domenica 29 agosto 2021

"Gli animali agiscono solo per istinto"

 In questi giorni, dopo la tragedia della ragazza che è stata uccisa da un branco di cani, ho letto tantissimi commenti e post intrisi di teriofobia e di pregiudizi sugli altri animali. 

La più comune: sono animali, agiscono solo per istinto. 

Si parla di istinto in opposizione all'intelligenza senza nemmeno saper definirlo, pensandolo come una sorta di reazione cieca e imprevedibile.

Nel mio libro "Ma le pecore sognano lame elettriche?" ho affrontato questo argomento in relazione alla differenza ontologica - un vero e proprio muro separatore - che abbiamo innalzato nei secoli tra noi e gli altri animali.

"Come ho già accennato, tendiamo a liquidare tutto ciò che fanno gli altri animali con il termine istinto, attribuendo a questo termine una valenza negativa e in opposizione a quello di intelligenza (disprezziamo l’istinto, esaltando la razionalità, proprio perché ci teniamo a distinguerci dagli altri animali, che riteniamo inferiori). In realtà l’istinto è intelligenza emotiva: anche noi, in quanto animali, abbiamo una parte del cervello emotiva e istintiva, quella destra, che usiamo molto più spesso di quello che immaginiamo, non soltanto quando agiamo e rispondiamo agli eventi in modo impulsivo, emotivo, poco controllato, ma soprattutto in caso di pericolo; è proprio questa risposta biologica ancestrale che ci viene in soccorso e ci intima di fuggire in caso di pericolo o ci mette in guardia di fronte a comportamenti che ci appaiono strani. L’istinto, al contrario di quello che vorrebbe il luogo comune, è una risorsa enorme che tutti gli animali hanno in comune, noi compresi. Solo che quando lo riferiamo a noi stessi, lo connotiamo positivamente (istinto materno, per esempio), mentre quando lo riferiamo agli animali lo poniamo in opposizione a un fantomatico concetto di intelligenza diversa che solo noi, in quanto umani, possederemmo, così stabilendo una sorta di giudizio di valore secondo cui l’istinto sarebbe una qualità inferiore. 

Comunque non è vero che gli altri animali agiscono solo per istinto, cioè dando risposte immediate e impulsive e noi invece solo ragionando e soppesando razionalmente ogni decisione; anche gli individui di altre specie manifestano intenzioni, mettono in atto comportamenti meditati, si ingegnano per ottenere ciò che vogliono, per realizzare i loro desideri, sono in grado di proiettarsi nel passato e nel futuro, cioè ricordano, memorizzano volti, nomi, luoghi, esperienze, odori, persone e immaginano il futuro. Soddisfano interessi diversi, di cui i primi sono certamente la soddisfazione della fame, della sete, del sonno, esattamente come noi in situazioni in cui sopravvivere diventa appunto necessità primaria (secondo la piramide dei bisogni di Maslow, noi possiamo dedicarci alla realizzazione di alcuni desideri e obiettivi solo quando abbiano pienamente soddisfatto  quelli primari1). Gli altri animali sognano. Giocano. Si divertono e provano anche indignazione e tutta una gamma di sentimenti quali umiliazione e senso del ridicolo. Ovviamente dolore, piacere, gioia, paura, panico, angoscia, estasi.

Gli altri animali vedono il mondo, lo interrogano, lo osservano, lo pensano. Non in maniera ridotta rispetto a noi, non sono esseri “poveri di mondo” come sosteneva Heidegger, ma hanno una ricchezza interiore cui non abbiamo nemmeno accesso.

Ciò che pensano è ovviamente diverso da ciò che possiamo pensare noi (e ciò che noi pensiamo ci è stato in parte trasmesso culturalmente ed è stato contaminato, offuscato da ciò che abbiamo letto e ci hanno raccontato, dal mito, dall’eredità biologica, dal mondo in cui ci siamo evoluti) perché esperiscono la realtà usando in modo più accentuato alcuni sensi rispetto ad altri, ma è forse meno importante? È la loro visione del mondo, una visione unica, non riducibile alla nostra." 

(pagg. 39, 40, 41).

domenica 22 agosto 2021

Cosa significa essere antispecisti?

 L'altra sera mentre mi facevo la doccia ho notato un ragnetto sul fondo che stava quasi affogando. Ovviamente ho chiuso subito l'acqua e ho preso un pezzetto di cartone di una scatolina che avevo a portata di mano per aiutarlo a mettersi in salvo. Appena ho avvicinato questo pezzetto di carta ha subito capito che era una specie di àncora di salvataggio e ci si è immediatamente aggrappato. Quindi l'ho preso e portato fuori. 

