lunedì 28 dicembre 2020

Ennesimo esempio di etica al ribasso

 Alla dichiarazione di non volersi fare il vaccino per motivi etici quasi tutti obiettano che allora non dovremmo nemmeno curarci se ci ammaliamo.

È un tipico esempio di etica al ribasso, peraltro fallace perché non distingue tra le diverse situazioni in cui si può effettivamente scegliere e quelle in cui invece non è possibile, pena il rischio della vita.

Se si ha una malattia conclamata dalla quale si può guarire solo assumendo farmaci, allora sarebbe autodistruttivo lasciarsi morire; si richiederebbe cioè un tipo di etica che andrebbe contro la propria sopravvivenza e non si tratterebbe nemmeno più di etica, ma di sacrificio. 

Il vaccino contro il covid però ci pone in una situazione diversa. Innanzitutto dovremmo iniettarci qualcosa non a fronte di una malattia, ma di una probabile malattia, che non è affatto detto che ci porti alla morte. 

Gli elementi negativi per chi è antispecisti sono due: si tratta di un farmaco testato su animali e che in più contiene ingredienti di origine animale. E che dovremmo farci iniettare per evitare di contrarre un virus che potremmo anche aver preso senza nemmeno essercene resi conto (gli asintomatici sono tanti) o che potremmo non prendere mai o che potremmo prendere e da cui guarire senza tanti effetti collaterali.

Mettiamo da parte il discorso etico e affrontiamo quello medico-scientifico.

Gli effetti collaterali di questo vaccino appena messo in commercio, velocemente, per ostacolare un virus nuovo e che muta velocemente, si conoscono? 

Nella mia esperienza i vaccini non impediscono di farti venire l'influenza. In passato li ho fatti, per tre o quattro anni consecutivi, e mi sono sempre ammalata lo stesso. Il medico rispondeva che il vaccino non garantiva del tutto di non ammalarsi e che i virus dell'influenza mutano.

Dunque, riassumendo, io dovrei farmi iniettare un farmaco di non sicura efficacia, di cui ancora non si conoscono gli effetti collaterali (e comunque gli effetti collaterali sono diversi da persona a persona, quindi farmaci del tutto sicuri non esistono), testato su animali e contenente derivati di origine animale per scampare, forse, a un ipotetico contagio di un virus che muta velocemente e che magari ho già contratto? 

Quando devo prendere delle decisioni non facili io in genere faccio così, soppeso i pro e i contro. Poi siccome la vita non è un grafico, a volte intervengono fattori esterni o interni (emozioni, parte irrazionale ecc.) a farmi lo stesso decidere in un verso anziché in un altro nonostante i contro o i pro, ma, ad oggi, io propendo per non farmi il vaccino. 

Se sarà reso obbligatorio vedremo, ma a quel punto porterò un certificato medico che attesti la mia buona salute e qualsiasi effetto collaterale dovessi avere farò causa alle aziende farmaceutiche e allo stato italiano. 

Un vaccino iniettato contro la propria volontà si chiama trattamento sanitario obbligatorio ed è un grave attentato all'autodeterminazione della libertà sul proprio corpo.

Se volete commentare, per favore, non insultate e non iniziate con le etichette. Non sono una novax (ma questo si dovrebbe evincere da quello che ho scritto), ho fatto vaccini in passato, farei vaccini contro virus ad elevata mortalità. Sono però contraria all'autorità di altri sul mio corpo e sui corpi altrui e sinceramente tutta questa propaganda mediatica non mi piace nemmeno un po'.


martedì 22 dicembre 2020

La città dei vivi di Nicola Lagioia


Non riesco a smettere di leggerlo da ieri. Non è una semplice ricostruzione di un omicidio efferatissimo, ma il tentativo di comprenderne il perché partendo dall'analisi di una città già di suo incomprensibile come Roma. Dicono che a Roma non succeda mai niente, e invece è una città che sotto sotto ribolle, non sta mai ferma, come le acque torbide del fiume che la attraversano.

