giovedì 27 settembre 2012

È stato il figlio di Daniele Ciprì: può una Mercedes valere il riscatto sociale?

Ambientata nel degrado della periferia palermitana, a contrasto con un’eleganza formale in cui lo spazio esterno assume un rigore quasi geometrico, Daniele Ciprì adotta il registro tragicomico per raccontare una vicenda amarissima, così trasformandola in una sorta di moderna commedia shakespeariana.

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martedì 25 settembre 2012

E poi si offendono se gli dici che sono violenti: del cosiddetto "male freddo" e "male caldo" e di altre cose già dette, ma che ripetere male non fa


 Foto da Eligeveganismo per il progetto Mataderos

"I maiali si agitano facilmente. Se li pungoli troppo possono avere un infarto. Se sul ripiano trovi un maiale che se l’è fatta addosso, che ha un infarto o che rifiuta di muoversi, prendi un gancio da macellaio, glielo agganci nel culo e trascini il maiale ancora vivo. Un sacco di volte il gancio lacera la carne. A volte ho visto dei prosciutti completamente squarciati. Ho anche visto uscire fuori le viscere. Se il maiale crolla davanti al ripiano, gl’infili il gancio nelle guance e lo trascini così. Oppure glielo infili in bocca. Nel palato. E sono ancora vivi.”

Certi maiali in mattatoio mi vengono vicino e mi strofinano il muso contro come fossero dei cuccioli. Due minuti dopo li devo ammazzare a suon di sprangate. Questi maiali finiscono nella cisterna bollente e quando toccano l’acqua cominciano ad urlare e a scalciare. A volte si agitano talmente tanto da schizzare l’acqua fuori dalla cisterna…. Prima o poi muoiono affogati. C’è un braccio rotante che li spinge in basso, non hanno modo di uscire fuori. Non sono sicuro se muoiano prima affogati o prima ustionati, ma ci mettono qualche minuto per smettere di dimenarsi.”

Potrei raccontare migliaia di storie di ordinario orrore… Di animali, ad esempio, rimasti con la testa intrappolata nei cancelli; l’unico modo per tirarli fuori di lì è tagliare loro la testa mentre sono ancora vivi.”

Ho visto animali messi in ceppi, appesi, accoltellati e spellati mentre erano ancora vivi. Troppi da contare, troppi da ricordare. E’ un processo continuo. Ho visto manzi incatenati guardarsi intorno dopo che erano stati sgozzati. Ho visto maiali (che si supponeva fossero stati storditi) alzarsi sul nastro trasportatore su cui dovevano dissanguarsi. Dopo che erano stati sgozzati. Ne ho visti altri che cercavano di nuotare nella vasca d’acqua bollente.”
“Ho visto dei tipi prendere dei manici di scopa e infilarli nel culo delle mucche semplicemente per divertirsi


A volte ai manzi spezziamo le ossa quando sono ancora vivi. Quando li sposti e loro rimangono incastrati sulla soglia, allora li spingi finché non gli si strappa la pelle e il sangue finisce sull’acciaio e sul cemento. Gli si spezzano le zampe… E il manzo grida con la lingua di fuori. Lo trascinano finché non gli scoppia il collo”.

Le dichiarazioni che avete appena letto sono state rilasciate da addetti ai mattatoi durante un'investigazione avvenuta nel centro-sud del Cile da parte degli attivisti di Eligeveganismo, documentata anche da foto e video. Mataderos è il sito dedicato a quest'investigazione (il sito è in spagnolo, ma non è difficile da comprendere e, comunque sia, le immagini parlano da sole). Sbagliate se pensate che la maniera in cui vengono macellati gli animali nei mattatoi del Cile non vi riguardi perché tanto siamo in Italia, visto che buona parte della carne importata nel nostro paese proviene proprio dal Sud America ed anche perché, ovunque, i metodi di abbattimento sono gli stessi. I mattatoi, da cui Henry Ford trasse ispirazione proprio per il concetto di catena di montaggio che poi avrebbe applicato nelle sue fabbriche – solo che nei primi ovviamente si tratta di una evidente catena di s-montaggio -  debbono privilegiare la massimizzazione del profitto, quindi velocità ed efficienza non contemplano quella compassione e pietà che potrebbero scaturire al solo soffermarsi qualche secondo di più sullo sguardo di chi implora pietà. 
Avrei potuto mettere ben altre immagini, mille volte più terribili. Sappiate che esistono e sono immagini reali. Documenti. Chiunque vorrà le troverà nella galleria all'interno del sito sopracitato.
  
