martedì 21 ottobre 2014

La dignità del lutto


Se c’è un’esperienza che davvero ci accomuna tutti, animali umani e non, è quella della morte. 
E della morte parliamo continuamente noi antispecisti. Ne parliamo per raccontare quanto sia ingiusto che miliardi di animali vengano uccisi solo per farne bistecche o indumenti di vestiario; ne parliamo indulgendo su particolari raccapriccianti per dimostrare quanto i mattatoi e altri luoghi di sfruttamento siano crudeli.
Parliamo della morte che tantissimi animali abbandonati o selvatici trovano sulle strade, spesso preceduta da ore di agonia.
Parliamo della morte che innumerevoli creature identificate solo da un numero (innumerevoli nel senso che è impossibile conoscerne persino il numero esatto) trovano per mano di vivisettori nei laboratori, o nelle reti dei pescatori o nei tir dove vengono condotti per arrivare alla destinazione ultima del mattatoio.
Insomma, più che l’esistenza, gli animali sembrano sperimentare una morte prematura e sempre cruenta.
Ma se di morte si parla moltissimo, si parla invero assai poco del lutto. Di quell’esperienza dolorosa e traumatica che si vive quando il nostro compagno animale ci lascia.
Soprattutto accade che raramente si riesca a esprimere fino in fondo tutta la gamma di sentimenti e stati d’animo provati – che vanno dalla rabbia, al senso di colpa, alla frustrazione, al dolore, fino alla depressione e stress post-traumatico – e questo perché nella nostra società il dolore per la perdita un animale non è equiparato a quello della perdita per un parente o persona cara umana e così viene sminuito, liquidato con una pacca sulle spalle e, immancabilmente, accompagnato dalla terrificante espressione: “era solo un animale”, o anche “muoiono ogni giorno migliaia di bambini, non puoi stare così male per un gatto (cane ecc.)”.
Nella migliore delle ipotesi, anche chi ci vuole bene e ci capisce, comprende cioè il nostro dolore, tenta di farcelo rimuovere dicendoci di non pensarci, di provare a uscire, a distrarci ecc..
Si finisce così per sentirsi in imbarazzo o addirittura ridicoli nell’esternare ciò che si prova veramente con il risultato che anziché esprimere i nostri sentimenti come sarebbe auspicabile fare, ci si chiude ancora più in sé stessi, bloccando o ritardando le normali fasi del superamento del lutto.
E sì, perché l’esperienza del lutto – io direi più il trauma del lutto – non è meno grave per il sol fatto che a morire sia stato il nostro cane anziché un nostro parente o amico umano.
Amore, affetto, assenza, sono sentimenti e condizioni che non si possono quantificare o delimitare entro confini ben precisi. Sono dirompenti, travolgenti, irrazionali, inspiegabili. Il vuoto lasciato da un esserino minuscolo quale potrebbe essere un cricetino può essere altrettanto ingombrante di quello lasciato da un familiare; anche perché gli animali che hanno vissuto con noi sono membri della famiglia a tutti gli effetti.
Il vuoto, l’assenza percepiti divengono spazi mentali che invadono ogni angolo della nostra mente.
Il baratro che ci si spalanca davanti nel momento in cui realizziamo l’assenza di colui che fino a qualche momento prima era un individuo vivo e poi è diventato nient’altro che materia in decomposizione, ci stravolge completamente; è un qualcosa difficile da razionalizzare e metabolizzare e finanche da spiegare. Anche perché si tratta di un dolore talmente personale, per quanto universale, che ognuno lo vive a modo suo e che perciò è impossibile da condividere. In più ha a che fare con l’ignoto, con l’inconoscibile per eccellenza che è la morte. Un evento che, per quanto si dica e ce la si racconti, rimane pur sempre inconsciamente inaccettabile.

Continua su Gallinae in Fabula.

venerdì 17 ottobre 2014

Sono animalista e lo dico con orgoglio!


Mi piace definirmi animalista perché innanzitutto siamo animali anche noi appartenenti alla specie homo sapiens, e poi perché sono orgogliosissima di combattere una battaglia così altruista e fondamentale come quella per la liberazione dei non umani dal nostro dominio. 
Non si tratta di fare del paternalismo, ma i non umani sono veramente alla totale mercé nostra poiché incapaci di affrancarsene con gli strumenti a loro disposizione.
Negoziano, lottano, si ribellano, si esprimono, certo, ma sia perché ci fa comodo non ascoltarli, sia perché non ne siamo capaci, è evidente che da soli non possono farcela. 
E poiché sono in assoluto i più abusati di tutti, io sono fiera di aiutarli, di combattere per loro e insieme a loro. 
Fiera di essere animalista, ossia per gli animali. 
Non abbiate paura di usare questo termine, non abbiate paura di esporre al mondo le ragioni degli animali. 
Non pensiate mai e poi mai che questa sia una battaglia minoritaria o meno degna di essere combattuta di altre.
Ci proveranno, ci proveranno in tutti i modi a dirvi che ci sono "cose più importanti per cui combattere", ma voi abbiate sempre il coraggio di rispondere che non esiste al mondo nulla di più importante di quella di combattere per chi non ha voce.

giovedì 16 ottobre 2014

Come ti faccio passare il vegano per matto


Dobbiamo fare davvero paura al sistema se in una serie tv statunitense - Breaking Bad, 4° stagione, 4° episodio - si sente il bisogno di associare il veganismo alla follia, alla bizzarria, alla stranezza, anche se non esplicitamente, ma in maniera sottile.

