mercoledì 26 agosto 2015

Si può porre la nonviolenza come assoluto?


Per il fine che vorremmo ottenere, ossia società rispettose dell'altro, a prescindere dal gruppo o specie di appartenenza, e libertarie, dovremmo perseguire, in teoria, mezzi nonviolenti; però credo che così come oggi già per quanto riguarda l'antispecismo siamo costretti a scendere a dei compromessi (ad esempio, castriamo i gatti delle colonie e ancora gli diamo scatolette di carne), anche la strada della nonviolenza non possa ancora essere vista come un assoluto da percorrere. O almeno mi sto ponendo il dubbio.
In definitiva (ma il mio è un pensiero in progress), penso che, laddove sia attuabile, la soluzione nonviolenta sia sempre preferibile - anche perché appunto sono i mezzi ad indicare il fine - ma che talvolta possano darsi delle eccezioni (casi di legittima difesa o esigenza di isolare elementi pericolosi per la comunità).
Sono altresì fermamente convinta che le cause di tanta violenza siano da ricondurre e combattere alle loro diverse e inestricabilmente connesse radici (maschilismo, dominio, razzismo, omofobia, teriofobia, sessismo, fascismo ecc.), ma che nel frattempo per difendersi e lottare contro determinate azioni, comportamenti ecc., si possa talvolta ricorrere a soluzioni anche violente (una volta preso atto dell'impossibilità di trovare soluzioni nonviolente). 
Per violenza intendo anche la reclusione in carcere, che rimane indubbiamente una deprecabile forma di dominio istituzionale sui corpi e che mi auguro tenda a scomparire per risolversi in forme di vero recupero psichico e sociale (vedrei bene ad esempio, per chi ha danneggiato la società, l'impegno a svolgere lavori socialmente utili, non degradanti, né punitivi, ma come forma di recupero e riappacificazione con i propri simili). 
Al momento però non vedo soluzioni a breve termine per risolvere la violenza. 
Un problema che i pensatori anarchici ancora non hanno risolto.
Dire che serve prevenire è pura retorica, al momento. Nel senso che lo sappiamo, ma gli effetti del dominio sono ormai troppo diffusi per pensare di risolverli con la sola prevenzione.

sabato 22 agosto 2015

NOmattatoio: 9° Presidio

A uno sterminio così sistematico non ci si può che opporre in maniera altrettanto sistematica: per questo prosegue l'appuntamento mensile davanti al mattatoio di Roma.


Sabato 29 agosto, dalle ore 17,00 alle 20,00 - Appuntamento in Viale Palmiro Togliatti, angolo Piazzale Pino Pascali

"In questo modo stiamo disprezzando la vita, stiamo privando della loro dignità esseri senzienti, perfettamente coscienti di quel che viene loro inflitto. L’osservazione di Adorno – Auschwitz comincia quando di fronte a un mattatoio pensiamo che sono solo animali – è un pensiero che sconvolge e che si ha la tentazione di respingere, di rifiutare di fronte all’orrore assoluto della shoah. Ma sono stati proprio pensatori, scrittori, filosofi ebrei, e anche molti scampati ai campi di sterminio, a proporci questo accostamento. E sono stati gli storici a mostrare l’affinità, o meglio il filo diretto che lega i mattatoi di Chicago, dove fu inventata la catena di smontaggio degli animali – da un lato entravano i treni carichi di animali vivi, dall’altro uscivano i treni carichi di scatolette e quarti di bue -, alla catena di montaggio della moderna fabbrica industriale – Henry Ford si ispirò proprio ai mattatoi di Chicago per la sua prima fabbrica di automobili – e dalla fabbrica fordista ai campi di sterminio nazisti"

"Se osserviamo la sorte inflitta nel corso della storia agli animali non umani, e ci soffermiamo in particolare su come vengono trattati oggi nella società contemporanea, vediamo scorrere in filigrana la storia sempre più dura e sempre più crudele di un dominio. Gli animali, come ci diceva Bashevic Singer, sono i più indifesi fra gli oppressi. Vengono trattati così non perché siano predisposti all’oppressione e allo sterminio, non perché siano creature “naturalmente” a disposizione dell’animale umano, ma per un semplice rapporto di forza: vengono trattati così, perché è possibile trattarli così."

