sabato 23 gennaio 2016

L'antispecismo e NOmattatoio a scuola!


Giovedì scorso abbiamo avuto l'opportunità di parlare a una classe di un liceo classico di Roma nel contesto di una mattinata dedicata all'autogestione. 
Abbiamo spiegato con parole semplici cos'è lo sfruttamento degli animali, chi sono questi individui che trattiamo come merce solo perché appartenenti ad una specie diversa dalla nostra e del perché la loro schiavitù sia una delle più grandi ingiustizie sociali che esistano. Poi abbiamo mostrato diversi video tratti da investigazioni sotto copertura che mostrano quanto avviene all'interno degli allevamenti e dei mattatoi, contenitori di violenza istituzionalizzata e sistematica. 
Sin dai primi minuti ho avuto il sentore di star facendo davvero qualcosa di utile, tale e tanta era l'attenzione partecipata dei ragazzi. Li ho visti davvero interessati e anche indignati per quanto stavano osservando sullo schermo. Insomma, siamo usciti dalla classe con la quasi certezza di essere riusciti a piantare qualche semino e di averli almeno incuriositi e invogliati ad approfondire. 
Non mi sbagliavo. Nel pomeriggio abbiamo ricevuto questo messaggio privato:  "Buonasera, sono una studentessa del liceo Seneca e oggi, che grande fortuna, ho partecipato alla lezione che avete tenuto. Sono sincera, non mi ero mai interessata a determinate cose, non sono mai stata curiosa e nel giro di una sola ora siete riuscite a farmi capire ciò che realmente accade...ne ho parlato a lungo con mia madre e entrambe abbiamo deciso di dare una svolta alla nostra dieta!! Io lo faccio per me stessa e ciò in cui credo, è ovvio, vi stimo per quello che fate e mi chiedevo se ci fosse qualcosa in più che io possa fare!".
La cosa mi ha riempito gli occhi di lacrime di commozione. Perché mi sono sentita, forse per la prima volta da quando faccio attivismo, di aver fatto qualcosa di davvero utile nell'immediato.
Poi mi sono domandata da dove nascesse questa gioia perché in fondo non è che per gli animali sia cambiato granché; voglio dire, se anche una persona in più diventa vegana e decide finanche di fare attivismo, non è che la lotta avanzerà di chissà quanto. 
Bene, alla fine mi sono resa conto di aver cominciato a capire il senso dell'antispecismo umanista di cui parla Luigi Lombardi Vallauri. 
Lo sfruttamento degli animali, la loro schiavitù e sterminio sistematico sono tra le più grandi ingiustizie sociali cui le persone partecipano senza nemmeno rendersene conto, diventandone così complici inconsapevoli o indifferenti (poiché è la cultura in cui cresciamo che ci porta a essere indifferenti verso la sofferenza degli altri animali o, nella migliore delle ipotesi, a giustificarla). Se però nella nostra opera di informazione e documentazione riusciamo a far riflettere sulla questione anche una sola persona e a indurla a decidere di attivarsi per gli animali, non avremo fatto solo qualcosa di costruttivo per questi ultimi, ma anche aiutato questa persona a diventare migliore, a fare scelte più consapevoli, a conoscere una realtà che viene sempre mistificata o banalizzata. 
Perché non dovrei essere contenta quando uno dei tanti ciechi che mi circondano (o, per usare un'espressione della Joy, uno dei tanti che indossano le "lenti del carnismo") riesce finalmente ad aprire gli occhi e a vedere di nuovo? 
Perché non dovrei provare empatia anche per tutti gli appartenenti alla mia stessa specie, persone che sono come un tempo ero io, cieca e sorda alla sofferenza animale?

venerdì 22 gennaio 2016

Meno veganismo e più antispecismo!


Non mi piace quando si parla dei vegani, del mondo vegan, dello stile di vita vegan e locuzioni simili.
Così diamo l'impressione che esistano due mondi paralleli, uno, quello in cui mangiare animali è considerato normale, e un altro, che sta a sé, quello dei vegani, in cui invece non lo è. Le cose non sono così semplici invece. 
Non mi piace nemmeno partecipare a eventi in cui ci siano solo vegani (ad accezione di quelli benefit in cui il fine è comunque aiutare gli animali), o parlare sempre e solo di veganismo anteponendo l'etichetta vegan a tutto perché ho come l'impressione di scivolare in una sorta di gruppo identitario con regole proprie.
Io penso che non esistano due società o gruppi distinti (vegani Vs. onnivori), ma che esista un'unica società, quella specista, antropocentrica, verticistica, eretta su logiche e fondamenta di dominio e potere, escludente, istituzionalmente violenta e che è di questo che dovremmo parlare, ossia di come è questa realtà e di cosa potremmo fare per cambiarla. Dovremmo parlare di antispecismo, far capire alle persone cosa sia e perché sia giusto sostenerlo e combattere contro la discriminazione di specie per un mondo in cui ogni individuo non sia più considerato merce, ma sia rispettato. 
Veganismo e antispecismo non sono sinonimi. 
Vogliamo parlare dello sfruttamento degli animali o di come mangia, si veste, dorme un vegano? 
A me non interessa parlare di me o di altre persone come me, quello che mangio io non dovrebbe essere rilevante o interessante. È importante invece parlare di come nascono, vengono allevati e schiavizzati e infine massacrati gli animali. E delle logiche e meccanismi sociali, politici e culturali che sottostanno a tutto ciò.

