lunedì 25 maggio 2020

Dimmi che mascherina indossi e ti dirò chi sei

Indossare la mascherina anche quando non c'è bisogno, tipo quando si va in bici o in motorino o in auto da soli, o quando si cammina, sempre da soli, in un parco o in una strada poco frequentata, è diventata una norma non scritta (difatti non c'è mai stato l'obbligo di indossarla all'aperto) cui tutti si stanno via via adeguando. Dev'essere così che un'azione, un comportamento, un gesto diventano normali, e perfino trendy, quando semplicemente "li fanno tutti", anche se assurdi, privi di senso, anche se, a volte, persino sbagliati. L'adesione a ciò che fanno gli altri, il sentirsi parte di una comunità, il conformismo, il non voler apparire diversi.
Poco importa poi che il gesto non abbia alcun senso (la maggior parte delle mascherine non è nemmeno minimamente efficace contro il virus, peraltro molte sono di stoffa, in materiali che non garantiscono nessuna protezione e aggiungo che sta nascendo tutto un business intorno ad esse, ormai sono in vendita ovunque, nei negozi di abbigliamento, accessori e simili, presto le vedremo in mano ai venditori ambulanti insieme agli accendini e collanine), quel che conta è il suo valore apotropaico, il significato sociale che gli si attribuisce, lo sbandierare la propria partecipazione a questo rito.
C'è chi la sceglie della fantasia che più preferisce, chi la abbina ai vestiti e al colore degli occhi, chi coglie l'occasione per lanciare uno slogan o il simbolo della squadra del cuore; una gara a chi ce l'ha più originale, e chissà, anche di ostentazione sociale perché tra un po' vedremo mascherine firmate Louis Vuitton o Chanel. Un po' come le magliette con le scritte, sono certa che presto vedremo mascherine con frasi simpatiche, divertenti, la nuova frontiera del selfie.

L'oggetto mascherina ormai sta vivendo una vita propria, slegato dall'uso originario (che appunto è necessario e obbligatorio solo in alcuni contesti quali luoghi chiusi o di eventuale assembramento), è appunto un simbolo, un feticcio o, semplicemente, una moda.

sabato 23 maggio 2020

La retorica dell'intensivo


Ormai sembra diventata un luogo comune, non si fa in tempo a menzionare lo sfruttamento degli altri animali che immediatamente l'interlocutore di turno ti preavvisa che lui è contrario alla modalità intensiva, ma di tutto, eh, si precipita a chiarire, anche della coltivazione dei vegetali e della soia, e quindi aggiunge, è anche per questo che non diventerà mai vegano perché gli estremismi non vanno mai bene. E spesso è proprio in questi termini che argomentano persino filosofi e intellettuali (o sedicenti tali).

Chiariamo due punti fondamentali: uno, è quello che ormai ripeto in ogni post e cioè che ciò che va messo in discussione e si deve combattere è lo specismo, ossia tutto quell'insieme di pratiche e di narrazioni simboliche a supportarle che opprimono, schiavizzano e uccidono gli altri animali e quindi non si fa differenza tra un modello o meno di allevamento, in quanto ogni tipo di allevamento considera e usa gli altri animali solamente in funzione del profitto e del prodotto che se ne può ottenere e non li rispetta in quanto individui. Essere riconosciuti come individui implica il riconoscimento di qualcuno in quanto soggetto della sua stessa vita e non in quanto oggetto di proprietà da usare per trarne profitto. Per questo motivo nessun tipo di allevamento può dirsi etico o giusto.

