mercoledì 26 ottobre 2016

Come Narciso

In un libro che sto leggendo - peraltro bellissimo - trovo la seguente frase: "sereno come un pesce rosso in una boccia di vetro". 
Il mio cuore sobbalza come di fronte a un fatto increscioso e improvviso, la mia mente si rifiuta di accettare un simile obbrobrio. Leggo e rileggo la frase più volte, poi mi domando: com'è possibile che una persona normodotata - e anzi, a giudicare dalle doti narrative della scrittrice in questione, direi più che dotata - possa arrivare a concepire un simile pensiero, incapace di sottrarsi all'evidenza di un mastodontico inganno cognitivo. 
Sereno come un pesce rosso in una boccia vetro. Attenzione, non in un acquario, al limite, ma proprio in una boccia di vetro. 
Come questa: 

Mi chiedo come possa ispirare serenità l'immagine di una prigione di vetro da cui è impossibile evadere; come si possa pensare che girare in tondo tutta la vita possa offrire la possibilità di essere, seppur per un momento, in qualche modo sereni. 
L'unica concessione che vien fatta ai pesci tenuti nelle bocce di vetro è quella di permettergli di respirare e mangiare: un po' come se a noi ci tenessero tutta la vita rinchiusi dentro una cabina telefonica lasciandoci aperta una finestrella per far entrare l'aria e attraverso cui far passare del cibo.
Oh, so già cosa mi obietterà arrivati a questo punto: voi animalisti finite sempre per antropomorfizzare tutto. I pesci non sono come noi. 
Invece, cari miei, l'unica vera antropomorfizzazione attuata è quella di piegare il mondo e le esigenze degli animali ai nostri canoni estetici e culturali in genere (una a caso: gli animali non hanno doveri, non pagano le tasse e quindi non possono avere nemmeno diritti!); l'immagine di un pesce rosso dentro una boccia di vetro può suscitare serenità solo se immaginiamo noi stessi immersi in una piscina alla ricerca di un momento di silenzio, pace e solitudine. L'idea dell'acqua che ci ovatta i pensieri e ci culla come se fossimo ancora dentro al grembo materno. Ma questo è proprio ciò che significa antropomorfizzare, ossia sovrapporre il nostro peculiare immaginario a una scena di dominio e crudeltà. Non riuscire più a vedere l'altro, ma solo noi stessi: come Narciso che si riflette sulla superficie d'acqua. 

11 commenti:

Giovanni ha detto...

Questa volta, sono rimasto sorpreso! Hai davvero smascherato un atteggiamento mentale di chi ostacola, avversa e attacca gli animalisti. In fondo, non è sempre il violento che dice di essere stato aggredito, e quindi che dvee difnedersi? Credo sia il meccanismo della proiezione: se io sono inaffidabile e bugiardo, crederò che tutti losiano, e dunque non mi fiderò di enssuno. Se io antropomorfizzo (perché mi fa comodo, alla coscienza, agli interessi economici, a hcissà che altro), credo che anche chi è dalla aprte degli animali, abbia la tendenza a ad antropomorfizzare in questa maniera 'distorta'
Grazie Rita: direi che la lontananza da FB ti giova! :)

Rita ha detto...

Grazie Giovanni! :-)

@Lorenzo
Tu sembri considerare meno crudele e ingiusto il trattamento che riserviamo ad animali allevati per soddisfare nostre richieste. E non capisci che la massima crudeltà e ingiustizia consiste proprio nel mettere al mondo qualcuno, considerato e concepito come merce sin dalla fecondazione, per destinarlo a un'esistenza di schiavitù e dolore.

Il punto due dimostra che non mi hai letta con attenzione. Il paragone del pesce rosso usato come metafora sarebbe stato pertinente se appunto nel testo da me menzionato si fosse parlato di routine noiosa, mentre qui, nello specifico, il richiamo al pesce voleva suggerire un'immagine di serenità. Ora, solo qualcuno fortemente accecato dall'inganno cognitivo dello specismo, ossia quell'ideologia che non ci fa considerare degne di attenzione morale le esigenze etologiche degli altri animali, seppure nati in cattività (non è che un pesce nato in cattività ha meno bisogno di nuotare!), può pensare che un pesce chiuso dentro una boccia possa vivere sereno.

Rita ha detto...

Il pesce rosso nato in cattività non è sereno perché non può esprimere nemmeno le sue basilari esigenze etologiche.
E sì, visto che noi possiamo benissimo vivere senza far riprodurre a un ritmo incessante individui che dopo una non vita di prigionia vengono fatti a pezzi, continuare a farlo è ingiusto e sbagliato. Definisco ingiusto e sbagliato arrecare un danno a un altro individuo senza che vi sia la necessità di farlo.
E pazienza se far cessare gli allevamenti significherebbe far estinguere alcune specie. Credo che nessuno vorrebbe venire al mondo solo per essere fatto a fettine, trattato e considerato come un oggetto.