L'inizio è come una sorta di messa a fuoco, si parte dal luogo più iconico di Roma, il Colosseo, e si racconta la corruzione e il lassismo amministrativo con poche, efficaci battute, poi si stringe il campo sull'interno di un ufficio e dal pubblico si passa al privato, all'interno di una casa con una TV accesa da cui provengono le immagini del fatto di cronaca, dell'omicidio, assurdo e insensato, di un giovane ragazzo. Questo movimento dall'esterno all'interno e fino al privato, ai personaggi, corredato da interviste, messaggi su WhatsApp ecc. è la trama che Lagioia intesse per cercare di tenere insieme e dare un senso a questa tragica vicenda e ci riesce magnificamente, senza retorica, senza indugio nel morboso, senza bisogno di effetti speciali, semplicemente ponendosi domande e scrivendo con sincerità.

domenica 20 dicembre 2020

Normal People (serie tv)

 

A volte le serie tv più belle le scopro per caso, facendo zapping la sera tardi nella speranza che mi venga sonno e invece con il risultato di ritrovarmi a guardare un episodio dietro l'altro fino all'alba.

Questa è Normal People, tratta da un romanzo di successo di una scrittrice molto giovane (Sally Rooney) ma, pare, molto talentuosa, che però non ho ancora letto.

La storia segue le vicende di due liceali in un piccolo paesino dell'Irlanda e li accompagna durante gli anni dell'università al Trinity College di Dublino. Marianne e Connell sono due ragazzi introversi che fanno fatica a comunicare, ma visceralmente attratti l'uno dall'altra. Si conoscono e parlano attraverso il sesso, i loro corpi si capiscono e si accolgono più di quanto riescano a fare con le parole e infatti ogni volta che parlano finiscono per farsi male e allontanarsi. Il non detto, l'immaginato, il trarre conclusioni e supporre è la loro via per farsi del male, in un desiderio di autodistruzione e infelicità. Ma anche questo farsi male è comunque una forma di complicità e un modo, alla fine, per crescere e accettarsi, non solo loro stessi, ma loro stessi nel mondo.

Una storia di formazione, dunque, e d'amore, delicata e profonda.

sabato 12 dicembre 2020

Un bravo ragazzo di Javier Gutiérrez

 


Una storia forte dal ritmo serrato che si legge tutta d'un fiato, scritta con l'uso peculiare della seconda persona.

Siamo a Madrid, Polo, io narrante che si rivolge a se stesso in seconda persona, incontra per caso Bianca, un'amica dei tempi dell'università con cui, insieme ad altri due amici, tra cui il fratello di lei, aveva formato una band negli anni novanta. Da questo momento la narrazione si riempie di flashback alternati ai dialoghi con lo psicologo e con la sua attuale fidanzata, Gabi.

Quel che emerge, a sprazzi, è il racconto di una notte di violenza, una notte che è stata la fine di tutto e il principio di qualcos'altro: la fine di quel periodo meraviglioso pieno di entusiasmi e di scoperte in cui la vita era una meraviglia continua, la fine della band, proprio nel momento in cui stava per firmare un contratto con un'etichetta importante, la fine dell'amicizia con i ragazzi della band. 

Nel racconto pian piano si fa strada la verità, ma quale verità se Polo mente persino a se stesso, fino all'ultimo? 

Anche il finale è una menzogna che Polo si racconta e racconta a noi lettori, ostinatamente: quella di essere "un bravo ragazzo".


venerdì 11 dicembre 2020

Legati i maiali di Teodora Mastrototaro

 


Una volta Teodora mi disse che scrivere poesie significa prendere un'immagine che è rimasta impressa nella nostra mente e renderla universale.

In Legati i maiali, le immagini che ci vengono presentate sono immagini di dolore. Un tipo peculiare di dolore, che non è quello dello struggimento per un amore non corrisposto o per la perdita di un affetto, ma è quello innanzitutto fisico. Il dolore dei corpi. Della reclusione, del freddo, o del  caldo, della prigionia, della lama che incide la carne, delle viscere che cadono a terra, dei liquidi corporei, sangue, lacrime, sudore, pus che colano da corpi squartati, dilaniati, tumefatti.

Freddo e caldo non sono però meramente delle sensazioni che vengono enunciate, ma ci vengono trasmessi attraverso l'effetto che producono sui corpi. Se si dice "faceva un freddo terribile", infatti, dobbiamo fare uno sforzo d'immaginazione per arrivare a sentire quel freddo; ma se invece si racconta della pelle rimasta attaccata al metallo a causa del gelo, come nella poesia che segue, ecco che quel freddo diventa immediatamente palpabile, che i nostri percorsi neurali subito richiamano alla memoria un'esperienza similare in cui abbiamo provato una sensazione di quel tipo e l'immagine si trasforma in qualcosa di più del semplice coinvolgimento emotivo: diventa compartecipazione, compassione intesa nel senso di empatia, di soffrire con; e allora noi diventiamo quei maiali, quei corpi, e sentiamo la nostra pelle staccarsi dal corpo per restare attaccata alle pareti di metallo gelate.