Il secondo punto (a cui una persona veramente informata potrebbe arrivare benissimo da sola) che comunque va chiarito - anche se non riguarda l'antispecismo, bensì l'ecologia e l'ambiente - è che le coltivazioni intensive di soia sono destinate a ingrassare proprio quegli animali che ci si ostina a voler continuare a considerare prodotti, quindi non sono coltivazioni ad uso e consumo delle persone vegane, (che comunque sono ancora una minoranza); se la popolazione intera diventasse vegana ci sarebbe molto, ma molto meno consumo di soia e vegetali perché ovviamente sfamare direttamente una persona umana comporta un quantitativo parecchio minore di assunzione di vegetali rispetto a quanto ne serve per ingrassare un bovino.
Inoltre non è affatto necessario mangiare soia se si diventa vegani, anzi, molte persone vegane ne sono allergiche o intolleranti e la escludono totalmente dalla loro alimentazione. L'equazione vegani=mangiatori di soia è falsa. La soia è un alimento antichissimo consumato in Oriente, non è certo una prerogativa dei vegani.

Non mi sembra comunque giusto mettere sullo stesso piano la coltivazione di un vegetale, nello specifico la soia, e gli allevamenti degli animali. La coltivazione di un vegetale infatti, al massimo può avere effetti impattanti sull'ambiente, ma non danneggia il vegetale stesso; non produce un danno a un essere senziente. Invece gli allevamenti, a prescindere dal loro impatto sull'ambiente, provocano danni diretti agli altri animali e questo è il motivo dirimente per cui dovremmo scegliere di non mangiarli.

Foto: Jo-Anne McArthur / We Animals

giovedì 21 maggio 2020

Quegli apprezzamenti non richiesti che sono molestie a tutti gli effetti

Stamattina stavo aspettando Andrea sotto casa, a un certo punto dal portone esce un corriere che aveva fatto una consegna al piano terra, un uomo di circa 60 anni. Mi vede, mi squadra da capo a piedi con espressione viscida, e poi mi dice "ciao, lo sai che sei carina, complimenti!" e si allontana continuando a guardarmi con occhi languidi, sorridendo in modo ambiguo e passandosi la lingua sulle labbra. L'apprezzamento e la gestualità mi hanno colto di sorpresa e infastidita e lì per lì non sono riuscita a rispondere, completamente paralizzata. Poi dopo un attimo ho trovato il coraggio e l'ho richiamato, dicendogli, molto arrabbiata, "ehi, tu, guarda che non sono una bambola, né un oggetto, ma una persona sconosciuta e rivolgere apprezzamenti a una persona sconosciuta è una molestia".
Mi sono sentita fiera di me per aver trovato la forza di reagire perché in passato ho sempre subito questo genere di molestie verbali, ossia apprezzamenti non richiesti da parte di sconosciuti, anche molto più pesanti, con chiari riferimenti a precise parti del corpo, ma allo stesso tempo mi sono anche innervosita, mi ha ribollito il sangue, non ci ho visto più.

Voi uomini dovete smetterla di considerare le donne come oggetti da ammirare e a cui potersi rivolgere come se fossimo tutte bamboline felici di ricevere le vostre attenzioni. Non ci fa piacere essere squadrate, guardate, divenire oggetto di apprezzamenti e di sguardi vogliosi. No, per niente! Chi lo fa è un molestatore. Le molestie verbali per strada, in inglese racchiuse sotto il termine di "catcalling" sono molestie a tutti gli effetti.

Per favore, non venite a scrivermi "ma non tutti sono così" perché questo lo sappiamo, ma quello che voi invece dovete sapere è che tacere è acconsentire e che voi per primi dovete prendere le distanze dagli altri uomini che si comportano così, stigmatizzando simili comportamenti.

Penso che a molti queste mie affermazioni potranno sembrare esagerate, eppure questi comportamenti da parte degli uomini, reiterati e spacciati per normalità, alla lunga stressano e ti fanno sentire inferiore, poco considerata, notata solo per il tuo aspetto fisico, e tutto ciò lavora sotterraneamente per minare l'autostima alla radice. È anche difficile rendersene conto, io ci ho messo anni, per me la scoperta del femminismo è stata una scoperta di me stessa, un enorme lavoro su me stessa. 

