martedì 28 aprile 2020

Investigazioni sugli allevamenti in tv: una critica


Sono anni che in televisione vengono mostrati video e immagini di allevamenti intensivi funzionali alla propaganda del benessere animale, vale a dire che la narrazione che le accompagna è sempre focalizzata sulla salubrità o meno della carne e degli ambienti. Gli animali non vengono mai menzionati come individui, né si comunica mai l'opposizione all'ingiustizia che subiscono o l'esplicito invito a diventare vegani.

Sono anche altrettanti anni che ogni volta che si fa notare questa cosa si riceve sempre la solita giustificazione: "eh, ma non ci si può aspettare che in tv si faccia informazione antispecista".

Forse è così, ma certamente chi fornisce il frutto di investigazioni faticose potrebbe anche iniziare a porre delle condizioni.

In passato potremmo anche esserci illusi che bastasse mandare in onda immagini di sofferenza e violenza per far riflettere le persone sull'ingiustizia di allevare e mangiare animali, ma ora è chiaro che purtroppo non è così perché ciò che la cultura specista ci ha portati a interiorizzare è proprio l'idea della legittimità dell'uso degli altri animali in quanto è comunemente condivisa l'idea della loro inferiorità, ossia l'idea del minor valore delle loro vite, della minore importanza delle loro esistenze.
Ciò che accettiamo è la normalità del fatto che debbano essere sacrificati per noi. E questa idea è così radicata, così sentita, così naturalizzata da non aver bisogno di argomentazioni che possano supportarla in quanto siamo convinti che sia così per definizione. Si chiamano definizionaliste tutte quelle idee, credenze e convinzioni che comunemente non richiedono una tesi che possa dimostrare la loro validità e tra queste vi è appunto quella che la nostra specie sia superiore a tutte le altre e che i suoi interessi, sebbene non necessari, ma voluttuari, debbano essere perseguiti anche a discapito della vita delle altre specie.
Questo è lo specismo: è questa convinzione qua. Ed è questo che dobbiamo combattere.
Quindi, trasmissioni, articoli, campagne e modalità di attivismo incentrati sulle modalità di allevamento, sulla salubrità dei prodotti che si ottengono dalle loro carni, sull'impatto ambientale, ma che non mettono in discussione l'idea alla base del fatto che li consideriamo inferiori e sacrificabili, non soltanto sono inutili, ma addirittura rafforzano lo specismo.

Photo credits: Jo-Anne McArthur / We Animals

lunedì 27 aprile 2020

Gilmore Girls


Qual è la serie che vi ha tenuto compagnia in questo periodo di isolamento? Quella che ha alleggerito le vostre giornate o serate, i vostri pensieri, che vi ha tenuto a bada ansie e angosce per qualche ora? Quella che vi ha dato l'illusione di vivere una vita parallela e che quindi vi mancherà tantissimo quando sarà finita?

La mia è appunto Gilmore Girls, (in italiano Una mamma per amica).

Ne avevo sentito sempre parlare, ma pensavo, sbagliandomi, che non fosse il mio genere, e invece mi ha tenuta incollata allo schermo sin dai primi episodi.

La serie è andata in onda dal 2000 al 2006 e poi è stata realizzata una nuova stagione dieci anni dopo, nel 2016, aggiornandoci sulle vicende dei protagonisti.
Si è distinta per l'arguzia delle battute, intelligenti e ironiche, i giochi di parole, le citazioni di film e musica cult e soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi, mai scontati o banali.

I contenuti sono abbastanza conformisti e rassicuranti, ambientazione sociale alto borghese, non è certo una serie che offre spunti di critica del reale, (purtroppo in una puntata si prende in giro anche il veganismo che passa per essere un semplice regime alimentare salutistico), però le protagoniste principali sono donne che inseguono e lottano per i loro sogni di carriera e lavoro e sebbene tengano in grandissima considerazione l'amore, non sono disposte a mettere da parte la loro realizzazione lavorativa e personale.
Sono donne che credono in loro stesse. Autonome e brillanti, intelligenti, caparbie. Divertenti e oneste.
Ecco, il messaggio più importante che personalmente penso di aver ricevuto da questa serie è proprio quello dell'autostima.
Le protagoniste non pensano mai di non essere in grado di fare qualcosa (ovviamente nell'ambito delle loro competenze formative), sanno che le cose potrebbero anche andargli male, ma ci provano comunque. Non si tirano indietro. E soprattutto la Gilmore giovane, la ragazzina, non accetta di farsi trattare male dai ragazzi, conosce il proprio valore e sa tenerselo stretto.