Ho provato una tenerezza incredibile nel vedere il modo in cui si è aggrappato a questo salvagente di fortuna improvvisato per lui. 

Se non lo avessi visto in tempo nel giro di pochi secondi sarebbe stato trascinato via dall'acqua e risucchiato nel foro di scarico. Una fine decisamente orribile. 

Era solo un ragnetto, penserà la maggior parte della gente, eppure la sua disperazione e il modo in cui si è aggrappato strenuamente a quel pezzetto di carta ci dice una cosa importante persino nella sua ovvietà: che tutti gli animali vogliono vivere e che noi che siamo così grandi e impattanti, a volte, diciamo spesso, possiamo davvero fare la differenza. 

Scegliere di salvare anziché di uccidere. 

Per questo provo tanto sconforto quanto mi sento rispondere che allora anche le piante sono vive e soffrono ecc. perché si tratta di un ragionamento di etica al ribasso che semplicemente spazza via tante scelte possibili solo perché esiste l'imponderabile o la necessità.

Sapete come si forma la coscienza, cioè quella che i credenti chiamano anima? Anche in base alle scelte che facciamo ogni giorno perché sono queste che poi creano dei precisi percorsi neuronali. Il cervello è plastico e le nostre abitudini non sono dei processi deterministici immodificabili. Allenarci in un senso o nell'altro modifica il nostro sentire, le nostre percezioni, il modo in cui facciamo esperienza del mondo.

Allenarsi a vedere e considerare gli altri animali, anziché ignorarli, calpestarli, spazzarli via, annientarli, rinchiuderli, consumarli, sfruttarli, sterminarli, ci allena a essere persone più sensibili, più empatiche e ci arricchisce anche mentalmente perché ci fa percepire la meraviglia dell'universo in tante sue manifestazioni. 

Osservare un altro animale e vederci solo cibo o un fastidio da eliminare ci rende invece persone povere, limitate mentalmente, ottuse. 

Il problema, a livello globale, storico, direi evolutivo, è che la nostra specie è stata allenata a dominare e a considerarsi il centro assoluto dell'universo prima, del pianeta terra poi. Quindi facciamo una fatica enorme a considerare l'altro, il diverso, specialmente se piccolo e non in grado di comunicare come noi. Siamo logocentrici, cioè attribuiamo al linguaggio verbale un valore morale, e, direi, antropocentrici, ossia attribuiamo valore a tutto ciò che sappiamo fare noi, disprezzando chi esiste e fa esperienza del mondo in modo diverso poiché si è evoluto e formato in modo diverso. 

Ma questa attitudine si può modificare. Certo ci vorranno secoli, però è importante provarci. 

Ecco, come vedete, pensare a un ragnetto, vedere un ragnetto, scorgerlo, cioè notarlo, considerarlo, considerare quindi il suo desiderio di vivere non è solo il gesto di una persona che "ama gli animali", ma un atto fondativo di un pensiero nuovo, non più antropocentrico, ma antispecista.

Essere antispecisti significa uscire dai propri limiti, sforzarsi di farlo, non immaginare come pensa un ragno, ché credo sia impossibile, ma meravigliarsi di quel ragno, sospendere persino la propria sete di conoscenza (che in una certa misura è essa stessa dominio e possesso) per arrivare ad accettare che esista e basta. Un ragno esiste. Non per noi, né per nessun altro. E sebbene nell'ordine più ampio dell'ecosistema possa avere una sua utilità (che so, mangiare altri insetti), non è per questo che dovremmo considerarlo, ma per la sua unicità. Per la meraviglia del suo stesso esistere. Epifanico, irriducibile a qualsiasi altro elemento. Egli è, semplicemente, così come siamo noi. 

Antispecismo è accettazione nel senso di accoglienza incondizionata delle altre specie.


sabato 21 agosto 2021

Uomini e bestie

 

Accanto alle persone che fingono di non sapere quello che accade agli animali affinché siano trasformati in cibo, ci sono i campioni del cinismo, cioè quelli che sanno perfettamente che "la carne non cresce sugli alberi, ma in qualche modo per avere la bistecca bisogna sgozzare le bestie" (sic!). 

Emblematica la scelta del termine "bestia" a creare una distanza semantica e ontologica tra noi e gli altri animali. Loro sono bestie, noi uomini. Come se non fossimo in realtà TUTTI animali, solo di specie diverse.

