venerdì 26 agosto 2016

La questione animale non è relativizzabile


Aiutare i terremotati sostenendo il massacro e la morte di altri individui è una cosa ingiusta - mi riferisco all'iniziativa di preparare la pasta all'amatriciana che si sta diffondendo in tutta Italia.
E no, non si tratta affatto di pensare agli animali non umani più di quelli umani perché, attenzione, non sto dicendo che non si debba fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per aiutare chi è stato vittima di un'immensa tragedia, ma solo che possono esserci tantissimi altri modi che non prevedono lo sfruttamento degli animali.
Le persone, compresi molti antispecisti, pensano che sia inopportuno parlare della questione animale in momenti come questi. Io dico invece che è anche e proprio in momenti come questi che dobbiamo impegnarci a non deragliare, a mantenere dritta la barra che porta al cuore di questa lotta perché se rendiamo valido il pretesto che in certi casi bisognerebbe metterla da parte, allora significa che stiamo relativizzando la sofferenza animale, dimostrando così di essere ancora dentro al paradigma specista.
Noi non facciamo differenze: non c'è un prima e un poi, per noi è importante allo stesso modo la vita e la libertà di ogni individuo.
Iniziative per i terremotati, in particolar modo donazioni, possono esser fatte anche senza il consumo della pasta all'amatriciana (la quale, ricordo, nella ricetta tradizionale prevede il guanciale, ossia la guancia dei maiali: animali esattamente sensibili e intelligenti come i cani salvati da sotto le macerie e per cui molti si commuovono e attivano). Mi sembra poi, questa iniziativa, una grande azione di marketing in favore innanzitutto dei ristoratori.
Ultima cosa: durante il terremoto, nei pressi di Viterbo, migliaia di polli rinchiusi in un allevamento sono rimasti schiacciati e sono morti. Di questi ovviamente non si parla. Sembra inopportuno. L'articolo riporta però la disperazione dell'allevatore il quale dichiara "sono rovinato!". A chi specula sulla vita degli altri individui NON va la mia solidarietà. 
Banalmente ricordo che anche i polli sono individui senzienti. L'unica differenza è che sarebbero morti comunque - macellati per il palato di molti - ed è questo che rende tragica la loro esistenza, oltre che la loro morte.

lunedì 22 agosto 2016

La retorica dell'infanzia a sostegno dello specismo


I bambini sono una grande risorsa. Ancora non del tutto condizionati dall’ideologia dello specismo e del carnismo, nutrono quasi sempre una curiosità sincera nei confronti degli altri animali, scevra da pregiudizi e narrazioni antropocentriche. 
Nessun bambino accetterebbe di mangiare la carne dell’agnellino o del vitellino con cui ha giocato poco prima e sono abbastanza sicura che si rifiuterebbe di andare al circo o allo zoo se sapesse di quanta violenza sono intrise queste strutture di prigonia. 
Sono anche abbastanza sicura che alla domanda tendenziosa del “scegli il topo o il bambino” troverebbero una terza via rispettosa di entrambi i soggetti.

I bambini amano gli animali e, se non li amano, comunque li riconoscono come individui senzienti, diversi da loro, ma non per questo inferiori o meritevoli di essere sfruttati, mercificati e uccisi. 

Questo comportamento abbastanza innato ha però anche un innegabile lato oscuro, ossia è facilmente aggirabile e strumentalizzabile dagli adulti in favore di un ripristino di un ordine sociale e culturale teso a confermare la superiorità della nostra specie su tutti gli altri animali.

Difatti tutti i genitori e gli adulti che portano i bambini al circo, allo zoo, delfinari e strutture di detenzione varie si appellano al presunto desiderio dei bambini di vedere animali esotici dal vivo per giustificare quella che in realtà è, quasi sempre, una loro decisione.  
Ora, sia chiaro, può essere che persino molti adulti non siano al corrente delle enormi sofferenze che patiscono gli animali rinchiusi in queste strutture o che non conoscano i brutali metodi di addestramento usati nei circhi, ma la risposta sovente non cambia nemmeno dopo adeguata informazione. 
Nella mia esperienza di volantinaggio davanti a questi lager ho avuto spesso modo di parlare a lungo con i genitori: quasi tutti erano in grado di riconoscere la crudeltà e violenza consumata entro quelle mura, ma si ostinavano lo stesso a entrarci e a finanziare le strutture facendosi scudo della volontà del bambino di volerci comunque andare; il quale continuava a restare invece appositamente all’oscuro dell’intera situazione. 
Frasi come: “per il bambino è una festa”, “mio figlio ama gli animali e così potrà vedere animali esotici che altrimenti non potrebbe mai incontrare dal vivo”, “ma ormai gliel’ho promesso e se non entrassimo per lui sarebbe una delusione” sono le più comuni. 
Bambini, bambini, sempre bambini. Bambini ingannati, bambini traditi, bambini cui viene taciuta la verità e che vengono debitamente tenuti all’oscuro delle pratiche di violenza che i loro amati animali subiscono; bambini strumentalizzati nel loro sincero amore che finisce per ritorcersi contro gli animali stessi; bambini che inorridirebbero se vedessero il dietro le quinte di circhi e delfinari.
Si agisce così una doppia violenza anche sui bambini stessi, oltre che sugli animali: una, che è quella di trasmetter loro la “normalità” e “banalità” del dominio e oppressione sugli altri animali, un’altra che è quella di indurgli la dissociazione cognitiva per cui da una parte questi bambini riconoscono l’animale, ma dall’altra non sono in grado di ricondurlo alla sua interezza di individuo senziente con precise necessità etologiche e finiscono per ridurlo a un simbolo; uno per tutti: il leone (o la tigre, la giraffa, il gorilla ecc.), che anziché essere una singolarità, quindi un individuo specifico con una sua precisa storia e identità - per quanto drammatica possa essere - diventa il simbolo di una precisa specie, ridotto a un’astrazione semantica e poco più.
I bambini non imparano così a vedere un singolo individuo, non un leone strappato al proprio habitat, ma IL leone, un simulacro di specie, un simbolo e poco più. 