A fare da contorno al percorso di formazione di Lorelai e Rory ci sono le vicende di altri personaggi che abitano nella cittadina di Stars Hollow (costruita in studio, quindi non reale). La comunità di questo piccolo paese del Connecticut riveste un ruolo importante all'interno della narrazione perché non è soltanto un luogo geografico, uno sfondo su cui ambientare le vicende, ma scandisce tempi e capitoli. Gli eventi della comunità, le tradizioni stagionali (fiere, feste, party privati), i negozi, il supermercato, il diner principale, le riunioni settimanali sono oggetto di tanti episodi e luogo di incontro dei personaggi; così come il passare delle stagioni che viene sempre evidenziato dalla prima neve, o da ricorrenze come Halloween, la festa del ringraziamento e così via o alcuni siparietti che diventano elementi ricorrenti, tipo l'artista di strada della città che con la sua chitarra e le sue strofe ha la funzione di osservatore esterno e cantastorie.

Alcuni personaggi sono memorabili, come Kirk, il tuttofare della città che svolge svariate mansioni e ruoli.

I personaggi crescono e maturano, stagione dopo stagione, anno dopo anno e le relazioni tra di loro sono in continuo movimento.

Nel complesso è una serie veramente ben scritta, intelligente, vivace e divertente, mai banale, ma leggera.

Sono a pochi episodi dalla fine della settima stagione, quindi, vi prego, non spoilerate.

mercoledì 22 aprile 2020

Corpi che valgono


Lo specismo è quell'ideologia invisibile che crea gerarchie di valore tra le diverse specie animali valutandole in base alla funzione di utilità che hanno nella nostra società e negandogli il valore assoluto e irriducibile di essere invece soggetti della loro stessa vita, cioè individui con un'esistenza che spetta a loro e solo a loro.
Nei secoli sono state inventate tantissime giustificazioni per motivare e giustificare questo uso strumentale che facciamo degli altri animali, vale a dire dei pregiudizi culturali che abbiamo assorbito in modo del tutto acritico poiché trasmessi sotto il nome di "tradizione" e ribaditi da una maggioranza che ne sancisce la normalità.
Mettere in discussione tutto ciò è difficile poiché è sulla base di queste differenze di valore esistenziale che si è formata anche la nostra stessa identità e quindi mettere in discussione lo specismo significa innanzitutto mettere in discussione noi stessi, fuori da quella narrazione antropocentrica che ci fa sentire in diritto di appropriarci della vita altrui.
Non siamo la specie più intelligente, né la più dotata, né quella più evoluta. In termini di evoluzione non ha senso stabilire graduatorie di valore in quanto ogni specie semplicemente ha una propria evoluzione sulla base di caratteristiche etologiche specie-specifiche che non si possono paragonare poiché è impossibile stabilire un parametro valido per tutte.
Se proprio un parametro riscontrabile in ogni specie animale deve esserci è l'essere corpi che vogliono vivere e che fanno esperienza della vita, del mondo, della realtà e che poi periscono, in quanto vulnerabili e mortali.
È il possedere un corpo vulnerabile capace di sperimentare dolore, piacere, gioia, angoscia e tutta una gamma di sensazioni e con l'interesse comune a sopravvivere, cioè, in sostanza, l'essere tutti animali che ci mette sullo stesso piano.
Che una specie si arroghi il diritto di sfruttarne altre, di sfruttare altri corpi per i propri personali interessi - non necessari quindi alla propria stessa sopravvivenza - costituisce oppressione e violenza. E tutto l'insieme dei pregiudizi (frutto di ignoranza e di malafede) per giustificare questa oppressione si chiama specismo ed è proprio ciò che dobbiamo combattere.

