lunedì 28 aprile 2014

Tempo e spazio nei sogni: onironauti a raccolta!


Qui devi correre più che puoi per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte, devi correre almeno il doppio!

(Alice nel paese delle meraviglie - Lewis Carroll)

Ci rifletto da un paio di giorni. 
Da onironauta quale sono (dicasi onironauta chi è in grado di fare sogni lucidi, cercando su Wikipedia alla voce onironautica si può approfondire abbastanza l'argomento. Seguite tutti i link e vi assicuro che entrerete in un trip entusiasmante... non nel senso di vero trip eh eh, ma sfido che non desideriate anche voi vivere o migliorare l'esperienza del sogno lucido acquisendo sempre maggiore controllo e provando le varie tecniche suggerite, facendo i test di realtà ecc.), comunque, dicevo, mi accorgo che durante le escursioni oniriche i concetti di spazio e tempo così come li conosciamo sono completamente assenti, il tempo è accelerato o dilatato, scorre all'indietro o troppo velocemente in avanti, si può volare attraversano oceani e continenti in pochi secondi di fatto coprendo spazi enormi con un battito d'ali, pardon, di braccia. 
Direte voi: grazie al cavolo, stai sognando. Ma invece la questione non è così banale. Ci diciamo sempre che non siamo in grado di comprendere l'origine dell'universo e concetti quali infinito o eterno perché la nostra mente è strutturata secondo determinate categorie mentali, che poi sono quelle che ci fanno percepire l'idea di tempo e spazio così come lì conosciamo. Eppure la realtà onirica sembra contraddire ciò. Quando sogniamo siamo in grado di percepire anche altre dimensioni in cui vigono leggi diverse.
Come mai? Solo frutto dell'immaginazione? E perché allora tutti gli onironauti sperimentano questo fatto? 
Evidentemente dentro la nostra mente esistono altri schemi cognitivi relativi al tempo e allo spazio. Ed è proprio questo punto qua che trovo particolarmente interessante. 
Chissà se qualche esperto potrà darmi una risposta...

sabato 26 aprile 2014

Ai confini dell'antispecismo


Uno degli argomenti usato più di frequente per contestare l’antispecismo è che esso sia impossibile nella prassi perché nessuno può evitare di uccidere insetti quando cammina o va in macchina.
Penso che questo argomento meriti di essere preso in considerazione e che non lo si possa liquidare con leggerezza, ma penso altresì che non sia valido o sufficiente per poter dire che l’antispecismo non esista.
Nella sua teorizzazione originaria l’antispecismo si occupa di combattere lo specismo, ossia la discriminazione morale degli animali non umani che di fatto ne giustifica e legittima il loro sfruttamento e la loro uccisione per i più svariati scopi e per un nostro tornaconto; è un pensiero e una prassi, quello dell’antispecismo, che mira a combattere quindi lo sfruttamento degli animali e tutte quelle pratiche di dominio intenzionale della specie umana sulle altre (quindi allevamenti, zoo, circhi, vivisezione, caccia e pesca “sportive”, corrida ecc.) così come li abbiamo istituiti e istituzionalizzati a livello sistemico e sistematizzato nelle nostre società.
L’uccidere insetti con la macchina o camminando non rientra invece in una pratica intenzionale di dominio o sfruttamento, è solo l’effetto sciagurato del nostro esistere e muoverci sul pianeta terra. Si tratta cioè di un effetto indiretto del nostro agire e del nostro esistere. Potremmo quindi fermarci qui e dire che tale questione degli insetti morti per errore non riguarda l’antispecismo.
Eppure qualcosa mi dice che se invece di insetti, a finire spiaccicati sul parabrezza delle auto fossero bambini o mammiferi, non liquideremmo così tanto facilmente la questione. Quindi forse è vero che un po’ di specismo continua a restare sedimentato anche in chi è pronto a dichiararsi antispecista (come me, del resto!) e che non è vero che consideriamo degni di ugual valore e considerazione proprio tutti tutti gli individui senzienti. Alcuni animali sono più uguali degli altri, scriveva Orwell, e forse questa è qualcosa di più di una mera legge sociale e politica. Sembra essere piuttosto una legge di natura necessaria e immodificabile. Detto in altre parole: alcuni animali sono più sfortunati di altri. 