Alcuni maiali arrivano congelati 

per aver viaggiato vicino alle pareti del carro bestiame.

La realtà dell'inverno è nella durezza dei pezzi di pelle 

rimasti attaccati alle pareti di metallo quando

legati i maiali vengono strappati con forza e portati fuori.

Gli operai li gettano sulla pila dei morti, tanto moriranno

prima o poi, con la stagione del freddo.

Oppure, è un altro tipo di dolore che si racconta, quello di sapersi invisibili, di sentirsi annientati senza che si abbia avuto la possibilità di vivere, ma anche in questo caso ciò che si ricerca è la produzione di un effetto, di un sentimento, attraverso la descrizione di un dettaglio. Ed ecco che l'immagine di un fiore tagliato diventa scoperta e meraviglia agli occhi di un essere, un individuo, cui è negato lo scorrere delle stagioni, ossia, il divenire, il semplice esistere nel mondo.

Madre, non ho il permesso per le stagioni: 

devo crepare in assenza di stelle, in assenza di sole.

Nella trappola la verità di un fiore tagliato mi meraviglia

la sua crudeltà: siamo orfani da quando siamo stati partoriti.

Madre, andrò a dormire senza invecchiare, senza avere armi,

senza leccare la neve se mai arriverà.

Madre che infliggi la vita, guardami!

Non piango più, ormai ci somigliamo.

La raccolta è divisa in due sezioni: nella prima sono gli animali a esprimere il proprio dolore, sconcerto, stupore eppure consapevolezza precoce del destino che li attende; se per noi esseri umani la vita è una scoperta continua, una serie di rivelazioni in successioni, ossia quel che chiamiamo esperienza, per gli altri animali si consuma tutta in pochi attimi: il tempo di aprire gli occhi sul mondo e già l'inferno li inghiotte, senza esperienza alcuna se non quella di un dolore cui è negata la speranza del sollievo che arriva con la morte violenta; nella seconda parte il punto di vista si sposta dalla vittima all'aguzzino, o meglio su alcuni, feroci, particolari che l'aguzzino vede o di cui ci parla in prima persona, per mezzo dei quali la tragedia dell'olocausto animale esplode in tutto il suo significato.

Ci sono storie di bovini 

che cercano di scappare

infilando la testa sotto le grate

rimanendo incastrati.

Ci sono poi storie 

di liberazione degli animali

quando l'unico modo

per salvargli la vita

è mozzargli la testa

mentre sono lì

ancora in vita.

I dettagli sono ciò che ci rende possibile immedesimarci nella sofferenza degli altri. 

Parlare della tragica questione animale in generale, elencare dati, numeri, talvolta, rimane un esercizio astratto.

Le poesie di Teodora Mastrototaro invece arrivano fin dove è inimmaginabile arrivare: superano la soglia dei mattatoi, entrano nelle celle frigorifere e fin dentro le carni di quegli animali che la nostra umanità divora senza aver mai conosciuto davvero.

La speranza è che ci sia uno scuotimento interiore, in chi legge, un lampo di rivelazione improvvisa che possa arrivare a fargli sentire la tragedia di quello che facciamo agli altri animali in tutta la violenza fisica. Perché di questo si tratta: di violenza che noi perpetriamo, ininterrottamente, sugli altri animali.

C'è una pistola, prima dello stordimento

c'è un coltello, prima della iugulazione

prima della depilazione, ci sono vasche di acqua bollente

ci sono macchine a trazione, prima dello scuoiamento

prima dell'eviscerazione, c'è una pedana automatica

c'è una sega elettrica, prima del sezionamento.

Prima ci siamo noi.

