altre. E poi, ripercorrendo con la memoria l'origine di questo interesse, mi sono ricordata che lo stesso interesse l'ho sempre nutrito anche per le lingue straniere, le culture straniere, le persone straniere. In poche parole funziono abbastanza al contrario di come funziona la maggior parte delle persone: il diverso, lo straniero, ciò che è distante (fisicamente, ma anche ontologicamente) da me mi suscita enorme curiosità e interesse. 
Ricordo che da piccina i miei talvolta mi portavano a casa di una coppia di inglesi che si era trasferita nel paese dove abitavo (mi portavano là per farmi imparare i primi rudimenti della lingua inglese) e tutto mi affascinava di quel posto: le linee architettoniche e i materiali della casa che imitavano quelli dei cottage inglesi originali, gli odori della cucina così diversi dai nostri (cucinavano all'inglese e a me piaceva proprio perché diverso, esotico, strano), gli arredamenti così particolari, compreso il suono di quelle parole di cui poi avrei imparato in seguito a decifrarne il significato; non da ultimo il fatto che vivessero in campagna e che quindi avessi la possibilità di immergermi in un ambiente così ricco e vivo di flora e fauna. Poi penso che leggere moltissima letteratura straniera non appena acquisita l'età della ragione abbia fatto il resto, ossia ha continuato a nutrire e ad accrescere questa mia curiosità e interesse per le altre culture.
Fatto sta che faccio fatica a comprendere la paura del diverso e degli animali che sembra animare così tante persone. Non lo dico come un merito, ma come un dato oggettivo. Vorrei capire dove nasce questa paura, questa fobia. In parte lo so, la fobia degli animali ha origine nella nostra cultura antropocentrica e specista in cui ci siamo costituiti ontologicamente come specie superiore proprio degradando e svilendo le altre specie, cultura che viene diffusa e propagata anche attraverso il cinema, la letteratura, l'arte ecc. e soprattutto attraverso i media, le tradizioni popolari, le abitudini, le credenze, il linguaggio ecc..
Ma la paura del diverso in quanto straniero, in quanto individuo appartenente ad un altro paese, da dove nasce, se da sempre noi, come specie, non facciamo che emigrare, spostarci e non esiste nazione o cultura al mondo che non sia frutto di contaminazioni, incontri e sincretismi? 
L'idea di un'identità nazionale è falsa. 
Non si deve temere il diverso, ma l'appiattimento, il cristallizzarsi dei popoli e delle culture.
La vita è fluida, scorre, tutto è mutevole. Solo la morte è fissità e forse manco quella, che è passaggio da uno stato all'altro.

5 commenti:

Rita ha detto...

Il termine "cultura" è da intendersi non nella sua accezione etimologica, ma in quello in cui la si intende in antropologia culturale; ossia in quanto prodotto, intellettuale e materiale, dell'uomo. E infatti è vero che è sempre antropocentrica, ma non è detto che andando in direzione di una ridimensionamento dell'antropocentrismo (nel pianeta non ci siamo solo noi e forse qualcuno se n'è accorto) non possa un giorno diventare anche biocentrica, zoocentrica o altro.

In quanto al concetto di immigrazione, che comporti violenza o meno o che sia obbligata o meno, io mi riferisco agli effetti di mescolamento delle culture delle diverse etnie che, alla lunga, non possono che essere arricchenti. Persino quando si parla di identità dell'individuo sappiamo bene come essa si plasmi e divenga di continuo grazie alle contaminazioni con altri simili.

Le consiglio di leggersi un po' di testi sulla multiculturalità e sul sincretismo culturale.

diego ha detto...

In fondo la migrazione umana di massa deriva da un’ «ybrìs», un comportamento antropico. Uscendo dallo stato naturale di raccoglitori e cacciatori con l’invenzione dell’agricoltura, circa 20mila anni fa, abbiamo avuto come conseguenza una crescita numerica abnorme della nostra specie che, di fatto, ha infestato il pianeta. Questo per dire che, se vogliamo esser precisi, ogni disastro legato ai comportamenti umani è legato appunto alla storia umana ed al suo «errore di fondo». Penso sia comunque normale una dialettica continua fra le due istanze della curiosità e del timore.

Rita ha detto...

Ben venga la dialettica, il timore per ciò che non si conosce penso in alcuni sia abbastanza comune, purché non si sia sorretto e amplificato da luoghi comuni, ignoranza, pregiudizi e suffragato dalla strumentalizzazione mediatica per motivi politici.

Ti faccio un esempio concreto: l'altro giorno sulla metro sono stata circondata da quattro donne di etnia nomade che hanno tentato di derubarmi e a un certo punto, trovandomi sola, mi sono spaventata. Il mio timore in questo caso era giustificato, a prescindere dall'etnia. Diverso e pregiudiziale sarebbe stato spaventarsi al solo vedere queste donne e in assenza di un tentativo di furto o di motivi razionalmente validi.
Io poi non sono buonista, riconosco che ci sono aspetti di alcuni culture che non mi piacciono e non mi piacciono non per capriccio ma perché lesivi dei diritti umani o animali. Ma la multiculturalità, ossia la contaminazione tra le diverse culture in sé non può che apportare benefici anche per chiarirci, eventualmente, cosa vorremmo preservare e cosa no, al di là delle tradizioni o di chiusure identitarie nazionaliste.

Rita ha detto...

P.S.: che poi, tornando a rispondere a Lorenzo, dire "cultura antropocentrica" non è affatto pleonastico perché se la cultura è sempre un prodotto dell'uomo, non è però mica scontato che debba mettere l'uomo al centro (questo significa antropocentrismo), tant'è che esiste anche una cultura teocentrica, in cui al centro c'è Dio. Per cui non capisco proprio l'appunto che abbia voluto farmi. :-D

Rita ha detto...

P.P.S.: a parte che ha confuso tra pleonasmo e paradosso, ma tant'è... :-p