martedì 20 febbraio 2018

Fare come si fa da sempre non ci assolve

La strage di Sciacca conferma ciò che penso, ossia che nemmeno i cani e gatti sono tutelati dalle istituzioni e che i diritti scritti sulla carta servono a poco, se non cambia la cultura in cui siamo immersi. 
E la cultura in cui siamo immersi si cambia con il lavoro, spesso silenzioso e invisibile, di tutti noi. 
Si cambia quando ci fermiamo a soccorrere un randagio, quando spostiamo una lumaca dal centro del marciapiede, quando ci rifiutiamo di mangiare i corpi degli animali e i prodotti del loro sfruttamento, quando facciamo attivismo su strada, quando scriviamo, quando parliamo, quando usiamo i termini giusti per mettere in discussione la cultura del dominio, quando diciamo NO, è ingiusto, è sbagliato e ci rifiutiamo di essere accondiscendenti verso la morale comune che considera gli altri animali inferiori; quando spieghiamo con calma, senza insultare, ché non serve insultare (abbiamo argomenti forti e facilmente comprensibili), quando ci ribelliamo contro chi vorrebbe farci passare per disadattati che si occupano degli animali perché non hanno cose più importanti cui pensare o perché se ne fregano degli umani.

Ai più fa effetto sentire che sono sterminati decine di randagi, ma rimangono impassibili di fronte alla strage quotidiana, invisibile, di migliaia di animali dentro ai mattatoi.

Cosa ci può essere di più urgente e importante di cambiare il senso comune per combattere questa strage di proporzioni mai viste?

Ieri sera ho visto un film orribile. Solita americanata che esalta il governo e l'esercito che salvano tutti noi dall'invasione di una specie aliena. L'unica frase degna di nota è quando a un certo punto un umano chiede all'alieno perché vogliono distruggere tutta l'umanità. L'alieno risponde: perché ci serve la terra, le vostre risorse, ma non voi. L'umano risponde: ma non vi abbiamo fatto niente. L'alieno dice ancora: lo fate anche voi, da sempre.

Vero. Lo facciamo da sempre. Spariamo ai selvatici accusati di vivere semplicemente nel loro territorio perché in quel territorio vogliamo starci noi e non vogliamo dividerne lo spazio e le risorse naturali con loro; invadiamo altri paesi per sfruttarne sempre le risorse, schiavizzando le popolazioni locali o facendole uccidere in guerre direttamente finanziate dai paesi occidentali. 
Siamo scimmie predatrici e cattive. Ma non tutte. E fare una cosa da sempre non la giustifica e non ci assolve. Molti di noi sanno che si potrebbe stare molto meglio se solo si smettesse di pensare alle strutture di dominio come al prodotto di una legge ferrea naturale e immutabile. 
E molti di noi combattono, silenziosamente, ogni giorno, per cambiare questa cultura e società in cui ci siamo autoimprigionati e autoschiavizzati.

domenica 18 febbraio 2018

Nel mare ci sono i coccodrilli


"Come si fa a cambiare vita così, Enaiat? Una mattina. Un saluto. 
Lo si fa e basta, Fabio.
Una volta ho letto che la scelta di emigrare nasce dal bisogno di respirare.
È così. E la speranza di una vita migliore è più forte di qualunque sentimento. Mia madre, ad esempio, ha deciso che sapermi in pericolo lontano da lei, ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che sapermi in pericolo vicino a lei, ma nel fango della paura di sempre".

Breve estratto da Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda - storia vera di Enaiatollah Akbari.

Enaiat racconta la sua storia a Fabio e Fabio la scrive per raccontarla a noi. L'importanza di conoscere da vicino le persone che fuggono da una paura costante, e da una morte precoce cui andrebbero quasi certamente incontro se restassero nei loro paesi, è fondamentale. Se non capiamo, se non ci immedesimiamo, non possiamo nemmeno provare empatia e le tante persone immigrate che incrociamo ogni giorno rimarranno numeri su uno sfondo di guerre geopolitiche e di religione che continuano, forse, a non riguardarci, ossia a restare lontane, distanti. 
Ma se ci fermiamo ad ascoltare, a guardare, allora è facile precipitare dapprima in una specie di abisso emotivo - perché ci rendiamo conto che il mondo in cui viviamo noi, in cui vive l'occidente, è una finzione - ma poi, una volta, risollevato lo sguardo, sarà praticamente impossibile che dal fondo delle nostre coscienze non si sprigioni un sentimento forte di solidarietà, accoglienza, empatia.

