lunedì 26 settembre 2011

La Rivoluzione comincia dal Linguaggio


Lo specismo comincia dal linguaggio.
Ed è vero che una volta che si decide di smettere di mangiare gli animali e si comincia a lottare per l’abolizione del loro sfruttamento in ogni settore poi comincia anche a cambiare la percezione che si ha nei confronti della società e della realtà  in generale.
Prima non facevo caso ad un sacco di cose.
E’ vero che ho sempre avuto una certa sensibilità nei confronti degli animali, che sono stata sempre contraria alla vivisezione, alle pellicce, agli zoo, all’abbandono e al maltrattamento degli animali da compagnia, però, come tante altre persone, ero, senza saperlo, una specista.
Non che non mi dispiacesse per le povere mucche, vitelli, maiali, pesci che mangiavo, anzi, ho sempre ammirato i vegetariani e vegani, però semplicemente subivo questa schiacciante maggioranza di una realtà e di una società che invece considera normale uccidere e sfruttare gli animali. La subivo e ne facevo parte. Ne facevo parte non mettendola in discussione, quindi restando silente e quindi, come sempre accade quando tacendo si finisce per fare il gioco degli aguzzini, era come se anche io dessi la mia silente approvazione.
Passavo davanti ad un negozio di alimentari e vedere prosciutti appesi mi sembrava una cosa normale; passavo davanti ad un negozio di scarpe e vedere tante scarpe in pelle mi sembrava una cosa normale; mi sedevo al tavolo di un ristorante e leggere un menù ricco di piatti contenenti pezzi di animali morti mi sembrava una cosa normale.
E così per tante altre cose.
Poi a poco a poco la mia percezione delle cose è cambiata, la mia sensibilità si è acuita; non per magia e non da un giorno all’altro. E’ cambiata anche perché ho voluto che cambiasse. Ho iniziato a documentarmi, a leggere libri, a guardare video, ad approfondire certe tematiche ed argomenti. Soprattutto, ho iniziato a parlare con me stessa, facendomi un sacco di domande, portando alla luce le mie contraddizioni e la mia ipocrisia.
Prima ancora che mettere in discussione la realtà che mi circonda, forse è vero che ho iniziato a mettere in discussione me stessa.
Chi sono, cosa mi aspetto dalla vita, chi credo e pretendo di essere, quali sono i valori a cui tengo, quali quelli invece frutto magari di un’educazione conformista che potrei abbandonare perché non mi ci riconosco più tanto. Insomma, ho fatto un po’ quel che si dice il punto della situazione con me stessa, spostato equilibri, eliminato puntelli che credevo ancoràti saldamente, sfrondato rami inutili.
Un valore per me irrinunciabile, l’unico in grado davvero di condurmi ogni giorno in questa strada dell’esistenza che reputo sotto moltissimi aspetti del tutto priva di senso (non essendo io religiosa), è quello del “rispetto” del prossimo. Ma non del “rispetto” inteso in senso astratto, così tanto per dire, per principio, perché poi di questo tipo di rispetto formale nessuno sa mai veramente cosa farsene, e anche perché, secondo me, non tutti poi si meritano questo rispetto: ad esempio uno che va a caccia non merita il mio rispetto, magari lo merita per altri singoli aspetti della sua personalità, che so, perché magari un cacciatore può essere pure un bravo musicista e quindi potrei voler rispettare il suo talento da musicista, ma si tratta di un tipo di rispetto più rivolto ad una determinata caratteristica che non alla persona nel suo insieme; così come non merita il mio rispetto un vivisettore o uno che scuoia gli animali per farne le pellicce; quanto piuttosto di una forma di “rispetto” verso quello che considero un valore imprenscindibile, ossia la vita, l’esistenza propriamente fisica, a prescindere dai suoi attributi morali e psicologici. E anche qui, non nell’accezione di una “sacralità” intesa in senso religioso, che non mi appartiene, ma proprio per l’essenza stessa dell’essere vivo.
Questo valore imprenscindibile della vita lo estendo a tutti gli esseri che, appunto, vivono. Tautologico.
E quindi, confrontando le mie scelte pratiche, di tutti i giorni, con quelli che erano i miei valori, ho capito che c’erano alcune cose che non andavano, che stridevano.
Una di queste era la mia pretesa, appunto, di rispettare la vita, continuando però a mangiare gli animali o a comprare scarpe di pelle. E così, pian piano, continuando a  mettere in discussione anche tante altre cose (riguardanti svariati aspetti dell’esistenza), ho cambiato abitudini, o meglio: ho adottato una filosofia di vita pratica più consona ai miei ideali teorici.
E’ un percorso - che considero virtuoso - ancora in “essere”. Si può fare sempre di meglio e sempre qualcosa in più, no?
Affermando che è cambiata la mia percezione del mondo, voglio in realtà semplicemente dire che adesso noto tantissime cose cui prima non facevo caso. Cose che a volte mi provocano un dolore fortissimo e mi fanno letteralmente sentire come una sorta di “aliena”(-ta). Specialmente quando tutto il resto delle persone intorno a me invece continua a comportarsi come se niente fosse. Provo anche disagio a stare con persone che non hanno questo tipo di percezione riguardo lo sfruttamento e la sofferenza degli animali. Persone con le quali fino a qualche anno fa mi sentivo in sintonia, mentre oggi, nello starci a contatto, mi provocano una sensazione di solitudine angosciosa ed ineludibile.