Sempre sulla cultura specista


Devo ancora leggerlo e sarà sicuramente una bella storia, ma intanto una prima osservazione a caldo sul linguaggio specista di questo ultimo romanzo breve di McEwan che è una satira politica in cui all'innocuo insetto sono attribuite tutte le caratteristiche negative del caso.
Per narrare le nefandezze, la stupidità, la brama di potere che contraddistinguono le azioni di alcuni esseri umani si tirano in ballo sempre gli altri animali i quali, culturalmente, rappresentano già un insieme negativo di riferimento cui attingere. Questo è specismo. Lo sfruttamento degli animali si regge su quello simbolico, ha cioè bisogno di una cultura e di un immaginario condiviso per poter essere giustificato. Quindi combatterlo, anche a partire dal linguaggio - e dalle metafore, allegorie, analogie - è importante.

domenica 17 maggio 2020

Specismo e linguaggio


Ogni volta che ricorriamo a termini di altri animali per insultare e denigrare qualcuno rafforziamo lo specismo, ossia la visione interiorizzata della loro inferiorità.
Ogni tipo di oppressione e sfruttamento ha infatti bisogno di un universo di simboli e di un linguaggio che possano giustificarli e su cui si possano reggere, così come di pregiudizi, credenze e tesi definizionaliste (cioè che apparentemente non richiedono bisogno di spiegazioni e di dimostrazioni).
Lurido maiale, stupido come un asino, matto come un cavallo, verme ributtante, viscido come un rettile, scema come un'oca, troia, vacca, ratti schifosi, ti schiaccio come un lurido scarafaggio, porco, maiale, sei una bestia, sono soltanto animali, ma anche ammassati come beste, che gallina cretina, sei una capra, trattati come animali e tante altre sono espressioni che abbiamo sentito mille volte per offendere un politico che non ci piace, una donna, una persona che ha commesso un crimine, o per descrivere una situazione che riteniamo inappropriata per noi umani, ma normale e naturale per gli altri animali.
Tutto ciò, sentito e ripetuto mille volte sin da quando siamo bambini, quindi in un'età in cui non si ha la capacità di mettere in discussione la società e quello che gli adulti dicono, è entrato nel nostro inconscio e si è radicato contribuendo a rafforzare una visione negativa degli altri animali.
Tutto ciò nutre e dà forza allo specismo.
Cerchiamo di prestare attenzione quando parliamo, di evitare alcuni luoghi comuni e di rinnovare il linguaggio inventando nuovi modi dire; è possibile e anche divertente.

Foto: Jo-Anne McArthur / We Animals

mercoledì 13 maggio 2020

Specismo interiorizzato


Nell'immaginario comune chi si occupa degli altri animali viene dipinto come una persona che non ha di meglio a cui pensare e che sta sprecando il proprio tempo per una questione di secondaria importanza tralasciandone altre che invece sarebbero più importanti.
Questo pregiudizio è sempre un effetto dello specismo che stabilisce che alcuni soggetti contino meno di altri e di conseguenza anche chi si occupa di antispecismo si starebbe dedicando a qualcosa di minor valore.
Purtroppo è un effetto spesso interiorizzato anche dagli attivisti stessi per cui molti si sentono in dovere di giustificare il loro impegno in difesa degli altri animali dimostrando gli effetti negativi dello specismo sulla nostra stessa specie. Non di rado infatti si sente dire che praticare violenza sugli animali sarebbe una palestra di violenza anche sugli individui della nostra specie, in questo modo mettendo in secondo piano la gravità del danno diretto sugli animali; questo modo di argomentare non rende giustizia all'importanza della lotta antispecista e non mette al centro del discorso le vere e uniche vittime; è un atteggiamento simile a quello di alcune femministe quando per farsi ascoltare dagli uomini dicono che la cultura maschilista e patriarcale danneggia anche loro (gli uomini). Sì, certamente, ma il femminismo nasce come lotta contro l'oppressione delle donne e così allo stesso modo l'antispecismo nasce per combattere l'oppressione degli altri animali e non i danni collaterali che noi, come specie umana potremmo ricevere sfruttandoli. Ragionare in questo modo significa mettere ancora una volta i nostri interessi al centro e quindi rafforzare l'antropocentrismo e lo specismo.
Altre volte ci si premura di definirsi impegnati a 360 gradi pure su altri fronti per legittimare il proprio ruolo di attivisti, come se ci si vergognasse quasi di dire che si è attivisti per la liberazione animale.

