martedì 30 settembre 2014

Adozione o procreazione?


Così come bisognerebbe fare più informazione per incentivare l'adozione di cani e gatti anziché il loro acquisto in negozi e allevamenti, lo stesso si dovrebbe poter fare in merito all'adozione di bambini. 
Ora, so bene che chi decide di adottare anziché procreare si trova di fronte a complicazioni burocratiche che fanno passar la voglia (che poi non capisco perché per l'adozione siano necessari, giustamente, tremila controlli mentre qualsiasi idiota può mettere al mondo un figlio), ma credo che la diffidenza verso questa scelta sia dettata anche da una cultura avversa in cui l'adozione viene vista e percepita come un ripiego, una sorta di ultima spiaggia dopo averle provate tutte per procreare e non ci si è riusciti; invece basterebbe far capire che non di ripiego, non di ultima chance, non di scelta secondaria si tratterebbe, ma di enorme gesto di altruismo, di amore, di profonda umanità. 

Al mondo ci sono migliaia, ma che dico, miliardi di bambini che attendono dentro gli istituti e non vedo quale gesto più grande di quello di adottarli potrebbe esserci. Dare la vita in senso biologico non è più importante di darla a chi già si trova al mondo, ma non ha chance di poterla vivere appieno. 
Trovo veramente strana questa smania di procreare a tutti i costi quando si potrebbe fare la differenza per un bambino già nato. 
Si tratta spesso di un desiderio egoistico, legittimo, per carità (alla fine io ho scelto di non avere figli ugualmente per motivazioni egoistiche, ma non solo - e ne ho parlato qui, in un post che ha ricevuto molta attenzione tanto da risultare tra i più letti in assoluto), ma che almeno non lo si mascheri da gesto disinteressato del dare la vita perché, primo, dare la vita potrebbe non essere quella gran figata che sembra, secondo, c'è più altruismo nell'aiutare una creatura che è già al mondo e che sta vivendo una vita di stenti, anziché crearne dal nulla una nuova. 

venerdì 26 settembre 2014

Caso Daniza: un tentativo di analisi psicologica sul clamore che ha suscitato


Ancora in pieno climax della vicenda Daniza, subito dopo il presidio (il terzo) davanti al Ministero dell’Ambiente, me ne sono andata una settimana a Londra in vacanza. Una vacanza attesa da mesi, eppure al momento di partire mi ha preso un sentimento di quasi reticenza perché non volevo correre il rischio di perdermi tutti gli sviluppi del caso. Certo, si è connessi ovunque o quasi ovunque, ma si suppone che uno in vacanza non stia tutto il giorno collegato a internet. 
In particolare eravamo rimasti che il Ministero dell’Ambiente e la Provincia di Trento avrebbero dovuto darci delle risposte in merito alla sciagurata gestione dell’intera vicenda – che ha portato alla morte di Daniza – e alla presa in carico della salvaguardia dei cuccioli in termini di condizioni per render possibile la loro sopravvivenza senza la madre.  
Ho cercato di tenermi aggiornata e se so che molte associazioni animaliste e singoli attivisti stanno lavorando e continuano a darsi da fare in tal senso, sia per i cuccioli che per fa luce sulla vicenda, purtroppo non mi pare di aver letto ammissioni di responsabilità da parte delle Istituzioni; anzi, qualcosa mi dice che probabilmente i responsabili staranno tutti aspettando che l’ondata di clamore si smorzi sperando che l’intera storia finisca nel dimenticatoio insieme a tanti altri scandali italiani. Vorrei che questa volta il finale fosse diverso, ossia che l’ondata di indignazione, rabbia, dolore suscitati non si disperdano, ma anzi segnino un prima da un dopo, l’inizio di una nuova stagione proficua e strategicamente ben organizzata per l’attivismo italiano. Che Daniza ci rimanga nel cuore insomma, come monito per continuare una lotta che anche se impari, non per questo è meno degna di essere combattuta; anzi, proprio perché impari, va combattuta più che mai.
Invece, a proposito di clamore mediatico (soprattutto sui social) e di ondata emotiva che il caso Daniza ha suscitato, ho avuto modo durante la mia breve vacanza, complice la distanza dagli eventi e il riposo mentale da tutto un accumulo di stress stratificatosi negli ultimi anni (il burn out è una sindrome di cui tutti gli attivisti sono a rischio), di riflettere sul perché questa tragedia, più di altre, abbia scosso l’intero movimento dalle fondamenta e non solo.
Qualcuno ha parlato di “orso simbolo nell’immaginario collettivo”. Sì, è vero, mamma orsa e i suoi orsetti sono stati sicuramente i protagonisti di tante storie che abbiamo letto o visto nei cartoni animali da piccoli e lo stesso si può dire della valenza ampiamente suggestiva di questo animale in termini di natura selvatica, libertà ecc., ma tutto ciò non basta a spiegare come mai Daniza e i suoi piccoli ci abbiano colpiti così nel profondo.
Io credo che ci sia dell’altro, ma non potendo parlare a nome di tutti, parlerò di come personalmente abbia vissuto io l’intera vicenda sul piano emotivo e anche razionale, nel tentativo di far luce su alcuni punti.

