lunedì 4 gennaio 2016

Ultimi film visti al cinema: riflessioni



"L'ansia è la vertigine della libertà" - Kierkegaard

Irrational Man mi è piaciuto molto. Lineare e chiaro. 
In fondo tutti cerchiamo di vivere secondo un'etica, solo che alcuni sembrano non considerare le conseguenze delle proprie azioni.
Per me la questione a volte sembra semplice: ossia, il male è tutto ciò che arreca danno al mio prossimo. In una definizione così stringente e assoluta sembrerebbe non esserci spazio per il dubbio. Eppure, il protagonista del film, un professore di filosofia disilluso, depresso, che ha totalmente perso il gusto del vivere, si spinge un po' più in là. Se bisogna evitare il male, bisogna anche essere disposti a impedire che accada, dunque non basta assumere l'etica come principio teorico, ma bisogna darsi all'azione, agire, attivarsi per evitare che il male possa concretizzarsi o per eliminarlo dalla società. Anche se questo può significare a sua volta commettere proprio altro male che, nell'ottica del protagonista, non sarebbe più un male, ma una scelta etica, il compimento dell'etica.
Ed è qui che cascano tutti i Raskolnikov.
Niente di nuovo insomma, ma da vedere perché riesce a far riflettere su grandi temi con leggerezza.

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Mon Roi, ovvero la sindrome del narcisista patologico.

Credo che a molte di noi sia capitato di incappare in uomini che ne siano affetti e di essersi poi stupite, solo dopo aver trovato la forza di chiudere, di quanto si sia potuto essere così manipolabili. 
È che la caratteristica dominante del narcisista è proprio quella di far sentire l'altro in colpa e di assumere egli stesso il volto della vittima. Le sue giustificazioni sono così ragionevoli che proprio non riesci a capacitarti di come tu - tu - puoi essere così egoista. Il che è un paradosso ed è ciò che impedisce di chiudere la storia non appena si ha il sentore che sia meglio chiudere. 
Nel film c'è una scena chiave in cui Vincent Cassel, il protagonista, parla con la sua compagna, intenzionata a lasciarlo e le dice: "perché vuoi cambiarmi? Sei venuta da me proprio perché ero come ero, perché c'erano alcune cose che ti attraevano in me ed erano proprio quelle cose a farti venire da me e ora invece improvvisamente queste cose diventano il motivo per cui vuoi lasciarmi?".
Questo è un aspetto tipico del narcisista patologico, ossia mascherarsi e manipolare talmente bene le sue "prede" da far credere loro di essere in una certa maniera, quanto meno disposto a cambiare, ossia intenzionato a voler e poter dedicarsi soltanto a loro. Il che rappresenta una sfida molto alta per l'ego (in genere chi ne è vittima ha una piccola componente, ma non totalizzante come nel narcisista, sia di egocentrismo, che della famosa sindrome della crocerossina). Mente spudoratamente, solo che sa farlo con maestria, rigirandosi ogni argomento a suo vantaggio. Il gioco che gli riesce con maggiore abilità è quello di far sentire la donna importantissima, al centro del mondo... una regina proprio. 
E quando inizia a venire smascherato fa appello al senso di colpa della vittima facendole credere di esser sempre stato così e che in fondo sia lei la svitata, quella poco chiara, quella poco consapevole di cosa cercasse; non di rado inscena scene madri piagnucolando e lamentandosi di sentirsi tradito, di finire sempre abbandonato da tutti. E sì, perché alla fine è proprio così: il narcisista patologico alla fine rimane sempre solo perché quando il suo comportamento si rivela, la donna intelligente - a meno che non abbia una spiccata propensione per il masochismo - fugge a gambe levate.
In Mon Roi il finale tuttavia è aperto. Lui rimane ancora il "suo Re" perché, in fondo fondo, l'affetto è forte e perché, a volte, il narcisista patologico continua a suscitare tenerezza, compassione, insomma, una volta capite le sue manipolazioni diventa innocuo come un bambino.