A nessun attivista impegnato su altri fronti (per i diritti umani, o delle donne, o dei bambini ecc.) viene chiesto di dimostrare di essere impegnato a 360 gradi; succede solo a chi si occupa degli altri animali perché alle loro esistenza ancora non abbiamo imparato a dare il valore che meritano.

Siate orgogliosi e fieri di combattere per gli ultimi della terra. Ditelo ad alta voce, a testa alta: io sono un attivista per la liberazione animale.

Foto: Jo-Anne McArthur / Oikeutta Eläimille (allevamento in Finlandia)

giovedì 7 maggio 2020

Sulla cultura misogina

Noi donne, a causa della cultura misogina e patriarcale, abbiamo talmente interiorizzato un'ossessione per il nostro aspetto esteriore e siamo state talmente condizionate dalla paura di poter essere giudicate che addirittura si è sentita l'esigenza di creare gruppi e pagine dal titolo "donne che hanno deciso di abbandonare il colore artificiale e farsi ricrescere il loro naturale" presentando il tutto come se fosse un atto eroico o comunque degno di rilievo.
Supereroine che osano sfidare il pensiero comune e si mostrano in pubblico con la ricrescita e i bianchi. Il tutto sarebbe comico se non fosse tragico. In effetti solo una minoranza decide di non tingerli perché il resto non ce la fa a sostenere o sfidare i giudizi cattivi di ambo i sessi, da parte di donne e uomini; e sì, perché purtroppo le prime a cadere nella trappola della perfezione estetica siamo proprio noi.
Il caso delle critiche rivolte di recente alla giornalista Giovanna Botteri riguardanti il suo aspetto ne sono la prova.

Non esiste un equivalente al maschile perché i capelli bianchi negli uomini sono accettati da sempre e nessuno pensa che un uomo che non si tinge sia sciatto.
Alla base vi è un pregiudizio maschilista. Il bianco non piace perché è simbolo di età matura, ma mentre l'uomo maturo è ritenuto ancora più affascinante perché saggio, con esperienza ecc., le donne, considerate oggetti sessuali o comunque esistenti per soddisfare e compiacere i desideri maschili, devono essere eterne ragazzine, giovani, fresche.

Se impiegassimo a studiare o a fare quello che ci piace al posto delle ore trascorse al bagno a farci belle, dal parrucchiere o nei centri estetici forse saremmo più soddisfatte.
Demandiamo la possibilità di essere felici o meno alla risposta che ci dà la bilancia o alla piega dei capelli e questo è folle. Ci mette in una posizione di svantaggio perché impieghiamo risorse, tempo, energie in cose di questo tipo mentre gli uomini continuano e prendersi il mondo.

Mi dicono che in TV in questo periodo si parlava dei disagi dovuti al lockdown e tra questi appunto l'impossibilità di farsi i capelli. Sul tema ovviamente venivano intervistate le donne, mica gli uomini. Gli uomini al solito vengono interpellati per parlare di politica, economia, scienza.

Quant'è volte abbiamo sentito dire, con una punta di disprezzo, "cose da donne", intendendo per l'appunto discorsi su trucco e capelli, vestiti ecc.?

Ora, vorrei che si riflettesse sul fatto che non è stupido volersi truccare o farsi i capelli, ma lo diventa se viene considerato un dovere per conformarsi a ciò che la società dice e pensa sulle donne. Lo diventa se non aver voglia di farlo ci fa sentire insicure o giudicate, ci fa diventare oggetto di bodyshaming e addirittura viene ritenuto sintomo di depressione.

