mercoledì 25 febbraio 2015

giovedì 19 febbraio 2015

Siamo tutti animalisti!


Non sopporto più la frase "ma gli animalisti dove sono?" perché indica che degli animali debbano occuparsi solo i cosiddetti animalisti. 
La sorte degli animali e il trattamento che riserviamo loro riguarda tutti noi, la società intera, visto che gli animali non sono delle cose inanimate che stanno da una parte, ma sono ovunque intorno a noi e ci interpellano e intervengono continuamente in quella che non dovrebbe essere, come a torto avviene, una relazione dialettica di inclusione/esclusione, ma una compresenza orizzontale. 
Sbaglia chi crede che gli animali siano altrove e non lo riguardino, visto che continuamente intrattiene con essi relazioni di vario tipo che sono, quasi sempre, di dominio e sfruttamento. Non hanno forse costoro il frigo e gli armadi pieni di animali, anche se morti e fatti a pezzi? Non è forse il loro linguaggio infarcito di riferimenti agli animali, pur sotto forma di metafore e simboli? Non sono forse le storie che si son sentiti raccontare o che hanno raccontato ai loro figli dense di aneddoti che riguardano gli animali? Non è forse l'arte che ammirano nei musei ricca di immagini teriomorfe? Non incontrano forse costoro migliaia di animali ogni volta che mettono il naso fuori di casa?
E allora, come si può dire che degli animali - visto che lo siamo anche noi, animali tra gli animali - debbano occuparsi solo gli animalisti?
Sarebbe come dire che delle donne debbano occuparsi solo le femministe, fregandosene se persistono atteggiamenti discriminatori e violenti da parte della società in cui tutti viviamo e di cui tutti siamo corresponsabili.
È questa divisione delle competenze, questa abitudine alla delega, questa divisione in comparti stagni della collettività che rende il nostro stare al mondo frantumato e parcellizzato e per questo ancor più manipolabile da chi ha l'interesse a dominare e prevaricare.
Infine, i pro-sperimentazione animale parlano tanto di ignoranza da parte nostra, zittendoci ed esortandoci a stare al nostro posto (come se l'etica non dovesse riguardare anche loro). Ma io penso che non esista oggi peggiore oscurantismo e atteggiamento antiscientifico di quello di coloro che continuano a negare agli animali intelligenza, sentimenti, pensieri, capacità di soffrire, gioire ed esperire le diverse situazioni in cui si vengono a trovare e di trarne insegnamento, consapevolezza e libertà di stare al mondo. 
Non è questione di essere sentimentali, ma di conoscere e chi afferma che degli animali debbano occuparsi solo gli animalisti o che la loro sorte non debba riguardarlo è una persona incapace di guardare oltre il proprio naso.

domenica 15 febbraio 2015

NOmattatoio!


Nei mattatoi vengono uccisi 50 miliardi di animali all'anno.
Esclusi i pesci, la cui cifra è praticamente incalcolabile in quanto si calcola a peso e non a numero. 
Praticamente il più grande sterminio mai compiuto ad opera di una specie su quasi tutte le altre. E ciò che lo rende ancora più inaccettabile è che esso viene considerato "normale, naturale, necessario" mentre di fatto è ormai dimostrato empiricamente che non abbiamo alcuna necessità di nutrirci di animali e derivati. 

Partecipa ai nostri presidi mensili per dire NOmattatoio!

Il prossimo è il 28 febbraio: 


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sabato 7 febbraio 2015

Il bacio di Giuda


Pubblicata anche su Gallinae in fabula.