Ma non tornerei indietro. Mai. Chi inizia a vedere, poi non può più dimenticare.
La nostra società è talmente intrisa di specismo da non esistere un solo settore in cui lo sfruttamento degli animali non venga considerato “normale".
Viviamo purtroppo in questa realtà così intrisa di specismo da aver contaminato anche il linguaggio. Anzi, se è vero che tra pensiero e linguaggio esiste una correlazione strettissima (“chi parla male, pensa e vive male” diceva Moretti in Palombella Rossa e lo sa bene specialmente chi si occupa di filosofia del linguaggio), direi che tante manifestazioni speciste si realizzano proprio a partire dal linguaggio.
Se sin da piccoli siamo abituati a considerare i maiale, le oche, le galline, gli asini come esseri inferiori a causa dei tanti detti popolari e proverbi che vorrebbero farci credere ciò, è facile allora che crescendo assorbiremo e faremo del tutto nostra questa convinzione.
Pensiamo solo alla balla colossale della "stupidità" degli asini che ci viene raccontata persino in una delle più note favole della nostra letteratura, Pinocchio: Pinocchio preferisce andarsi a sollazzare al Paese del Balocchi insieme a Lucignolo anziché studiare e diventare un bravo bambino ubbidiente, e così, prima gli crescono le orecchie d’asino, e infine vengono trasformati del tutto in asini, con grandi pianti di tutti e due. Ed è, questo delle orecchie d'asino, un monito che viene rivolto ad ogni bambino. Come se fosse chissà quale disgrazia.
Eppure l’asino è un animale invero molto intelligente. Come tanti altri. Ma ancora, non è questo punto. Il punto non è l’intelligenza vera o presunta degli animali perché così si continua ad indicare come parametro di riferimento la presunta intelligenza superiore degli esseri umani, e quindi, così facendo, si continua a restare ingabbiati nella pericolosa trappola dell’antropocentrismo, causa fondante dello specismo.
Giudicare le specie altre utilizzando criteri tutti umani è un atteggiamento pernicioso e profondamente immorale, oltre che scorretto proprio scientificamente. Ogni specie ha infatti delle proprie specifiche caratteristiche che le sono utili e necessarie per vivere al meglio la propria specifica esistenza e dovrebbe essere rispettata unicamente per il valore della vita che con noi condivide.
Nel momento in cui iniziamo a stilare un elenco per grado, per quantità e per qualità di intelligenza, stiamo affermando che alcune specie sarebbero superiori ad altre e questo è specismo, nonché la base del razzismo (alcuni popoli sarebbero più intelligenti o capaci di altri).
L’unico comune denominatore cui tener conto, l’unico valore che tutti gli esseri viventi condividono, dovrebbe essere invece quello del diritto alla vita.
Quindi, per concludere, e proprio anche a partire dal linguaggio, io ho cominciato a rigettare e ad eliminare nell’uso quotidiano del linguaggio tutte quelle espressioni volte a ridimensionare e discriminare gli animali sulla base di valori antropocentrici (quali il grado di intelligenza, ad esempio).
Espressioni come: “sei una capra”, “sei una stupida oca”, “sei scema quanto una gallina”, “sei un asino”, “sei un cane”, “sei un porco”, tutte indirizzate con il chiaro e palese intento di offendere, usate in maniere dispregiativa, io sto cercando di non usarle più.
E, se mi vengono rivolte, cerco invece di ricondurle su un piano neutro: “sono felice di essere un’oca perché le oche sono animali splendidi dotati di quell’intelligenza che è necessaria alla loro specie”.
Un’altra espressione molto nota che si usa quando si devono fare gli auguri a qualcuno è: “In bocca al lupo”, a cui si risponde: “crepi il lupo”.
Da diverso tempo invece io ho preso l’abitudine di rispondere: “crepi il cacciatore”. Ma ora mi rendo conto che è sciocco anche rispondere così. Meglio lasciare del tutto in pace il povero lupo, no?
E voi? Quale espressione specista pronunciate spesso senza rendervi conto delle implicazioni che vi sono alla base?
Vedete come tutto appare connesso e complicato eppure è anche al tempo stesso così semplice e anche quanto dal rifiuto di un semplice modo di dire si può pensare seriamente di partire per cominciare una vera rivoluzione?
Dobbiamo cercare di abbandonare questa visione del mondo (e persino dell'intero universo) così erratamente antropocentrica che ci accompagna da secoli ed iniziare a percepirci tutti come esseri viventi facenti parte di un tutto (il pianeta terra, l'universo) che ci ospita.
Parole ed espressioni  come "dominio", "superiorità (razziale e di specie)", "antropocentrismo", "sfruttamento del più debole da parte del più forte" sono  assolutamente da rigettare. Ma anche espressioni all'apparenza innocue quali "sei un lurido verme", "sei scema come una gallina", "sei viscido come un serpente", in realtà nascondono vizi e pregiudizi che non fanno che rimarcare, confermare ed apportare nuova linfa a questa tragedia immane che è lo specismo.
Vogliamo cominciare dal linguaggio?