Se penso alle volte che mi sono sentita dire: "ti vedo un po' trascurata, prima ti curavi di più" e avrei dovuto rispondere, "ho fatto cose più importanti come studiare o divertirmi", anziché sentirmi a disagio, mi prende una gran rabbia.

Io sono dovuta arrivare a 50 anni per capire alcune cose, ma voi non aspettate perché si vive una volta sola e il mondo non vi aspetta.

mercoledì 6 maggio 2020

Bambini e animali


Bambini e animali, un binomio di cui si parla spesso, a volte in modo retorico, a volte appellandosi al diritto dei primi per giustificare lo sfruttamento dei secondi.
Il detto che i bambini amino gli animali in molti casi è vero perché i bambini sono curiosi, privi di pregiudizi, sicuramente attratti da individui diversi da loro e soprattutto non hanno ancora interiorizzato gli "insegnamenti" della cultura specista; però apprendono anche per imitazione dei genitori e se un genitore mostra disprezzo o repulsione verso gli animali o addirittura li uccide, è probabile che anche i bambini si convincano che sia giusto così. La loro sensibilità e empatia potrebbe venire presto soffocata e repressa e impareranno che avere una considerazione morale degli altri animali diversa da quella che riserviamo ai nostri simili sia la cosa giusta da fare.

C'è poi tutto un enorme discorso da fare in merito a quelle strutture di reclusione dove gli animali sono tenuti prigionieri: zoo, acquari, zoomarine; quelle in cui sono domati e schiavizzati: maneggi e circhi; quelle in cui sono sfruttati per le loro carni, latte, miele e uova: le fattorie didattiche.

Gli adulti portano i bambini in queste strutture per fargli vedere e conoscere gli altri animali, ma queste due motivazioni sono entrambe sbagliate poiché derivano da una concezione specista che considera gli altri animali al pari di oggetti da ammirare per soddisfare la nostra curiosità.
Gli altri animali invece sono individui e con gli individui al massimo ci si può relazionare, quando possibile, tramite incontri spontanei e non forzati o al massimo guardando dei documentari che li ritraggono liberi nel loro habitat naturale.
Quelli che pensano poi di conoscere dietro alle sbarre non sono nemmeno gli stessi individui che potrebbero incontrare in natura, ma sono prigionieri psicologicamente distrutti che si comportano in modo del tutto poco conforme a quelli che sarebbero i loro comportamenti in natura.

Immaginate una specie aliena che prenda alcuni umani e li rinchiuda dentro una stanza dalle pareti di vetro e poi li osservi per capire chi sono, come si comportano ecc.; cosa capirebbe di noi, privati degli stimoli, delle nostre necessità, delle nostre relazioni e affetti, prigionieri, incapaci di apprendere, di conoscere il mondo e la realtà al di fuori? Come saremmo?

Se pensate che gli altri animali seguano solo l'istinto, vi sbagliate. Questo è un pregiudizio. Liquidiamo con istinto tutti quei comportamenti che invece, se attuati da noi, definiamo cultura o intelligenza. Anche le altre specie hanno la loro cultura, si trasmettono informazioni e conoscenze. E questo in cattività non può avvenire, così come non avverrebbe se i prigionieri fossimo noi.

Il grande inganno semantico e cognitivo che avviene poi in queste strutture è quello di far credere che esista "il leone", "il delfino", "la tigre", cioè di considerarli esemplari intercambiabili al pari di un'automobile. Ogni animale è invece un individuo unico con caratteristiche etologiche di specie specifiche, ma un carattere proprio che gli deriva in parte dall'esperienza (che però in questo caso gli viene negata), in parte da geni unici.