***    ***    ***

E chissà che a leggere queste righe alcuni di voi non riusciranno a far diventare "caldo" questo "male" e questa violenza che invece è sempre percepita come astratta, distante, lontana, quasi non fosse del tutto reale.

In effetti anche io sono stata violenta per tanti anni perché mi illudevo che i mattatoi non fossero affatto quei luoghi d'orrore che vogliono farci credere; peggio ancora, ero convinta che la mia cultura d'appartenenza - quella che ci fa ritenere "normale" mangiare e sfruttare animali - bastasse per giustificarmi ed assolvermi. In fondo io non ho colpa, pensavo, non è colpa mia se gli animali si mangiano ed usano come fossero "cose", da sempre. Già il fatto che volessi giustificarmi la diceva lunga comunque su quanto in fondo, tanto "normale" già allora non dovesse poi apparirmi questa pratica di condannare alla schiavitù e morte degli esseri senzienti in grado di soffrire ed esperire la realtà esattamente come me, in fondo non ero sempre quella che dichiarava di amare i cani, gatti e gli animali in genere?
Quando parlo di violenza non mi riferisco soltanto a quella agita direttamente sui poveri animali, ma anche alla richiesta e compartecipazione che è dietro l'atto stesso di uccidere e sfruttare. Anzi, mi sembra evidente, che senza quella richiesta, il mercato basato sullo sfruttamento animale, cesserebbe di esistere. Sul perché poi continui ad esistere questa richiesta è un altro paio di maniche ed è esattamente ciò di cui si occupa l'antispecismo. Credo che la maggior parte di voi non abbia mai ucciso con le proprie mani un animale per mangiarlo o per confezionarci un paio di scarpe, ma acquistare la carne e le scarpe vi rende comunque complici del sistema. Essere i mandanti, anziché i diretti esecutori, può rendere meno forte la percezione della violenza sottesa al sistema di sfruttamento degli animali, ma non significa che essa non ci sia; si tratta infatti del cosiddetto "male freddo" (ciò che avviene a distanza e non direttamente davanti al nostro sguardo) contrapposto al "male caldo" (ciò che avviene vicino a noi, davanti a noi o agito da noi stessi, in cui il rapporto di causa-effetto è maggiormente evidente) a darci l'illusione della neutralità delle nostre scelte e dell'assenza del nostro coinvolgimento. Non ci sentiamo appunto coinvolti più di tanto perché la violenza non avviene davanti ai nostri occhi e sembra non esserci un rapporto di causa-effetto diretto tra le nostre scelte e quello che avviene nei macelli. La stessa reazione di mancato coinvolgimento (in questo caso emotivo, ma anche morale, in quanto ci convinciamo che la colpa sia sempre di qualcun altro, ossia dei governi, di pochi uomini cattivi che dirigono le sorti del mondo, del caso ecc..) la proviamo quando guardando il telegiornale ci capita di assistere ad immagini di guerre e disastri avvenuti in paesi remoti. Certe scene ci toccano per qualche istante, ma poi si passa al servizio successivo e già ce ne siamo dimenticati. Cosa ben diversa accade quando invece un evento avviene vicino a noi; per vicino non intendo solo "fisicamente", nello spazio, ma anche culturalmente, così che la tragedia dell'11 settembre 2001 ci ha toccati tutti molto di più perché la cultura statunitense - tramite i film, la letteratura, l'importazioni di prodotti - ormai ha finito per appartenerci, anzi, l'abbiamo talmente introiettata e fatta nostra che ci siamo appropriati di tutti i suoi valori e di quella determinata visione del mondo basata sui miti dell'efficienza ed utilitarismo. Oppure penso anche al profondo moto di preoccupazione e cordoglio, che ha dato seguito a grandi azioni di solidarietà, provato da noi Italiani tutti dopo il tragico terremoto de L'Aquila o quello recente in Emilia; dopotutto si tratta di nostri connazionali, magari conoscenti, amici, parenti. Com'è diversa allora la percezione del dolore altrui, e come ci sentiamo tutti molto più emotivamente coinvolti. Diversa da quella provata nel caso della notizia che riporta numeri di morti in guerre che non ci riguardano direttamente, numeri riportati come cifre neutre, come mere statistiche cui è impossibile associare volti, nomi, vite, destini.