Tu come giudicheresti, ad esempio, una persona che prendesse a calci un cane o lo torturasse senza motivo? Credo che non avresti difficoltà alcuna a definire ciò un trattamento ingiusto e sbagliato. E cambia poco se alcune specie sono allevate appositamente, il fatto in sé della crudeltà e ingiustizia rimane. Rimane come fatto reale. Reale e quindi oggettivo. La violenza è oggettiva, non può essere relativizzata a seconda dei nostri interessi personali ed egoistici, altrimenti dovremmo giustificare il pedofilo che stupra per piacer suo.
Questa si chiama etica.

Rita ha detto...

Ti ho risposto invece. Rileggimi.
Comunque dici talmente tante idiozie sugli animali, leggermente camuffate da un linguaggio che vorrebbe apparire consapevole, che non meriti ulteriore risposte nonché perdita del mio tempo.
Come ti ho già scritto altre volte, non ho interesse a discutere con te.
Vedo che continui a commentare. Io non cancello niente e nessuno a meno che non ci siano motivi più che gravi, quindi ti auguro buon proseguimento e divertimento.

P.S.: tu sei stato creato per fare il troll ad esempio. Troll conclamato. :-D

Rita ha detto...

P.S.: tuo nipote commette un reato ed è malato. Se credi che seviziare animali sia la normalità, evidentemente sei malato anche te.

Evaristo Carriego ha detto...

Detto che sono d'accordo con te sulla crudeltà di mettere un pesce in una boccia, ma anche in un acquario, devo dirti che il tuo scandalizzarti non per un fatto reale, ma per una figura retorica, una similitudine, trovata in un romanzo ti assimila a quei contadini di tanti anni fa di cui mi raccontava mio nonno, che, quando in una rappresentazione al teatro sociale del Mefistofele apparve in scena Belzebù, si armarono di forconi e gli diedero la caccia fin fuori dal teatro!

Rita ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Rita ha detto...

Evidentemente non ti rendi conto di quando il linguaggio, figure retoriche comprese, influenzi la visione che abbiamo del mondo. Lo specismo si rafforza e reitera anche a partire dal linguaggio.
Se invece del pesce ci fosse stato scritto: "sereno come un carcerato nella sua gabbia", diresti la stessa cosa? Quello che contesto è proprio l'inadeguatezza e totale assenza di logica di simile paragone. Anche perché appunto la figura del pesce rosso nella boccia viene spesso richiamata per suggerire alienazione, prigionia e non certo serenità. Insomma, qui il problema è proprio semantico.

Evaristo Carriego ha detto...

Evidentemente non ti rendi conto di quando il linguaggio, figure retoriche comprese, influenzi la visione che abbiamo del mondo.

Posizione teoreticamente decrepita, discutibilissima (e discussa) e secondo me completamente sbagliata, ma non è questo il punto.


Se invece del pesce ci fosse stato scritto: "sereno come un carcerato nella sua gabbia", diresti la stessa cosa?

Certamente sì: perché l'autore mi starebbe proponendo l'immagine singolare, ma psicologicamente per lui vera, di un carcerato che possa provare serenità nella sua prigionia. Leggi o rileggi l'incipit del «Racconto d'inverno» di Tommaso Landolfi, che elabora esattamente quest'immagine e questo concetto!

Rita ha detto...

Ma cosa c'entra?
Guarda, un pesce rosso in una boccia può esser tutto tranne che sereno e a sostenere la correttezza di una simile immagine si sente lo screpitio delle unghie di chi si sta arrampicando sugli specchi per aver ragione a tutti i costi.

Rita ha detto...

Mi spiego meglio, ammesso che ce ne sia bisogno: tu stai sostenendo la correttezza di un'immagine forzandola dentro un contesto eccezionale. Ma nel romanzo che ho letto io non c'era nulla che potesse far riferimento a una situazione eccezionale: banalmente si è voluto evocare il desiderio di serenità facendo ricorso all'immagine di un pesce rosso in una boccia, ma senza contestualizzarlo con qualcosa che giustificasse quell'idea di serenità. Essendo assente la contestualizzazione, l'immagine del pesce rosso va presa nella sua accezione standard, ossia un'immagine che evoca alienazione, costrizione, ripetizione, routine (la stessa del criceto che gira sulla ruota, per dirne un'altra, o della tigre in gabbia); solo una mente invece incapace di cogliere la reale condizione di un pesce rosso in una boccia può scambiarla per una condizione serena. Da qui la mia critica antispecista.
Ora, puoi non essere d'accordo, beninteso, ma non mi puoi dire che sia comune pensare al pesce rosso dentro a una boccia come a una condizione idilliaca di serenità. Se lo si fa, è perché forse non si ha bene in mente l'etologia dei pesci rossi. Quindi il linguaggio stride con la realtà e la falsifica. Ora, se succede in un romanzo non fa niente, al massimo le persone penseranno che l'autrice non sappia nulla dei pesci rossi, ma se questa immagine diventasse un luogo comune, quale quello ad esempio che le galline siano stupide o che il maiale sia sporco e puzzi, si finirebbe per attribuire a questi animali caratteristiche false e per crederli tali, anche se non lo sono. Il linguaggio influenza eccome la realtà. Posso portarti decine di esempi.