lunedì 4 gennaio 2016

Normalizzare il male


Al supermercato dove vado di solito, nel reparto carni (dove per forza devo entrare ogni tanto perché ci hanno sistemato anche lo scaffale delle spezie e salse varie, nonché dei cereali, sale e altro ancora che mi è necessario comprare) c'è un cartello appeso che informa sull'origine di un pregiato "taglio di carne" e sull'età dell'animale quando è stato macellato: "22 mesi", così c'è scritto.
Ecco come ha luogo la normalizzazione del male, ossia mettendola in luce, anziché oscurarla. 
Ho notato che di recente fuori dal mattatoio di Roma hanno messo un cartello con su scritto "Macelleria al mattatoio. Carni di prima scelta"; anche questo è un tentativo di banalizzare, di rendere normale ciò che nasconde un'indicibile violenza. Hanno capito che quando l'indicibile viene nominato - magari con un'edulcorazione semantica - esso diviene accettato, non è più un tabù. Ci ascoltano e anziché subire il tentativo di rendere visibile l'anonimato del loro edificio, ci hanno anticipato. 
Ma dietro alle parole ci sono gli atti, c'è la violenza concreta, reale, tangibile, quella che puzza di sangue e gronda dolore da ogni poro. Ed è questa che dobbiamo mostrare, ma facendo attenzione a non abusarne perché, in fin dei conti, ci si abitua a tutto e forse non è poi così vero che se le pareti dei macelli fossero trasparenti, tutti sarebbero vegetariani.

Ultimi film visti al cinema: riflessioni



"L'ansia è la vertigine della libertà" - Kierkegaard

Irrational Man mi è piaciuto molto. Lineare e chiaro. 
In fondo tutti cerchiamo di vivere secondo un'etica, solo che alcuni sembrano non considerare le conseguenze delle proprie azioni.
Per me la questione a volte sembra semplice: ossia, il male è tutto ciò che arreca danno al mio prossimo. In una definizione così stringente e assoluta sembrerebbe non esserci spazio per il dubbio. Eppure, il protagonista del film, un professore di filosofia disilluso, depresso, che ha totalmente perso il gusto del vivere, si spinge un po' più in là. Se bisogna evitare il male, bisogna anche essere disposti a impedire che accada, dunque non basta assumere l'etica come principio teorico, ma bisogna darsi all'azione, agire, attivarsi per evitare che il male possa concretizzarsi o per eliminarlo dalla società. Anche se questo può significare a sua volta commettere proprio altro male che, nell'ottica del protagonista, non sarebbe più un male, ma una scelta etica, il compimento dell'etica.
Ed è qui che cascano tutti i Raskolnikov.
Niente di nuovo insomma, ma da vedere perché riesce a far riflettere su grandi temi con leggerezza.

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Mon Roi, ovvero la sindrome del narcisista patologico.