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giovedì 25 settembre 2014

Al museo zoologico con sguardo animalista


Non conoscono il divenire delle stagioni, non sentono il bacio del sole, la sferzata del vento e del tempo; vivono per sempre non vivendo affatto...

Aldo Leopold

(A seguire un pezzo scritto in occasione di una visita al museo zoologico di Roma dove ho accompagnato la mia amica Grazia che stava ultimando la sua tesi in antropologia e aveva bisogno di riflessioni da parte di un’altra persona – oltre a lei stessa – con una sensibilità antispecista).

È una calda giornata di agosto e ho appuntamento con la mia amica Grazia davanti al museo zoologico di Roma. Mi ha gentilmente chiesto di accompagnarla perché le raccontassi le mie impressioni, che sono quelle di un’animalista, di un’attivista per la liberazione animale, come diciamo noi che ogni giorno ci battiamo per sottrarre i non umani al nostro dominio, al dominio di noi altri umani. Detto in altre parole – e come recita il titolo della sua tesi – è un altro sguardo animalista, oltre al suo, che le serviva. Ma cos’è uno sguardo animalista? Cosa significa? 
Uno sguardo animalista è uno sguardo che incontra altri sguardi e che non vi si sottrae, ma anzi, ci si sofferma a lungo con la speranza, la certezza e il desiderio di poter imparare qualcosa. Lo sguardo animalista è quello di chi sa che il proprio non è l’unico sul mondo, ma che è soltanto uno dei tanti. Lo sguardo animalista è quello di chi si rende conto di essere guardato e forse, chissà, finanche giudicato. Ma guardato da chi? Da altri individui non umani che non fanno parte del panorama, non stanno sullo sfondo immoti e fissi nel tempo e nello spazio, ma sono soggetti unici dotati di un’irripetibile singolarità.
Capito questo, ecco che il solo atto del varcare la soglia di un museo zoologico già mi pone di fronte a un primo problema di natura epistemologica. La domanda da farsi è: a cosa serve un museo zoologico? Sull'opuscolo informativo leggo e riporto: “Il museo partecipa alla costruzione della cultura scientifico-naturalistica dei cittadini, sia attraverso esposizioni permanenti e mostre temporanee su temi della biologia animale, sia mediante specifici progetti educativi rivolti a tutti i visitatori.
Il museo propone percorsi didattici ed attività formative per le scuole di ogni ordine e grado. Molti i temi trattati, che coinvolgono tutte le problematiche naturalistiche, con particolare attenzione alla conoscenza e alla salvaguardia della biodiversità, nonché alla sostenibilità ambientale.”
Mi colpisce: “conoscenza e salvaguardia della biodiversità” e “costruzione della cultura scientifico-naturalistica”.

Si pensa quindi che la sola osservazione di animali tassidermizzati con didascalie che ne attestino la tipologia di specie, l’habitat di appartenenza ecc.  basti per fornire una cultura scientifico-naturalistica e per contribuire alla conoscenza della biodiversità.

In realtà l’idea che esista “il gufo”, “il leone”, “l’orso” è una finzione culturale. Ed è esattamente con questa finzione che abbiamo a che fare nel momento in cui entriamo in un museo di questo tipo. 
Non esiste “il leone”, ma esistono tanti individui che vivono un certo tipo di esperienze e di emozioni e che noi abbiamo chiamato “leoni”. 

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martedì 16 settembre 2014

Animalisti violenti?