Lo stesso meccanismo avviene riguardo il cibo. Qui il discorso è più complesso perché ci troviamo ancora di fronte all’ignoranza riguardo il veganismo e si continua a credere che i bambini abbiano necessità di mangiare animali e derivati. In questo caso, più che sull’amore di questi ultimi verso gli animali, si tende ad usare in maniera efficace lo strumento retorico che agisce sul sentimento di protezione e vulnerabilità che la società adulta nutre nei confronti dei bambini. Così si crea la notizia  del bambino vegano malato o in pericolo di vita per rafforzare la menzogna della necessità di una nutrizione a base di animali e di prodotti derivati da loro iniquo sfruttamento. E poco importa se queste notizie si siano poi rivelate tutte false, una volta lanciata la bomba, non ci sarà smentita che tenga al clamore suscitato dalla prima (ammesso che venga pubblicata e mi pare che nei casi più recenti non lo sia stata mai).

Lo stessa retorica che fa appello al sentimentalismo riguardo i bambini è usata dal mondo della ricerca medica che pratica la vivisezione. La domanda tendenziosa è: “preferisci il topo o il bambino?”. Notare come l’animale non umano da anteporre a questa falsa scelta è sempre il topo – animale che nell’immaginario collettivo riassume in sé tutta una serie di pregiudizi negativi –, mai ad esempio il tenero coniglietto, il cagnolino, gattino o il cucciolo di primate; notare anche come l'immagine del bambino, spesso in braccio alla mamma o insieme al papà, sia sempre costruita – per posa, luce e prospettiva – in maniera tale da richiamare un'atmosfera di protezione  e affettività famigliare; addirittura tempo fa ne girava una che richiamava esplicitamente l'icona della madonna col bambino (non le pubblico per non fare ulteriore pubblicità ingannevole). Quest’uso delle immagini, già di per sé abbastanza mistificatorio, si basa poi sul richiamo a una scelta che non è assolutamente possibile effettuare in termini così semplicistici e binari. Innanzitutto gli animali uccisi per la vivisezione sono milioni e non c’è un reale corrispettivo di bambino guarito e salvato per ognuno di essi; secondo poi gli animali vengono uccisi anche per raccolte dati di lavori meramente accademici; terza, cosa più importante, una scienza capace di mettere in gioco solo un’alternativa così violenta facendo leva sulla disinformazione e retorica dell’infanzia è una scienza che ha paura di sé stessa in quanto incapace di far fronte a nuove domande che la collettività pone e, tra queste, se sia lecito, oggi, dopo tutto quello che abbiamo appreso in merito alle capacità cognitive degli altri animali, continuare a considerarli “macchine” come sosteneva Cartesio nel seicento.

In ognuno di questi contesti il bambino, anziché essere davvero protetto o accontentato nei suoi desideri come si pretenderebbe, in realtà viene sempre usato, manipolato e oltraggiato nel suo diritto a conoscere la verità sulla realtà che lo circonda. 

sabato 20 agosto 2016

Il corpo è politica


Questo secondo alcuni e alcune sarebbe un abito come un altro.
E quindi dovremmo farci gli affari nostri e non preoccuparci dell'evidente sottomissione di queste donne perché, in fondo, si tratterebbe solo di usanze e costumi diversi.
Ma come fate a non capire che la questione è politica e culturale perché riguarda l'obbligo, in alcuni paesi, come l'Arabia Saudita, di comportarsi e vestirsi in un certo modo che ha a che fare con la considerazione del ruolo della donna e del suo corpo all'interno di una società teocratica, quindi maschilista e patriarcale?