Diverso ancora e tanto più assente è il coinvolgimento emotivo di fronte ai numeri dello sterminio degli animali, uno sterminio silenzioso (silenzioso perché esso avviene in luoghi inaccessibili e lontani dai centri abitati così che le urla ed i lamenti degli animali non giungano sino a noi) che ha luogo quotidianamente e senza che nessun telegiornale ne parli. E questo non solo perché si tratta di esseri viventi che appartengono ad una specie diversa dalla nostra - siamo tutti viziati di antropocentrismo, ossia, quell’atteggiamento che ci porta a giudicare e determinare il valore delle altre specie sulla base di parametri tutti umani, come se noi fossimo la pietra di paragone ed il centro dell’intero universo - ma anche perché lo sterminio è abilmente rimosso e negato da abili campagne di propaganda volte a farci credere che la mucca ed il maiale siano felici di finire sulle nostre tavole: propaganda che fa leva su meccanismi di rimozione dell’orrore e della morte  che confermano determinati desideri - spesso non reali, ma indotti - e valori sociali propedeutici a confermare e rafforzare il presente, lo status quo, l’ovvio, e che rendeno molto difficile l’esercizio di una sana critica del reale. Il reale, il sociale non è dato una volta per tutte e quel che avviene e si reitera da tempo non è per default anche giusto. Quello è ciò che vuol farci credere chi detiene il Potere perché il mantenimento dello status quo è sempre nell’interesse del Potere. Per Potere non intendo un concetto astratto, metafisico, simbolico di stampo kafkiano (per quanto Kafka vada appunto letto come allegoria, attenta, lucida e fin troppo precisa di certi meccanismi del sociale), ma intendo quello economico delle multinazionali che a loro volta influenzano profondamente gli elettori ed i governi. Oggi il Potere è di due tipi, principalmente: economico e mediatico ed il primo si avvale del secondo.
Ovunque intorno a noi c'è quel che deriva dall’esercizio di questo Potere che provoca un indicibile dolore nascosto, invisibile, eppure ci è così difficile fare il dovuto collegamento. 
Come mai un salame è solo un salame e non quel che resta di una violenza sanguinaria?
Possibile che sia così facile rimuovere dalla mente la violenza necessaria a trasformare il maiale in porchetta?
Possibile che non si riesca a capire che quel che finisce nei piatti non è una cosa, ma un lui, un individuo, un essere vivente in carne ed ossa come me, come voi? “CHI mangio oggi” si dovrebbe domandare chi sta per ordinare al ristorante o chi sta facendo la spesa al supermercato, non “COSA mangio”.
Ovviamente ci sono maniere e maniere per parlare alla gente del perché sia sbagliato sfruttare gli animali. Si può cercare di spiegare, ad esempio, che non è affatto così "naturale" come si crede uccidere le altre specie per nutrirsene e che, come tante volte ho già scritto, la prassi dello sfruttamento inizia a partire da un certo periodo in poi della Storia. Si può parlare dell'antropocentrismo, questo vizio, come detto - ma ancora voglio continuare a dire -  che ci porta a giudicare le altre specie con parametri tutti umani, come se la nostra intelligenza fosse l'unico metro di valore attendibile e significativo. E si può, si deve anzi dire, che la questione di CHI finisce nel piatto è solo un aspetto dell’immensa battaglia volta alla liberazione animale e nemmeno la più determinante perché non è affatto detto che diventando tutti vegani poi non si continuerebbero a sfruttare gli animali in altri modi ed in altri settori. Certamente un grosso pilastro dell’economia verrebbe a cadere, ma non dobbiamo commettere l’errore di pensare che il veganismo sia un fine. Esso è un mezzo, un primo passo, una prima maniera per cominciare a rendere effettivo il nostro rifiuto del sistema di sfruttamento degli animali, è la prima ribellione che poniamo in atto. Come ho già detto altre volte, diventare vegani è necessario per affrancarsi dal sistema della violenza sugli indifesi ed è indice della nostra dichiarazione di coerenza ai nostri principi e valori di nonviolenza. Ma la liberazione animale ed umana, l’antispecismo sono questioni assai più complesse, esse non possono prescindere dall’analisi politica ed economica della nostra società e non possono risolversi se non tramite una messa in discussione radicale della prassi dello sfruttamento del vivente.
Insomma, il discorso lo si può prendere alla lontana e si può procedere interminabilmente per giorni e giorni a discutere ed approfondire certi argomenti.
Ma anche si può semplicemente, qualche volta, limitarsi al raccontare la pura e semplice verità di quello che avviene dentro i macelli, testimoniare con foto, video, racconti l'ordinaria normalizzazione della violenza necessaria per far arrivare sulle tavole quelle tanto "gustose" bistecche di cui molti di voi sembrano non poter fare a meno;  che è esattamente quello che mi sono proposta di fare oggi nel riportare quelle dichiarazioni all'inizio.