Dal fondo della scalinata che porta al Campidoglio fin su alla piazza è tutto un tripudio di giallo: gialli i palloncini che svettano in cielo, gialle le bandiere che ondeggiano al vento, gialli i cappellini, gli ombrelli e le bandane che vengono regalati ai passanti, turisti, curiosi, giornalisti, gialli gli stand con i tavolini su cui vengono offerti per la degustazione svariati tipi di formaggio, mozzarelle, bottiglie di latte e prodotti caseari vari. Al centro della piazza un maxischermo per poter permettere a tutte le persone di assistere allo spettacolo: il mega spot pubblicitario indetto questa mattina dalla Coldiretti in molte piazze italiane, tra cui, ovviamente, non poteva mancare la nostra bella capitale.
E poi loro, tantissimi, la piazza gremita di allevatori provenienti da tutto il paese.
“Allevatore per un giorno” in occasione della “più grande mungitura pubblica mai avvenuta”, questa l’ideona lanciata per contrastare il calo di vendite del latte “made in Italy” sorretta da slogan del medesimo tenore nazionalista che vanno da “mamma difendiamo il latte italiano” a – su volantini, depliant e opuscoli distribuiti a man bassa – “Il latte si fa mungendo le mucche, non spremendo gli allevatori” e “siamo tutti allevatori: scegliamo latte e formaggi italiani”.
Qualcuno mi passa un cartoncino rettangolare dell’A.I.A (Associazione Italiana Allevatori) dove a lettere cubitali mi si informa che “essere allevatori vuol dire: benessere animale, protezione dell’ambiente, tutela del territorio, tutela delle biodiversità animali, rispetto delle tradizioni e altro ancora.
Mi faccio largo tra la folla, qualcun altro tenta di passarmi un cartellino da appendermi al collo con su scritto: “allevatore per un giorno”. Lo rifiuto gentilmente.
Sulla sinistra rispetto alla scala che porta al palazzo principale la folla si infittisce, delimitata da un cordone di polizia, vigili urbani e controllori privati dell’ordine pubblico. Sono attesi esponenti del mondo della politica istituzionale, il sindaco Ignazio Marino, il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, il Ministro dell’Agricoltura, esponenti del governo in carica, del Movimento Cinque Stelle, esponenti del mondo dello spettacolo e poi Presidenti di varie associazioni tra cui, almeno sulla carta in quanto ad adesioni e sostegno, il Presidente della Lipu, Greenpeace e Legambiente.
Insomma, vista da fuori sembrerebbe veramente una bella festa. Peccato che il lato oscuro di questa vera e propria operazione mastodontica di pubblicità ingannevole non tardi a rivelarsi.
Laggiù infatti, oltre il cordone di polizia e oltre la ressa di persone accalcate si intravedono quattro povere mucche – tirate a lucido come si conviene per un evento mediatico di questo tipo, visibilmente giovani, ma già decornificate, trattenute da una corda – in attesa di essere munte dai vari personaggi pubblici. Ora è il turno del sindaco Marino, accompagnato dalla scorta e dal suo solito sorriso, che divertito si appresta a tirare le mammelle della mucca (c’è da dire che lui, da ex-vivisettore che era, sicuramente sa come si tratta un animale) – il tutto ripreso sul maxischermo nella piazza – per poi concedersi ai fotografi nell’atto di baciarla e di bere un bicchiere di latte “appena munto”. Applausi e risate in sottofondo, una voce che spiega al microfono quanto sia duro, ma anche appassionante e in qualche modo “necessario”, il lavoro degli allevatori. Poi è il turno del Ministro dell’Ambiente Galletti (anche lui con gli animali ha una certa dimestichezza, ama molto gli orsi ad esempio), che ripete più o meno lo stesso schema – mungitura, bacio, foto – e poi ancora dell’ex Ministro delle Politiche Agricole Nunzia De Girolamo, la quale suggerisce che dovrebbero essere solo gli uomini a mungere le mucche – chissà come mai, forse perché sotto sotto, lì dove il bluff della mistificazione non arriva, si fa strada un sentimento di solidarietà femminile nei confronti della povera mucca? O per semplice sfottò di stampo sessista?; per finire, curiosa la presenza di jimmy Ghione – noto inviato di Striscia la Notizia, trasmissione tv che ha più volte mandato in onda servizi proprio sulle mucche a terra.
Grandiosa operazione di pubblicità ingannevole, dicevamo. Festa degli allevatori e dei politici. Già. Perché dei veri soggetti coinvolti, che non sono gli allevatori, e nemmeno i vari Ministri e Presidenti vari, nulla si è detto. Non una parola, ad esempio, sulla vera realtà della produzione del latte, una realtà ben occultata di sfruttamento, violenza, dominio e morte. Le mucche non sono animali che “fanno” il latte per noi. Sono mammiferi che, proprio come tutti i mammiferi, per poter produrre latte devono prima mettere al mondo un cucciolo. Un cucciolo che, al fine di soddisfare la richiesta di latte – non necessaria, visto che anche noi, come tutti i mammiferi, abbiamo bisogno del latte, quello della nostra madre, solo fino allo svezzamento – gli verrà strappato praticamente due o tre giorni dopo la nascita e che, se maschio, verrà macellato dopo pochi mesi, mentre se femmina farà la stessa fine della madre. La produzione del latte è legata a doppio nodo a quella della carne perché senza vitellini non ci sarebbe latte. Banale e semplice, eppure ignorato da molti perché la storiella che i media ci raccontano è quella della mucca felice che scorrazza libera nei prati e che ci dà il latte perché altrimenti, così mirano a far credere, di tutto quel latte proprio non saprebbe che farsene. Una farsa, una menzogna, un vero e proprio inganno teso a celare il feroce trattamento di queste mucche costrette a essere sfruttate fino a che, letteralmente, non si reggono più in piedi; dopodiché verranno, come già ogni loro figlio maschio, condotte al macello.
Ricordiamo che in natura la vita media di un bovino sarebbe di venti anni, mentre le mucche cosiddette “da latte” vivono al massimo sei/sette anni, forse anche meno, poi, quando divenute improduttive, vengono uccise. I vitellini maschi vivono al massimo sei mesi.
La festa dei politici e degli allevatori sta per finire. Ma l’inferno degli animali sfruttati di tutto il mondo va avanti inesorabilmente.
Mi guardo attorno un’ultima volta: che strano, non vedo più tutto quel tripudio di giallo, scorgo solo rosso ora attorno a me. Rosso di sangue.