Che miliardi di animali, esseri perfettamente senzienti, vengano fatto nascere per essere sfruttati e uccisi è tragico; ma ancora più tragica, immensamente più tragica, è la normalità con cui avviene tutto ciò. La placida rassegnazione, accettazione, normalizzazione di uno sterminio che non ha pari e che senz'altro è il segno più distintivo della nostra "umanità", cioè del modo in cui ci definiamo e sentiamo umani in opposizione a coloro che chiamiamo "bestie".

Foto scattata durante un presidio NOmattatoio di qualche anno fa.

venerdì 13 agosto 2021

I falsi miti del veganismo

 "Posso testimoniare che, mangiando vegano, ingrassare è praticamente impossibile".

Da un libro che sto leggendo: La famiglia del piano di sopra di Lisa Jewell.

Quanto mi dispiace quando leggo falsità e disinformazione sull'alimentazione vegetale e sul veganismo. Peraltro ci si riferisce a una sorta di Comune (ok, parte della storia, quella in cui si parla della Comune, è ambientata negli anni '80 e il personaggio che racconta riflette la disinformazione dell'epoca) i cui fondatori sono palesemente dei fuori di testa, quindi si comunica il solito messaggio dei vegani estremisti, esaltati, dotati di buone intenzioni ma del tutto folli. 

Peccato perché la storia si legge anche con piacere, intendiamoci, nulla di che, è un romanzo di puro intrattenimento e fa bene il suo lavoro, ma alcuni passaggi sono proprio insopportabili.

Penso anche alla pericolosità di una frase simile, dato che viviamo in una società in cui tantissime persone, sia donne che uomini, ma soprattutto donne, soffrono di disturbi del cibo per aderire a un'immagine stereotipata del corpo, e so che tante ragazzine iniziano a mangiare vegetale (non userei il termine vegan perché appunto il veganismo non è una dieta) per dimagrire, salvo poi tornare a ingozzarsi di animali morti dopo un po' perché mangiare vegetale senza aver compreso cosa siano veganismo e antispecismo e per motivi egoistici, personali, che riguardino il dimagrire o altro, significa fare una dieta come un'altra. 

Comunque, datemi retta, se volete dimagrire, fate attività fisica, è l'unica.


martedì 10 agosto 2021

Lo sciame di Just Philippot

 

Attenzione: SPOILER

Lo sciame, film francese che è stato selezionato per la settimana della critica al Festival di Cannes nel 2020, poi annullato causa pandemia.

Che dire?

Dunque, da un punto di vista meramente cinematografico (e voi vi chiederete, perché, da quale altro punto di vista vuoi analizzare un film? Eppure le cose non sono così semplici perché l'estetica è anche etica) non si può dire che sia riuscito: trattasi di un drammone familiare a tema agricolo (i francesi negli ultimi anni spingono molto su questo tema, vedasi anche Le Petit Paysan che avevo recensito per Veganzetta, probabilmente perché si vuole promuovere l'allevamento etico e sostenibile) che vira verso l'horror in cui però la tensione tra la protagonista e i figli non è ben narrata e viene affidata a pochi elementi didascalici (la figlia che viene derisa dai suoi amici, la difficoltà del vivere in una casa in campagna in mezzo all'odore degli animali, l'acqua calda che manca ecc.).

Virginie è una donna rimasta vedova con due figli a carico (Laura, adolescente, Gaston, di circa dieci anni) che decide di mettere su un allevamento di cavallette per ricavarne farina ad alto contenuto proteico. 

È questo il cibo del futuro, no? Proteine di origine animale ottenute da allevamenti che abbiano poco impatto ecologico (anche in Blade Runner 2049 vediamo infatti allevamenti di insetti idroponici). Non sia mai che si possa promuovere il veganismo! Sembra proprio che non ci si riesca ad affrancare dalla cultura carnista, anche a costo di nutrirsi di insetti.

Comunque, tornando alla storia, Virginie in questa sua start up non ha il sostegno della figlia adolescente, mentre il piccolo segue con curiosità la crescita delle cavallette. Ne tiene alcune dentro una teca proprio per osservarle.

L'allevamento non decolla perché le cavallette non si riproducono come dovrebbero e il ricavo della farina è troppo poco, così la donna è costretta a chiedere soldi in prestito a un suo amico viticoltore. 