Piccola nota sul doppiaggio: dopo l'incidente al ginocchio Tony sta parlando con un medico che le fa tutta quella tirata sul significato del termine di quella parte del suo corpo che ora la sta costringendo all'immobilità e alla riabilitazione - pretesto che nel film le permetterà di guardare a ritroso la sua storia; "ginocchio", dice, è un termine composto da due parole: io e occhio. In francese in realtà sarebbe "genou" e quindi la scomposizione sarebbe dovuta essere in "io" (ge si pronuncia come il pronome personale Je) e "noi" (nou si pronuncia come il pronome nous). 
Scomponendo il termine in maniera intelligente nel doppiaggio si sarebbe invece potuto avere: gin-occhio, ossia gin da gyné, donna in greco antico, e occhio. In questo modo il significato assunto dall'incidente al ginocchio avrebbe avuto una valenza più forte e più connotativa del mondo di Tony.

6 commenti:

Giovanni ha detto...

Ho visto il film di Woody ieri sera. Mi piacciono sempre i suoi film, e questo non fa eccezione. Sembra dimesso e tirato via, ma invece tocca temi potenti e sconvolgenti, la cui forza trapela specialmente nei dialoghi finali. L'azione è tutto, ci dice, assai più efficace delle"puttanate dei filosofi" 😜
Ma quale tipo di azione? Qui, forse è la filosofia che può dircelo ( ?)

Rita ha detto...

Ciao Giovanni,
a mio avviso l'azione non dovrebbe mai derogare dai principi etici di fondo perché se relativizziamo l'etica, allora si arriva poi a non avere più alcun punto di riferimento. Inoltre condivido il sempre valido pensiero di Gandhi, secondo cui il fine non giustifica i mezzi, ma sono i mezzi che dovrebbero indicare il fine. Rapportando tutto ciò al film, il professore arriva a formulare il pensiero che sia giusto uccidere il giudice perché comunque il fine è quello di eliminare un personaggio dannoso e negativo dalla società (che poi è il pensiero su cui si fonda il convincimento di Raskolnikov di uccidere l'usuraia in Delitto e Castigo), ma approvando e accettando il crimine, ogni proposito etico superiore svanisce. Se ci pensi bene anche i vivisettori fanno quel che fanno convinti di agire per un bene superiore (trovare cure che curino malattie... sorvolando un attimo sul discorso dell'antropocentrismo e del fatto che i risultati in realtà allontanino da cure valide ecc.), però non diremmo mai che liquidando così il problema etico dell'uccidere migliaia di animali, stiamo agendo nel giusto, no?
A mio avviso il senso del film è proprio far riflettere su questo.

Giovanni ha detto...

Sono d'accordo. Credo che Allen abbia ben presente questi dilemmi morali, non a caso Dostoevskij appare esplicitamente ( e non è la prima volta) . Woody drammatizza, cioè mette in scena, questi ragionamenti filosofici. È un po' ci è se costruisse un "caso limite" un paradosso, un assurdo, grazie al quale di-mostrare la fallacia del,delirio di Rasklnikov. Che è quello che domina - credo non per caso - i vivisettori. Solo il distacco della mente dalla empatia, può produrre queste Orribilita. Una cosa che secondo me Allen dice sempre, anche, nei suoi film, e che solo la presenza dell'amore, in qualsiasi forma esso si manifesti, costituisce la via di uscita dal caos, della vita, per darle un minimo effimero significato. Anche questo amore, per fortuna, può riverberarsi a ondate sui viventi che via via ci avvicinano,e ci incontrano .

Rita ha detto...

Esattamente. Proprio così. Drammatizza (nel senso di costruire una drammaturgia)questi ragionamenti filosofici. Non potevi dirlo meglio! Per questo è cinema con la c maiuscola, altro che dimesso o tirato via.
D'accordo anche sul valore dell'amore nei film di Allen, è vero, non manca mai.

Giovanni ha detto...

È proprio Cinemone, Rita. Mi piace Woody, perché è un marpione, che fa sembrare i film facili come bicchieri d'acqua. Come impiega con apparente noncuranza i suoi attori.

Rita ha detto...

Verissimo! Ma infatti i grandi autori (nel cinema, come nella letteratura) sono quelli che fanno sembrare facili le cose complesse.