(foto di Marco Cioffi e l’ultima in ordine di apparizione di Eloise Cotronei, scattata col cellulare)








giovedì 5 febbraio 2015

Resoconto del secondo presidio davanti al mattatoio di Roma


Il 31 gennaio 2105 - in coincidenza con il Meat Abolition Day - si è svolto il secondo presidio davanti al mattatoio di Roma in Viale Palmiro Togliatti. 
Nonostante il freddo, vento e pioggia si sono riuniti nel piazzale antistante la struttura più o meno duecento attivisti, aggiungendovi una partecipazione pacifica e molto sentita allo stesso tempo. Sono state fatte delle letture e commenti a stralci di un’intervista - letta sul posto -  a una persona che ha lavorato in incognito dentro un macello: per meglio far capire l’alienazione insita in determinati mansioni e mestieri che vengono considerati “normali e necessari” e per meglio mettere in correlazione pratiche di violenza sui corpi con altre ancora più invisibili all’interno della nostra società. 
Parte del presidio si è svolto inoltre lungo la via di scorrimento delle auto così da attirare l’attenzione dei passanti sulle immagini raffigurate nei cartelli e striscioni sorretti  dagli attivisti: immagini che mostrano la realtà di quanto avviene dentro ai mattatoi, quindi di animali che stanno per essere uccisi; immagini dei loro occhi, dei loro sguardi, delle loro bocche distorte in un ghigno di terrore e dolore, alternate ad altre che invece li raffigurano liberi e felici in natura, così da rendere evidente il contrastro tra ciò che gli spetterebbe di diritto – vivere in pace la loro esistenza – e ciò cui invece la società e cultura in senso ampio del dominio li costringe a subire. 
Animali protagonisti dunque e per questo il presidio – che è parte di una campagna ben più ampia che va sotto il nome di Nomattatoio (con relativa pagina FB: https://www.facebook.com/pages/NOmattatoio/884673351564203?fref=ts e presto anche un sito ufficiale) non è sponsorizzato da nessuna associazione, ma organizzato e portato avanti da singoli attivisti.
Lo scopo di questi presidi che vedranno una cadenza mensile (il prossimo è previsto per il 28 febbraio, data da confermare) è quello di arrivare a una partecipazione sempre più massiccia - sperandando che altre città si uniscano a noi - così da destare l’attenzione dei media e avviare un serio dibattito pubblico sulla legittimità o meno del consumo di carne; diremmo dello sfruttamento degli animali in generale: ma ovviamente, essendo il numero di animali uccisi per fini alimentari il più alto in assoluto ed essendo tale pratica condivisa all’unanimità dalla nostra società e considerata erroneamente “normale, naturale, necessaria”, pensiamo che rappresenti un po’ il fulcro della questione, anche simbolicamente. Crediamo che i tempi siano maturi per portare le persone a riflettere su determinate pratiche che nascondono violenza e soprusi su individui senzienti. Crediamo altresì che se davvero c’è bisogno di occultare i mattatoi e ciò che avviene al loro interno sia indice del fatto che la società tutta ha un problema, un problema che non riguarda solo gli attivisti animalisti, ma ognuno di noi. Gli operatori dei macelli svolgono un lavoro alienante affinché le persone comuni abbiano la loro fettina di carne nel piatto e quindi è indubbio che vi sia una corresponsabilità condivisa. 
Per questo torneremo ancora lì, davanti a questi luoghi tragici, per responsabilizzarci tutti quanti e sensibilizzare chi ancora non ha mai riflettuto sulla questione animale. Con la speranza che guardare un animale negli occhi non ci procuri più vergogna, ma sentimento di reciproco rispetto. 