Visioni diverse, ma la realtà è una sola


Tra tutti i concetti che ho appreso in merito alla questione animale, ce n'è uno che ritorna costantemente in ogni situazione che mi capita di osservare e analizzare ed è quello della dissociazione cognitiva e di come ciò che a noi si presenta immediatamente come puro orrore, per tutti gli altri che ancora indossano "le lenti del carnismo" - per usare l'espressione della Joy - invece è solo gusto, buon cibo, tradizione e tutto ciò che affettivamente e per associazione è legato a questi elementi. 
C'è poco da fare, fino a che le persone saranno così dissociate, potremo parlar loro di ingiustizia sociale, di dominio, di strutture di potere quanto volete, ma non ci capiranno mai perché semplicemente, banalmente, non riescono a concepire gli altri animali come individui degni di essere rispettati.
E non è un qualcosa che basti dire a parole, bisognerà arrivare proprio al cambio di visione della realtà che si prospetta ogni volta davanti agli occhi. 
Bisogna rendersi conto che chi compra il pesce un tanto al kg senza battere ciglio di fronte a quella distesa di morte che è il banco della pescheria non sta vedendo la stessa cosa che vediamo noi. Noi vediamo bocche spalancate fissate per sempre nello stremo dell'agonia finale e corpicini lucidi e argentati, ma ormai prossimi alla putrefazione, sottratti violentemente al loro mondo; gli altri vedono tenera e polposa carne da gustare per cena; e lì dove noi vediamo pezzi di corpi sventrati e sezionati di cuccioli che si erano appena affacciati alla vita e che già, in quelle prime settimane, hanno conosciuto il dolore della separazione dalla madre, gli altri vedono il divertimento della prossima grigliata con gli amici nel riflesso di quel sangue.
Fino a che continueremo ad avere queste due visioni diverse, l'una, la nostra, reale, l'altra un'allucinazione prodotta dall'ideologia del carnismo, non riusciremo mai a far capire l'urgenza e la priorità della questione animale. 
La domanda è: come riuscire a produrre quello "shift" nella mente delle persone che le porti da una visione all'altra e, soprattutto, che faccia capire che pure se abbiamo due visioni diverse, la realtà non è che una sola.

venerdì 19 agosto 2016

Che ogni donna sia innanzitutto LIBERA

Saverio Tommasi fa un post sottintendendo un'analogia tra l'abito religioso indossato dalle suore e il burkini indossato dalle donne laiche nei paesi in cui è d'obbligo. Riceve migliaia di like.
Questo il mio commento, da cui prendo spunto per aggiungere alcune precisazioni:
"quindi secondo te è la stessa cosa indossare un abito religioso perché si è scelto di diventare una suora e indossare il burkini in paesi in cui le donne non possono concepirlo come scelta, ma solo come obbligo in quanto viene imposto? E ancora, secondo te è la stessa cosa decidere di indossare tacchi o meno nei paesi occidentali o il burkini in alcuni paesi teocratici come l'Arabia Saudita? La differenza - mi sento stupida a ribadirla, ma tant'è - è che se decido di non indossare il tacco dodici, nessuno mi condanna a trecento frustate; lo stesso non si può dire in quei paesi in cui l'abito che copre interamente il corpo è obbligatorio per le donne. Ma poi, fosse solo questione di abito... qui stiamo parlando (non nello specifico sotto a questo post, ma nell'allusione implicita nel tuo post che vorrebbe lanciare "un'originale" analogia tra l'abito religioso e il burkini) di donne che la libera scelta non sanno nemmeno cosa sia perché hanno introiettato gli obblighi di una società maschilista e teocratica sin dalla nascita."
Premessa questa enorme differenza, aggiungerei che tutti siamo in una certa misura schiavi della cultura in cui nasciamo, ma, precisiamolo ancora una volta, per quanto noi donne occidentali saremo pure vittime di un certo culto dell'immagine, di una certa idea del corpo e del vestire legata alla seduzione, siamo comunque libere, in ogni momento della nostra esistenza, di scegliere come andare vestite; ci sono poi questioni legate all'insicurezza personale, ossia molte donne avvertono di più le pressioni sociali e non si sentono sicure se non adeguano il loro abbigliamento al gruppo d'appartenenza (accade soprattutto nelle adolescenti), ma le dinamiche personali sono fatti ben diversi dagli obblighi di legge di un paese. 
Tradotto con parole semplici: molte donne saranno pure schiave della loro immagine che vorrebbero vedere in un certo modo - e spesso questo modo è quello che ci propinano i media - ma si tratta di una schiavitù e dipendenza di tipo psicologico su cui ognuna può lavorare per affrancarsene e di certo questa imposizione lavora in modo diverso da donna a donna, facendo leva su quelle che sono insicurezze personali o talvolta creandole; nel caso delle donne costrette invece per legge a indossare il burkini, si tratta di un'imposizione reale, concreta, punibile pesantemente. 
L'analogia quindi è del tutto inappropriata.
Inoltre, punto che mi preme in particolar modo specificare, ovvio che a queste donne che sono cresciute introiettando il dominio maschilista e teocratico si farebbe un'ulteriore violenza obbligandole a spogliarsi, quindi capisco che non possiamo vietar loro di indossare l'abito che considerano "normale" ("normale" esattamente come noi consideriamo "normali" certe pratiche di violenza che però non lo sono affatto); andrebbe quindi aperto un dialogo culturale teso a favorire delle aperture libertarie. 
Da donna, mi metto nei panni di queste donne e ne percepisco la fierezza talvolta di indossare questi abiti, fierezza che aumenta specialmente nel contesto di paesi diversi come quelli occidentali perché in questo modo l'abito diventa un marchio identitario, una sorta di corazza d'appartenenza alle origini da cui ci si sente protette e ci si appiglia come un salvagente nello sconvolgimento di un'esistenza che, a contatto con una cultura diversa, ha perso punti di riferimento. 
L'unica soluzione è il dialogo e l'apertura all'ascolto, ma anche, soprattutto, è importantissimo che non si perda la direzione libertaria intrapresa dalle battaglie femministe nei paesi occidentali perché non vorrei che per rispetto di altre culture vadano dispersi i risultati che abbiamo ottenuto versando lacrime, sangue e sudore.
Ad esempio sono scettica riguardo la legge francese che vorrebbe multare le donne che indossano il burkini in spiaggia perché un  divieto così coatto perché mi pare anch'esso un'imposizione, una sorta di duplice violenza su queste donne che non riescono a comprendere la nostra emancipazione e le nostre lotte libertarie. Penserei quindi, come detto e mi ripeto,  al dialogo, alla comprensione lunga e lenta, ma necessaria di un nuovo stato di cose: uno spiraglio di libertà che si apre per loro in un altro paese.
Altrimenti, passatemi il paragone, è come prendere un animale non umano che ha sempre vissuto in gabbia e liberarlo improvvisamente. Non è detto che sappia come gestire questa libertà, magari muore di shock. Ci vuole tempo, un periodo transitorio di recupero. La libertà va compresa.