Continua su Gallinae in Fabula.

venerdì 18 aprile 2014

Sincronicità

Ieri mi è successo un fatto stranissimo, che mi ha molto turbata, ho iniziato a parlare con un ragazzo sull'autobus e senza sapere nulla di me e dei miei progetti di questo periodo mi ha detto esattamente le cose che avevo bisogno di sentirmi dire, cogliendo proprio il punto di ciò su cui stavo riflettendo. 
Considerando che non erano discorsi generici, ma su un argomento abbastanza specifico, la cosa è stato alquanto sorprendente.
Forse non esisteva veramente, l'ha materializzato direttamente la mia coscienza. 

Sto scherzando sulla materializzazione, però è vero che certe volte la realtà lavora per darci dei suggerimenti, o meglio, siamo noi che facciamo caso a coincidenze particolari perché comunque abbiamo già, da qualche parte dentro di noi, la risposta ai nostri dilemmi e cerchiamo delle conferme per sapere che stiamo andando nella direzione giusta. Niente misticismo insomma, solo banali percorsi di autoaffermazione e crescita. Ma questo perché io ho un atteggiamento laico, estremamente razionale, magari un'altra persona ci avrebbe visto chissà cosa in quell'incontro e si sarebbe lasciata andare a suggestioni di natura irrazionale o sovrannaturale. 
C'è sempre comunque una piccola parte di noi che vuole sfuggire all'ordine costituito della realtà ordinaria e immaginare che per un attimo il tessuto di cui è composta si sfilacci e lasci intravedere squarci di mondi diversi in cui vigono leggi diverse. Tutto ciò è esaltante, dà quel pizzico di fascino in più all'esistente (o all'inesistente). 