Nella foto: Nico, agnellino che ora vive come individuo libero presso il Rifugio La Tana del Bianconiglio; come potrete vedere il suo pelo era stato marchiato con la vernice verde perché nella nostra società la sua esistenza ha valore solo in quanto "animale da carne" da comprare e consumare un tanto al kg.
I rifugi invece sono delle oasi in cui si sperimenta e realizza l'ideale antispecista di una società in cui a ogni individuo viene riconosciuto il limite invalicabile del proprio corpo e tutta la potenzialità con cui, tramite esso, esprime la propria unicità e fa esperienza del mondo.

giovedì 16 aprile 2020

Cambiamenti?

Ci siamo illusi per un attimo che questa pandemia potesse farci mettere in discussione il capitalismo, e invece si sta semplicemente attuando nella sua forma più raffinata.
Spero di sbagliarmi, ma potremmo arrivare a questo tipo di società: una massa di manovalanza pagata pochissimo che svolge i lavori manuali, un'altra - tutto il settore impiegatizio - relegato dentro casa a svolgere lo smart working, e poi i ricchi che al solito non fanno un cazzo se non parassitare il resto della popolazione per mantenere i privilegi di sempre.
Direte, nulla di nuovo rispetto a prima se non che ora la fascia impiegatizia resta a casa.
Beh, di nuovo c'è in una società così controllata la repressione è molto più facile e quindi anche la ribellione è disincentivata al massimo. Pure perché quando lavori dodici ore al giorno, fuori casa o dentro casa che sia, spazio per studiare, pensare, riflettere e agire ce n'è poco. Schiavizzare è sempre il modo migliore per reprimere ogni afflato di cambiamento.

Il capitalismo at its best, altro che messa in discussione dell'attuale società.

martedì 7 aprile 2020

Midsommar di Ari Aster



Midsommar è un horror anomalo e interessante.

Ari Aster prende i cliché degli slasher movies e li elabora secondo il suo stile, aggiungendo contenuti antropologici e psicologici.

Una coppia americana in crisi - lei è una ragazza che ha appena perso la famiglia perché la sorella bipolare ha messo in atto il proprio suicidio e omicidio dei genitori, lui oppresso dalla pesantezza di una relazione in cui è chiamato a offrire conforto e protezione - decide di andare in Svezia insieme a un gruppo di amici, studenti di antropologia: l'occasione è quella di partecipare alla celebrazione della festa del solstizio d'estate di una strana comunità dedita a riti pagani che vive in un villaggio rurale e al contempo di portare a termine la stesura della tesi di alcuni di loro.

In un horror convenzionale avremmo assistito all'arrivo dei protagonisti nel villaggio di giorno dove tutto sarebbe sembrato bello e normale per poi trasformarsi progressivamente in un incubo al calar della notte.

Invece qui l'orrore è mostrato sotto la luce impietosa di un sole che non tramonta mai - in un'ambientazione bucolica fatta di abiti candidi, fanciulle eteree che indossano coroncine di fiori, danze, cibo e allettanti simboli sessuali - e gli abitanti del villaggio compiono sin da subito dei rituali spaventosi davanti agli occhi attoniti dei visitatori, che seppure agghiacciati, ne accettano comunque la motivazione culturale.

Da qui in poi la coppia è sempre più coinvolta nei vari passaggi della celebrazione, fino all'accoglimento completo, che ovviamente culminerà in una rivelazione orrorifica, come già avevamo visto in Hereditary.

Movimenti di macchina particolari, fotografia suggestiva, Midsommar mi ha ricordato per alcuni aspetti Rosemary's Baby (l'orrore che si insinua nel quotidiano, in pieno giorno, anche se qui è sin da subito molto più esplicito, certe inquadrature, atmosfere oniriche e surreali) e The Witch (per gli elementi di antropologia culturale), ma mantiene una sua originalità.