Infine, vorrei aggiungere che la maggior parte di coloro che conosce quel che avviene nei macelli si dichiara quasi sempre prontamente incline a condannarne l'esistenza, salvo poi rimandare ad un tempo ipotetico futuro non precisato la scelta di non parteciparvi più fattivamente attraverso una messa in discussione radicale del proprio agire nel mondo. E, nel frattempo, continua tranquillamente a comprare prosciutto, salame, borsette di pelle come se si sentisse sollevato per il solo fatto di essersi saputo "indignare" o di aver provato un vago senso di colpa. Come mi disse una volta una persona - quando ancora mangiavo la carne - gli animali, del nostro senso di colpa, non sanno cosa farsene. Essi vogliono essere lasciati in pace di vivere la loro vita. Liberi. E non è vero, come ho spiegato nel post precedente, che non sono consapevoli del loro stato di assoggettamento all'uomo, tanto che episodi di ribellione e rivalsa avvengono continuamente. Solo che l'uomo è più forte, più raffinato nell'esercizio della forza sui più deboli, sia che si tratti di animali umani che non umani. Si tratta, dunque, di un mero esercizio di potere e gioco di forze. Una questione politica, dunque. Oltre che etica. Una questione che non riguarda soltanto la sensibilità del singolo per cui si tratterebbe di "scelte individuali", ma che ha a che fare con la sua responsabilità civile.

Pubblicato anche su Asinus Novus.

sabato 22 settembre 2012

Alexandre, ovvero, anche gli animali negoziano la loro libertà, ma non vengono ascoltati


Ogni giorno vengono uccisi miliardi di animali dopo una non-vita trascorsa in gabbia. Se volessi - e lo vorrei - dedicare un post ad ognuno di loro dovrei smettere di respirare ed il tempo non basterebbe comunque.
Oggi voglio però commemorare Alexandre, la giraffa che ieri, ad Imola, è stata uccisa a causa di una dose eccessiva di tranquillanti somministratile al momento della cattura, dopo la sua fuga dalla gabbia del circo Orfei in cui era rinchiusa e dopo aver vagato alcune ore in mezzo ad un territorio a lei del tutto alieno. Era un giovane esemplare maschio. Nel video avrete potuto vedere l'eleganza dei suoi ultimi passi nel mondo; in un mondo che non era il suo, perché il suo avrebbe dovuto essere quello della Savana. Non che alla povera vittima serva più ormai questa commemorazione, ma infatti le commemorazioni sono per i vivi, a ricordarci di qualcuno che non c'è più, di qualcuno la cui esistenza ha significato qualcosa.
Al povero Alexandre nessuno potrà mai più spiegare il perché dell'egotica idiozia dell'uomo che si diverte ad umiliare animali selvatici dalla rara bellezza costringendoli ad eseguire tutti quegli stupidi numeri da circo, però, se la sua vita ha avuto davvero quel significato che tutti noi antispecisti gli riconosciamo, facciamo in modo che i tanti articoli, i tanti post sui blog che gli sono stati dedicati, servano a ricordarci l'urgenza di lottare per un circo senza animali. Che la sua morte almeno abbia un senso, non più per lui, povero esserino spaventato, ma per tutti gli altri che vivono costretti in gabbia: elefanti, tigri, cammelli, ippopotami, leoni, foche, scimpanzé e altre specie rare, bisognose di spazi aperti, di foreste, di alberi su cui arrampicarsi, di vita sociale tra i propri simili, di libertà. 
Qui un articolo ben fatto - sempre dal sito AnimalStation di Riccardo - che spiega nei particolari tutti gli abusi che sono costretti a subire gli animali da circo e la maniera, non proprio gentile, in cui vengono addestrati. 

Del resto non è la prima volta che un animale scappi da un circo o che si ribelli al proprio domatore. Vorrei anche segnalare questo saggio (a sua volta citato da Steve Best durante le sue recenti conferenze in Italia e qui già menzionato): Fear of the Animal Planet: the Hidden History of Animal Resistance di Jason Hribal; un saggio in cui si documenta la consapevolezza degli animali ridotti in schiavitù dall'uomo e dei loro tentativi di ribellione, fuga, giusta rivincita progettati e messi in atto scientemente al momento opportuno. 