mercoledì 16 aprile 2014

Quando si parla di liberazioni


Articolo pubblicato sul n.8/2013 di Veganzetta


Quando si parla di liberazioni, immediatamente viene in mente l’azione diretta volta a sottrarre gli Animali dai tanti Lager in cui sono rinchiusi, salvandoli così da una (non)esistenza in gabbia trascorsa tra privazioni e maltrattamenti, nell’attesa dell’uccisione per essere trasformati in “prodotti”.
Sono tante le maniere in cui si può mettere in atto una liberazione di questo tipo, ed è importante distinguerne le diverse modalità – principalmente a volto scoperto o coperto – poiché ognuna risponde a strategie diverse e mira a raggiungere obiettivi specifici; soddisfando, sempre, la finalità precipua di restituire agli Animali la dignità ed esistenza di cui sono stati privati, talvolta alcune liberazioni riescono a trascendere la contingenza dell’atto stesso, inserendosi e configurandosi entro una più complessa prospettiva d’azione a lungo termine. In questo modo una liberazione non mira “soltanto” (le virgolette sono d’obbligo perché quando si parla di salvare una vita non è mai un “soltanto” ed è sempre un gesto di incalcolabile valore: di fatto il valore di una vita non è misurabile) a salvare alcune vite, ma apre scenari inediti di una diversa considerazione dell’Animale, per un momento sottratto alla finzione di una realtà che solo lo reifica e degrada, per restituirgli la sua preziosa, unica individualità. 
Fondamentale per azioni di questo tipo è che gli attivisti, consapevoli di infrangere la legge – e la infrangono proprio per mostrare l’enorme distanza che c’è tra legge e giustizia – rischiano un processo civile e penale che, a prescindere dalle sorti giudiziarie, potrebbe mettere in evidenza le aporie del nostro sistema giudiziario (e sociale) di fronte a un più alto ideale di giustizia; così come che essi rigettino l’uso della violenza in quanto se, come sosteneva Gandhi, non è il fine che giustifica i mezzi, ma sono i mezzi ad indicare il fine, sarebbe paradossale opporsi alla logica del dominio, oppressione e sopraffazione avvalendosi degli stessi mezzi di coercizione e forza che usa il Potere.
Abissale è infatti la differenza tra chi infrange la legge per motivazioni personali, e quindi egoistiche, e chi la infrange per compiere un gesto totalmente altruistico: mirato a restituire libertà a creature offese e imprigionate nei tanti Lager e al contempo a veicolare, tramite proprio la breccia praticata in un muro che si pensava inscalfibile, quello spiraglio che apre su una diversa concezione del vivente, come si è detto in precedenza.
A tal proposito val la pena citare i due eventi di cui si è tanto discusso nel nostro Paese (portati come esempio anche all’estero) e che di fatto hanno contribuito a far avanzare il dibattito sulla liceità o meno della sperimentazione animale, sottoponendolo a un’opinione pubblica che forse altrimenti non si sarebbe interrogata sulla questione. Ci si riferisce alla liberazione dei Cani da Green Hill (28 aprile 2012) – azione certamente nella maggior parte dei casi spontanea e non premeditata, ma comunque esito di una campagna che, sebbene partita dal basso, ha saputo poi porsi all’attenzione dei media guadagnandoci di visibilità e di una partecipazione sempre più numerosa – e all’occupazione dello stabulario dell’Istituto di Farmacologia dell’Università di Milano (20 marzo 2013, praticamente un anno dopo) – organizzata e realizzata dagli attivisti del Coordinamento Fermare Green Hill – che ha permesso la liberazione di diversi Conigli e Ratti, poi dati regolarmente in adozione.
Azioni di questo tipo indiscutibilmente finiscono con l’assumere un valore innanzitutto simbolico e civile che trascende il buon esito stesso dell’azione, ma hanno anche un loro contraltare di cui è necessario tener conto: sapendo di essere identificati ci si deve in primo luogo assicurare che gli Animali liberati non vengano restituiti ai proprietari originari (ricordiamo che per il nostro ordinamento essi non sono individui, ma res), procedendo a un regolare riscatto o comunque portandoli in un luogo sicuro in cui possa esser loro assicurata un’adeguata sistemazione. Importante è che al primo posto si metta quindi la salvaguardia dell’incolumità degli Animali. Proprio per soddisfare queste necessità, le liberazioni a volto scoperto non possono che riguardare un numero limitato di esemplari e solo alcune specie.
Al contrario, le liberazioni a volto coperto, procedendo nell’anonimato, permettono di liberare anche individui appartenenti a specie selvatiche, come i Visoni, non soggette quindi alla trafila delle adozioni regolamentari. Ma anche in questo caso c’è un contraltare di cui tener conto: generalmente questo tipo di azione diretta mira ad aprire le gabbie e lasciare gli Animali liberi in natura, con il rischio che essi, incapaci di adattarsi alla vita selvatica, vengano ricatturati, muoiano di stenti o finiscano sotto le auto. Per questo motivo spesso l’opinione pubblica non riesce a cogliere il valore – comunque immenso – di questo tipo di liberazioni, anche se non è difficile credere che qualsiasi individuo – quale sia la specie cui appartiene – preferisca sempre e comunque sperimentare l’ebbrezza di una libertà ritrovata anziché finire scuoiato, gassato o comunque ucciso per mano del suo aguzzino. Azioni di questo tipo hanno forse un minor impatto mediatico (i media spesso non ne parlano anche per timore dell’emulazione), ma mirano principalmente a donare libertà immediata agli Animali – che, ricordiamo, sarebbero comunque uccisi di lì a poco e in maniera sempre cruenta – e ad arrecare danni economici a chi specula sulla loro pelle.