Lo dico sempre anche a proposito degli animali. Quando si parla del loro sterminio in termini numerici rimangono sullo sfondo, privi di identità, di individualità; ma se ci soffermiamo sulle loro singole storie - nei tanti casi di ribellione che balzano agli onori della cronaca - allora ci è più facile capire chi sono, da cosa fuggono, e di cosa vanno in cerca: di libertà e di una possibilità di vivere.

Vi consiglio questo libro, ma soprattutto vi invito a leggere, in generale, la letteratura di altri paesi, di culture diverse. Aiuta a capire, chi sono gli altri, ma anche chi siamo noi (un doppio shock culturale, a volte).

sabato 17 febbraio 2018

L'insopportabile leggerezza della libertà


Un film di diversi anni fa che ho molto amato è Respiro di Emanuele Crialese.
Ambientato sull'isola di Lampedusa, segue le vicende di una donna, Grazia, interpretata da Valeria Golino, spirito libero e indipendente, selvaggio, all'unisono con la natura dell'isola. Con i figli ha un rapporto molto istintivo che si esprime con manifestazioni di affetto molto fisiche.
La fisicità è il segno della sua espressività.
Proprio per questa sua impossibilità - intesa come resistenza, come valore positivo, quindi - a reprimere una natura sensuale e indomita - purtroppo insopportabile all'interno di una cultura maschilista e patriarcale - viene giudicata pazza. 

Mi è tornato in mente in questi giorni perché c'è una scena molto forte che riguarda dei cani randagi. Grazia non sopporta di vederli rinchiusi dentro le gabbie e così li libera. 
Uno spirito libero come lei non può che desiderare di liberare tutto ciò che vive. 
Così i branchi di cani randagi si riversano per le strade dell'isola, ma vengono brutalmente uccisi. Le strade si ricoprono di una lunga scia di sangue. 
I cani liberi, come Grazia, mettono in discussione l'ordine costituito e gerarchico delle cose. 

Purtroppo certi fatti continuano ad accadere veramente. 
A Sciacca, in provincia di Agrigento, in questi giorni sono stati brutalmente assassinati trenta cani randagi. 
La loro colpa: quella di essere liberi, non addomesticati. 

L'uomo, che tutto vuole controllare e dominare, non sopporta l'idea di assistere allo spettacolo dionisiaco della libertà. 

Aggiornamento: il numero delle vittime è un centinaio, non 30 come si pensava inizialmente.


giovedì 15 febbraio 2018

Vegani e vegani


Le ultime news dicono che in Italia diminuisce il numero dei vegani.
Ma sarebbe più corretto dire che diminuisce il numero di chi ha pensato che la scelta vegan fosse una dieta, uno stile di vita, una moda transitoria.
Tutt'altra questione è invece la scelta di chi ha smesso di mangiare animali e prodotti del loro sfruttamento per giustizia e lotta contro l'oppressione e lo sterminio di individui senzienti.
In questo caso non parliamo di numeri, ma di determinazione che accresce con il tempo poiché quando si smette di "vedere" gli animali come cibo non può che aumentare la voglia di difenderli e liberarli dalla schiavitù. Non siamo consumatori che seguono o abbandonano un trend, ma attivisti per la trasformazione del reale: da società fondate sul dominio a società basate sul rispetto e la solidarietà intra e interspecie che riconosce pari dignità a tutti gli abitanti del pianeta.

Foto: The Save Movement.

martedì 13 febbraio 2018

Terremoto


Posso affermare di avere un certo sesto senso per la scoperta di nuovi autori. Da poche righe, a volte dalla sola sinossi, capisco se è un romanzo che potrebbe valere la pena di leggere o meno.
Non mi sbaglio mai. 
Questo racconta la storia di una ragazzina e della sua famiglia che negli anni novanta si trasferisce da Roma a Los Angeles. 
Potrebbe essere una storia di formazione come tante altre, ma non lo è perché ha una sua astrattezza quasi metafisica. 
Il romanzo parla della ferita del vivere, della sofferenza e dolore che sempre comporta e di come certi luoghi, certe realtà, inaspriscano e formino il carattere più di altri, o forse, soltanto, lo rivelino più di altri.

Particolarmente straziante è l'intermezzo che racconta della vacanza in un'isola piccolissima delle Eolie; qui il pianto delle creature è un sottofondo costante e l'impotenza della piccola protagonista di fronte a leggi ferree e immutabili, che pure aveva cercato di smuovere e cambiare, si fonde con quella dell'asina Angelina, costretta a piegarsi di fronte all'arroganza del potere maschile.