Sottilmente inquietante, visivamente splendido, superiore all'osannato Hereditary che invece non mi aveva convinta del tutto.

lunedì 6 aprile 2020

Solita ordinaria follia

Ci sono individui la cui esistenza non è cambiata affatto, nemmeno ai tempi del covid 19.

Sono tutti gli animali non umani che continuano a essere smembrati nei mattatoi, a subire una non-vita da reclusi dalla nascita fino al peso richiesto dal mercato (sì, nascono per essere messi all'ingrasso e poi uccisi, come Hansel e Gretel dentro la gabbietta approntata per loro dalla strega, solo che gli allevamenti sono la realtà e non una favola nera comunque a lieto fine), a essere torturati sui tavoli dei laboratori dove si effettua la vivisezione (chissà se i gatti faranno le fusa? A volte le fanno quando sono impauriti, per auto-rassicurarsi).

Per loro nonandràtuttobene, non è mai andato bene nulla, dal primo respiro all'ultimo, in balìa della follia e dell'avidità umane.

domenica 5 aprile 2020

News

Le notizie in sé non sono mai neutre. È il modo in cui vengono date che direziona la loro interpretazione e ricezione. Il modo di comunicarle, ossia le parole, le immagini, persino il posizionamento sullo schermo, o sulla pagina, la scelta dei caratteri, la grandezza del font, il sottotitolo, il tipo di narrazione scelta, la scelta di un preciso aggettivo sono tutti fattori che contribuiscono a far capire alcune cose e non altre. E poi le ellissi, cioè quello che si è volutamente scelto di non dire, ma rimane solo accennato, un'allusione, un'insinuazione, un invito al dubbio. E quello che non si dice affatto, che quindi non esiste perché se di un fatto non si dà notizia, è come se non fosse mai esistito nelle menti dei più.
Poi ancora, c'è la retorica. La retorica del dolore, che è quella che funziona più di ogni altra cosa perché è come se prendesse l'attenzione del lettore e la sbattesse lì, in mezzo ai pianti, al dramma, ai lutti, ai morti e infine ne centrifugasse la capacità critica fino a farla diventare uno straccio.

Quando il lettore legge cose come: "muoiono soli, non gli possiamo nemmeno tenere la mano perché sono infetti" (che poi mi pare una stronzata perché se un paziente lo puoi intubare, gli puoi fare prelievi, gli puoi fare la flebo ecc., non vedo perché, usando i guanti, non gli puoi tenere anche la mano mentre muore) o vede immagini di persone intubate, la sua attenzione finisce tutta lì; entra in gioco la parte istintiva, primordiale e si crea il panico. Succede la stessa cosa di quando in una sala affollata qualcuno urla "c'è una bomba!": il panico, il fuggi fuggi, corpi che calpestano corpi, raziocinio azzerato.

Ora, vi invito a ricordare tutte quelle volte in cui abbiamo letto inesattezze, falsità, stupidaggini, ad esempio, prendo un argomento a caso, sul veganismo. A tutte le volte in cui abbiamo letto "muore bambino vegano perché fortemente denutrito" e poi, approfondendo, abbiamo scoperto che in realtà non era nemmeno vegano, e che era morto per tutte altre cause. Però nel frattempo la notizia ha fatto il suo lavoro, il titolone acchiappa-clic (le testate giornalistiche hanno come primo obiettivo guadagnare e guadagnano con i soldi che ricevono dagli sponsor, ossia dalle pubblicità, in base al numero di clic) ha ottenuto il clic previsti ed eventuali smentite, se saranno pubblicate, saranno posizionate in fondo pagina, diventeranno un piccolo trafiletto invisibile che nessuno noterà.

Perché vi racconto questo? Ma niente, è solo uno sfogo, un bisogno di condividere l'immensa amarezza che provo nel vedere persone prima sempre molto critiche nei confronti degli organi di stampa ufficiale, ora pendere dalle labbra di ogni articolo, di ogni video, di ogni foto, anche se magari modificata.