Poiché mi hanno segnalato alcune pagine contro Daniza - pagine di cui non voglio riportare nemmeno il nome perché anche solo a scriverlo mi fanno vergognare di far parte della stessa specie dei soggetti che le hanno pensate e create - ho fatto una ricerchina e ho scoperto tutta una serie di pagine ignominiose contro i vegani e gli animalisti. Pagine piene di commenti di una violenza e volgarità raccapriccianti. Pagine in cui l'augurio di morte quasi quasi è la cosa più bella che ci viene scritta. 
Come giustamente ha detto una mia cara amica, prima di segnalarle dovremmo tutti fare uno screenshot così da dimostrare quanto l'aggressività e violenza comunemente imputate agli animalisti non riguardi il movimento in quanto tale, ma una certa umanità nel suo complesso, con un distinguo però: la nostra aggressività verbale spesso è solo una reazione ai tanti commenti, critiche, offese, battutine, sarcasmo che ci vengono immancabilmente rivolti - ché quando ti senti ripetere per l'ennesima volta che mangiare gli animali è "normale" e noi saremmo dei pazzi estremisti, psicopatici, patosensibili e quant'altro, dopo un po' diventa difficile continuare a trattenere il vaffanculo - nonché, cosa più importante, lo sfogo contro quella reale, di violenza, che giornalmente viene perpetrata sugli animali non umani. 
Ora, vero che con le urla e la rabbia - se non indirizzata, quest'ultima, in maniera costruttiva - non si risolve nulla, ma magari spiegare a chi ci critica che spesso le nostre sono solo risposte dettate da una grande esasperazione, potrebbe non essere una cattiva idea. Inoltre lo screenshot di ogni commento violento ed offensivo nei nostri confronti lo consiglio anche perché, non si sa mai, in futuro si potrebbe intentare una battaglia legale in questo senso. Vero che le vittime della prima discriminazione morale sono gli animali, ma a volte anche noi che li difendiamo subiamo attacchi non indifferenti. Chi si occupa di colonie di gatti, per dire, sa bene quanto spesso sia costretto a subire vessazioni, critiche, offese di vario tipo, nella migliore dei casi battutine sarcastiche o commenti idioti. Per non parlare delle reali discriminazioni che vengono fatte sul lavoro nei confronti dei vegani. Ci sono casi documentabili di persone che non sono state assunte poiché vegane. Ora, non dimentichiamoci mai che le vittime reali dello specismo sono gli animali, ma non per questo non dovremmo difenderci da chi ci offende e insulta gravemente. 
Poi ci sono casi e casi. Io prediligo sempre la comunicazione nonviolenta, ossia l'argomentazione pacata e meditata - ma non meno sentita o determinata! - anche perché non è con le parolacce e gli insulti che costruiremo la società nonviolenta che auspichiamo o spiegheremo le nostre ragioni, che poi sono quelle della rivendicazione della libertà degli animali non umani, però ci sono delle situazioni particolari, come questa di Daniza, in cui invece urlare la nostra indignazione contro i responsabili che hanno permesso questo scempio dovrebbe essere non solo giusto, ma doveroso!
Chiudo dicendo che spero vivamente che questo triste episodio ci inciti ancora di più a lottare contro il sistema e le istituzioni che legittimano lo sfruttamento e la discriminazione morale degli animali non umani, a non abbassare mai la guardia (altro che aperitivi vegani!) e ad alzare il tono della protesta, sempre nel segno della nonviolenza, va da sé, ma con la consapevolezza che nonviolenza non è pacifismo, ma lotta che può anche implicare l'uso del proprio corpo come arma (resistenza passiva, occupazione strade ed edifici ecc.: leggetevi Gandhi e i metodi della nonviolenza). 

E, a proposito di violenza, colgo l'occasione per ricondividere questo pezzo che avevo scritto tempo fa: http://gallinaeinfabula.com/2013/11/02/sulla-violenza-facciamo-un-po-di-chiarezza/

sabato 13 settembre 2014

Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi (ancora sul caso Daniza)

In questo articolo si legge: "Solo nell’ultimo mese Daniza era stata avvistata almeno una decina di volte vicina (quando non dentro) i centri abitati. È questo che l’ha «fregata». Walter Ferrazza, sindaco di Bocenago, paese della zona ed ex sottosegretario alle Autonomie nel governo Letta, aveva provato subito dopo l’aggressione a Maturi a creare un comitato coinvolgendo Provincia, sindaci e autorità varie per affrontare il problema. «Non volevo - spiega - che abbattessero l’orso, ma serviva un coordinamento per affrontare il problema perché Daniza era una minaccia». Tutto rimasto carta straccia fino a quando l’altra notte la squadra speciale della provincia individua la bestia in una stalla e l’abbatte. «Sono degli incompetenti», sbotta Ferrazza. «Il danno d’immagine per noi è terribile, ora per tutti siamo i killer dell’orso»."