La città di Los Angeles è una forza che imprime direzione alle azioni e alla sorte dei personaggi, una presenza dalla natura bipolare, quella squallida o buia dei quartieri suburbani e quella rarefatta, quasi mistica, dei sentieri contigui al deserto, con la polvere rossa dorata e la luce che filtra attraverso le querce che a poco poco sfilacciano il "costume di gomma" - una sorta di corazza protettiva metaforica - che la protagonista si è cucita addosso. 

"Cambiò posizione, tenendo un occhio vigile sulla casa sotto di noi. Io mi aggrappavo alle radici spezzettate che sporgevano dalla terra e tiravo indietro l'amaca verso la staccionata. Una brezza calda cominciò a soffiarmi sul collo e lungo le gambe, proveniva da molte direzioni contemporaneamente. Un respiro che mi accarezzava gli angoli degli occhi, rendeva i capelli elettrici. Ascoltavo i rumori del canyon e mi sembrava, per la prima volta, di avere accesso a quella magica sensazione losangelina che Max aveva tentato di spiegarci quando eravamo arrivati, quella luce inafferrabile e incoraggiante: il luminoso invisibile. In termini hollywoodiani era l'equivalente di un colpo di fortuna improvviso, qualcosa di divino che poteva guarirti all'istante dal dolore, dallo smog e dai rifiuti subiti. Ne ero talmente affamata che spalancai gli occhi, sperando di poterne estrarre l'essenza e conservarla dentro me, da qualche parte tra gli strati del mio costume di gomma. Spinsi l'amaca contro la staccionata, con ogni oscillazione esaminavo le particelle di quella luminosità e provavo ad accovacciarmi lì dentro. Annusavo l'aria pungente e guardavo il cielo azzurro. Ma appena cercavo di catturare quella sensazione, la luce si affievoliva. Gli oggetti tornavano dentro i loro contorni e il luminoso invisibile scompariva. "Se guardi troppo da vicino vola via" aveva detto Max. E aveva ragione."

La scrittura precisa e misurata e l'ampio respiro della narrazione sono una piacevole scoperta nel panorama italiano. 

L'autrice sembra mostrare anche una certa sensibilità verso gli altri animali; sensibilità che emerge a tratti in alcune riflessioni, frasi - "Il pensiero di un vitello fatto a pezzi e cucinato in padella con la salvia e il burro mi fece subito star male e non appena cominciò a farmi effetto il Vicodin lasciai annegare quel pensiero e sprofondai di nuovo in acqua". e, in generale, nella consapevolezza di condividere la stessa vulnerabilità nell'esser vivi.

lunedì 12 febbraio 2018

Tempi bui

In questo periodo sto eliminando dai miei contatti di FB tutti quelli che manifestano idee fasciste, razziste, maschiliste o comunque di tolleranza verso pensieri discriminanti e gerarchici. Lo facevo anche prima, in realtà, ma adesso sento il bisogno di annunciarlo e di invitarvi a fare altrettanto.

Credo che nel nostro paese - un paese che dovrebbe esser nato dai valori dall'antifascismo e della Resistenza - in realtà sia sopravvissuto un forte sentimento nostalgico verso gli anni bui del fascismo; un sentimento che evidentemente non si è mai spento del tutto, che è stato sempre alimentato, anche se non esplicitamente, ma che tuttavia veniva tenuto nascosto (o camuffato dietro una certa ambiguità di pensiero) poiché ci si vergognava di manifestarlo. 
Invece negli ultimi mesi, grazie alla propaganda di politici come Salvini, le persone che non sono in grado di comprendere i veri meccanismi della crisi e che purtroppo ragionano in maniera semplicistica, si sentono autorizzate a esprimere l'odio verso gli immigrati e pensieri che prima era impensabile sentir pronunciare ad alta voce sono stati nuovamente sdoganati.

Dopo la sparatoria di Macerata, un gesto dichiaratamente politico e rivendicato come tale, gruppi come Forza Nuova e altri hanno espresso consenso verso questo tipo di azioni. In varie parti di Italia sono apparsi manifesti e scritte inneggianti azioni simili ed esaltanti la figura dell'attentatore.
Se non è fascismo questo, cos'altro vi serve per rendervi conto che stiamo ripetendo la storia?