Che ogni donna sia libera di vestirsi come vuole? Che ogni donna sia LIBERA innanzitutto, consapevolmente, e non mi pare che quella di alcuni paesi, come l'Arabia Saudita, possa dirsi tale. Per questo affermare: "il burkini è una loro scelta" suona tanto come una presa di posizione di grande ignoranza o superficialità in merito a un tema di una complessità enorme che è l'integrazione culturale e lo stare bene attenti a non perdere certi valori basilari, come appunto la libertà, in nome di un relativismo culturale che però non tiene conto dei diritti fondamentali delle persone. Ma anche il divieto coatto non può essere una risposta giusta perché si corre il rischio di causare quello che si chiama "shock culturale", con implicazioni psicologiche anche molto gravi.

P.S.:
Fondamentale è anche comprendere cosa sia esattamente il burkini perché la questione non riguarda solamente un tot di centimetri di stoffa in più o meno; bisogna capire cosa ci sia dietro questa imposizione che ha a che vedere con lo status ontologico della donna e del suo corpo in certi paesi, considerati alla stregua di un elemento tentatore e impuro che deve essere nascosto per non far indulgere gli uomini in pensieri peccaminosi.

martedì 16 agosto 2016

Diritti e doveri

Perché è sbagliato il concetto di prendere le uova alle galline in cambio di riparo, cibo e protezione? 
Prendere le uova alla galline intanto gli crea un danno enorme: una sul lato pratico: le galline, come tutti gli uccelli, fanno le uova solo in limitati periodi dell'anno - a parte quelle negli allevamenti cui vengono sconvolti tutti i cicli circadiani e naturali - e sottrargliele le costringe a farne di nuovo, alla lunga causandogli carenze di calcio e di importanti minerali, quindi accorciandogli la vita; un'altra sul piano materiale-simbolico: le galline non sono macchine produttrici di cibo, ma individui e questo tipo di scambio può esser ben visto solo quando c'è consenso. In questo caso, nessuna gallina può darci il suo consenso. 
Gli altri animali non devono per forza avere i nostri stessi doveri, ma noi abbiamo il diritto di rispettarne la vita.

Bisogna sempre rispettarne l'etologia. Ad esempio non si può chiedere agli animali di lavorare perché il lavoro è un prodotto della nostra cultura, né di andare a votare o di fare altro che non li riguardi in quanto specie. Di sicuro però li riguarda continuare a vivere e non essere sfruttati e uccisi