Giusto ieri sera discutevo con chi sostiene che la lotta per i diritti degli animali portata avanti da noi antispecisti non ha una validità morale in quanto gli animali sono esclusi dal contratto sociale degli uomini, non avendo i mezzi e le capacità per negoziare la loro libertà e di stabilire le loro condizioni.
Le cose non stanno affatto così. 
Ogni volta che un animale tenta (e magari qualche volta ci riesce, sono frequenti i casi di cronaca che documentano la fuga di animali da allevamenti, circhi, luoghi vari di detenzione) di fuggire dalla gabbia o di liberarsi dalla catena (non solo simbolica, ma reale) che lo tiene legato al palo, egli sta esprimendo la propria volontà di essere libero, quindi sta negoziando la propria libertà. 
Il problema, l'unico vero grande problema è il vizio dell'antropocentrismo che affligge la specie umana da secoli; quel vizio che ci porta a considerare e giudicare le altre specie solo tramite i parametri umani, per cui tanto più una specie possiederebbe requisiti e caratteristiche (sia fisici, che intellettivi) simili ai nostri, più sarebbe meritevole di essere ascoltata e presa in considerazione per la sua intelligenza e capacità di esperire la realtà consapevolmente. E invece da parecchio tempo ormai la scienza e i suoi studi etologici hanno stabilito che non esiste un'unica intelligenza ed evoluzione, ossia quella umana, ma tante diverse intelligenze ed evoluzioni: ogni specie ha la sua propria, un'evoluzione che non guarda assolutamente in direzione degli orizzonti umani. Il nostro linguaggio ed il pensiero astratto, abilità in cui noi ci siamo particolarmente evoluti, non sono l'unità di misura assoluta a partire dalla quale si debbono giudicare tutte le altre specie. 
Che significa ciò? Che per negoziare non necessariamente ci si deve esprimere tramite la lingua del dominante. Anzi, se la negoziazione dev'essere un punto di incontro, si dovrà fare in modo che si trovi un terreno comune di espressione. Ora non è che gli animali per chiedere la loro libertà debbano necessariamente esprimersi nella nostra lingua o firmare un contratto su carta bollata, basterà invece saper ascoltare cosa essi hanno da dire nel loro specifico linguaggio. 
Non è vero che essi non parlano e non domandano. Lo fanno invero continuamente. Siamo noi ad essere talmente arroganti e supponenti da aspettarci che lo facciano proprio nella nostra lingua. 
La lingua dell'uomo non è la lingua universale. Anche il vento comunica qualcosa, ad esempio che sta arrivando una tempesta (e ben lo sanno i naviganti che hanno appreso determinati segni); la lingua è un segno verbale. Il segno comunica qualcosa. Ed è convenzionale. Anche gli animali si esprimono e comunicano. Solo che usano altri segni, non verbali. Oggi il "mio" gatto, muovendo in maniera convulsa la coda, mi ha comunicato che voleva essere lasciato in pace a sonnecchiare. L'ho rispettato. Lui ha negoziato con me il suo diritto al riposino. 
Se solo tutti quelli che sfruttano gli animali fossero meno miopi, sordi, ottusi, imparerebbero a decodificare i segni della comunicazione degli animali, che ogni specie ha i propri, e si accorgerebbero di quanto essi, da millenni, stanno disperatamente cercando di negoziare la loro libertà. 

Alexandre, scappando dal circo Orfei ci ha detto qualcosa. Ha detto qualcosa al mondo. Ha detto: voglio tornare libero nella mia Savana. E tutti quegli uomini che lo circondavano, sordi, ciechi, chiusi nella miopia dei loro angusti antropocentrici ristretti confini mentali non hanno saputo e voluto ascoltarlo, né tantomeno capirlo e per tutta risposta gli hanno iniettato una dose di tranquillante rivelatasi letale. Esattamente come un tempo si faceva ai malati di mente, i diversi, che infatti non è che non comunicassero il loro disagio, la loro paura, il linguaggio del loro mondo interiore, solo che avevano segni arbitrari, non soggetti alle norme convenzionali. Gli animali come i diversi.
Da sempre lo strumento del Potere è solo uno: quello di zittire, mettere a tacere. 
E all'animale che urla e scalpita nella sua gabbietta troppo stretta viene tirata ancor di più la corda attorno al collo fino a che il suo grido non diventa sempre più flebile, fino a che non viene del tutto smorzato.