(Lorenzo Guadagnucci, giornalista e attivista, diventato vegano e antispecista dopo aver vissuto i fatti di Genova e aver fatto una similitudine tra la violenza avvenuta all'interno della scuola Diaz e quella della mattanza dei tonni all'interno delle tonnare).

mercoledì 12 agosto 2015

8° presidio NOmattatoio: il resoconto


Viaggiano ammassati come oggetti, sfiancati dal caldo, assetati, umiliati, immersi nelle loro feci. Ti osservano timorosi e increduli quando ti avvicini, nei loro occhi una domanda: perché?
Impotenti li guardiamo allontanarsi. Ultima fermata: il mattatoio.
Poi, quel camion, lo abbiamo visto ripassare. Ormai vuoto. E tutti abbiamo immaginato quei corpi fatti scendere a forza e trascinati, tra l'angoscia e la disperazione, verso la catena di smontaggio.
Tutto questo è orribile, una tragedia invisibile mentre le persone vanno al mare, tornano a casa da lavoro, si ritrovano con gli amici in un caldo sabato di luglio e, ignari di quanta sofferenza ci sia dietro, una volta seduti a tavola si apprestano a mangiare proprio quegli stessi corpi che abbiamo visto passare.
Ma proprio per questo dobbiamo continuare a esserci: per raccontare, documentare, far crollare il velo che occulta questa folle normalità.

E così anche il 25 luglio scorso, ligi al nostro impegno, ci siamo ritrovati all’incrocio di Viale Palmiro Togliatti – quello che fa angolo col piazzale Pino Pascali – nei pressi del mattatoio di Roma. 
E a tanto abbiamo assistito solo dopo pochi minuti dall’inizio del presidio: al passaggio di questo tir a due piani colmo di maiali visibilmente sfiancati dal caldo (ricordiamo che i maiali soffrono particolarmente il caldo poiché non hanno le ghiandole sudoripare che permettono l’abbassamento della temperatura corporea), che invano abbiamo cercato di confortare con gesti e carezze. Gesti retorici, ossia svuotati di ogni utilità, direbbe qualcuno, visto che stanno andando a morire, eppure è in questo riconoscimento della loro individualità sofferente – un’individualità schiacciata dal sistema e azzerata nel conteggio che fa di ogni corpo solo merce numerabile – che si basa l’essenza della nostra lotta. Una lotta che si pone come obiettivo la realizzazione di una società libertaria in cui ogni individuo abbia la possibilità di portare a compimento le proprie potenzialità (che siano di specie, di carattere, di talento o di altro) e al contempo il riconoscimento di questa individualità anche nelle creature che la cultura, la tradizione, i pregiudizi e la società ci hanno abituato a considerare inferiori e indegni della nostra considerazione morale. 
Scendiamo in strada, ogni volta, per una battaglia di giustizia e non di compassione. La ragione e la giustezza delle nostre argomentazioni sono la nostra forza e i nostri sentimenti. 

Continua su NOmattatoio.

martedì 11 agosto 2015

L'antispecismo non può che essere filoanarchico

Io non sento il bisogno di ribadire ogni secondo che sono antifascista perché per me è assodato e logico, quasi scontato esserlo, visto che sono anche antispecista e si suppone che se sono arrivata a combattere ogni discriminazione di specie e distinzione gerarchica tra le specie, è perché non abbia mai introiettato e sostenuto quelle intraspecie, né abbia mai nutrito pregiudizi di sorta verso chicchessia. 
Sento invece il bisogno di dire che sono antispecista perché lo specismo è la norma, la consuetudine ed è talmente radicato da non essere visto come problematico; vero che anche il fascismo, nelle sue tante manifestazioni ed estensioni semantiche è radicato e inscritto in determinati geni della società del dominio, nel senso che è tautologico dire che la società del dominio sia anche fascista, però il porsi contro questo stato di cose è implicito appunto nel lottare per l'affermarsi di una società libertaria e anarchica.
Non capisco poi perché ogni volta che si parli di lotta contro il sistema dominante autoritario, gerarchico ecc. si faccia sempre riferimento al fascismo e mai al comunismo, che invece è ugualmente espressione di totalitarismo. 
Sento sempre dire "fuori i fascisti dall'antispecismo", ad esempio, ma mai "fuori i comunisti". Eppure è implicita nell'idea dello Stato il riferimento a una struttura garante di un potere istituzionale che, va da sé, è in contrasto con ogni idea di libertà individuale. 
L'antispecismo, dal mio punto, di vista, non può che essere filoanarchico, per un'idea di società veramente libertaria e in assenza di qualsivoglia potere istituzionale o statale che sia. Per quanto difficile da raggiungere, tale ideale, è ad esso che dovremmo tendere. Non si può che supporre e organizzare una lotta collettiva dal basso, un riappropriarsi individuale della politica, senza dirigismi di sorta.
Poi noto che ci sono diversi antispecisti anarchici di facciata. Peccato che dietro questa facciata linda e pinta marciscano autoritarismi degni del peggior fascismo, comunismo o totalitarismo che sia.