Portare i bambini in queste strutture li abitua soltanto a percepire gli altri animali come esseri inferiori da guardare, domare, usare per soddisfare i nostri capricci. In pratica li abitua a considerare normale il dominio, la schiavitù, la violenza. Ciò che si apprende è lo specismo. Una delle peggiori forme di razzismo che produce crimini e violenze inenarrabili.

Se volete far conoscere gli altri animali ai vostri bambini, insegnategli a rispettarli perché non vi può essere vero incontro, vera relazione e vera conoscenza dell'altro senza rispetto. Se non c'è rispetto è dominio.

Foto scattata allo zoo di Roma. Non è un incontro, ma un atto di arrogante dominio in cui c'è un soggetto che guarda, pagando, e un individuo prigioniero sottratto al suo habitat, privato della possibilità di fare esperienza del mondo, di avere un'esistenza degna di essere vissuta.

lunedì 4 maggio 2020

Convinzioni insostenibili

L'antispecismo si oppone alla discriminazione morale degli altri animali e svela l'insostenibilità e validità delle argomentazioni che vorrebbero giustificarne lo sfruttamento.
In quanto tale è un'idea che combatte anche l'antropocentrismo, ossia la convinzione - sostenuta anche dalle religioni monoteiste - che considera la nostra specie al di sopra di tutte le altre e i suoi interessi superiori a quelli delle altre specie; stabilire cosa sia venuta prima, se la discriminazione morale e poi la schiavitù, oppure prima la schiavitù e poi la creazione di un sistema di credenze atta a giustificarlo, non ha alcuna importanza, dal momento che oggi di fatto cause ed effetti sono strettamente concatenati e che lo specismo si trasmette di generazione in generazione attraverso l'inculturazione.
Quello che è importante è mostrare l'invalidità delle argomentazioni che sostengono lo specismo e l'assurdità dell'antropocentrismo. Ritenerci la specie più intelligente o più evoluta non ha alcun senso da un punto di vista proprio evoluzionista e dalla prospettiva delle conoscenze scientifiche che abbiamo sull'universo.

In quest'ottica, cercare di sensibilizzare le persone presentandogli i danni collaterali che derivano dalle pratiche di allevare gli animali - danni quali deforestazione, desertificazione, consumo idrico elevato, inquinamento atmosferico e dei terreni, oppure malattie derivate dal consumo di alimenti di origine animale e zoonosi - non rientra nella lotta antispecista, ma al limite in quella ecologista o, per quanto riguarda la nostra salute, in quella di tutela appunto della nostra specie; è bene essere consapevoli che le tesi ecologiste e salutiste - i cosiddetti argomenti indiretti - non smuovono di una virgola la concezione specista degli altri animali, ma anzi, riguardano solo ed esclusivamente i nostri interessi.

Gli altri animali sono soggetti della loro vita e le loro esistenze non possono essere riducibili alla funzione di utilità che noi stabiliamo per loro in modo violento, oppressivo, dominante; non esistono "maiali da allevamento", "elefanti da circo", "delfini da acquario", "pets", "galline ovaiole", "selvatici patrimonio dello stato", "asini da tiro", "cavalli da corsa", "mucche da latte", "salmoni da allevamento", "cavie da laboratorio", "conigli da carne" e via dicendo.
Esistono tanti individui che sono comparsi sul pianeta terra ben prima di noi e le cui esistenze e corpi non ci appartengono.
Schiavizzare animali è violenza e oppressione. E ogni tipo di allevamento (cioè concepire un'esistenza e controllarla solo per trarne profitto) è schiavitù.

Tutti gli animali meritano rispetto.


sabato 2 maggio 2020

A spasso con Bob


Tratto da una storia vera e da un bestseller inernazionale, racconta la storia di James Bowen, un musicista di strada senzatetto londinese con problemi di tossicodipendenza e del suo incontro con Bob, un bel gattone rosso che gli ha letteralmente cambiato la vita; o meglio, dell'incontro che ha cambiato la vita a entrambi.