Un giorno, in preda alla rabbia causata dalle difficoltà, distrugge parte della struttura dove tiene le cavallette e cadendo a terra si ferisce. Al risveglio scopre che gli animali le stanno succhiando il sangue dalla ferita. Dopo qualche giorno assiste a un cambiamento nei loro comportamenti: iniziano a riprodursi e diventano più aggressive. Capisce che hanno bisogno del sangue per moltiplicarsi, ciò che le consentirebbe di accrescere anche i suoi guadagni; pian piano scivola in una sorta di ossessione arrivando persino a offrirgli il proprio stesso sangue, fino a che la situazione non sfugge di mano e la storia vira verso un finale decisamente horror. Nel mentre le cavallette avevano già ucciso una capra (amica del figlio) e il cane del vicino (che gli viene dato in pasto direttamente da Virginie). 

La tensione durante tutto il film è ben costruita ed è apprezzabile il fatto che non si tratti di un horror splatter in cui bisogna mettersi in salvo da cavallette sanguinarie (a parte nel finale). C'è qualche scena forte che potrebbe turbare a livello psicologico, ma non si può dire che sia veramente spaventosa. E questo è l'unico elemento positivo, insieme alla prova di recitazione della protagonista.

Da un punto di vista dei contenuti poi, l'ho trovato un film veramente orribile. Quando si è antispecisti non ci si può certo disfare della propria sensibilità e idee come se si trattasse di togliersi un vestito e riporlo nell'armadio. 

A parte i contenuti specisti (allevare animali per trasformarli in prodotti), ho letto che le cavallette usate sono in parte vere. Infatti si vede. Per il film è stato messo su un piccolo allevamento. Si mostra persino quando vengono uccise, praticamente vengono arrostite vive. Facendo una ricerca in rete, pare che in realtà vengano congelate o disidratate. Quale sia il modo in cui vengono uccise, è deprecabile il modo in cui vengono considerate e che questa pellicola racconta in modo senz'altro realistico. Senza la minima empatia, come se fossero oggetti, soprattutto considerato che all'inizio ha un intento quasi documentaristico. Deprecabile anche la scena in cui la protagonista prende il cane del vicino per darlo in pasto alle cavallette. Il valore della vita degli animali, quale ne sia la specie, è totalmente azzerato. Le cavallette vengono viste solo come prodotto, il cane come individuo di minor valore, da potersi tranquillamente sacrificare. Solo il figlio piccolo sembra mosso da un sincero affetto verso la capretta (infatti si dispera quando crede che sia fuggita) e di curiosità verso le cavallette.

Film così sono veramente dannosi perché continuano a inserirsi nel solco della teriofobia e della diffusione di stereotipi riguardo alcune specie.

Gli insetti sono specie molto diverse da noi, un po' come i pesci e sarebbe decisamente ora di abbandonare la narrazione orrorifica che molti film hanno contribuito a diffondere, tra cui questo.

In pratica, al di là degli intenti autoriali (dramma intimista familiare che vira verso l'horror) ci troviamo di fronte a un prodotto che ripercorre la scia già nota dell'horror tradizionale in cui gli altri animali rivestono il ruolo degli assassini di turno. Il dramma familiare, come detto, fa più da sfondo, che da elemento portante. Anche la presunta ossessione e follia della protagonista viene risolta troppo facilmente. Sì, a livello metaforico è evidente il messaggio: una madre che è disposta a dare sé stessa - anche letteralmente - per mantenere i figli, ma la metafora è fin troppo scoperta e la riconciliazione finale, in cui nuovamente dà in pasto il proprio corpo, non solleva la mediocrità della pellicola.

Piccola nota personale: le cavallette mi hanno sempre fatto ribrezzo. Non gli ho mai fatto del male, ma non riuscivo nemmeno a sopportarne la vista. Invece negli ultimi anni, sforzandomi di osservarle e conoscerle meglio, ho un po' superato questa fobia irrazionale. Vederle nel film, anche in primo piano, non mi ha dato fastidio, anzi, ho persino provato empatia. Mi hanno fatto tenerezza e sono stata in pena per loro, soprattutto sapendo che appunto ne sono stata usate di vive. Che fine avranno fatto poi?



venerdì 6 agosto 2021

Ma dove vanno i polli broiler quando gli allevamenti chiudono?