9 commenti:

Eloisa ha detto...

Buon pomeriggio, carissima.
Questa volta spero di riuscire a pubblicare il mio commento!

Come sempre i tuoi articoli sono molto intelligenti - ed è un piacere leggerti/li.

L'antispecismo, ahinoi, è ancora una meta lontana, se pensi che non viene accettato neppure da tutti coloro che dicono (dicono, appunto) di "amare" gli animali. Mi è capitato di parlarne durante una discussione su Facebook e mi è stato risposto che il termine "animalista" è preferibile a quello "antispecista". C'è da stupirsi? In teoria sì, visto che l'antispecismo è una (naturale) evoluzione del pensiero animalista. Un gradino in su, insomma.
E invece non siamo ancora pronti. L'antispecismo, anzi, fa paura e disturba; perché, come tu dici, amiamo tantissimo cani e gatti, ma poi mangiamo mucche, maiali e oche - li consideriamo alla stregua di oggetti.

Per tornare alle parole, una delle espressioni più brutte mai utilizzate dall'uomo è, a mio avviso, "animali da allevamento" - che toglie all'animale (essere senziente!) ogni dignità e possibilità che essa venga riconosciuta...

Volpina ha detto...

Leggendo questo post, continuo ad essere dell'idea che tu sia una persona MOLTO intelligente.
Mi piace quello che hai scritto e mi ci ritrovo in pieno.

Credo che il "percoso" di autocritica che ci porta a domandarci cosa è meglio sia per noi che per gli altri, venga fatto da tutti coloro che intendono elevare il loro "status" di vita ad uno superiore.
Un modo di ragionare, e vedere le cose del tutto differente da quello della massa. Un modo di ragionare che io ritengo quello GIUSTO.

Per il rispetto non mi rispecchio. Un cacciatore non potrà MAI avere il mio rispetto. Idem per macellai, pellicciai etc.
Se sei un mangiacadaveri è possibile essere "amici", ma penserò sempre di te che tu sia un povero stupido che non è in grado di capire quanto può essere una persona migliore, perchè troppo occupato a soddisfare la sua gola.
E magari proverò a fartelo capire (inutilmente, purtroppo!).

