domenica 29 marzo 2015

L'ultima carezza - resoconto del quarto presidio al mattatoio di Roma

(Foto di Massimo Jamal)

Ieri a Roma si è tenuto il quarto presidio davanti al mattatoio di Viale Palmiro Togliatti.
Come per i precedenti c’è stata una grande partecipazione di tante persone,  venute persino appositamente da altre città d’Italia, di tutte le età, alcune alla loro prima esperienza di attivismo su strada. Ci dà speranza vedere tanti volti nuovi, giovani, meno giovani, una coppia con il loro bambino piccolissimo, una madre accompagnata dalla figlia in età scolare: una bambina dolcissima, già consapevole dell’importanza della sua testimonianza, che tutta compunta regge in mano uno dei cartelli e osserva, ascolta, diventa parte attiva di un movimento che si oppone allo sterminio legalizzato di altri bambini, cuccioli appartenenti ad altre specie, uccisi per essere trasformati in pezzi di carne a soli pochi mesi di vita.
Ieri è stato un presidio particolarmente pesante e sentito perché sono passati diversi tir pieni di animali: agnellini, maiali, cavalli stipati in enormi camion e in dirittura di arrivo al luogo di non-ritorno: il mattatoio.
Alcuni provenienti dall’est Europa, stremati dal lungo viaggio, ammassati come se fossero oggetti. Ma non sono oggetti, sono individui senzienti fatti nascere per essere trasformati in cibo, quel cibo che finisce sui banconi dei supermercati e che tante persone acquisteranno con gesti consuetudinari, ignare della tragedia di cui la società del dominio ci rende tutti corresponsabili e il più possibile all’oscuro. 
Il presidio si è svolto con le solite modalità: i partecipanti si sono posizionati ai lati e agli incroci della larga via di scorrimento che conduce al mattatoio, situato poche decine di metri più avanti. Sono stati distribuiti volantini, che spiegano il senso della campagna, ai passanti dentro i veicoli, quando sono fermi al semaforo; abbiamo camminato tra le auto ferme mostrando cartelli con immagini di forte impatto e frasi significative – non necessariamente cruente, anzi, quasi tutte ritraggono animali che vivono liberi, come dovrebbero restare; abbiamo parlato al microfono, letto stralci da investigazioni sotto copertura e provato a spiegare ai passanti perché siamo lì, cosa stiamo facendo, cosa vogliamo raccontargli. 
Alcuni annuiscono e ci danno sostegno, altri chiedono maggiori informazioni, qualcuno (ma molto pochi in verità) ci schernisce e ci dice le solite frasi di circostanza: “ammazzano anche le persone e voi vi state a preoccupare degli animali?”. Non sanno costoro – ma è quello che gli diciamo – che noi siamo lì anche per loro, a combattere contro ogni ingiustizia e discriminazione e che è ora di sfatare questo falso luogo comune che occuparsi della questione animale significhi automaticamente disinteressarsi del resto; e come se occuparsi degli animali non umani fosse poi una battaglia meno nobile rispetto alle altre: non sono forse individui anche loro? Il dominio sul vivente, lo sfruttamento, la schiavitù, lo sterminio di individui senzienti, di tutti gli animali, umani e non, hanno radici indistricabilmente connesse. La società in cui viviamo ha eretto un sistema entro il quale la logica di dominio che stritola e riduce tutti in “pezzi di carne” adibiti al consumo non viene percepita, ma è occultata grazie a precisi meccanismi di esclusione e fatta passare per “normale”, “naturale”, “necessaria”; le pratiche di violenza agite sui corpi animali vengono tenute nascoste e il fatto che l’orrore sia istituzionalizzato e legalizzato ne rende ardua e difficoltosa la messa in discussione.
Come abbiamo spiegato altre volte, la questione dello sfruttamento degli animali non riguarda soltanto le persone che “amano gli animali”, ma la collettività intera perché essa è parte ed effetto di quella stessa logica di dominio che consente ogni altro abuso sul vivente. Finché consentiremo l’esistenza di veri e propri lager (allevamenti, CIE, carceri, prigioni visibili e invisibili), di luoghi di sterminio istituzionalizzati e parole d’ordine per procedere ad uccidere (mattatoio, guerre, invasioni ecc..) nessuno di noi avrà scampo, né potrà dirsi realmente libero. 
Se però di alcune pratiche della nostra società, per quanto comunque consentite, è palese la violenza che comportano, ce ne sono altre di cui l’orrore non viene percepito poiché talmente introiettate a livello culturale da non permetterne il riconoscimento e il disvelamento. Tra queste quella di uccidere gli animali per trasformarli in cibo.
