mercoledì 14 dicembre 2016

Quale strategia? Non certo quella che perde di vista il fine.


Spesso mi faccio un giro nel reparto carni dei supermercati. Non per farmi del male, per quanto vedere pezzi di animali martoriati trasformati in banali prodotti mi provochi dolore e nausea, ma per capire se a livello di vendite ci siano dei cambiamenti, seppure impercettibili; ebbene, almeno nei supermercati di fascia medio-alta e in quelli della Coop e affiliati come Doc, in effetti qualche cambiamento c’è. E non è un cambiamento positivo. Viene venduta ancora tantissima carne, per non parlare di affettati e simili, ma noto che si tende a mettere sempre più in risalto, in maniera quasi ossessiva, o meglio, sempre più pervasiva, tutte quelle diciture sulle confezioni che specificano che si tratta di carne “bio”, prodotta da “animali nutriti bene e allevati liberi”, “trattati con rispetto” e via dicendo. Simili scritte campeggiano spesso a caratteri cubitali anche sopra al banco dove sono esposti i “prodotti”.
Come già avevo avuto modo di notare negli Stati Uniti, stiamo andando verso l’affermazione dell’allevamento estensivo e biologico, ovviamente per motivi di salute, ma anche per fugare qualsiasi dubbio etico (in chi se lo fa). 
Si continua infatti a credere che non ci sia nulla di male nell’uccisione tout court degli animali e che quindi si debba chiedere solo di trattarli un po’ meglio: farli crescere per un tot mesi all’aperto e poi mandarli compassionevolmente al mattatoio. Si incentiva la promozione dei prodotti italiani doc, quindi di animali allevati in Italia di cui si conosce l’origine e la storia. 
Purtroppo questa dell’allevamento felice è una trappola, non solo semantica, che lascia intatto il paradigma antropocentrico e specista e che continua a far finire nel suo tritacarne migliaia di individui senzienti. Gli animali continuano a essere considerati risorse rinnovabili e prodotti da sfruttare e le persone, da individui capaci di compiere delle scelte informate, vengono considerati giusto quel tanto cui il sistema consente affinché non creino troppi problemi: consumatori presi nell’inganno di aver compiuto una scelta consapevole e giusta, quando in realtà non faranno che continuare ad assecondare e rafforzare la risposta del sistema alla paventata crisi del consumo di carne illudendosi di comprare quella di animali allevati nel rispetto e nell’amore (sempre che poi ce la facciano a fare questa benedetta connessione cognitiva, ossia che, al di là delle parole, riescano davvero a figurarsi il concetto di carne=pezzi di individui morti). 
Parole come “rispetto”, “allevamento a terra”, “nutrito con mangimi biologici”, “benessere animale”, “morte compassionevole” sono le armi con cui il potere continua a opprimere i corpi edulcorandone e mistificandone la violenza che ne è alla base: quella di considerare lecito far nascere individui per schiavizzarli, sfruttarli, abusarne in ogni modo e poi ucciderli; quello di considerare lecito che noi si continui a pensare che mangiare animali sia giusto, necessario e naturale. Che è esattamente il concetto che è alla base dello sterminio sistematico di miliardi di individui.
Il sistema non vuole che si scardinino certezze. Dà solo un altro nome alle cose, affinché tutto resti com’è, senza cambiare mai. 
Peraltro, allevamenti estensivi, come si vede bene nel documentario Cowspiracy, ma come è anche facilissimo da capire sol sapendo fare due conti, distruggerebbero ancora più risorse (di acqua, in primis) e territori e non sarebbero sostenibili per nessuno. 
Quindi parlare di “eccellenza italiana” in questo momento storico in cui più che mai dovremmo essere uniti e compatti per dire NO a ogni tipo di gabbia e schiavitù dell’altro, mi sembra, sinceramente, che non sia utile.