C'è una differenza tra l'aggredire le persone e il responsabilizzarle


Su FB una persona mi domanda se io la rispetti o meno, visto che mangia animali.
Io la rispetto come persona, ma non posso rispettare la sua scelta di nutrirsi di animali perché la ritengo una scelta che contempla forme di dominio e violenza su altri corpi, anche se, nel suo caso, come del resto nella maggioranza dei casi, si tratta di una violenza esercitata in maniera indiretta, ossia come complici e sostenitori, ma non come agenti, visto che si delega qualcun altro ad allevare e uccidere animali affinché si possa comprare la fettina di carne al supermercato nella completa rimozione di CHI ci sia stato dietro quello che viene considerato il "prodotto finale"; per inciso, devo dire, purtroppo, che è chi mangia gli animali a non rispettarne la vita, non perché sia in assoluto una persona cattiva, ma perché si è stati abituati a non considerare gli animali quali individui degni di essere rispettati; esattamente come ci siamo stati abituati anche noi, fino a quando non è venuto il momento di mettere in discussione quanto ci era stato fatto passare per normale, naturale, necessario.
Io penso che dire queste cose sia doveroso. Non è un discorso insultante, ma solo descrittivo della realtà. Se poi le persone si sentono giudicate o si offendono, possiamo tenerne conto, ma fino a un certo punto, oltre il quale si diventa accondiscendenti.
Non è che possiamo rinunciare a informare e a raccontare le cose come stanno solo per timore di ferire l'interlocutore o per "strategia" perché alla fine, a forza di pensare alla strategia, stiamo perdendo di vista la difesa dei i veri soggetti in causa: gli animali massacrati a migliaia ogni secondo.

Possiamo stemperare i toni, ma non i contenuti.

La crudeltà della pesca praticata come "sport"


Se ne parla troppo poco. E non è socialmente stigmatizzata al pari della caccia. 
Forse perché quando si pensa alla caccia subito viene in mente un'arma, il fucile, e quindi la sua evidente violenza e pericolosità; mentre la pesca richiama a un mondo solitario, perso nella natura, fatto di attese, silenzi, meditazione, pensieri che scorrono sulle rive di un fiume. 
Eppure poche cose possono esser violente e dolorose quanto un amo ficcato nel palato, l'estromissione a forza dal proprio habitat e l'agonia in attesa della morte per asfissia. 
Violenta è anche l'iniziazione che i bambini son costretti a subire dai loro genitori: "non piangere, è la legge della natura, figliolo, sii forte!".
E invece non è legge della natura perché noi non siamo predatori carnivori per necessità; è sopraffazione, dominio, violenza gratuita.
Ogni volta che lasciate morire un pesce per asfissia, insieme a lui muore anche un po' della vostra empatia e la parte migliore della vostra animalità.

lunedì 15 agosto 2016

Body Shaming

Trovo vergognoso che alcuni animalisti usino il body shaming nei confronti dei carnisti.
Trovo deplorevole il body shaming, in generale. Sempre.
Offendere qualcuno perché è obeso, o anche solo con qualche chilo di troppo, è come offendere qualcuno perché ha il cancro.
Giacché si può essere obesi per tremila ragioni e alcune di queste anche molto gravi: malattie metaboliche, malattie a carico della tiroide, disturbi ossessivo-compulsivi che portano a disordini con il cibo, effetti collaterali di farmaci e altro ancora.
Riferirsi all'aspetto estetico di qualcuno in modo critico o per offendere non è solo un qualcosa di pessimo gusto, ma evidenzia anche la mancanza di argomentazioni.
Vale anche in senso inverso. Anche dire "sei troppo magra, mangia di più" è di pessimo gusto.
Il corpo è qualcosa di intimo e personale, una corazza, un'apparenza dietro cui si nascondono storie, paure, problemi, insicurezze o anche speranze e desideri. Quando guardate qualcuno non potete sapere cosa ci sia dietro quell'aspetto o se quella caratteristica sia per lui/lei fonte di ossessione o di altro, quindi tutte le allusioni in tal senso possono ferire.
Se non potete rivolgere un complimento, allora state zitti. 
Se non vi viene richiesto espressamente un parere, allora tenete per voi le vostre opinioni. Anche con gli amici.

domenica 14 agosto 2016

Parole ingannatrici

Espressioni che non sopporto perché contribuiscono a disinformare:
- dieta vegana (il veganismo non è una dieta);
- proteine animali (e se dicessero così di vostro figlio?);
- mangiare il pesce (come se fosse un'entità non quantificabile: si tratta di pesci, di singoli individui);
- mangiare la carne (idem come sopra: si tratta di pezzi di corpi di individui; inoltre il termine carne rimanda al prodotto finito, non più percepibile come l'individuo vivo, unico e singolare che è stato);
- amore o passione per gli animali (non è amore, è rispetto! Finché si parlerà di amore o passione, gli altri si sentiranno autorizzati e legittimati a non occuparsi della questione animale perché non la percepiranno come una forma di ingiustizia sociale, ma come, appunto, un impegno personale dettato da una passione individuale).