Pubblicato anche su Asinus Novus.

Il lavoro è schiavitù



È fama tra gli etiopi che le scimmie non parlino di proposito, per non essere obbligate a lavorare.

(J. L. Borges)

venerdì 21 settembre 2012

L'uomo che pescava per divertirsi

Molo di Ostia, tarda mattinata odierna (cartello ben visibile con su scritto VIETATO PESCARE).
Bella giornata, cielo terso, ho proprio voglia di fermarmi qualche minuto ad osservare il mare, a respirare l'aria salina e iodata, con quell'inconfondibile odore di alghe che subito mi restituisce le tante belle sensazioni delle estati dell'adolescenza.
Poca gente, non c'è tutta la caciara di luglio e agosto, nella spiaggia sottostante c'è giusto qualcuno che ancora prende il sole in costume o che passeggia sul bagnasciuga.
Mi incammino verso il molo, da lì c'è una bella vista sul mare aperto, c'è il vento che soffia dritto in faccia, ci sono i gabbiani che volano bassi e così posso osservarli da vicino.
Man mano che mi avvicino osservo le poche persone presenti: un gruppetto di uomini che parlotta, un ragazzo seduto sul muretto che legge, un uomo che scatta qualche foto ad una donna con un bambino in braccio; e poi lui, lo stronzo di turno che come al solito non manca mai: l'uomo che pesca. 
Lì però è vietato pescare. 
Mi armo di coraggio (coraggio perché in genere in queste occasioni è facile che si trascenda), mi avvicino e do avvio alla seguente conversazione: 
- senta, lo sa che qui è vietato pescare? - Si gira, è un vecchietto.
 -  eh, lo so, lei c'ha ragione signora, ma sugli scogli nun ce posso annà, so mezzo invalido, quell'altro molo 'ndo se poteva annà è rotto, l'hanno chiuso, semo sempre in Italia sa, se rompe 'na cosa, col cavolo che la ripareno.
- Sì, siamo in Italia, e lei infatti da bravo italiano che fa? Pesca dove è vietato pescare
- Ma 'ndo vo, non posso annà da n'antra parte. Abbia pazienza signorì, so anziano e 'nvalido, è l'unico divertimento che mi è rimasto.
- Bel divertimento! Lei uccide per divertimento, dunque. Senta, la pesca è una pratica cruenta e lei non può costringere i qui presenti, compreso un bambino, ad assistere all'indegno spettacolo di un animale preso all'amo che si dibatte. Lei mi sta privando del sacrosanto diritto di starmene qui tranquilla a godere di un po' di sole. Ora chiamo i vigili e vedremo quanto si divertirà poi.
- signò, lei c'ha ragione, ma io che altro fo si nun pesco? M'è rimasto solo questo per passà il tempo.
- Dipinga, legga, prenda il sole, faccia un corso di quello che gli pare a lei, ma lasci in pace i poveri pesci che stanno nuotando per i cazzi loro. Chiamo i vigili

Li ho chiamati e infatti l'hanno mandato via.

Immagino che qualcuno, avendo assistito alla scena, mi avrà giudicata come una povera stronza rompicoglioni che ha impedito ad un povero vecchietto semi-invalido (ma stava in piedi da solo benissimo, camminava e manovrava 'sta canna da pesca con ambo le braccia, quindi, se invalido era, sicuramente lo era mentalmente perché uno che si diverte ad ammazzare animali tanto sano non dev'essere) di sollazzarsi in quel po' di tempo che gli è rimasto da vivere.

E invece io la vedo così: un pesciolino in meno preso all'amo, un pesciolino in più che ha potuto continuare a nuotare in pace per i cazzi suoi.
Certo, in quello stesso istante miliardi di altri animali sono morti comunque ed il vecchietto magari tornerà domani stesso sul molo a sfidare il cartello di divieto, ma almeno mi sono presa il gusto di rompere i coglioni a chi sfrutta ed uccide gli animali.
E anzi, è proprio in quello stesso istante che ho preso una bella decisione (messa in pratica altre volte, ma che ora vorrei far diventare più sistematica):a te, specista del cazzo, voglio rompere i coglioni a più non posso. Hai la legge dalla tua parte per uccidere e sfruttare animali, ma io ti complico la vita.
Perché, come dice l'amico Claudio (alias Sdrammaturgo) la società specista ha vinto (almeno per il momento), ovunque ci giriamo c'è il trionfo dello specismo, ma io a te, specista, almeno nun te rendo la vita facile. Fai quello che fai con il supporto della legge, ma se posso romperti i coglioni (che non hai, vigliacco, perché uccidere gli indifesi è vigliaccheria), stai pur sicuro che lo faccio.
Soccomberò, io ed i miei ideali, ma te faccio sudà.