Il peggior nemico comunque rimane sempre ogni tipo di accecamento ideologico che calpesta l'individuo. Consiglio a tal proposito una splendida lettura: Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler.

Tanto volevo dire da un po'. 

P.S.: peraltro, su questo ribadire ogni due per tre l'essere antifascisti, Freud avrebbe da fare considerazioni interessanti. Perché dover ribadire l'ovvio, se uno si sente ovviamente antifascista?

sabato 8 agosto 2015

Il cuore è nella testa


Ieri sera sono andata in una tavola calda a prendere delle verdure. In esposizione c'era ovviamente di tutto, polletti interi, pesci, svariati pezzi di animali cucinati nelle maniere più fantasiose. Il mio sguardo si è soffermato sulla teglia dei polletti. Erano integri, come detto, a parte la testa, che mancava. Nonostante in me sia sempre presente l'ingiustizia del mangiare animali ed evidente quanto ognuno di quei corpicini fosse stato un individuo, ho dovuto comunque fare un piccolo sforzo per immaginarmelo vivo, ripercorrere tutta la sua non-vita dentro un allevamento e realizzare quanto siano state stroncate sul nascere le potenzialità di una vita in divenire, con le proprie preferenze, caratteristiche individuali, sogni, speranze e via dicendo. 
Ora, la domanda che mi son fatta è: se persino io che porto sempre dentro di me la tragedia dell'olocausto animale faccio fatica a riconnettere l'unicità di ogni singolo individuo al risultato finale della materia del suo corpo trasformata in prodotto da consumare, come possiamo stupirci che le persone non facciano la "connessione"? 
È evidente che rimane molto difficile, se non impossibile, farcela da soli. 
Bisogna partire dalla ragione, dallo spiegare come stanno le cose perché l'empatia non si sviluppa così dal nulla. 
Prima bisogna sentire, a livello logico e razionale, tutta l'ingiustizia dello specismo e il nonsense dell'antropocentrismo, ossia arrivare a comprendere che non ci sono ragioni valide per continuare a sfruttare il vivente, quindi si attiverà il senso di empatia e la famosa connessione. 
Parte tutto dalla testa. Il cuore è nella testa. 
Non compassione, ma giustizia. 
La liberazione animale è una lotta e va fatta con la testa, non con le lacrime e i piagnistei.

Della rimozione e negazione

Foto di Marco Cioffi

Mia madre ieri sera si è indignata perché hanno ucciso i maiali dispersi sulla A1 direttamente sul posto, così, a freddo. "Poverini", mi ha detto.
Le ho risposto: scusa ma', ma dove pensi stessero andando? A fare una vacanza? Sarebbero morti comunque, di lì a poco, una volta giunti al mattatoio (per inciso: ciò non toglie che, in quanto individui vittime di un incidente, avrebbero dovuto esser soccorsi).
Lei è sembrata cadere dalle nuvole, come se non avesse mai saputo in vita sua che per avere quella fettina nel piatto qualcuno, tanti qualcuno, devono essere trasportati a forza dentro luridi camion della morte.
Il fatto è che la gente sa e non sa. Sa, ma rimuove costantemente, nega, giustifica.
Ecco, in questi mesi di campagna ‪‎NOmattatoio‬ a volte, lo confesso, ho pensato che quello che facciamo sia inutile. Ma ieri sera invece ho avuto la conferma che raccontare, mostrare, mettere in luce la realtà della violenza istituzionalizzata dei mattatoi - così come di ogni altra forma di sfruttamento - sia quanto mai necessario. 
I mattatoi esistono in ogni città, i tir con dentro gli animali viaggiano in ogni ora del giorno e della notte, ma è come se fossero invisibili poiché rivestiti della patina dell'abitudine, della normalità, della cruda necessità. Quello che dobbiamo fare è spazzare via questa patina e mostrare il vero volto del dominio, della violenza, dell'irrazionalità, dell'insensatezza, della spietata cinica fredda ragione utilitaristica, della profonda ingiustizia di questo sterminio istituzionalizzato.

venerdì 7 agosto 2015

Nominare per dominare


Una piccola riflessione: pensiamo che dare un nome agli animali che adottiamo sia un gesto di riconoscimento della loro individualità e in buona fede indubbiamente lo è. Però ricordiamoci anche che "dare un nome", ossia "nominare le cose" è il primo atto di dominio che la nostra specie ha effettuato sulla natura. 
Del resto cosa fa Robinson Crusoe non appena approda sull'isola e incontra l'indigeno? Gli dà un nome, lo chiama Venerdì, poi gli insegna la sua lingua, quindi lo schiavizza. 
Il colonialismo e il dominio partono sempre dal linguaggio.