Un libro come questo è più che bello: è importante. È necessario.

giovedì 10 dicembre 2020

Gli animali vittime di abusi domestici

 Quando si pensa allo specismo il nostro pensiero va immediatamente agli individui che vengono allevati, sfruttati e poi uccisi per essere trasformati in prodotti alimentari, di vestiario ecc., oppure a quelli rinchiusi negli zoo, torturati nei laboratori per la sperimentazione animale, braccati dai cacciatori ecc.; ma c'è un'altra faccia dello specismo, ancora più oscura e invisibile, che è il trattamento che subiscono migliaia di individui nel privato delle abitazioni domestiche. Animali picchiati, maltrattati, tenuti rinchiusi in gabbiette o teche, abusati da persone che non hanno nessuna idea di come gestire un animale, come crescerlo, come relazionarsi con lui. Ci sono persone che ancora usano la punizione per insegnare a un cane ad obbedire, che lo picchiano se fa pipì in casa o che gli ci strofinano il muso sopra. 

C'è poi un tipo di violenza ancora più difficile da rilevare ed estirpare poiché indecifrabile, irrazionale ed è quella agita da persone sadiche che provano piacere nel torturare gli animali o nell'usarli sessualmente. 

Non di rado questi atti di sadismo vengono persino filmati e messi in rete, ma, a causa dello specismo, è raro che i criminali subiscano conseguenze significative o che siano condannati, anche perché spesso si tratta di video girati all'estero, in paesi dove gli animali non hanno nemmeno quel minimo di tutela che c'è da noi. Ad ogni modo, per un caso che viene alla luce, ce ne sono migliaia che avvengono all'insaputa e di cui nessuno saprà mai nulla.

Tutto ciò è anche una conseguenza della mercificazione degli animali, ossia del fatto che chiunque possa entrare in un negozio e comprarli, a prescindere dall'uso che vorrà farne. Mentre per le adozioni in genere c'è maggior controllo. 

Il mio primo pensiero quando vedo animali in vendita nei negozi è sempre questo: in quali mani finiranno? 

E che dire delle violenze legalizzate come l'uso di trappole per topi, di veleni e colle che, oltre a causare la morte di piccoli animali, ne provocano lunghe e terribili agonie? 

La cosa che più mi sconvolge è vedere come persone perfettamente sane di mente e che, in generale, vengono definite "brave persone" siano capaci di commettere azioni terrificanti come annegare formiche nell'alcool, lumache nella birra o gettare aragoste vive dentro pentoloni di acqua bollente. 

Anche questa è una conseguenza dello specismo, ossia dello scarso valore che attribuiamo alla vita degli altri animali e all'ottusità che dimostriamo nel non voler riconoscere la capacità che hanno di sentire, avere esperienze, provare dolore fisico e mentale. 

La differenza ontologica tra noi e gli altri animali ci porta a mettere in atto una sorta di pensiero magico per cui quanto più manteniamo il nostro status privilegiato di specie superiore, tanto più neghiamo l'intelligenza e il valore a tutte le altre. Non vogliamo assolutamente riconoscerci animali tra gli animali perché questo ci farebbe sentire meno speciali. Denigriamo l'altro per meglio innalzare noi stessi, avviluppati in un'eterna patologia di personalità narcisistica.

Così, di fronte alla sofferenza di un'aragosta che tenta disperatamente di fuggire dal pentolone di acqua bollente o di un topo che cerca di liberarsi dalla colla, queste persone, moltissime "brave persone", restano indifferenti grazie alla convinzione intellettuale che le porta a minimizzare quella sofferenza, ossia alla convinzione che un topo, una formica, un'aragosta non soffrano come noi. Del resto lo si pensava anche delle persone deportate dall'Africa, si era convinti che non provassero i nostri stessi sentimenti. Che fossero, appunto, animali.

Ma incentrare tutto sulla capacità di provare dolore non è sufficiente perché altrimenti poi si potrebbe ricorrere a metodi di uccisione indolore. 

Bisogna invece combattere l'idea di base dello specismo, ossia l'attribuzione di minor valore alle esistenze degli altri animali.

martedì 8 dicembre 2020

Per te, Nora

 

È stato un lungo addio, piccola dolce Nora. 

Da gennaio, quando sembravi sul punto di lasciarci e poi ti sei inaspettatamente ripresa, passando per un'estate in cui, tra alti e bassi, hai potuto comunque godere del sole sul terrazzo, di pappe buone, di coccole e piccoli rituali, fino ad arrivare all'autunno quasi allo stremo delle tue condizioni fisiche. In questi ultimi giorni eri inquieta, diversa e sapevo che stavolta ci stavi lasciando per davvero. Che erano le ultime carezze, gli ultimi buongiorno, le ultime giornate al sole o a guardare la pioggia, le ultime fusa, gli ultimi sguardi. 