sabato 13 agosto 2016

Quando la scienza diventa dogma: ossia, quello che non dovrebbe mai diventare


A proposito di antivivisezionismo: oltre al discorso etico dovremmo essere in grado di portarne avanti uno politico che evidenzi quanto sia sbagliata la difesa a oltranza di un metodo scientifico incapace di mettersi in discussione e che quindi finisce per diventare dogma (non molto diverso da quello religioso).
Dovremmo lottare altresì per abbattere quella deferenza che troppo spesso manifestiamo nei confronti di chi si fa portavoce - non già autorevole, ma addirittura autoritario - di un mondo scientifico chiuso all'esterno e impermeabile a qualsiasi critica o osservazione di tipo politico; mondo che diventa così una sorte di enclave autoreferenziale slegata dall'etica e sorda agli appelli di una comunità che si evolve e chiede cambiamenti. 
La scienza non può affrancarsi da tutto il resto: etica, cambiamenti culturali, progresso sociale e politico. 
Un'altra cosa che dovremmo combattere è l'uso strumentale e retorico dei bambini malati per far leva sulle emozioni del popolo, nonché la falsa opposizione "o il topo o il bambino": falsa perché non è uccidendo un topolino - in realtà ne vengono uccisi a migliaia solo per la ricerca fine a sé stessa (che non ha un obiettivo specifico), per esperimenti inutili e per le pubblicazioni - che si salverà un bambino e perché semplicemente le cose non stanno in questo tipo di rapporto. Gli altri animali non sono nostri nemici dalla cui uccisione dipenderà la nostra vita.

P.S.: sulle analogie tra un certo tipo di scienza dogmatica e la religione scrissi questa riflessione tre anni fa, in occasione dell'occupazione dello stabulario di farmacologia di Milano.

venerdì 12 agosto 2016

Argomenti indiretti: utili o dannosi?


Gli argomenti indiretti (il veganismo è salutare, la vivisezione è inutile ecc..) bisogna saperli usare bene, nel contesto giusto e soprattutto facendo bene attenzione che non oscurino il tema portante della lotta contro lo sfruttamento degli animali.
Comunque, parliamoci chiaro: se il veganismo non fosse sostenibile per la nostra salute (se fossimo carnivori obbligati come i felini, ad esempio), nessuno di noi sarebbe vegano. Quindi, informare le persone sulla sostenibilità di tale alimentazione non è sempre uno sviare dalla questione animale, ma è aggiungere un tassello importante a sostegno di essa. Se mangiare vegano è possibile, tutto ciò che rimane è solo crudeltà gratuita. Questo va fatto capire e quale altro modo per farlo capire se non informando diffusamente su come mangiare?
La confusione mediatica che imposta tutto il discorso sulla lotta tra vegani e onnivori, come se fossimo noi i veri soggetti in causa e non invece gli altri animali, è certamente deplorevole, ma lo è perché una corretta informazione ha lasciato il posto a una spettacolarizzazione strumentale, non perché sia sbagliato a prescindere parlare di veganismo, anche nelle sue implicazioni prettamente alimentari o più superficiali. 
Diciamo che una corretta informazione dovrebbe spiegare perché si sceglie di diventare vegani e come poterlo diventare nella maniera corretta, senza rischi inutili per la salute.
Sull'antivivisezionismo scientifico il discorso è un po' più complesso, innanzitutto perché pochissimi di noi hanno gli strumenti per poterne parlare con cognizione di causa (se è facile imparare i fondamenti della nutrizione vegana, non si può dire altrettanto di quelli scientifici sulla ricerca medica).
Il discorso che, a mio avviso, dobbiamo portare avanti noi antispecisti e attivisti è quello etico, ossia quello teso a ribadire la profonda ingiustizia di qualsiasi forma di sfruttamento degli animali; tuttavia, se uno scienziato interviene a rimarcare quanto alcune scoperte o esperimenti non solo non siano stati e non siano utili a trovare nuovi farmaci, ma possono e hanno portato in passato addirittura risultati dannosi, non vedo in che modo potrebbe ostacolare la nostra lotta. Si tratterebbe, anche in questo caso, di un tassello in più a sostegno della nostra tesi, ossia che la vivisezione sia un crimine a prescindere dalla sua utilità o meno, a patto, appunto, che il discorso utilitaristico affianchi quello etico e non lo soppianti oscurando il tema della liberazione animale.
Infine, la differenza tra le due questioni che ho toccato è questa: se fossi un animale carnivoro obbligato, sicuramente non sarei diventata vegana; in altre parole: se mangiare vegano non fosse sostenibile, di sicuro credo che tutti noi continueremmo a mangiare animali;
invece, se anche la vivisezione servisse a trovare farmaci miracolosi, non trattandosi di una questione che ha un rapporto diretto con la sopravvivenza (le malattie sono cosa diversa dal sostentamento quotidiano: sono casuali), continuerei a condannarla senza se e senza ma. 
Se io mi ammalo, è un caso. Mentre far ammalare, torturare e uccidere migliaia di animali appositamente è un crimine.