Pensate che tutti inizialmente avessero preso sul serio le folli idee criminali di personaggi come Hitler e Mussolini?
I più sottovalutavano le cose più gravi che dicevano e scrivevano, ma allo stesso tempo si fidavano di loro perché si presentavano come coloro in grado di riportare l'ordine e di far risorgere un paese, dopo che avevano identificato e servito su un piatto al popolo un nemico cui addossare tutte le cause della crisi economica. 
Un'operazione in realtà molto semplice, ma che trae in inganno le masse: si crea un nemico e ci si presenta come salvatore dallo stesso. Questo fa la propaganda, questo fanno i dittatori.

Tornando a noi, certamente non è che si ottiene chissà cosa facendo pulizia di contatti virtuali perché queste persone continuano comunque ad agire nella realtà, però credo che il gesto abbia una valenza comunque importante. Riporto e condivido le parole di Dario Martinelli a tal proposito: "Alla fine della fiera, il messaggio è che, forse-dico-forse, dovremmo alzare il livello dello scontro, e abbassare quello della tolleranza (sempre con metodi pacifici, ci mancherebbe - e la rimozione dai contatti è senz'altro una forma di protesta non-violenta). 
È in corso una sommossa antimorale sempre più sostenuta, e, sempre-forse-dico-forse, dobbiamo renderci conto che siamo nostro malgrado diventati partigiani di una resistenza della civiltà e dell'evoluzione. 
Ai tanti fallocefali che popolano i social come la vita non possiamo impedire di pensarla come la pensano, però possiamo "punirli" con il nostro disprezzo esplicito e fattuale. Gli possiamo dire chiaramente: "tu sei razzista, e io con te non ci parlo".

I fascisti, razzisti, omofobi, maschilisti dichiarati, si devono sentire socialmente stigmatizzati. 
Altrimenti si cade nel paradosso di alcune democrazie, cioè che per troppo tollerare, arriviamo a sdoganare e accettare anche idee discriminati e violente. 
No, non tutte le idee meritano di essere espresse e tollerate. Non quelle che esprimono misoginia, omofobia, razzismo o altre forme di discriminazione; non quelle che potrebbero portare al formarsi di società fortemente autoritarie.

domenica 11 febbraio 2018

Limiti del benessere animale


La maggior parte delle persone si dichiara contraria alla violenza sugli animali. È pronta a inveire contro qualsiasi tipo di maltrattamento su cani e gatti. Però giustifica quanto avviene dentro allevamenti e mattatoi poiché non è abituata a considerare maiali, mucche, polli, galline, vitelli, pesci alla stressa stregua degli animali cosiddetti domestici. 
Riconosce che soffrano e che abbiano un certo grado di senzienza al punto tale da condannare gli abusi, i maltrattamenti aggiuntivi e le condizioni in cui vengono allevati, ma non al punto da mettere in discussione il concetto di farli nascere appositamente e allevarli per trasformarli in prodotti.
Quindi, quando le si mostra un video o un'immagine o le si descrive una pratica, anziché dire "io non voglio esser complice di questo orrore", risponde che dovrebbero migliorare le condizioni degli allevamenti.
Che è un po' come se io vedessi un cane che sta per essere fatto a pezzi e senza fare nulla di concreto per fermare il suo assassino dicessi: "beh, ci vorrebbe proprio qualche legge per fare in modo che venisse fatto a pezzi in modi meno brutali".

La realtà degli allevamenti e dei mattatoi è quella mostrata nei tanti video di denuncia. Non è una realtà che può migliorare perché: uno, non sarebbe conveniente per il profitto; due, mercificare gli animali è la negazione più grande che si possa fare della loro individualità. 
O li si considera individui - e non è così nell'industria della carne, latte, uova, pesce perché sono solo risorse rinnovabili, considerati in virtù di una funziona specifica ("dare" carne, latte, uova ecc..) - o li si percepisce già come prodotti o macchine produttrici di qualcosa.
Nell'affermazione "dovrebbero esser trattati meglio" c'è una dissonanza cognitiva forte perché se si ammette che dovrebbero esser trattati meglio, allora significa che, seppur in una certa misura, si riconosce loro la capacità di sentire, soffrire, ecc., e però al tempo stesso si nega questa informazione per continuare a giustificarne la pratica di ucciderli e usarli nei modo più svariati.

Quindi, quando si dice di voler migliorare le condizioni degli animali negli allevamenti, intanto, continuando a comprarli una volta trasformati in prodotti, si sta dando appoggio esattamente a quella stessa realtà che ha provocato indignazione, secondo poi si sta confermando e rafforzando l'idea che mucche, polli, maiali, vitelli, pesci non siano singoli individui, non siano nemmeno esseri viventi, ma semplicemente risorse rinnovabili, merci, cose, oggetti.