L'ultimo saluto in una notte piovosa, gelida come la morte quando si fa presenza. 

Ti ho sognato, dopo, quando mi sono appisolata per pochi attimi all'albeggiare di un nuovo giorno. Ho sognato che tornavi in vita, che ti riprendevi, che eri di nuovo tra noi. 

Porto con me questa immagine, di te che apri gli occhi e mi guardi, in pace. Sei qui, non te ne andrai mai. 

Ciao Nora.


lunedì 7 dicembre 2020

I gusti degli altri

 Iniziamo il lunedì con un po' di vis polemica, spero non oziosa. Dunque, ho appena letto "Sono vegan, ma rispetto tutti gli stili di vita". 

Il veganismo non è semplicemente uno stile di vita alternativo, ma una scelta etica che si riflette anche, ovviamente, nel quotidiano. Nasce da una presa di coscienza, intellettuale ed empatica insieme, da una conoscenza e comprensione profonda del fatto che gli altri animali sono esseri senzienti e che la discriminazione morale che effettuiamo nei loro confronti, quella che poi ci consente di ucciderli, sfruttarli ecc. sia fondata su pregiudizi e credenze errate, nonché da un'idea del tutto fantasiosa, mitopoietica quasi, tanto del concetto di animalità che di umanità, entrambi contrapposti e distinti da giudizi di valore ben precisi per cui quanto più si abbassa il primo, tanto più si innalza il secondo; sostenuta da leggi, normalizzazione culturale e reiterata e rafforzata attraverso pratiche, consuetudini, linguaggio cioè trasmessa culturalmente di generazione in generazione.

Preso atto di ciò, quindi della profonda ingiustizia dello specismo - cioè una volta che lo si è smantellato logicamente e filosoficamente - come si può dire che si "rispettano tutti gli stili di vita"? 

Sarebbe come dire, io sono femminista, ma rispetto la cultura che opprime le donne, oppure, sono pacificista, ma rispetto chi fa saltare in aria interi paesi.

Oppure semplicemente significa che si mangia vegetale, ma non come conseguenza di una presa di coscienza antispecista. 

Voi direte, purchessia. 

Ma in questo modo il messaggio di richiesta di giustizia per gli animali viene completamente dimenticato. 

Gli animali rimangono invisibili, assenti dal discorso, accettati nei piatti di chi ha uno stile "tradizionale" perché l'importante è rispettare tutti, tranne, appunto, le vittime.

Che poi, detto tra noi, tutto questa smania di rispetto per l'altro si manifesta sempre e soltanto quando le vittime in questione, invisibili, sono gli altri animali. Per altre ingiustizie e forme di oppressione infatti non diremmo mai, io sono così, ma rispetto te. A un pedofilo non diremmo mai, sai, io non vado con i bambini perché per me è sbagliato, ma rispetto i tuoi gusti. Questo perché l'etica non è una questione di gusti, non quando di mezzo c'è un terzo soggetto che diventa vittima dei gusti degli altri.

martedì 1 dicembre 2020

Corpi da consumare

 

Questa immagine racchiude la normalizzazione di due forme di sfruttamento: quello del corpo della mucca e quello del corpo della donna umana.

Entrambi i corpi ritratti sono finalizzati ad appagare il consumatore: l'onnivoro che beve il latte di mucca, in un caso, lo sguardo maschile, nell'altro.

E sì, perché lo specismo, cioè l'ideologia invisibile che normalizza l'uso degli altri animali, e il maschilismo, figlio della cultura patriarcale che sottomette le donne allo sguardo maschile e ne normalizza la mercificazione, vanno spesso a braccetto.

Nelle immagini, nel linguaggio, nella riduzione della donna all'animalità, o meglio, all'idea degradata che abbiamo costruito dell'animalità in opposizione a quella di umanità.

La donna è istinto, la donna è vacca, è troia, è cagna, è irrazionale, è vipera, è gatta morta, è zoccola, è la lupa, è divoratrice di uomini, è preda. Insomma, è l'animale per eccellenza, laddove l'animale è in opposizione all'uomo forte, saggio, razionale, ragionevole, predatore. L'uomo è intelletto, la donna è solo funzione corporale: da usare sessualmente o per procreare.

Vacca e donna. Utili al consumo. Questo ci dice, in sostanza, a un livello subliminale profondo, l'immagine postata.


Immagine presa dal web (ringrazio Giuseppe Di Benedetto per avermela gentilmente passata).