venerdì 10 dicembre 2021

Giornata internazionale dei diritti animali

 


10 dicembre, giornata internazionale dei diritti animali.

Riporto un estratto dal mio libro "Ma le pecore sognano lame elettriche?" pubblicato da Marco Saya Edizioni, a proposito del concetto di diritti animali, che io vedo in modo critico in quanto penso che vada fatto un lavoro più profondo di cambiamento culturale. 

In questo passaggio peraltro faccio un'analogia con i diritti delle donne spiegando come al raggiungimento di questi sulla carta non è corrisposto un cambiamento radicale nel modo in cui veniamo trattate poiché la cultura in cui viviamo è rimasta sostanzialmente maschilista. 

"Una cosa importante, su cui tornerò meglio nei prossimi capitoli, è che non è sufficiente parlare di diritti animali, o chiedere riforme per migliorare la loro condizione, per liberarli dalla nostra oppressione e per smettere di agire come oppressori che mantengono determinati privilegi da questo sfruttamento. È anche importante riconoscere che persino la persona più povera e oppressa di questo mondo nei confronti degli animali si può comportare come oppressore.

Le leggi possono cambiare in superficie la modalità di alcune pratiche o anche ad arrivare, man mano che la società progredisce su alcuni temi, all’abolizione di altre, ma se non cambiamo nel profondo il nostro rapporto con gli altri animali - che deriva dall’interiorizzazione profonda dello specismo – tali leggi saranno soltanto palliativi o diritti che potrebbero essere rimessi in discussione in qualsiasi momento. È vero che la legittimazione, in senso giuridico, e la stigmatizzazione sociale che deriva dal fatto che un qualcosa sia illegale, nel tempo, tramite un percorso virtuoso, possono cambiare la mentalità e sensibilità collettiva, ma in genere si verifica il contrario, cioè il sistema giuridico è pronto ad accogliere alcune richieste ed istanze solo quando la sensibilità pubblica è veramente cambiata. Altrimenti le leggi non vengono nemmeno applicate o si cercano attenuanti per applicarle in modo meno rigido. Oppure, semplicemente – ed è ciò che accade più di frequente - le denunce vengono archiviate.

Di fatto oggi abbiamo delle leggi che tutelano alcune specie, come ad esempio cani e gatti e fauna selvatica (quest’ultima però si può cacciare in alcuni periodi dell’anno). Ma chi tortura e uccide un cane o gatto non va in galera, e molto spesso non prende nemmeno una multa. L’opinione pubblica, il giudice, gli avvocati, il sistema giuridico nel suo insieme non percepiscono ancora come grave l’uccisione di un cane, non la mettono sullo stesso piano di quella di una persona umana, pertanto al riguardo si cercano e usano attenuanti. Casi di maltrattamenti di animali spesso non sono nemmeno denunciati. Come ho raccontato nel primo capitolo, a proposito dei piccioni presi a calci dai ragazzini, la maggior parte delle persone rimane indifferente. I casi di cronaca di cui veniamo a conoscenza sono soltanto la punta di un iceberg. Altri avvengono indisturbati, senza che nessuno ne venga a conoscenza, tranne la vittima stessa. 

Lo stesso accade nei casi di femminicidio e di stupro. La narrazione mediatica è spesso assolutoria nei confronti degli uomini che hanno commesso il crimine. Si giudica ancora la vittima per come era vestita o se aveva bevuto o meno, anziché il criminale, che anzi, viene spesso giustificato perché era depresso o soffriva di ansia oppure era stato, poverino, vittima di un raptus improvviso. Fino a oltre la metà del secolo scorso esisteva il delitto d’onore che assolveva gli autori di femminicidio. Oggi non più, ma a livello di opinione pubblica chi uccide la compagna perché aveva un amante, è ancora leggermente giustificato. Chi stupra e uccide le donne spesso non viene nemmeno arrestato, è messo ai domiciliari o esce di prigione dopo pochi anni. Questo perché, nonostante la legge, la cultura patriarcale è ancora molto radicata e diffusa. Sulla carta avremmo dei diritti, ma a livello di pregiudizi noi donne siamo ancora considerate inferiori o isteriche (termine che già di per sé esprime un pregiudizio, a partire dall’etimologia), quindi non veniamo credute. Spesso le vittime di stupro sono messe nella situazione paradossale di dover dimostrare di non essersi comportate in modo equivoco. C’è ancora la convinzione profonda che dire “no”, talvolta, equivalga a un “sì”.

Uno sguardo all’evoluzione del movimento femminista ci consente di fare una semplice analogia: nel tempo abbiamo ottenuto molti diritti che ci hanno concesso, appunto, questa parità formale. Oggi abbiamo accesso allo studio, lavoriamo, entriamo in politica, non si pensa più che la donna debba stare a casa ad allevare figli (o almeno non lo si dice ad alta voce, ma i social, specchio della società, ci raccontano una realtà ben diversa, basti guardare i commenti sotto alle pagine femministe), non ci identifichiamo più nel ruolo esclusivo di madri e mogli (ma ci fanno sentire ancora sbagliate se decidiamo di non volere figli).

Eppure siamo ancora immersi in una società maschilista e patriarcale. Siamo costantemente e sistematicamente oggettificate; in continuo disagio nei nostri corpi, che al naturale vengono percepiti e giudicati negativamente; siamo condizionate sin dall’infanzia a seguire determinati canoni estetici, pena il bullismo o comunque la mancata accettazione sociale; non siamo libere di uscire da sole la sera perché temiamo ancora di essere molestate, stuprate, uccise. Che si verifichi un femminicidio ogni tre giorni è un dato di fatto, non una fantasia. Non esiste donna che nella propria vita non abbia subito molestie di vario genere, dal cat-calling (molestie verbali in strada), alle battutine in ufficio, fino alle violenze vere e proprie. Il movimento MeToo ha scoperchiato un vaso di Pandora e rivelato quanto fosse comune, cioè normale e quasi naturale, che una donna ricevesse avances sul luogo di lavoro da parte di uomini con una posizione di prestigio e di grado superiore.

Molte sono ancora costrette a prostituirsi per necessità, ed esiste un mondo sommerso di violenza legato alla tratta delle donne schiavizzate e vendute nei bordelli o gettate sulla strada.

E ancora: 

"I diritti giuridici sono come la struttura di una casa: se mancano gli infissi, le porte, le finestre, l’arredamento, quella casa rimarrà sempre uno scheletro vuoto. Gli infissi, le porte ecc. ce li può fornire solo un cambiamento culturale profondo. Cambiamento che, tornando agli animali, non si otterrà chiedendo riforme protezioniste improntate sul concetto mistificante delle normative sul benessere animale, perché nel momento stesso in cui queste normative vengono chieste continuano a riproporre e confermare l’idea degli altri animali come cibo, come risorse da consumare.

Una società giusta ed equa non si valuta infatti soltanto sulla base del corpus normativo e legislativo, ma sull’effettiva applicazione pratica di suddette leggi, e soprattutto sulle consuetudini, pratiche e abitudini reali - appunto gli infissi, le porte, le finestre, ossia ciò che rende una casa vera e non soltanto scheletro incompiuto.

Inoltre i diritti, come abbiamo visto spesso accadere nel corso della storia, possono essere revocabili in qualsiasi momento, se non accompagnati da un mutamento profondo della nostra considerazione dell’altro, chiunque sia questo altro."

(Ma le pecore sognano lame elettriche? Pag. 104 - 105 - 106 - 107 e 110)

P.S.: per tutto il mese di dicembre è libro, acquistabile sul sito della casa editrice, è scontato del 15%.

1 commento:

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.