Improvvisamente la stampa è diventata verità. Ed esiste un'unica verità. Perché si muore e allora con questa paura di morire ci possono dire e fare qualsiasi cosa.
Ci possono pure multare se scendiamo al parco sotto casa per prendere una boccata d'aria, o se andiamo al supermercato senza mascherina e guanti (anche se non è scritto da nessuna parte l'obbligo di indossarli), ci possono insultare se andiamo a lavoro o a fare la spesa in nome dello slogan "restate a casa!".

Non dovrebbe esserci il bisogno di specificarlo, ma lo faccio comunque perché conosco la facilità con cui si fraintendono tanti post: non sono negazionista o complottista, questo virus esiste ed è un virus molto contagioso e a causa del quale muoiono tante persone o comunque soffrono, hanno sintomi pesantissimi ecc., ma la retorica del dolore, il modo in cui vengono date certe notizie, l'enfatizzazione su alcune cose e la mancata chiarezza su altre e soprattutto il regime di polizia attualmente instaurato in Italia per cui ti multano pure a fronte di norme inesistenti e l'assoluta mancanza di senso di alcune norme sono tutti aspetti su cui non voglio chiudere gli occhi.

Per esempio lo sapete che stanno preparando una legge che sembra istituisca uno scudo penale per proteggere anche i direttori generali della Sanità, talora nominati con l'appoggio della politica?
Una Sanità pubblica che negli ultimi anni è stata depauperata, come scrive anche Micro Mega, rivista non certo di destra, da Zingaretti, a tutto vantaggio della sanità privata, in particolare cattolica.

E a proposito di Zingaretti, mi domando anche perché non debba avere alcuna responsabilità politica, dopo che a febbraio, per l'esattezza il 27 - quindi ben DOPO la dichiarazione dello stato di emergenza emanato il 31 gennaio e pubblicato il giorno successivo in gazzetta ufficiale - è andato a Milano, già uno dei noti focolai epidemiologici, facendosi fotografare mentre prendeva l'aperitivo in mezzo ad altre persone e pubblicando poi la foto sul suo profilo instagram, invitando a fare altrettanto.

Di questo non si parla. Però è tutto un dagli addosso al runner, al vecchietto sulla panchina al parco, da solo, a chi si sposta di cento metri per andare in un supermercato meno costoso rispetto a quello più vicino. Il tutto sempre condito dalla solita retorica del dolore.

Ho fatto solo un esempio, uno tra i tanti, ma invito ad approfondire, in questo momento più che mai, su quello che leggiamo - o che non leggiamo. 

venerdì 3 aprile 2020

Sostenete i rifugi, non gli allevatori!

Coronavirus o meno, anche quest'anno, come tutti gli anni quando si avvicina la Pasqua, girano post di allevatori che vendono agnellini o capretti e puntualmente gli animalisti - in buona fede - ci cascano.
Io non so più cosa dire perché il discorso dovrebbe essere talmente ovvio che a ripeterlo ci si sente un po' stupidi, ma tant'è.
La tragedia dello sfruttamento animale consiste nel fatto che vengono fatti nascere individui allo scopo di essere usati come prodotti e la cui esistenza è programmata totalmente in funzione di quest'ottica.
Che ad acquistarli sia una persona che poi terrà l'agnellino in giardino cambia sicuramente la vita del singolo individuo, ma continua ad alimentare il guadagno e attività dell'allevatore. Non si scalfisce minimamente la visione dell'animale macchina o oggetto.
Ora, il consumo di carne d'agnello, grazie alle tante campagne animaliste fatte negli anni scorsi, è in calo (recente anche un appello della Coldiretti in proposito in cui si invitava a sostenere gli allevatori) e si spera che continui a calare sempre più; ma se si continuano a comprare agnellini e capretti questo non succederà.

Acquistare animali dagli allevatori è contrario a ogni principio di liberazione animale.

La teoria antispecista si può evolvere e quello che volete, ma le basi devono restare chiare.

P.S.: se volete fare una buona azione, fate una donazione a qualche rifugio. I rifugi ospitano individui liberati dalla macchina dello sfruttamento e hanno bisogno di cure, cibo, lavoro di volontari.
Sostenete i rifugi, non gli allevatori!