In verità oggi avrei dovuto fare una cosa in più: ossia prendere quella canna da pesca e romperla, o portarmela via (così avrei creato anche un danno economico al vecchietto), ma sono ancora troppo per bene, non ci riesco. Ci sto lavorando però. 

Vendi le pellicce? E io vengo a disturbare la tua attività. Mi metto davanti alla tua vetrina e dico che le pellicce sono il male assoluto. Peschi dove non puoi pescare? Io ti mando via, ti rovino quello che ritieni il tuo passatempo preferito. 
Gli animali continueranno a morire, ma te, specista del cazzo, ti divertirai un po' di meno. 

lunedì 17 settembre 2012

Un mare di sofferenza

Reblogged da AnimalStation.

Il dolore e la paura negli animali marini.

La distanza emotiva che divide l’animale umano dagli altri animali è più che mai evidente nel caso dei pesci. Non infrequentemente, persino chi, spinto da compassione, rifiuta di nutrirsi delle carni degli animali terrestri, continua tuttavia a nutrirsi degli animali marini.

Continua qui.

(Per tutti quelli che mi dicono, mi hanno detto e continueranno a domandarmi: ma nemmeno i pesci mangi? Ma i pesci mica soffrono...)

domenica 16 settembre 2012

Come sa di sale lo pane altrui

Un’elemosina è irrimediabile. La riconoscenza è paralisi. Il bene che vi vien fatto ha un’aderenza vischiosa e ripugnante che vi toglie ogni libertà di movimento. Gli odiosi esseri opulenti e impinzati che hanno infierito su di voi con la loro pietà lo sanno. È fatta. Ormai appartenete a loro. Vi hanno comprato. Per quanto? (...) Dunque, ringraziate. Ringraziate in eterno. Adorate i vostri padroni. Genuflessioni infinite. Il beneficio che vi è stato fatto implicita un tacito sottinteso di inferiorità da parte vostra. Esigono che vi sentiate un povero diavolo e che li giudichiate Dèi. Il vostro degradarvi li innalza.” Ecc. ecc. (da L’uomo che ride di V. Hugo, pag. 274 ed. Oscar Mondadori).

Quelli che ti darebbero una mano sol per renderti schiavo o che, peggio ancora, non te la danno se non ti conformi al loro pensiero e maniera di vivere (il che implica un giudizio di valore sulla maniera di vivere di chi chiede aiuto, come se la sua disgrazia dipendesse in qualche modo da lui, come se se la fosse in qualche modo andata a cercare).  

Quante volte, nel chiedere aiuto (a diverso titolo, intendo aiuto dei più disparati tipi) vi siete sentiti rispondere: " va bene, ti aiuto, a patto che tu però..."?  

Che razza di aiuto è quello offerto con riserve? 
Davvero è così difficile dare in maniera totalmente disinteressata?  

Ma fottiti, mi vien da rispondere, piuttosto annego nella mia stessa melma, ma quella mano con riserve mentali non la voglio! 

venerdì 14 settembre 2012

Gli Equilibristi di Ivano De Matteo: in bilico tra benessere e povertà, ovvero, i nuovi poveri

Giulio (Valerio Mastandrea, dirgli bravissimo è poco!) ha quella che si potrebbe definire una vita tranquilla, almeno a giudicare dall’esterno: una bella famiglia, un posto fisso come lavoratore statale, cosa che di questi tempi agli occhi dei più lo rende quasi un privilegiato, una casa con mutuo ed un’automobile acquistata a rate, ma che comunque un giorno diverranno di sua proprietà, colleghi ed amici simpatici.

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giovedì 13 settembre 2012

Elles di Malgoska Szumowska: una riflessione sull’uso ed abuso del corpo nella società dei consumi

In Francia secondo un rapporto del sindacato SUR ogni anno 40.000 studenti si prostituiscono per pagarsi gli studi.”