James inizia a prendersi cura di questo gattone randagio, lo accoglie in casa, lo porta dal veterinario e sin da subito si crea tra loro un legame molto forte, talmente forte che Bob, nei giorni successivi, non vuol saperne di restare a casa e lo segue fino in centro, prendendo l'abitudine di starsene appollaiato sulle sue spalle.
Questo duetto inedito attira così l'attenzione dei passanti, molte persone si fermano ad ascoltare e guardare, alcune arrivano apposta per vederli dopo averne sentito parlare; qualche giornale locale inizia a scrivere di loro, la rete lo fa conoscere sul web e infine una casa editrice propone a James di raccontare la sua storia, da lì il successo in tutto il mondo e il film.

Il film merita per almeno due o tre motivi, a parte la storia in sé, che è comunque una bellissima storia di rinascita di questo ragazzo che trova la forza di riprendere in mano la sua vita: il gatto non è mai mostrato o raccontato in modo paternalista, bensì si rappresenta il suo mondo, le sue scelte, le sue decisioni, in pratica è trattato come dovrebbe sempre essere trattato un animale, cioè come un individuo dotato di una sua volontà, intenzione, capacità decisionale. Molte riprese sono effettuate dal basso, cioè, ad altezza vista di Bob, quindi vediamo il mondo, la strada, le scale, l'amico James e le altre persone che incontra esattamente dalla sua prospettiva. Vediamo il mondo attraverso gli occhi di Bob ed è un mondo che lui interroga e di cui fa esperienza, esattamente come è per tutti gli animali. Scelte registiche (a proposito, l'autore è Roger Spottiswoode) che danno un valore aggiunto e che veicolano contenuti importanti.

Poi c'è un personaggio, Betty, una ragazza che diventa amica di James e di Bob, che è vegana e attivista per la liberazione animale. La novità è che non viene ridicolizzata, anzi, è una ragazza brillante, intelligente, saggia. C'è una scena in cui incontra James e Bob e gli dice che sta andando a una manifestazione per gli animali, per la loro liberazione e chiede a James se lui ancora mangiasse animali. Lui risponde che non ci ha mai pensato, e lei gli dice, "beh, ora lo sai, pensaci".
Poi ci sono due scene in cui cenano e mangiano seitan e tofu. Sul tofu si fa qualche battuta e James dice che non ha senso voler replicare il gusto del tacchino, dato che non è tacchino (un argomento questo su cui spesso si dibatte tra vegani), ma comunque mangia con gusto.
Ogni volta che c'è una scena con Betty c'è anche una battuta sulla sua scelta di non mangiare animali.
Successivamente vedremo delle scene in cui James ha pochi soldi e decide di comprare solo una lattina di fagioli per sé e una scatoletta per Bob.

In casa di James e Bob c'è anche un altro coinquilino, cioè un topolino. Bob tenta di afferrarlo una volta, ma James interviene e gli dice di lasciarlo stare, dato che provvede lui a dargli cibo a sufficienza e non ha certo necessità di predare. Il topolino comparirà altre volte e anche in questo caso le riprese vengono fatte dalla sua prospettiva, ed è un personaggio simpatico, con cui alla fine James e Bob convivono.

Insomma, è un film dove passano messaggi importanti (c'è anche una scena in cui si parla dell'importanza di sterilizzare i gatti di strada) in modo gradevole e leggero e dove gli altri animali vengono considerati e narrati esattamente come gli individui che sono, non come oggetti o in modo paternalista.

Sì, James poi diventa famoso grazie a Bob, ma non c'è mai stata l'intenzione di sfruttarlo a questo scopo, semplicemente Bob inizia a seguirlo ovunque e a manifestare la chiara intenzione di stare con lui. Questo è un aspetto molto importante. James e Bob sono due amici, hanno un rapporto paritario.

Nel film compare il vero gatto (quindi non un gatto addestrato), mentre James è impersonato da un attore.

Il film lo trovate su Netflix.