Cosa sa l'autore del pezzo, Roberto Simoni, che noi non sappiamo? Come mai parla di abbattimento in una stalla? 

Altro fatto inquietante: in rete gira una foto di Daniza con uno dei cuccioli davanti a una trappola a tubo - la vedete qui sotto. La foto risulterebbe essere quella ufficiale di una telecamera bolyguard usata per riprendere gli animali selvatici senza farsi vedere. Cosa c'è di strano? - direte voi - si sapeva che tentavano di prenderla con questo metodo. 
Di strano c'è la data. La foto è DATATA 28 LUGLIO. Ben prima della presunta (a questo punto il "presunta" è d'obbligo) aggressione al sedicente cercatore di funghi (ringrazio Marina Kodros che per prima ha scovato la copia con la data in rete, su un profilo Twitter).


Come mai cercavano di cattura Daniza già il 28 luglio, cioè prima che spargessero in giro l'assurda voce che fosse pericolosa a causa dell'aggressione (difesa dei cuccioli) al tipo? 

Di questo e di tanto altro dovranno tener conto, così come della volontà di usare quell'area in cui Daniza si muoveva per ampliare le piste sciistiche, come si legge qui.

Poi, stranamente, nessuna foto di Daniza ormai morta è stata pubblicata (e dico stranamente perché il "circo mediatico" generalmente non si ferma di fronte a nulla e non ha certo il buon gusto di evitare di postare foto di individui uccisi). Le poche che si vedono non ritraggono il cadavere di Daniza, ma sono di repertorio, foto reperibili in rete già da tempo. 

Ci sono troppe incongruenze nella versione ufficiale, curioso anche il fatto che non si riesca a conoscere il nome del veterinario che avrebbe sparato a Daniza la dose fatale di anestetico. Perché mai non si dovrebbe sapere, se tutto era legale e a norma? 

Ieri intanto abbiamo fatto un flash mob davanti al Ministero dell'Ambiente e bloccato il traffico sulla Cristoforo Colombo per alcuni minuti.

L'articolo qui, prossimamente pubblicherò anche il video.

giovedì 11 settembre 2014

Daniza come Alexandre: la solita storia di dominio tutta umana (nonché la solita storia italiana di pessima gestione)


Morta l’orsa Daniza, non sopravvive alla cattura”. 
Così recita l’articolo pubblicato su Repubblica, ma è sbagliato. 
Daniza non è morta, Daniza è stata uccisa perché, nel tentativo di catturarla, dopo un’assurda caccia durata un mese, le hanno somministrato una dose di sedativo evidentemente eccessiva. 
La stessa fine fece Alexandre, il piccolo giraffino fuggito da un circo nel settembre di due anni fa: anche lui ucciso da una dose letale di sonnifero somministratogli per catturarlo. 
Entrambi stavano chiedendo soltanto una cosa: il diritto di essere lasciati liberi. 
E come loro tanti altri, non li elencherò, ma colgo l’occasione per commemorarli.

La notizia dell’uccisione di Daniza non mi giunge certo inaspettata, ma la rabbia che provo non per questo è diluita. Una morte annunciata, oserei dire, ma non per questo meno vergognosa, meno iniqua; eppure ci avevamo provato, e in tanti, a scrivere un finale diverso.
Eravamo andati davanti al Ministero dell’Ambiente il 22 agosto scorso, come rappresentanti di singoli cittadini indignati, ché non c’è bisogno di dichiararsi animalisti per sostenere la libertà di una mamma orsa e i suoi cuccioli, il loro diritto a vivere nel loro habitat. 
Ci avevano ricevuto in tre, tra cui il Vice-Presidente di Gabinetto Ministeriale l’Avvocato Aldo Grasso (che altisonanza, eh!); sembravano disposti ad ascoltarci, ad ascoltare le nostre ragioni, ossia quelle di mamma orsa e dei suoi cuccioli. Ci avevano lasciato intendere però che le nostre parole non erano, per così dire, molto autorevoli e che per potersi muovere nella direzione da noi indicata (lasciare in pace l’orsa e permetterle di veder crescere i suoi figli: la cosa più naturale del mondo, quello che desidera ogni madre) avevano bisogno di relazioni tecniche che attestassero la non pericolosità dell’orsa e la quasi certa incapacità dei cuccioli a sopravvivere da soli nel malaugurato caso in cui fossero rimasti senza madre (fatto che ora si è verificato e di cui ci si dovrà assolutamente occupare).