 

Il giovane Holden si domandava che fine facessero le papere di Central Park quando il laghetto ghiacciava, invece a noi vegani abolizionisti e liberazionisti fanno domande un po' meno romantiche e decisamente più insensate, del tipo: "ma dove metteremo tutti gli animali se gli allevamenti dovessero chiudere?" oppure "ma non ci sarà il pericolo di far estinguere alcune razze che ad oggi sono allevate appositamente per essere mangiate?". 

Ebbene, sì, forse alcune razze come i polli broiler si estingueranno, ma non sarebbe il male peggiore, considerata la fine che fanno oggi.

Ho scritto un articolo per il blog di Progetto Vivere Vegan riflettendo un po' su queste domande, ditemi cosa ne pensate. 

Lo trovate qui


giovedì 5 agosto 2021

C'era una volta a... Hollywood

 

Attenzione: spoiler!

Che dire? Forse uno dei migliori film di Tarantino, o per lo meno del Tarantino che piace a me, quello che dietro l'azione fa emergere il suo lato intimista, esistenziale, nostalgico, malinconico. 

Pensavo che dopo Mullholland Dr. di Lynch su Hollywood fosse stato detto tutto, e invece ci sono storie che ancora si possono scrivere e riscrivere in modo originale e creativo. 

"C'era una volta a... Hollywood" è metacinema di altissimo livello, è Hollywood ripiegata su sé stessa che ancora piange il dolore di una delle sue ferite più grandi e in cerca di una elaborazione del lutto riesce a farlo nel solo modo in cui può farlo, ossia raccontando la stessa storia per l'ennesima volta, ma trovando un finale diverso. 

Quanti di noi, leggendo o assistendo all'ennesima interpretazione di Romeo e Giulietta (avete fatto caso a quante volte compare l'insegna del teatro?) non continuano ostinatamente a sperare in un finale diverso? Eppure nessuno lo ha mai messo in scena perché quella di Shakespeare è una storia di un destino già scritto, segnato dalle stelle. A Hollywood però tutto diventa possibile, è il sogno che si avvera, è il luogo degli incontri e delle infinite opportunità. 

Gli amanti di Hollywood non sono nati sotto una "maligna stella", ma sono essi stessi stelle in grado di forgiare il loro destino. Almeno fino a che quel mondo di cartapesta e luccichii resta in piedi... vale a dire, il tempo di sognare in una sala, o davanti alla tv, il tempo di un ciak, il tempo di una notorietà che è comunque effimere e destinata a essere rimpiazzata, il tempo di arrivare alla scritta "The End".

Di Caprio e Brad Pitt sono straordinari come sempre, forse Margot Robbie un po' sottotono, ma la scena in cui va al cinema a vedere sé stessa è bellissima e struggente e già da sola vale tutto il film.

mercoledì 4 agosto 2021

Per il mio bene di Ema Stokholma

 

"Mi ricordo benissimo della prima volta in macchina, avevo quattro anni e lì non era mai successo fino ad allora, quindi pensavo che fosse un luogo protetto. Che delusione quando mi arriva il primo pugno".

Morwenn Moguerou, in arte Ema Stokholma, ci racconta la storia della sua infanzia e prima adolescenza accanto a un mostro che la picchia, la insulta, la accusa di cose folli e la tormenta psicologicamente. Quel mostro è sua madre. Morwenn, nonostante il mostro, rimane però una ragazzina piena di vita e desideri, ama stare con i suoi amici, la musica e la moda; dopo diversi tentativi andati a vuoto finalmente a 15 anni riesce a fuggire di casa e dalla Francia arriva a Roma, dove inizia una nuova vita, non senza ostacoli e difficoltà varie. Oggi è una Dj famosa in tutto il mondo, lavora in radio e ha scritto questa storia non per vittimismo, ma per squarciare il velo dell'omertà che troppo spesso viene avvolto intorno a storie come queste, di bambini abusati per cui nessuno fa niente, di cui nessuno sembra accorgersi fino a quando è troppo tardi. Questa è una storia triste, ma anche meravigliosa perché Morwenn poi diventa Ema, prende in mano la sua vita e la trasforma facendola diventare qualcosa di bello e sensato, un work in progress che continua ancora oggi perché alla fine il lavoro su noi stessi è un lavoro che non finisce mai e sta esattamente a noi farne qualcosa per cui valga la pena alzarsi la mattina.

Scritto molto bene, diretto, minimalista, ma intenso. E andate a sbirciare il suo profilo Instagram perché Ema è anche un'artista bravissima, fotografa ritratti e autoritratti, soprattutto autoritratti, ma anche spazi urbani e poi li dipinge, accostandoli gli uni agli altri.