E per questo noi andiamo davanti al mattatoio: per documentare, testimoniare, indirizzare una collettività resa cieca e sorda al dolore degli altri animali, verso lo sguardo di chi in quello stesso momento sta andando a morire. Non siamo disposti ad accettare che lo strazio di questi individui venga preso in minor considerazione poiché sarebbero “soltanto animali”. Anche perché basta guardarli negli occhi, incrociarne di sfuggita lo sguardo per provocare la vertigine dell’incontro con una realtà che fino a quel momento si è ignorata. Gli animali sono ovunque attorno a noi, eppure non li vediamo e non li vediamo perché non sappiamo vederli. 
Noi ieri li abbiamo incontrati questi individui diretti al macello e per un attimo abbiamo potuto sfiorare le nostre esistenze – quella loro, davvero troppo breve, (s)terminata ingiustamente, con la nostra –, donargli l’unica e ultima carezza che mai riceveranno. Abbiamo visto il loro sguardo, innocente, ingenuo, pulito, ancora ignaro della fine che di lì a pochi minuti li avrebbe attesi. Ecco, ciò che ci ha straziati maggiormente – ma lo strazio è quello concreto che avviene sui loro corpi – è udire quei versi di richiamo rivolti alle loro madri lontane (sono tutti cuccioli gli animali che vengono uccisi per diventare cibo, ma in particolare gli agnellini, strappati alle madri a poco meno o poco più di un mese) e poi sentirli calmarsi per un attimo quando ci siamo avvicinati. Sembravano contenti di vederci, speranzosi, persino fiduciosi. Ma è stato un attimo, il tempo di una lieve carezza e di una parole sussurrata tra le lacrime e poi li abbiamo visti ripartire, allontanarsi... sapendo che il contatto umano successivo che avrebbero ricevuto non sarebbe stata più una carezza, ma la mano forte dei boia accompagnata dalla lama gelida del coltello. Nessuno di noi presente ieri riesce a darsi pace, a capacitarsi del fatto che quegli occhi oggi non vedono più, che quei cuccioli oggi sono già pezzi di carne confezionati sui banchi del supermercato. 
L’impotenza è stato il sentimento predominante, ieri. Ma cos’altro possiamo fare per il momento se non raccontare, documentare, rendere visibile l’orrore? 
In mezzo a tanto sconforto però ci sono stati anche due fatti incoraggianti: una ragazza che abita in zona, ma ignara fino a quel momento che dietro casa sua ci fosse un mattatoio, quando ci ha visti e ha saputo cosa stavamo facendo, si è unita a noi (come già è successo ai presidi scorsi); un ragazzo si è avvicinato a un’attivista, Stefania, e le ha fatto alcune domande, subito mettendosi sulla difensiva, ossia giustificando il suo mangiare animali. Il caso ha voluto che proprio in quel momento arrivasse il camion di agnellini e che Stefania - dopo che gli aveva già spiegato che non è necessario uccidere per vivere - lo invitasse a voltarsi, a soffermarsi sui loro sguardi, in definitiva: a guardare per la prima volta CHI è che la gente si mette nel piatto. Il ragazzo li ha visti e poi è scoppiato in un pianto dirotto, dicendo tra le lacrime: “non immaginavo... non ci avevo mai pensato che fossero cuccioli, non ci avevo mai pensato...”. Non ci avevo mai pensato.
Già, perché è così che avviene: le persone non ci pensano mai davvero. Sì, lo sanno che la carne che comprano è parte di un animale, ma lo sanno in una zona molto remota del loro cervello, lo sanno in astratto, come se gli animali fossero assenti – si dice giustamente un referente assente - e non quel pezzo di carne che maneggiano con la forchetta. E quando ci pensano un pochino più a fondo subito rimuovono, negano, dimenticano, giustificano, come a non voler prendere atto dell’orrore che esiste attorno a noi e di cui tutti siamo corresponsabili. Ma di fronte allo sguardo vivo, a quelle narici che fremono per respirare un pochino d’aria, a quei corpi caldi e ancora vibranti di vita, non possono più negare, né giustificare l’ingiustificabile. Il velo cade, la finzione è smascherata, siamo solo noi e loro: corpi animali che desiderano vivere. Non "carne" in astratto, ma corpi animali di carne attraversata da vita pulsante che vuole continuare a vivere.
E allora eccolo il senso di quello che facciamo. Mettere a nudo, accendere la luce sull’oscurità di un orrore appositamente tenuto nascosto affinché la macchina del dominio sistemica possa procedere indisturbata. Noi ieri questa macchina non abbiamo potuto fermarla, ma ne abbiamo visto il potere stritolante riflesso negli occhi di quelle vittime e più di prima siamo convinti di andare avanti, di continuare a lottare. 
L’indifferenza è complicità.
Siamo una minoranza, ma le minoranze, quando consapevoli della loro forza e determinazione, possono realizzare grandi sogni. E noi quel sogno ce lo portiamo dentro da tempo, insieme all’incubo della sofferenza di chi non abbiamo potuto salvare. 