Qui in questo articolo di due anni fa invece spiegavo perché e quando essere contrari agli argomenti indiretti, ossia quando vengono usati come argomenti auto-conclusivi e fine a sé stessi:

Siamo tutti animali


Ieri sono andata a un funerale. Nonostante non sia credente, ho assistito alla messa per stare vicino ai parenti della povera defunta.
Il prete, durante l'orazione, ha pronunciato una frase del tutto gratuita allo scopo di ribadire la differenza ontologica tra noi e gli altri animali. 
Le sue parole sono state le seguenti: "gli uomini, a differenza delle piante e anche delle bestiole - che hanno sì il soffio vitale ma non sono stati fatti a immagine e somiglianza di dio - non muoiono davvero ecc. ecc..".
A parte l'assurdità e indimostrabilità di una simile affermazione, quel che mi ha colpito è la necessità di aver dovuto specificare questa differenza. Mi è parso un gesto di un'arroganza e di una tracotanza senza pari e, per chi crede, anche molto irrispettoso nei confronti dello stesso dio. Se dio è un essere perfetto ecc., come può aver creato creature inferiori e creature invece a sua immagine e somiglianza, quindi perfette o quanto meno perfettibili?
Mi domando quanti cattolici e credenti saranno condizionati da questo dogma della superiorità dell'umano - che non muore davvero perché secondo la chiesa non sarebbe un animale, mentre gli animali e le piante limitati al solo soffio vitale, ma senz'anima, periscono senza la speranza della redenzione (affermazione che ricorda anche un po' la tesi di Heidegger secondo cui gli animali non muoiono davvero, non avendo piena esperienza di vita poiché poveri di mondo).
In nome di tutte queste cazzate si continua a giustificare l'uso, lo sfruttamento e l'uccisione degli altri animali.
Una cosa è certa e mi domando come si possa essere tanto accecati dalla fede da non capire che: il dolore, la sofferenza, la morte, la schiavitù, sono reali. Gli allevamenti, i mattatoi, i laboratori di vivisezione sono reali.
Come si può giustificare un orrore tanto grande in nome di qualcosa che invece non è reale e in cui si crede solo per speranza e per difficoltà nell'accettare la caducità dei nostri corpi? Corpi che sono in tutto e per tutti identici a quelli degli altri animali perché, semplicemente, noi siamo animali. Siamo tutti animali.
Purtroppo sono anche tantissime le persone che credono nel dogma della fede e della superiorità ontologica dell'umano rispetto agli altri animali.

mercoledì 10 agosto 2016

X Agosto e Melancholia




Il X Agosto di Pascoli è uno degli esempi più fulgidi di espressione artistica (in questo caso poetica) riuscita.
Il poeta astrae dal suo dolore personale (la morte del padre) una riflessione dapprima particolare (la morte della rondine e dei suoi rondinini), e poi universale (il dolore cosmico).
Il dolore intimo, quello particolare e quello cosmico si fondono così in tre immagini sovrapposte e distinte che però sono al tempo stessa l'una metafora dell'altra.
Le vicende personali di ognuno diventano interessanti solo quando appunto riescono ad elevarsi a riflessioni più universali ed esistenziali. La differenza tra un un'opera d'intrattenimento e un'opera d'arte è tutta qui, in fondo (sì, poi c'è il discorso della forma, ma per me forma e contenuto non sono mai davvero distinti. Se non c'è forma non c'è nemmeno contenuto. O meglio, la forma esprime il contenuto; e quello della polisemia, che però è implicita nel movimento di astrazione dal personale all'universale.).

Un'altra opera perfettamente riuscita in questo senso è Melancholia di von Trier in cui la depressione (malessere privato) e il dolore cosmico si fondono in una tragedia che diventa l'una metafora dell'altra. 

X Agosto

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de' suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono...

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh!, d'un pianto di stelle lo innondi
quest'atomo opaco del Male!