Io credo che esistano film che si dovrebbero vedere a prescindere dal loro valore estetico e questo perché capaci di aprirsi a riflessioni che riguardano la società tutta, compreso lo spettatore che sta assistendo alla visione. Il film Elles della regista polacca Malgoska Szumowska (si è diplomata alla Lodz Film School, la stessa dalla quale provengono e sono provenuti Polanski, Kieswloski, Zanussi, Wajda)  è stato ampliamente criticato ed ha suscitato un certo scandalo dopo la sua presentazione alla 62esima edizione del Festival di Berlino nella sezione Panorama.

domenica 9 settembre 2012

Steve Best in Italia: dalla Filosofia all'Azione


Dalla Filosofia all’Azione, questo il filo conduttore che lega le tre conferenze di Steve Best – ognuna dedicata a un tema specifico – organizzate dall’associazione Per Animalia Veritas; a tal proposito vorremmo esprimere i nostri ringraziamenti alla Presidentessa Barbara Balsamo e a tutti coloro che si sono dati da fare per rendere questi tre incontri quanto mai vivaci e all’insegna di un clima accogliente e caloroso. Così come ovviamente ringraziamo Steve Best per la sua immensa disponibilità ed informalità.
Professore di Filosofia presso l’Università di El Paso, attivista per una liberazione globale e radicale di tutti gli animali umani e non umani, ecologista, rigorosamente antispecista, egli promuove una rivoluzione sociale che scardini il sistema di dominio e di oppressione capitalistico.

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mercoledì 5 settembre 2012

Libertà dove sei?


All'interno di un vivaio noto un pappagallo in una gabbia. Se ne sta lì tutto solo, dietro le sbarre. Mi avvicino e subito si mette a fare le capriole per farsi vedere quant'è bravo. Gli faccio dei complimenti, gli dico delle cose carine, mi risponde anche, farfugliando qualcosa, è uno di quelli cui hanno insegnato a ripetere qualche parola. 
Mi fa una pena incredibile. 

Io - Salve, cercavo questo e questo e poi volevo chiederle, ma... quel pappagallo, sta sempre rinchiuso in quella gabbia, non lo lasciate mai libero? 

Proprietario negozio - nooo... non si può, ci abbiamo provato durante la notte, ma rovina le piante.

Io - capisco, ma allora non sarebbe il caso di darlo a qualcuno che potrebbe tenerlo meglio, magari in una voliera più grande, magari chissà, si potrebbe persino tentare di liberarlo, forse con l'aiuto della Lipu. 

Proprietario negozio - nooo, ma che dice? Sono anni che vive qui. Ma di che si preoccupa, scusi? Questo sta meglio di me e di lei, mangia tutti i giorni e manco deve preoccuparsi di arrivare a fine mese. 

Io - beh, dubito fortemente che stia meglio di me e di lei, intanto è rinchiuso in una gabbia, non è libero, capisce? 

Proprietario negozio - ma che ne sa lui della libertà, è nato in gabbia, muore in gabbia, non ha mai volato, non sa nemmeno cosa significhi, mangia tutti i giorni.

Io - mi scusi, ma perché continua a ripetermi che mangia tutti i giorni? Pure in galera ti danno da mangiare tutti i giorni, lei ci vorrebbe stare? Ora che ci penso nemmeno lì bisogna preoccuparsi di arrivare a fine mese, ti danno alloggio, vitto e pure compagnia. 

Proprietario negozio - eh, signò, quanto la stamo affà lunga, noi siamo uomini, quello è un pappagallo.

Io - dunque la morale è che se nasci pappagallo devi stare in gabbia? 

Proprietario negozio - Ma chi ci sta meglio di quello? 

Io - Sa che le dico? Se qui c'è qualcuno a non avere la più pallida idea di cosa sia la libertà, quello non è certo il pappagallo.

Che strano come noi animali umani ci affanniamo tanto a trovare le definizioni più precise per spiegare determinati concetti e poi ci smarriamo completamente di fronte alla realtà, incapaci di riconoscere l'anelito di libertà di un animale in gabbia. Incapaci di riconoscere quell'anelito come lo stesso nostro. O non sarà che intrappolati nelle nostre stesse gabbie mentali e materiali, le stesse che nel corso della Storia abbiamo contribuito a costruire, ciò che più invidiamo agli animali è proprio la loro libertà e per non essere da meno corriamo ad imprigionare pure loro?
Ma non è imprigionando loro che libereremo noi stessi. Al contrario, correremo il rischio di sbattere il naso contro la libertà e di non saperla riconoscere. E allora tireremo dritti, convinti che essa vada cercata altrove.