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venerdì 5 settembre 2014

Tu che sei gattara...


Vorrei parlare di un argomento che mi sta molto a cuore, ma prima una doverosa premessa: quanto sto per dire non vuole assolutamente essere una critica contro chi negli anni mi ha chiesto aiuto per risolvere emergenze gattesche o di altri animali in genere, né contro chi chiede consigli o vuole avere uno scambio di vedute relativo ad alcune questioni, né contro chi ha realmente bisogno di una rete di supporto per risolvere determinate urgenze, ma solo una riflessione ampia su cui vorrei che tutti, animalisti e non, riflettessero.
Succede - è successo a me e sono sicura è successo a ognuno di voi che vi occupate di animali - che non appena si sparge la voce che si è animalisti o che ci si occupa di gatti o di cani, magari gestendo delle colonie o facendo volontariato nei canili, la gente cominci a telefonare per ogni questione. 
E per ogni questione intendo questioni che le persone potrebbero benissimo risolvere da sole, ma non si attivano per pigrizia, indolenza e soprattutto per questo luogo comune che "degli animali in difficoltà si debbano occupare gli animalisti". Questo è il punto. 
Faccio qualche esempio che reputo abbastanza emblematico: tizia (benestante, istruita, lo specifico per far capire che non è che non avesse avuto i mezzi per occuparsi della questione ella stessa) mi viene incontro una sera mentre sto dando da mangiare ai gatti delle colonie e mi dice: "Sa, la mia gatta ha fatto dei cuccioli. Lei che è gattara, non è che potrebbe occuparsi di farmeli adottare?". 
Ecco, signora mia, io che sono gattara... che significa? Io sono una persona che volontariamente si occupa di alcune colonie, questo non significa che debba o possa o voglia occuparmi di tutti i problemi di tutti i gatti del mondo, compresi quelli di proprietà di signore benestanti che magari, prima di far fare una cucciolata, avrebbero anche potuto sterilizzare il proprio micio.

Altro caso: telefona l'amica che non sento da una vita: "ciao Rita, come stai? Sai ho trovato un uccellino, non è che potresti venire a prenderlo e portarlo alla Lipu?".

Ma bella mia, perché non ce lo porti tu? Perché ho da fare, mi risponde. E invece io secondo te stavo giusto aspettando una tua chiamata per trovarmi un passatempo?

Ancora: "Sai, volevo dirti che una settimana fa ho visto un gatto malandatissimo, avrebbe proprio bisogno di essere preso e portato da un veterinario."

Ecco, se hai avuto l'accortezza di renderti conto che questo gatto non stava bene, perché non l'hai preso tu? Perché aspetti che ci vada qualcun altro? E poi, me lo dici dopo una settimana che nel frattempo potrebbe essere morto?

Insomma, il senso del mio discorso è: bisogna imparare a non delegare sempre tutto agli animalisti perché gli animalisti non sono una categoria di persone a parte con i poteri magici, ma sono persone che fanno semplicemente quel che dovrebbero fare tutti, ossia prendersi cura di chi, animale non umano o no, si trova in difficoltà. 

Per non parlare di quelli che: "ho visto un cane abbandonato che vagava disperato sulla strada x... qualcuno può andare a salvarlo?". Ma cristo, a meno che non avessi una fretta tale da fare la differenza in una questione di vita o di morte (che poi la questione di vita o di morte è quella del cane), perché non ti sei fermato tu?

Ho come l'impressione che le persone che fanno così vogliano semplicemente sentirsi a posto con la coscienza, ma passando la palla ad altri. Se interessa veramente prendersi cura di un individuo in difficoltà (a meno che, ripeto, non si sia nell'effettiva impossibilità di poterlo fare per qualche motivo) lo si faccia e basta, senza sentirsi eroi, né aver bisogno di sentirsi addosso il cartellino di "animalista doc". 

Non esiste l'animalista, esiste la persona che non si volta dall'altra parte di contro a quella menefreghista. Ché qui non è questione di fare distinzioni morali di specie o meno (perché se mi stai chiamando si vede che avverti l'urgenza dell'intervento), ma di avere voglia di alzare il culo o meno.