Il brutto di alcuni di noi vegani è che la nostra situazione di persone che mirano sempre al "miglioramento del proprio essere", ci porta ad una solitudine e ad un asocialità inevitabile.
Per quello mi piacerebbe conoscere più gente come me, o te, perchè, non per tirarmela, a volte mi sembra di star sprecando il mio tempo con gli "altri".

Ciao bellissima, a presto!

Rita ha detto...

@ Eloisa

Buongiorno a te :-)

Se si è animalisti, non si può non essere anche antispecisti. Ma sai, tanta gente pensa che noi animalisti siamo persone che preferiscono salvare una formica anziché mandare i soldi ad un povero bambino che sta muorendo di fame in Africa. Non a caso una delle obiezioni che più spesso ci viene rivolta è: "c'è tanta gente che soffre, prima di pensare agli animali bisogna pensare a quest'ultima", non capendo che la nostra è un'istanza che si basa sulla lotta contro OGNI forma di sfruttamento verso OGNI essere vivente, qualsiasi specie appartenga.
E poiché gli animali sono la specie in assoluto più maltrattata sul pianeta, tanto da non venire nemmeno considerati come esseri viventi, ma come oggetti, cose, semplici (come eufemisticamente si dice) "risorse rinnovabili", mi sembra ovvio riconoscere che quella della loro liberazione resta una delle nostre istenze principali, cui rivolgere tutta la nostra energia ed impegno (a parole, con fatti, adottando una filosofia di vita nel rispetto della vita, oguno facendo quel che è nelle sue possibilità).

Sì, "animali da allevamento" è un'espressione terrificante. E' appunto una delle dimostrazioni più evidenti dello specismo, cioè considerare alcune specie inferiori ad altre, nate solo per un fine utilitaristico (finire nel piatto della gente), indegne della medesima considerazione che si dà ad altre specie viventi.
E' difficile riuscire a spostare la percezione delle persone affinché inizino a considerare gli animali come esseri viventi da rispettare anziché "cose".
E poiché lo specismo è evidente in ogni aspetto della nostra cultura e società, appunto, come ho scritto, a partire dal linguaggio, c'è tantissimo lavoro da fare affinché le cose possano cambiare e questa percezione possa mutare.

Grazie per il tuo commento :-)

Rita ha detto...

@ volpina

"Il brutto di alcuni di noi vegani è che la nostra situazione di persone che mirano sempre al "miglioramento del proprio essere", ci porta ad una solitudine e ad un asocialità inevitabile"

Hai toccato un tasto dolente. Più ci si "eleva" dalla mediocrità e più si è soli (com'è anche il senso della bellissima poesia di Baudelaire "L'albatross").
Non veniamo compresi, spesso siamo derisi, beffeggiati, destinati ad essere considerati individui bizzarri, ingenui idealisti (come se poi avere un ideale, un sogno non fosse pregevole).

Giusto l'altra sera ho visto un altro film interessante: "Carnage" di Polanski (di cui forse ci scriverò una recensione), in cui uno dei protagonisti, la bravissima Jodie Foster, che nel film è appunto una donna impegnata nel sociale, convinta che il progresso della civiltà debba passare attraverso il rifiuto dell'egoismo per abbracciare la solidarietà verso i diseredati del mondo (purtroppo non accenna minimamente agli animali, anche se c'è una scena in cui si parla di quanto sia un'azione ignobile abbandonarli), ad un certo punto dice: "ho fatto di tutto per elevarmi dalla mediocrità per poi finire sola... " (perché invece poi il marito era uno che pensava solo ad avere, come si dice "la pancia piena", fregandosene degli impegni umanitari e dell'etica in generale, e quindi lei prende atto della sua solitudine persino all'interno del suo matrimonio).
Certamente nel momento in cui ti trovi a rifiutare alcuni aspetti della cultura che ci circonda, sei destinato ad essere solo. Che poi, per quanto mi riguarda, non si tratta tanto di solitudine concreta (perché poi uno continua a frequentare anche le persone che ancora mangiano gli animali, magari perché sono amici di vecchia data, o parenti, colleghi di lavoro), quanto interiore.
Io provo spesso questa sorta di disagio fortissimo, di straniamento, come se appunto vivessi in una realtà di cui faccio fatica a comprendere le leggi.