(Rita Ciatti e Eloise Cotronei)

Qui video che riprende il breve incontro tra noi e gli agnellini condotto al macello: 

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giovedì 26 marzo 2015

Colpiamo ovunque, senza pietà!


Se l'antispecismo e l'ideale di una società diversa - senza più discriminazioni, sfruttamento, dominio ecc. - hanno una possibilità di realizzarsi è quella di lavorare su più fronti: 
- economico/politico: facendo richieste abolizioniste forti dal basso e anche a livello istituzionale, ad esempio trovo utile usare le leggi esistenti sugli allevamenti come grimaldello per mettere in difficoltà economica gli allevamenti, i circhi ecc., imponendo di rispettare quelle norme che, se davvero venissero fatte rispettare, porterebbero alla chiusura immediata diverse strutture; ad esempio i circhi non sono quasi mai a norma e ho trovato molto utile la campagna Liberi con una firma: iniziativa di delibera popolare che chiede al comune di Roma di legiferare in materia di attendamento dei circhi per esigere il rispetto della normativa UE; normativa che se venisse rispettata di fatto renderebbe il territorio romano terra minata per molti circhi o quasi tutti. Se altre città seguissero l'esempio, l'intera Italia diventerebbe terra ostile per i circhi. Nota importante: può sembrare un controsenso appellarsi a quelle istituzioni e leggi che proprio sono responsabili del tipo di società che vorremmo decostruire, ma penso che alcune battaglie specifiche contro determinate forme di sfruttamento possano e debbano essere contestualizzate. Quindi chiedere al ministero dell'agricoltura e allevamento di far chiudere gli allevamenti di visoni, insieme a campagna mirate dal basso (ottima la campagna Visoni Liberi) in cui si sensibilizza anche la collettività, per me è una strategia molto utile. Certamente far chiudere un settore dello sfruttamento degli animali NON ha ancora cambiato la società fondata sulla logica di dominio dei corpi animali (sia umani, che non), però ha assestato un piccolo scossone a livello economico a chi lucra su questo commercio; lo stesso discorso si può fare per la vivisezione e trovo ottima, ad esempio, la campagna contro la KLM perché di fatto ostacolando l'approvvigionamento di animali diretti ai laboratori, si crea un danno economico forte. Sovente poi in economia si verifica il cosiddetto effetto domino per cui se parti di un settore cominciano ad andare a crisi, facile che l'intero settore poi capitoli definitivamente. 
A tutte queste azioni DEBBONO accompagnarsi teorie serie di lotta contro l'INTERO sistema e un approfondito lavoro intellettuale e filosofico volto a cambiare per sempre il nostro rapporto con gli altri animali, non più di dominio, ma di solidarietà, rispetto, cooperazione, altrimenti rimarranno casi isolati e basta e potrebbero concretizzarsi tremila altre forme di sfruttamento in altri settori, magari non ancora scoperti. 