In ultimo, ma non da ultimo, val la pena ricordare che tante altre sono le maniere di liberare gli Animali, non necessariamente ponendosi contro la legge o compiendo azioni eclatanti.
Sarebbe sciocco sottovalutare infatti il valore di quei piccoli grandi gesti che restituiscono la libertà o riscattano gli Animali da una vita di privazioni e stenti: venire in soccorso di una Farfalla che è rimasta intrappolata in una stanza e sbatte ripetutamente le ali contro il vetro di una finestra chiusa, permettendole di riprendere il volo, è una liberazione.
Adottare un Cane anziano da un canile, dove ha trascorso quasi l’intera esistenza, donandogli finalmente il calore di una famiglia e la possibilità di correre su un prato è anch’essa una liberazione.
Mettere in salvo una Chiocciolina che sta attraversando la strada, a rischio di essere calpestata, posizionandola in un luogo più sicuro, è anch’essa una maniera di liberare un Animale, questa volta agendo preventivamente.
Infine, accorrere ovunque vi sia un richiamo di aiuto di un Animale è anch’essa una maniera di agire per la liberazione, il solo unico gesto che potrebbe liberare anche noi stessi da quel pregiudizio antropocentrico che ci porta a considerare di minor valore le vite degli Animali non umani. Sono tutti gesti che in qualche modo sottraggono l’Animale all’indebita riduzione, falsificazione e astrazione di cui culturalmente è stato ed è fatto oggetto per porlo sotto una nuova e diversa luce, in quanto individuo singolo – soggetto di una vita – e non più risorsa rinnovabile, res, “animale da reddito” o “da compagnia” che sia.

Ogni nostro gesto, per quanto semplice, può farsi testimonianza di una società liberata a venire, e questo è non solo l’insegnamento ultimo della disobbedienza civile, ma anche la sola possibilità che abbiamo per sottrarci al ruolo che la società vorrebbe già definito per noi, e per farci invece individui a pieno titolo in mezzo ai tanti individui delle tante altre specie che si trovano a condividere il pianeta assieme a noi; in un rapporto finalmente paritario e non più di prevaricazione e assoggettamento.