Né potrebbe esserlo strategicamente. Non lo è perché, come spiegavo sopra, restando all’interno di un siffatto paradigma che continua comunque a considerare lecito uccidere e sfruttare gli animali (seppur con più presunto rispetto a quanto ce ne sia negli allevamenti intensivi) non aiuta a far capire alle persone quanto sia sbagliato mangiare animali e che non sia affatto normale, naturale e necessario come hanno sempre creduto; ragion per cui le persone continueranno con la loro domanda e il mercato risponderà alzando i prezzi nel caso di quella ottenuta da animali italiani, ma importando a prezzi bassissimi quella dall’estero, che è poi quella che consumerà la maggioranza. Esattamente come sta accadendo già adesso. Le fasce più benestanti consumeranno carne a prezzi più elevati e le fasce medio-basse continueranno a prendere quella importata a basso prezzo. Questo finché si continuerà a parlare di “carne”, “prodotti” e “allevamenti felici” e non di olocausto animale, dominio, oppressione, specismo e violenza. 
C’è più violenza nell’allevamento estensivo che in quello intensivo, se vogliamo, giacché nel primo, almeno a parole, si concede il riconoscimento dell’animale come individuo, per poi comunque stroncarne crudelmente l’esistenza al mattatoio: si ingannano le persone facendogli credere che mangiare i pezzi dei corpi di questi individui allevati liberamente sia migliore per la loro salute. Per la salute dei consumatori, ovviamente. Ma non degli animali, né del pianeta e né di chi fa parte della schiera di sfruttati e oppressi.
Io penso che dovremmo tenere a mente un semplice concetto: chiunque finisca al mattatoio, subisce un’ingiustizia di proporzioni inenarrabili. 
E al mattatoio ci finiscono tutti gli animali allevati, quale sia il tipo di allevamento. 
Avete idea di cosa significhi varcare le porte di questi inferni sulla terra? E anche di cosa significhi lavorarci? 
Non importa da quale allevamento provenga l’animale. Per lui la fine sarà sempre la stessa. Finirà la sua breve esistenza – voluta apposta per arrivare qui – in mezzo a sangue, viscere, merda, piscio, vomito, terrore, grida.
Lottiamo per la fine della schiavitù animale, non per un miglioramento delle condizioni di questi nostri fratelli oppressi. 
Per capire quali strategie siano le migliori è importante non perdere di vista questo fine
Ogni strategia che non riconosce l'animale come individuo, che non ne rispetta i confini inviolabili (tali dovrebbero essere) del corpo è destinata a riproporre, seppure attenuata nelle apparenze, la medesima forma di oppressione e violenza.
Non dovremmo mai - almeno noi che portiamo avanti questa battaglia - parlare di prodotti, di norme sul benessere animale, di allevamenti migliori o peggiori e nemmeno di carne; dovremmo invece lavorare per far capire chi sono gli animali, quanto preziosa sia la loro singolarità e come sia sbagliato opprimerli e massacrarli. 
Finché parliamo di carne, parliamo di cibo ed è per questo che non si riesce a ottenere la cognizione della questione animale, né a far capire che non può esistere "libera scelta" quando c'è in gioco la vita di un altro individuo senziente; è necessario parlare di vita animale, di individualità, di singolarità, di sofferenza e oppressione, di schiavitù e massacro. Di olocausto animale. Perché è di questo che si tratta e non di allevamento felice o meno felice. Del resto il termine "zootecnia" dice tutto. Tecnologia applicata ai corpi. Nazismo e distopia orwelliana: il connubio perfetto della peggiore realtà che si potrebbe mai immaginare.

3 commenti:

Giovanni ha detto...

Carne Felice e i suoi derivati concettuali, sono l'apoteosi del referente assente. Nel peggiore die modi: si fa finta che l'animale sia presente e che venga considerato, in realtà, di esso appare solo un avatar spersonalizzato.

Gli allevamenti estensivi, mi ricordano il campo di concentramento di Theresienstadt. Anche lì, alla fine, sempre la camera a gas c'era.

(Perciò, credo che un sottofondo di ideologia nazista, nella concezione tecnico-scientifica-medica nell'uso/abuso di corpi e carni vive, sia ormai prsente e inoculato nella nostra società; e forse, viene anche da più lontano, dall'epoca vittoriana e della rivoluzione industriale britannica)

Rita ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Rita ha detto...

Il termine "zootecnia" dice tutto. Tecnologia applicata ai corpi. Nazismo e distopia orwelliana: il connubio perfetto della peggiore distopia che si potrebbe mai immaginare.