- sociale: organizzarsi quindi in movimenti sempre più ampi di critica e lotta contro il sistema capaci di fare pressioni forti, significative. Teorizzare e sforzarsi di concretizzare nuove maniera di vivere in società, non più improntate al dominio e basate su logiche di potere dall'alto, ma in cui si responsabilizzi la collettività a livello individuale (ossia, la politica è cosa di ognuno, e ognuno lavora per la società in cui vive senza calpestare la libertà del prossimo; capire che tutti saremo liberi quando appunto TUTTI saremo davvero liberi. Tautologico? No. Semplice e logico). 
- psicologico: sensibilizzazione, informazione, ovviamente con modalità di un certo tipo, efficaci e chiare negli scopi da raggiungere. Ad esempio lo scopo dell'antispecismo non è fare proselitismo vegano. Il veganismo è un effetto dell'essere antispecisti, non il mezzo, né tanto meno il fine. Molto efficace invece la diffusione di immagini e video tratte da investigazioni sotto copertura o quelle azioni volte a mettere in luce i processi, i meccanismi e la violenza sistemica delle pratiche di sfruttamento, tra cui presidi e campagne mirate. A patto che non siano sporadici, ma ben inseriti in un preciso obiettivo. 
- filosofico: diffondere e continuare a teorizzare un pensiero critico che metta definitivamente in ginocchio l'antropocentrismo e lo specismo, nonché le dinamiche di dominio sulla natura e sugli individui senzienti e che apra a un diverso rapporto con l'animalità. Per animalità si intende tanto quella di tutti gli individui senzienti che abitano il pianeta, tanto quanto la nostra che abbiamo rimosso sotto secoli di sovrastrutture culturali. 
- culturale QUINDI in senso ampio, intendendo tutto ciò che la nostra specie produce sia di intellettuale, che di materiale (quindi dobbiamo lavorare e incidere un cambiamento prospettico anche nell'arte, letteratura, cinema, linguaggio ecc.: tutta l'arte ad esempio è antropocentrica e raramente ha rappresentato gli animali come individui senzienti, ma quasi sempre come simboli o allegorie a rappresentare vizi e passioni umane ecc.).
Perdonate l'estrema sintesi. Sono punti che lancio per una discussione costruttiva con tutti voi. 
E non dimentichiamo mai che il fine non giustifica i mezzi, ma sono i mezzi ad indicare il fine.

Pubblicato anche sul blog Goodbearblind.

sabato 21 marzo 2015

"Se non potete eliminare l'ingiustizia, almeno raccontatela a tutti"

Video del secondo e terzo presidio davanti al mattatoio di Roma.

"Se non potete eliminare l'ingiustizia, almeno raccontatela a tutti" - Ali Shariati

Vi aspettiamo al prossimo che si terrà esattamente tra una settimana, sabato 28 marzo, dalle ore 10,30 alle 13,30.

Buona visione


martedì 3 marzo 2015

La campagna NOmattatoio


Sabato 28 febbraio si è tenuto a Roma il terzo presidio davanti al mattatoio di Viale Palmiro Togliatti. 
Anche questa volta, come le precedenti, è stato molto partecipato: presenti più di cento persone, di tutte le età, compresa una bambina accompagnata dalla madre, orgogliosa di manifestare in difesa degli Animali; e anche questa volta l’esito è stato positivo: tanti i passanti che si sono fermati a leggere i cartelli, che hanno preso i volantini, che hanno annuito con gli occhi bassi in segno di approvazione della nostra protesta. La soddisfazione più grande è quando qualcuna/o che si trova a passare di lì per caso si ferma e decide di unirsi al presidio. È già successo e si spera che succederà ancora.