(segue)

Rita ha detto...

@ volpina
(continua da commento precedente)

Nemmeno io rispetto una persona che va a caccia o che macella un animale, però magari posso riuscire a scindere e ad isolare una sua presunta qualità (intendo dire che chissà quanti artisti che ammiriamo poi magari sono cacciatori e non lo sappiamo; in quel caso, venendolo a sapere, certamente smetterei di rispettare la loro figura, la loro persona, però continuerei ad ammirare la loro opera d'arte. Che so, ad esempio, Thomas Mann ha scritto "Cane e Padrone", un racconto che non mi è piaciuto - e infatti nemmeno ho finito di leggerlo - perché il protagonista è appunto un cacciatore, e perché la considerazione che ha del "suo" cane è appunto quella di un essere di sua proprietà, però invece l'altra sua opera, "La montagna incantata", continuo a considerarla un capolavoro della letteratura). Probabilmente Mann stesso era un cacciatore, o comunque non doveva pensar male della caccia, visto che ci ha scritto un racconto, quindi non posso stimarlo sotto questo profilo, però lo ammiro come scrittore.
Sai, è il solito dilemma: l'essere umano è altro dalle azioni che compie? Può essere altro? E se una persona comunque di valore compie però un'azione ignobile, resta comunque una persona di valore o quell'azione la pregiudica per sempre?
Sono concetti cui è difficile rispondere.
E' anche vero che nel caso del cacciatore o del vivisettore, ad esempio, non si tratta solo di un'azione unica ed isolata, queste sono persone convinte di ciò che fanno e che ogni giorno reiterano il male. Producono il male. Causano dolore e sofferenza. In tal caso sì, è arduo anche solo considerare di portar loro rispetto.
Diciamo che, per mia fortuna, non ho mai conosciuto un cacciatore di persona (solo una volta, di sfuggita, mi capitò di parlare con uno che asserì di amare gli animali perché era cacciatore (sic!), ma si trattò di una persona che vidi solo pochi secondi e che poi non avrei più rivisto).
Certo, conosco molti che mangiano gli animali, come anche i miei genitori, e questo è uno di quei casi in cui "indirizzo" la mia stima solo ad alcuni aspetti della loro persona, escludendola da altri.
Grazie per il tuo commento, un saluto :-)

Volpina ha detto...

:) Cavoli ora mi prendo il tempo per "risponderti" hahahah perchè ora scappo a lavoro ciauuuu!!!

Martigot ha detto...

Ciao,
ho scoperto il tuo blog tramite Natividad di Eloisa. Questo post è molto bello e interessante, e condivido appieno il tuo pensiero. Anch'io per anni ho mangiato carne, pur con profondi sensi di colpa, o acquistato accessori in pelle. Pur essendo sempre stata animalista per mia natura, lo facevo, per ipocrisia e perché è vero che la nostra società è talmente intrisa di specismo che a volte è come se uno dovesse fare uno sforzo per aprire gli occhi e rendersi che è una cosa orribile lo sfruttamento di milioni di animali. Una vera tragedia silenziosa, che non fa assolutamente onore a noi esseri umani.
Anch'io ho spesso riflettuto su quanto il nostro linguaggio sia intriso di riferimenti specisti, e di quanto ciò sia tristemente considerato normale. Se ti va passa dal mio blog, mi farebbe molto piacere, un caro saluto Martina
http://comeunanimale.blogspot.com/

Anonimo ha detto...

ciao Eloisa .. sono finito sul tuo blog per caso. Posso citarti in un articolo che scrivero' su Il Cambiamento, un giornale on-line che tratta queste tematiche?

Rita ha detto...

@ anonimo

Sì, certo, puoi citarmi, io però non mi chiamo Eloisa (Eloisa è un'altra ragazza che ha sempre un blog antispecista, molto valido ed interessante, di cui ti metto il link:
http://natividad-blog.blogspot.com/).

Io invece mi chiamo Rita e il blog è ovviamente:
www.ildolcedomani.blogspot.com

Ciao, grazie per essere passato e citami pure, può farmi solo che piacere, più si parla di questi argomenti e meglio è. :-D