mercoledì 9 aprile 2014

Simulacri


Questo tipo di società rende impossibile pensare ad altro che non sia lavorare, produrre, consumare. 
Sempre meno persone hanno tempo per l'attivismo e quelle poche che vi si possono dedicare con una certa assiduità e impegno costante sono comunque dei privilegiati (nel senso che svolgono lavori che permettono di organizzarsi l'esistenza compatibilmente con i proprio interessi e impegni di altro genere rispetto al lavoro stesso). 
Come biasimare chi dopo aver lavorato otto-dieci ore al giorno, magari anche svolgendo attività alienanti, dopo ha solo voglia di annullarsi, riposarsi, non pensare? 
Come biasimare chi non riesce nemmeno a immaginare una società diversa semplicemente perché, talmente oberato da preoccupazioni quotidiane quali cercare un lavoro, mantenere un lavoro (in tempi di precariato la preoccupazione di restare disoccupati è costante e rende le persone ancora più schiave e facili ad essere sfruttate e ricattabili), pagare le bollette, arrivare a fine mese, pagare il mutuo, non farsi pignorare ecc. non riesce più nemmeno ad avere la forza di immaginare?   
Eppure dev'esserci un modo, una chiave di accesso a quell'area del cervello che può rendere l'individuo ancora capaci di ribellarsi a questo stato di cose.
La soluzione, amici miei, non sta nell'andare a votare uno schieramento piuttosto che un altro, la soluzione sta nel rifiuto totale di questo tipo di ordinamento, di queste istituzioni così come le abbiamo erette, di tutto ciò cui oggi erroneamente si attribuiscono potere e prestigio formali. 
Il lavoro così come lo conosciamo oggi, così come ce lo rendono possibile oggi non è più un diritto, è solo una forma potentissima di schiavitù. 
Ribelliamoci quando ci propongono di lavorare gratis, di svolgere lavori malpagati, di fare straordinari non retribuiti, di prostituire il nostro tempo e la nostra anima per due soldi. Ci stanno rubando la vita. Ma per far questo occorre che rivediamo anche le nostre priorità: non è necessario avere una macchina, non è necessario comprare tutto ciò che ci propongono, non è necessario avere l'ultimo modello di apparecchio tecnologico immesso sul mercato, non è necessario piegarsi ai consumi indotti dal mercato, non è necessario consumare viaggi-vacanze che sono simulacri del vero viaggiare. 
Ciò che dobbiamo temere maggiormente è l’illusione di sicurezza data da una serie di orpelli culturali.
Tutto è comunque sempre incerto e precario, l’esistenza stessa in balìa di fenomeni non controllabili lo è, quindi quando qualcuno ci parla di “stabilità” ci sta semplicemente mentendo. 
Non dobbiamo temere la parola “crisi”, che anzi significa cernita, separazione e contempla la possibilità di decidere, di scegliere, di prendere strade diverse. 
In cambio di una falsa promessa di sicurezza economica ci stanno togliendo il tempo di una vita che non tornerà più. 
Cosa resterà di noi quando saremo sul letto di morte se avremo spesso l’intera nostra vita a guadagnare e produrre al solo fine di consumare? 
Perché non ci ribelliamo? Perché ci sembra di avere molto da perdere. Ci sembra che sia importante restare attaccati a quel poco che possediamo, una casa, un lavoro (per chi ce l’ha, precario o meno), affetti, abitudini... soprattutto abitudini. Ci sembra che abbiamo conquistato e raggiunto determinate sicurezze e punti fermi cui non vogliamo rinunciare. Tutto ciò è falso, è illusorio. Non c’è nulla di certo. L'unica certezza è che un giorno moriremo.
Tutto ciò che abbiamo nel frattempo è l’esperienza dell’esistere. Ma se non è più un esistere vero perché siamo in catene, allora non abbiamo proprio nulla. 
Quindi in realtà ci facciamo ricattare per cosa? Per vivere una vita che poi non ci piace e non ci gratifica e di cui ci lamentiamo costantemente?    
Quella che stiamo vivendo tutti adesso non è una vita, ma solo il simulacro di essa. 
Prendiamone coscienza. Usciamo fuori dalla caverna. Fuori c’è un sole che splende davvero, o magari la pioggia e il gelo, ma almeno sono veri, reali.
Forse dovremmo anche ribellarci al virtuale che non ha fatto che accrescere ancora di più il divario tra percezione illusoria di vita vissuta e vita vissuta veramente. 
Abbiamo l’illusione di fare tanto stando dietro uno schermo, ci sembra che condividendo notizie ed esprimendo commenti compiamo chissà quale attività, ci sembra di partecipare al reale, ma sono soltanto byte volatili, inesistenti, se ci fosse un black-out mondiale sparirebbe tutto in un secondo. E intanto dietro qualcuno sta traendo profitto da questo non-esistere, da questo nostro essere agiti anziché agire. 

Dobbiamo riappropriarci del nostro corpo reale, della nostra fisicità, animalità, contatto con la materia fisica.
Sono riflessioni banali eppure pochissimi di noi sono in grado di metterle davvero in atto. Perché? 
L'idea che abbiamo di noi stessi, dell'umanità, della società e cultura in cui siamo immersi è una finzione. 
Per capirlo davvero basterebbe osservare i non umani, quegli individui che ben conoscono il valore dell'esistere pieno, ma che abbiamo schiavizzato in ottemperanza a questa menzogna che chiamiamo civiltà.        


(La prima immagine è tratta dal film "The Truman Show" di P. Weir; la seconda rappresenta una di quelle diavolerie che immagineremmo uscite dagli incubi di una creazione fantastica di un mondo distopico, invece si tratta di recinti in cui vengono rinchiusi i vitelli appena un'ora dopo essere stati partoriti e vi rimangono costretti per la durata circa di sei settimane al fine di ottenere, grazie all'impossibilità del movimento e quindi al mancato sviluppo muscolare, le pregiate "tenere bianche carni" richieste dal mercato. Tali forme di allevamento sono vietate nei paesi dell'Unione Europea, tuttavia esistono alternative abbastanza simili, anche vicino Roma (documentabili con foto). Negli USA - dal cui mercato proviene la maggior parte di carne immessa nei circuiti internazionali - sono invece regolari).