Quella che conduce al mattatoio è una via di scorrimento dove passano moltissime auto e anche mezzi pubblici, compresi i TIR che conducono gli Animali alla loro ultima destinazione e i furgoni, di ogni dimensione, che varcano vuoti i cancelli della struttura ed escono pieni dei loro corpi fatti a pezzi per poi scaricarli nelle tante macellerie al dettaglio e supermercati della città. Il luogo dove avviene tutto questo visto da fuori appare completamente anonimo: non un’insegna, non un qualche elemento che possa ricondurre alla terribile realtà di quel che avviene al suo interno. 

Continua su Veganzetta.

domenica 1 marzo 2015

Cinquanta sfumature di gigio


Allora, mi sta bene parlare male, malissimo, anzi, non è mai abbastanza, di quella schifezza che è "50 sfumature di grigio", ma dire che è un film che butta decenni di femminismo alle spalle no, questo no.
Perché d'accordo che "le 50 sfumature" stanno al bdsm come Cappuccetto Rosso sta a Gola Profonda, ma tutto ciò che viene racchiuso nel concetto del bdsm (che è un insieme di tante pratiche e una maniera di intendere e di vivere il sesso e le relazioni) è consensuale e stabilito e non c'entra nulla con i reali esercizi di potere di una società patriarcale e maschilista. Il dominante o la dominante non considera inferiore la sua sottomessa o il suo sottomesso, anzi, senza stima reciproca e un rapporto di profonda fiducia intellettualmente alla pari non sarebbe possibile nessuna relazione di questo tipo. Inoltre si lascia intuire che la ricerca di quel tipo di rapporto sia patologica, ossia il risultato di traumi infantili, di un'infanzia violenta ecc. cosa che non è affatto vera. Si tratta di sesso, una delle sfere più complesse della psiche umana e ridurlo ad un'analisi così semplicistica è veramente demenziale, oltre che pericoloso. Sarebbe come dire che si diventa, che so, anoressici perché la mamma da piccoli ci voleva far mangiare per forza. Ci può stare, ci può stare anche quello, ma NON può essere solo quella la causa scatenante. Quindi ci può stare che uno abbia inclinazioni (e non perversioni) sessuali particolari, ma la causa non può essere la volontà di controllo per sopperire a una perdita di controllo avvenuta nell'infanzia. Le pulsioni sessuali sono tra le più difficili e complesse da analizzare e capire (anche per via di tanti tabù sociali), includono e trascinano con sé un sacco di significati inconsci, spesso difficili da accettare, figuriamoci se sia possibile spiegarle in maniera così deterministica con un semplice rapporto di causa-effetto.
Il vero problema del film, come del libro, è che sono un brutto film e un brutto libro, per motivi prettamente estetici (brutta drammaturgia, brutta recitazione, personaggi non credibili ecc.. a fare da contorno a una storia che più banale non si può: lei, giovane ragazza tutta studio e lavoro, incontra un uomo bello, ricco, brillante che la inizia alle gioie del sesso, di un sesso - per lei che pare non aver mai sentito parlare di sesso in vita sua (e qui praticamente il regista si gioca ogni sospensione dell'incredulità) - un po' atipico, salvo poi scoprire che lui ama quel tipo di sesso (come se ci fosse bisogno di una giustificazione) perché ha avuto "una vita con un inizio non facile" e quindi, se da una parte la spaventa vivere una relazione di quel tenore, dall'altra ne è attratta a doppio titolo: un po' perché comunque è curiosa di saperne di più di quel mondo, un po' perché scatta il lato narcisistico (che non è spirito di crocerossina come molti dicono) che è in lei: conquistare l'uomo impossibile. 
Altro non c'è.
Con buona pace del femminismo.
Sono una femminista e un film come questo è dannoso sì, ma dannoso come può esserlo ogni pessimo film hollywoodiano: perché mette in scena stereotipi e cliché, perché non approfondisce, non analizza, non racconta, perché è solo un oggetto culturale, un prodotto che conferma e rafforza lo status quo, certamente, ma al pari di ogni altro filmetto in cui l'argomento sesso magari nemmeno viene sfiorato. 
Insomma, le battaglie per le rivendicazioni femministe e contro una cultura patriarcale e maschilista passano per altro, mi fanno un po' sorridere quelle che si indignano per questo film.