(Rita Ciatti e Eloise Cotronei)

A seguire altre immagini del presidio (foto di Andrea Cavalletti e Marco Cioffi)












lunedì 2 febbraio 2015

"Sto soltanto facendo il mio lavoro": e fu così che morì il libero pensiero

Oggi ancora più fermamente credo nel pensiero anarchico. 
Vi racconto una storiella, che spero di trasmettere con valore metaforico di come funzionano le cose dentro a codesto sistema in cui esiste uno stato determinato a mantenere i propri privilegi anche, soprattutto, usando la nota strategia del divide et impera.
Questa mattina alle dieci è arrivato un operatore dell'ENI che senza sentire ragioni, né voler controllare le ricevute delle bollette pagate, mi ha staccato il contatore, lasciandomi senza erogazione del gas, quindi senza possibilità di avere il riscaldamento e di cucinare. Siamo a febbraio, fa un freddo che si muore, immaginate il disagio nel non potermi nemmeno fare una doccia calda. 
Faccio una serie di telefonate non sapendomi spiegare il perché di questo che ho considerato un vero e proprio abuso di potere (peraltro mi sono accorta di quanto stava avvenendo per puro caso, ossia mentre stavo uscendo di casa, altrimenti senza nessun avvertimento mi sarei trovata senza gas e riscaldamento) e viene fuori che poiché ho pagato con un giorno (UN SOLO GIORNO) di ritardo due bollette facenti parte di un piano di rateizzazione (piano che sono stata costretta a fare perché mi è arrivato un conguaglio di una cifra assurda rispetto al consumo presunto ordinario e per cui da mesi ho richiesto una verifica sulla correttezza dell’erogazione), allora l’intero piano è venuto a decadere e per ottenere il riallaccio del contatore devo pagare l’intero importo. 
Premetto che per questo giorno di ritardo avevo già telefonato all’ENI e un operatore mi assicurò che non ci sarebbe stato nessun problema. 
La serie di telefonate che ho dovuto fare questa mattina per capirci qualcosa potrei definirla una sorta di Odissea, a cominciare dalla sequela di indicazioni che ho dovuto riascoltare ogni volta per poter parlare con una persona fisica. Ogni operatore mi diceva una cosa diversa. Uno, dopo aver provveduto a saldare alla fine l’intero importo correndo in banca (dove ho fatto una fila di un’ora e mezza precisa), mi ha persino detto che ancora risultavano scoperte due bollette, cosa che poi è risultata essere falsa. Un altro mi ha assicurato che non poteva essere vero che mi avessero staccato il contatore per un solo giorno di ritardo di pagamento, un altro ancora che invece è quanto viene previsto dal piano (un piano che si appella a regolamenti UE e che ha deciso lo stato – sic!). 
Insomma, per farvela breve, da una parte abbiamo questo operaio che senza sentire ragioni arriva nelle case delle persone e le lascia senza gas perché “questo è il mio lavoro, faccio quello che mi vien detto” (sic!), dall’altra un sistema totalmente inaffidabile in cui operatori al telefono dicono ognuno una cosa diversa e discorde rispetto alle altre; ora io vorrei sapere chi è stato quello, ad esempio, che due mesi fa mi ha rassicurata sul fatto che un solo giorno di ritardo nel pagamento non avrebbe comportato niente, cosa che è risultata falsa. 
L’idea che mi sono fatta è che questi operatori siano tutti lavoratori precari incapaci di conoscere e svolgere bene il loro lavoro, costretti ad eseguire compitini slegati tra di loro senza avere la minima idea di come funzioni l’erogazione dei servizi nel complesso e delle norme da rispettare. 
Dall’altra parte abbiamo operai servi di una società per azioni che vanno ed eseguono quanto gli viene loro detto, incapaci di porsi il minimo dilemma etico sull’essenza del loro lavoro. 