lunedì 8 agosto 2016

Alù


Ieri sera ho incontrato Alù. Ciabatte dorate di due numeri più grandi ai piedi, pantaloni enormi tenuti su da una cintura, tre magliette indossate l’una sull’altra. Occhi profondi e molto tristi. Espressione che vira dalla rassegnazione alla speranza e poi di nuovo alla rassegnazione in pochi istanti.
Ventuno anni, sbarcato in Sicilia dal Ghana all’età di diciassette e sballottato da un centro all’altro per accoglienza immigrati. Salito a Roma per cercare un lavoretto. Un lavoretto che però non ha trovato. 
Dormiva buttato sul marciapiedi accanto alla cuccia di una gattina del quartiere. L’ho accompagnato presso un centro di aiuto profughi che però accoglie solo minori e che gli ha chiuso la porta in faccia. Il volontario era sinceramente dispiaciuto, quasi gli veniva da piangere, ma ugualmente non gli ha permesso di entrare. Alla fine l’ho messo su un autobus e gli ho pagato il biglietto di ritorno per la Sicilia, dove ha detto di voler tornare perché lì almeno ha degli amici e un posto dove dormire, mentre qui nessuno ha saputo aiutarlo più di tanto. Sì, ha detto di aver mangiato, dormito in una tenda presso un altro centro, ma lui non voleva sopravvivere, lui voleva rendersi autonomo, lavorare, dormire in una casa. 
Raramente mi è capitato di sentirmi così impotente e di certo non vado fiera di non aver avuto nient’altro da offrirgli che un augurio di buona fortuna.
Ho provato a mettermi nei suoi panni per cercare di capire come ci si senta ad essere completamente soli al mondo, senza casa, senza famiglia, senza niente di niente a parte abiti della misura sbagliata, in un paese straniero di cui si ignorano usi, costumi e si capisce a malapena la lingua. 
Riuscite a immaginare come dev’essere affidarsi ai primi due sconosciuti che ti rivolgono la parola e attaccarti a ogni loro gesto come se fosse quello della salvezza estrema quando in realtà tutto quello che hanno da darti è un piccolo aiuto provvisorio e un augurio di buona fortuna?
Ora, ci sarebbero tantissimi discorsi da fare sul dovere che avremmo, come paese, con le sue istituzioni e organi competenti, di aiutare chi, veramente, ma veramente, non possiede nulla se non il proprio corpo vestito di stracci, eppure in tutta la serata e in tutta questa notte e anche adesso che sto scrivendo non mi riesce che di pensare a una sola cosa: che, miseria ladra, esiste gente che alimenta odio e xenofobia verso queste persone, che inventa balle, che costruisce propaganda di chiara matrice fascista e razzista, e che è convinta di stare nel giusto, di essere gente brava e onesta solo perché ha avuto la fortuna di nascere qui anziché in paesi che sono stati colonizzati, depredati e massacrati da guerre e da cui, per sopravvivere, non si può far altro che fuggire. 
A me i razzisti fanno schifo. Sinceramente schifo. 
Concludo dicendo che probabilmente questo a molti potrà sembrare lo scritto più ovvio, e banale e retorico che io abbia mai prodotto, eppure ci sento dentro una verità e un’urgenza che mi sta premendo da dentro da quando ho incrociato gli occhi di Alù e che questo e solo questo è il motivo per cui ho deciso di condividere con voi il resoconto di quello che è stato un incontro tanto fugace quanto significativo.
E mi pare che alla fine tutto quello che appare come un qualcosa di estremamente complesso da un punto di vista politico -  l’emergenza dei profughi, la mancanza di lavoro nel nostro paese e via dicendo - se osservato dal punto di vista umano, ossia animale, ossia del riconoscimento di noi stessi nell’altro che soffre, sia, in definitiva, molto, ma molto semplice. 
Abbiamo il dovere di aiutare chi soffre, in ogni modo possibile perché altrimenti tutto quello che abbiamo costruito perde di senso. Siamo noi stessi, in quanto corpi - tutti diversi, ma anche uguali ad altri corpi, ossia con gli stessi bisogni, gli stessi desideri e speranze - a perdere di senso. 
Se c’è un qualcosa che ci dà spessore e consistenza, ossia che ci rende autentici, non può che essere la solidarietà. Altrimenti sarà tutto come un lieve svanire di giorno in giorno, fino a quando non sarà troppo tardi per formulare qualsiasi altro pensiero, di amore o odio che sia.

mercoledì 3 agosto 2016

Femminicidio e non omicidio

Un pensiero per Vania, la donna bruciata viva dal suo ex e che è deceduta oggi in seguito alle gravissime ustioni riportate su tutto il corpo. 
Un altro caso dunque di femminicidio.
Il femminicidio si distingue dal più generale assassinio (che può essere commesso per svariate cause, sia contro donne, che contro uomini) in quanto si avvale di precise dinamiche dettate da specifiche motivazioni. Si tratta quasi sempre di uomini incapaci di accettare la fine di una relazione; uomini che iniziano dapprima a perseguitare le ex, per poi arrivare a meditarne e metterne in atto l'uccisione. Oppure si tratta di violenze casalinghe che culminano sempre nell'uccisione. 
Le cause scatenanti hanno origine in tutta una serie di pregiudizi sul femminile e sul rapporto di coppia, rafforzate da un sentimento di gelosia e possesso alla cui base vi è comunque e sempre la considerazione della donna come oggetto, come orpello del maschile o come persona che non deve debordare dal posto che si ritiene le spetti; non di rado questi sentimenti sono accompagnati dalla frustrazione per l'errata convinzione di non essere riusciti a mantenere quel che si presume debba essere il "ruolo maschile" per eccellenza nella società: così ecco che il fidanzato, compagno o marito che si sente svilito nell'orgoglio maschile poiché abbandonato, inizia a meditare il suo piano di vendetta. Un piano folle, verrebbe da dire, ma che poi tanto folle non è perché trova conferma nella normalità di una società ancora purtroppo maschilista e violenta nei confronti di tante, troppe donne.