lunedì 4 gennaio 2016

Normalizzare il male


Al supermercato dove vado di solito, nel reparto carni (dove per forza devo entrare ogni tanto perché ci hanno sistemato anche lo scaffale delle spezie e salse varie, nonché dei cereali, sale e altro ancora che mi è necessario comprare) c'è un cartello appeso che informa sull'origine di un pregiato "taglio di carne" e sull'età dell'animale quando è stato macellato: "22 mesi", così c'è scritto.
Ecco come ha luogo la normalizzazione del male, ossia mettendola in luce, anziché oscurarla. 
Ho notato che di recente fuori dal mattatoio di Roma hanno messo un cartello con su scritto "Macelleria al mattatoio. Carni di prima scelta"; anche questo è un tentativo di banalizzare, di rendere normale ciò che nasconde un'indicibile violenza. Hanno capito che quando l'indicibile viene nominato - magari con un'edulcorazione semantica - esso diviene accettato, non è più un tabù. Ci ascoltano e anziché subire il tentativo di rendere visibile l'anonimato del loro edificio, ci hanno anticipato. 
Ma dietro alle parole ci sono gli atti, c'è la violenza concreta, reale, tangibile, quella che puzza di sangue e gronda dolore da ogni poro. Ed è questa che dobbiamo mostrare, ma facendo attenzione a non abusarne perché, in fin dei conti, ci si abitua a tutto e forse non è poi così vero che se le pareti dei macelli fossero trasparenti, tutti sarebbero vegetariani.

8 commenti:

Maura ha detto...

Manca la libertà, è questo che manca fondamentalmente...la libertà di pensare con la nostra testa, la libertà di scoprire le cose e conoscerle per ciò che sono veramente e non per come ce le raccontano.
Siamo un branco di marionette manovrate, non riusciamo ad uscire dall'abitudine per paura di scoprire che si vive benissimo senza uccidere e mangiare altri esseri viventi, non ci chiediamo nemmeno come mai continuiamo ad assumere il latte anche in età adulta quando non lo fanno neppure gli animali!(e poi sono loro i meno intelligenti...)
E' uno degli esempi più semplici ma da lì si può capire quanto siamo manovrati, figurati se nella pubblicità martellante che ne viene fatta ti vengono a dire che è dannoso continuare ad assumerlo e che, come per i formaggi e derivati, è addirittura controproducente per la salute.
Ma si, continuiamo a lasciare il cervello in pausa che è più comodo, continuiamo a mangiare ciò che altri hanno già masticato per noi, continuiamo a non essere noi a vivere la nostra vita e orrendamente continuamo a rubarla ad altri!
La frase che riporti alla fine riguardo i macelli è la stessa che ripeto spesso anch'io a chi mi guarda come fossi un'aliena quando cerco di far capire che quella bistecca non nasce bistecca, che i wurstel non nascono wurstel..perchè è tempo che i bambini che poi diventeranno adulti capiscano cosa stanno mangiando e a chi è stata portata via, strappata, rubata.
Si Rita, se i macelli avessero le pareti di vetro NESSUNO avrebbe più il coraggio di cibarsi di ESSI...
Un abbraccio, Maura.

Rita ha detto...

Ciao Maura,
grazie per il tuo commento articolato.
Sul discorso del rendere le pareti dei macelli trasparenti, credo che ci sia da chiarire alcuni aspetti. Se consideriamo la frase di Tolstoj come una metafora, nel senso di mettere a nudo i meccanismi che sono dietro la violenza istituzionalizzata e che normalizzano l'uccisione e la schiavitù di miliardi di animali, allora la ritengo senz'altro valida; ma se parliamo della semplice esposizione della violenza, credo che sia importante fare attenzione perché si corre il rischio di una sovraesposizione alla stessa che alla lunga causa assuefazione (un po' come le immagini dei bambini scheletrici che muoiono di fame in Africa). Bisogna dosare bene le immagini forti insomma, alternandole anche ad altre di animali liberi e felici.

Maura ha detto...

Hai ragione Rita, (a volte parto per la tangente e non capisco più nulla...)in questa maniera la gente ha modo di riflettere e vedere la differenza tra il bene ed il male, tra la sofferenza e la gioia vera!
L'esagerata continuità delle informazioni in un unico senso, il bombardamento mediatico che subiamo ogni giorno,anche per degne cause, provoca fastidio e,come giustamente mi fai notare, assuefazione.
Grazie per avermi fatto riflettere...

Maura ha detto...

Hai ragione Rita, (a volte parto per la tangente e non capisco più nulla...)in questa maniera la gente ha modo di riflettere e vedere la differenza tra il bene ed il male, tra la sofferenza e la gioia vera!
L'esagerata continuità delle informazioni in un unico senso, il bombardamento mediatico che subiamo ogni giorno,anche per degne cause, provoca fastidio e,come giustamente mi fai notare, assuefazione.
Grazie per avermi fatto riflettere...

Rita ha detto...

Ma grazie a te Maura. :-)

Giovanni ha detto...

Articolo,amaro, forse, che tuttavia svela una insidia, il rischio della assimilazione e della banalizzazione. Quale strada (ri) aprire, allora? Quella dei filmati e delle,immagini- e delle,storie - di animali felici,sia molto valida. Magar, la constatazione dolcemente raggiunta che la loro vita è piena e ricca di gioia e pensiero e desiderio, potrebbe attecchire con maggior tenacia...

Rita ha detto...

Ciao Giovanni,
sì, credo che le immagini di animali che vivono liberi e felici, magari salvati dai tanti luoghi di sfruttamento, possano servire più che quelle delle violenze. La cosa migliore credo sia dosare bene le due condizioni.
Far sapere chi sono gli animali e cosa vien loro negato.

Giovanni ha detto...

Son d'accordo . Per come sta reagendo il contesto sociale a tutto ciò che propone il modo nuovo di vivere con gli altri animali (cerco di rimanere il più ampio possibile, con queste parole un poco vaghe) , il dosaggio è cruciale. Vedere come si comporta è come si esprime un animale ex allevamento, finalmente libero, può avere effetti di vera sorpresa, che mi auguro sorpresa deliziata e decisiva sulle decisioni future. Poi, il confronto con quello che invece noi facciamo tutti i giorni a questi individui , dovrebbe risultare ancor più significativo nella sua crudeltà e iniquità. Ma anche per gli animali "selvatici" (parola che di per se significa poco, forse) potrebbe far intuire la profondità della bellezza della vita, radicata indietro nel tempo su lunghezze per noi non comprensibili. Potrebbe farci riflettere su quanta presunzione, ma anche paura dell'ignoto, ci sia in quasi tutte le nostre filosofie e religioni.