Peraltro se ho potuto pagare l’intero importo a saldo (una cifra consistente) è solo per puro caso, essendo al momento anche disoccupata. Altrimenti sarei dovuta restare senza gas (e riscaldamento!) chissà per quanto. E ci starò comunque 48 ore (tali sono i tempi previsti per il riallaccio).
Veloci nello staccare, ma lenti nel mandare personale (richiesto da mesi) a verificare la correttezza del volume di erogazione e quindi degli importi richiestimi e lenti nel ripristinare.
Se vi ho raccontato tutto ciò è perché trovo davvero sempre più assurdo vivere in questo sistema malato in cui c’è un paese in piena crisi -  con un tasso di disoccupazione altissimo e con una retribuzione media dei lavoratori che è vicina allo sfruttamento – soffocato da una serie di distorsione e abusi burocratici in cui il cittadino si trova costretto ad annaspare ogni giorno tra difficoltà di ogni tipo e finisce per prendersela alla fine con l’anello ultimo della catena d’ingranaggio del sistema, che si trova lì perché non ha alternative migliori. Una guerra e una dispersione di energie e tempo tra poveri, mentre chi sta ai vertici del grattacielo gongola. 
Io mi sono chiesta: ma il tipo che va nelle case a lasciare la gente senza riscaldamento in pieno inverno (magari case con persone malate, con bambini piccoli ecc.) si rende conto di essere uno schiavo dello stato? E perché anziché allearsi con altri altri disgraziati come lui preferisce eseguire ordini come un soldatino, senza avere nemmeno un po’ di compassione per il malcapitato cui va sottraendo risorse e serenità?
Ecco perché mi arrabbio, mi arrabbio da morire quanto vedo che anziché allearci tra di noi ci si fa la guerra, quando sento dire che andando a votare si esercita un proprio diritto, quando sento dire che bisogna pagare, bisogna ubbidire, bisogna abbassare la testa e rassegnarsi, bisogna accettare che le cose stanno così e non c’è altro da fare, bisogna rassegnarsi a soccombere. Mi arrabbio perché non è vero che le cose debbano stare per forza così, ossia che stiano così è una proposizione descrittiva, ma non è detto che debbano per forza restare tali e che sia impossibile cambiarle. Mi arrabbio perché l’espressione del voto e della delega a svolgere determinate funzioni in questa società è soltanto una maniera per continuare a mettere altri privilegi nelle mani di chi detiene i privilegi e per confermare lo status quo dando l’illusione che ogni tanto le cose cambino, ma, credetemi, cambiano le forze in gioco, ma non la struttura stessa verticistica del potere. 
Sono sempre più convinta che dovremmo lottare per staccarci da questa idea insana di stato che pensa a noi, e fondare piccole comunità autogestite in cui nessun operaio potrà più venire a toglierci il riscaldamento per un solo giorno di ritardo nel pagamento di una bolletta. Abbiamo l’energia solare, ma perché dobbiamo affidarci allo stato, alle istituzioni, alle compagnie private? 
Andate, andate a votare... e lo stato ringrazia i poveri illusi che sono convinti che i governi esistano per aiutare il popolo. 
Sveglia gente, i governi esistono per loro stessi. Per comandare, per mantenere potere, per soffocare ogni guizzo di pensiero volto a immaginare una società diversa. 
Io non vorrei più sentire e vedere persone che eseguono compiti perché “questo è il mio lavoro, così mi hanno detto di fare” senza essere in grado di mettere in discussione l’eticità di ciò che fanno.
Ogni ordine dall’alto eseguito è un chiodo che sotterra il libero pensiero dentro la bara.