Ovviamente del tutto diverso (e non rientra nella mia critica) è il caso di attivisti che si chiedono aiuto e sostegno a vicenda. Ovvio che se un amico mi chiede, che so, un passaggio in macchina perché non ce l'ha e ha un'emergenza o di intervenire al posto suo perché in quel momento proprio non può, si fa con più che piacere. Io stessa ho avuto bisogno e chiesto aiuto in diversi casi, ma mai lavandomene le mani... e mai per passare l'emergenza da risolvere ad altri. 

Sono sicura che molte di queste persone che mi hanno chiesto aiuto fossero veramente interessate al destino degli animali in questione, ma purtroppo vittime di un certo tipo di ragionamento, ossia che "degli animali debbano occuparsi gli animalisti". Un po' come "se ho la febbre, chiamo il medico". Quando ovviamente occuparsi di alcune questioni potrebbe essere invece tranquillamente alla portata di tutti.

giovedì 4 settembre 2014

Il lavoro sottopagato è un ricatto


Nel campo del lavoro si sta tornando alle condizioni pre-lotte sindacali. Ne ho le prove perché la quasi totalità delle persone che conosco è sottopagata rispetto all'attuale costo della vita e alle ore di fatica che svolge per lavorare.
Mi state dicendo che mio padre, organizzatore di tanti scioperi e lotte negli anni settanta per ottenere alcuni diritti fondamentali sul lavoro (quale quello di non essere licenziati senza motivo, di avere il personale in numero adeguato così che nessuno dovesse lavorare per quattro allo stesso stipendio, di avere gli straordinari pagati in busta paga, ferie pagate e malattia pagata, sostituzioni ecc.) - e con lui tantissime altre persone - si è fatto un culo così per niente?
Le persone che accettano di lavorare dieci ore al giorno per ottocento euro (senza nemmeno avere rimborso spese viaggio e pranzo), o otto ore al giorno per seicento euro, spesso domeniche comprese, lo sanno che così contribuiranno ad abbassare ancora di più il costo del lavoro? 
Nessuno, e per nessuno intendo nessuno, dovrebbe accettare uno sfruttamento di questo tipo. 
Idem per quei corsi che fanno le aziende per cui vi fanno fare un culo così e solo perché, vi fanno credere, ciò arricchirà il vostro curriculum. Lo capite o no che anche fare delle fotocopie deve essere una mansione pagata? Lo capite o no che qualsiasi cosa facciate gratis è sfruttamento e non vi dà nessun prestigio? Fare l'assistente del fotografo famoso o nella famosa redazione del famoso giornale a gratis non è prestigioso, non è un'opportunità che vi viene data, è sfruttamento. 
Non lo capite che quando rispondete "ma devo pagare il mutuo", "ma altrimenti i miei figli non mangiano" vi state sottoponendo a un ricatto? Non lo capite che state svendendo la vostra dignità e, quel che è peggio, l'esistenza vostra e di quei figli che vorreste tutelare?
Si sciopera, ci si mette d'accordo e si torna nelle piazze, tutti uniti! Non si subisce il ricatto del padrone, chiunque egli sia, mai. 
Qui non è soltanto in gioco la vostra esistenza e il far quadrare i conti a fine mese, ché tanto non quadrano mai, ma il futuro di noi tutti. 
Chi accetta di lavorare per seicento euro al mese per otto ore non è una persona che si sacrifica per un futuro migliore, è una persona che sta distruggendo il futuro.

Non esiste che diciate: "ma se non accetto io, accetterà qualcun altro" perché se una cosa è sbagliata e porta conseguenze terrificanti non la si fa e basta e perché rispondendo così state dicendo che allora sareste pronti a fare qualsiasi cosa, visto come va il mondo e ché tanto ci sarà sempre qualcun altro. 

Avete da mantenere i figli e da pagare il mutuo? Ma chi ve l'ha fatto fare di comprarvi la casa e di fare figli (il discorso figli è più complesso di così, spero che si capisca che non sto puntando il dito contro chi consapevolmente ha deciso di procreare, ma contro chi si sposa e fa figli solo per essere conforme al sistema)? 

Non capite che spesso si tratta di scelte che il sistema ci porta a fare proprio per renderci ancora più obbligati ad accettare condizioni di vita che ci fanno diventare sempre più simili ad automi schiavizzati?

Fate una cosa: la prossima volta che un datore di lavoro vi proporrà di lavorare otto ore al giorno per seicento euro, sputtanatelo, anziché riverirlo. Denunciatelo, anziché ringraziarlo.