Credo che a molte di noi sia capitato di incappare in uomini che ne siano affetti e di essersi poi stupite, solo dopo aver trovato la forza di chiudere, di quanto si sia potuto essere così manipolabili. 
È che la caratteristica dominante del narcisista è proprio quella di far sentire l'altro in colpa e di assumere egli stesso il volto della vittima. Le sue giustificazioni sono così ragionevoli che proprio non riesci a capacitarti di come tu - tu - puoi essere così egoista. Il che è un paradosso ed è ciò che impedisce di chiudere la storia non appena si ha il sentore che sia meglio chiudere. 
Nel film c'è una scena chiave in cui Vincent Cassel, il protagonista, parla con la sua compagna, intenzionata a lasciarlo e le dice: "perché vuoi cambiarmi? Sei venuta da me proprio perché ero come ero, perché c'erano alcune cose che ti attraevano in me ed erano proprio quelle cose a farti venire da me e ora invece improvvisamente queste cose diventano il motivo per cui vuoi lasciarmi?".
Questo è un aspetto tipico del narcisista patologico, ossia mascherarsi e manipolare talmente bene le sue "prede" da far credere loro di essere in una certa maniera, quanto meno disposto a cambiare, ossia intenzionato a voler e poter dedicarsi soltanto a loro. Il che rappresenta una sfida molto alta per l'ego (in genere chi ne è vittima ha una piccola componente, ma non totalizzante come nel narcisista, sia di egocentrismo, che della famosa sindrome della crocerossina). Mente spudoratamente, solo che sa farlo con maestria, rigirandosi ogni argomento a suo vantaggio. Il gioco che gli riesce con maggiore abilità è quello di far sentire la donna importantissima, al centro del mondo... una regina proprio. 
E quando inizia a venire smascherato fa appello al senso di colpa della vittima facendole credere di esser sempre stato così e che in fondo sia lei la svitata, quella poco chiara, quella poco consapevole di cosa cercasse; non di rado inscena scene madri piagnucolando e lamentandosi di sentirsi tradito, di finire sempre abbandonato da tutti. E sì, perché alla fine è proprio così: il narcisista patologico alla fine rimane sempre solo perché quando il suo comportamento si rivela, la donna intelligente - a meno che non abbia una spiccata propensione per il masochismo - fugge a gambe levate.
In Mon Roi il finale tuttavia è aperto. Lui rimane ancora il "suo Re" perché, in fondo fondo, l'affetto è forte e perché, a volte, il narcisista patologico continua a suscitare tenerezza, compassione, insomma, una volta capite le sue manipolazioni diventa innocuo come un bambino.

Piccola nota sul doppiaggio: dopo l'incidente al ginocchio Tony sta parlando con un medico che le fa tutta quella tirata sul significato del termine di quella parte del suo corpo che ora la sta costringendo all'immobilità e alla riabilitazione - pretesto che nel film le permetterà di guardare a ritroso la sua storia; "ginocchio", dice, è un termine composto da due parole: io e occhio. In francese in realtà sarebbe "genou" e quindi la scomposizione sarebbe dovuta essere in "io" (ge si pronuncia come il pronome personale Je) e "noi" (nou si pronuncia come il pronome nous). 
Scomponendo il termine in maniera intelligente nel doppiaggio si sarebbe invece potuto avere: gin-occhio, ossia gin da gyné, donna in greco antico, e occhio. In questo modo il significato assunto dall'incidente al ginocchio avrebbe avuto una valenza più forte e più connotativa del mondo di Tony.

domenica 3 gennaio 2016

NOmattatoio 13° presidio: il resoconto


Sabato 12 dicembre si è tenuto l’ultimo presidio del 2015 di questa campagna che si protrae a cadenze regolari da un anno e che intendiamo portare avanti con ancora più determinazione e impegno.
In questa giornata abbiamo avuto una partecipazione che si è avvicinata di molto ai picchi raggiunti durante alcuni mesi: eravamo infatti più di una sessantina, tra cui anche bambini, di varie età, accompagnati ovviamente dalle loro famiglie. Facendo un po’ il punto della situazione, non possiamo che essere soddisfatti dell’andamento della campagna che da locale che era – ricordiamo che è nata a Roma – ha visto l’aderire nel corso dell’anno di altre regioni: attualmente vengono organizzati presidi nei pressi dei mattatoio e banchetti informativi in punti strategici delle varie città anche in Lombardia, Liguria, Toscana, Marche e Abruzzo e a breve ne aderiranno altre. Nel corso dell’anno inoltre abbiamo partecipato a diversi festival antispecisti in cui abbiamo potuto presentare la campagna, spiegandone contenuti, obiettivi e modalità.
Ribadiamo che la sistematicità e regolarità con cui abbiamo deciso di condurre la campagna non ha lo scopo di far chiudere il singolo mattatoio, ma di mettere in luce - simbolicamente e materialmente, con la nostra presenza - la violenza normalizzata e istituzionalizzata che avviene dentro luoghi tenuto appositamente lontani e all’oscuro dalla collettività. 
Sabato 12 dicembre, come di consueto, abbiamo letto estratti da investigazioni sotto copertura e ribadito concetti e pensieri che ci sembrano fondamentali per la lotta di liberazione animale.
Ad esempio si è detto che il veganismo non può essere considerato un punto di arrivo, né il fine ultimo, ma semmai un punto d’inizio, nonché testimonianza individuale di una maniera nonviolenta di stare al mondo che è possibile attuare, singolarmente, sin da subito. Ma se tanti singoli uniti da un medesimo ideale non si uniscono, non è come se disperdessero le loro energie e forze? Ferma restando la comunanza degli obiettivi e modalità, non sarebbe meglio unire le nostre voci affinché, da isolate che siano, possano diventare più autorevoli e risonanti?

Continua su NOmattatoio.