E questo non è vero. Non sono oggetti, non sono macchine, non sono automi, sono individui intelligenti capaci di stringere relazioni, di vivere un'esistenza autonoma, cioè indipendentemente da noi (che non siamo il centro dell'universo, misura e motore di tutte le cose) e non esistono per soddisfare i nostri capricci, il nostro palato, men che meno per darci profitto economico.

Bisogna sforzarsi di studiare CHI sono gli altri animali, se proprio non si vuole o non si ha la possibilità di osservarli dal vivo. E si scoprirà che quelle che la maggior parte delle persone pensa esser esistenze limitate, in realtà sono mondi che esistono al di là dei confini della percezione della loro mente.

I limiti del "benessere animale" sono i limiti della nostra mente.

sabato 10 febbraio 2018

Liberare, non comprare!


Pasqua si avvicina e con essa quella che sembra esser ormai diventata una prassi sbagliatissima e antitetica al concetto di liberazione animale: la compravendita di agnellini per salvarli dal mattatoio.

Molti allevatori iniziano a farlo per business, ossia mettono in vendita i cuccioli che scarterebbero poiché non sani oppure vendono quelli che non sono riusciti a smaltire con il mercato.
Così facendo strumentalizzano l'ingenuità delle persone e continuano a mercificare gli animali.

Purtroppo, non ci sono buone notizie nemmeno sul versante opposto: spesso sono proprio alcune associazioni, gruppi o singoli a creare eventi per fare delle collette finalizzate all'acquisto di agnelli, previo accordo con aziende e allevatori.

Salvare un individuo è un'azione immensa. Ma quando dico salvare, intendo "liberare" tramite azione diretta, o al massimo farsi regalare. Ma mai pagare. Pagando si fa il gioco degli allevatori, il gioco del sistema economico che considera gli animali mere risorse rinnovabili.

Pensateci!

venerdì 9 febbraio 2018

Facile!


La questione alla fine è molto semplice: se possiamo vivere senza mangiare animali (senza indossarne le pelli, senza tenerli prigionieri nei circhi ecc.) perché farlo?

Interessi economici e abitudine possono essere una giustificazione valida? Lo sono solo per chi li sfrutta, per chi ne trae guadagno, ma tutti gli altri? 
Posso capire che l'allevatore voglia difendere i propri interessi ottenuti sulla pelle di individui senzienti (capire, ma non giustificare, ovviamente), ma il carnista, cosa starebbe difendendo esattamente il carnista? Il suo diritto a mangiare maiali, mucche, polli, vitelli? Il suo diritto a imprigionare, sfruttare, uccidere senza necessità? Il suo diritto all'uso della forza, della violenza, all'esercizio del dominio? Il suo diritto a far nascere individui per trasformarli in prodotti, in merci, in pezzi di carne dopo una breve esistenza di terribile reclusione in capannoni fetidi? Il suo diritto a sfruttare risorse del territorio, a inquinare, a distruggere foreste, a consumare ingenti risorse di acqua, cereali e vegetali per ingrassare questi animali anziché sfamarci direttamente l'intera popolazione mondiale?

Non c'è necessità. Non siamo animali carnivori obbligati.

Tutto questo non vi importa, pensate che non vi riguardi?

Vi sbagliate. Il maggior carburante della violenza è proprio l'indifferenza o l'ignavia, o peggio, la mancanza di volontà di informarsi e di capire in che tipo di società viviamo e costringiamo a vivere migliaia di individui.

domenica 4 febbraio 2018

Modi di dire violenti


Sentire le persone che parlano del pollo, del maiale, del vitello, dei pesci, della gallina come se fossero prodotti alimentari mi provoca un dispiacere enorme. 
Nell'espressione "mangio il pollo, il pesce, il maiale ecc." è contenuta una violenza incredibile. Si nomina l'animale, ma allo stesso tempo se ne cancella l'individualità trasformandolo in un referente assente. Assente a livello cognitivo poiché non lo si vede più, sebbene sia presente in tutta la sua concretezza, anche se ormai fatto a pezzi nel piatto, e quindi reso irriconoscibile, trasformato in prodotto.

Ci provoca orrore l'idea di fare a pezzi qualcuno, ma accettiamo questa sorte per milioni di individui senzienti, intelligenti, pieni di voglia di vivere, sensibili e curiosi.

Mangiare la fettina di vitella significa "fare a pezzi un vitellino", mangiare il salame significa "fare a pezzi un maialino" e così via.