Attenzione spoiler, legga solo chi l'ha visto: è il momento in cui Walter sta parlando della morte di Gale con Hank e stanno sfogliando il suo "Lab Notes"; Hank rileva come a margine delle pagine ci fosse scritto di tutto, tra cui, una ricetta per i brownies vegani (in lingua originale è per i marshmallows). E subito dopo aggiunge: "era una persona davvero folle, eccentrica, un vero pazzo"... o qualcosa di simile (non ricordo le parole esatte).
Lo spettatore medio cosa fa? Associa la parola "vegano" a "persona folle".
Cioè, la prova che Gale sarebbe stato pazzo, è che, tra le altre cose, si annotava ricette di brownies vegani.
Il sistema lavora così. In maniera subdola, sottile, quasi impercettibile. Nemmeno te ne accorgi, ma ti suggerisce associazioni, chiavi interpretative, percorsi di lettura.
Dovremmo fare la stessa cosa. Imparare a parlare di antispecismo e veganismo in maniera sottile, infilandolo in ogni discorso, non direttamente.

venerdì 10 ottobre 2014

Torture da medioevo? No, avvengono ancora oggi!


E pensare che ci sarebbe persino chi sostiene che "la vivisezione non esiste più". 
Forse il problema è terminologico, ma certamente non semantico perché di esperimenti su animali vivi vengono fatti in continuazione.
I pro-test, ossia gli studenti, medici, scienziati, ricercatori stessi, ma anche gente comune a favore della vivisezione, sostengono che nei laboratori si bada a far soffrire gli animali il meno possibile e che un veterinario è sempre presente per assicurarsi che vengano rispettati gli standard sul cosiddetto "benessere animale".

Allora mi spiegassero come mai, ancora oggi, nel 2014, nei laboratori di uno Stato considerato civilissimo e avanzato, si conducano esperimenti di questo genere, meglio sarebbe definirli orrori.

Vorrei che tutte le persone che sostengono la sperimentazione animale (se proprio non vogliamo chiamarla vivisezione, anche se il termine è riportato come sinonimo in tutte le principali enciclopedie e dizionari italiani e stranieri) guardassero questo video fino alla fine e avessero il coraggio di immaginarsi, anche solo per un momento, al posto di queste creature e poi che venissero qui sotto a spiegarmi come si faccia a giustificare una simile tortura. Troll esclusi, si intende. 

Peraltro, i conducenti di tale esperimento, anche detti scienziati, farebbero prima ad osservarsi allo specchio per trarne conclusioni sugli effetti della follia e delle malattie psichiche; ne trarrebbero sicuramente risultati più interessanti. Soprattutto sulla totale assenza di empatia. 

Posso comprendere tutto, chi mangia carne perché nella nostra cultura improntata sull'ideologia del carnismo (per usare le parole della Joy) lo considera "normale e naturale", chi ha pregiudizi morali sugli animali non umani ecc., ma non chi difende e giustifica la vivisezione in quanto la tortura, in ogni tempo e luogo, è sempre stata considerata disumana. 
Il bello è che la si giustificherebbe per apportare presunti benefici alla specie umana, non rendendoci conto che praticandola ci si allontana da qualsiasi idea di umanità che auspicheremmo di voler raggiungere. 
Rendiamoci quindi conto che più ci allontaniamo dalla nostra animalità - ossia dal riconoscimento che siamo tutti individui animali presi nella rete del tempo e dello spazio - e meno coltiviamo quella parte nobile di noi stessi che potrebbe caratterizzarci. Infine, quel che conta, non è poterci definire superiori o inferiori, ma rispettarci nella diversità di specie.

giovedì 9 ottobre 2014

Addio Excalibur, vittima dello specismo


Lo specismo, nella sua definizione basilare, significa: discriminazione morale degli animali non umani.
Quando pensiamo a questa discriminazione contro cui vogliamo combattere subito ci viene in mente lo sfruttamento istituzionalizzato degli animali che vengono considerati al pari di mere risorse rinnovabili da far nascere, allevare e poi uccidere per soddisfare alcune nostre esigenze (e non necessità, come erroneamente si sostiene). 
Ma lo specismo si manifesta anche, più sottilmente, nel non considerare i non umani degni di ricevere lo stesso trattamento riservato alla nostra specie in casi particolari di malattie, incidenti e altro. Così, ad esempio, se una persona viene investita da un'auto subito si interviene prestando soccorso, ma se lo stesso capita a un animale può succedere - e invero purtroppo succede assai di frequente - che nemmeno ci si fermi preferendo lasciarlo agonizzante in mezzo alla strada. Lo stesso trattamento si verifica in caso di malattie: se un umano si ammala si ritiene necessario curarlo, mentre se è un animale non umano a essere colpito da una qualche patologia spesso ci si sente rispondere di "lasciar fare alla natura". Questo è vero soprattutto per quanto riguarda gli animali selvatici, come se per il sol fatto di vivere liberi in natura dovessero venire dispensati da ogni cura e soccorso umani; eppure sappiamo bene quanto la natura non sia affatto quel luogo idilliaco descritto nella letteratura bucolica, ma riservi a casaccio dolore, sofferenza ed esistenze per niente rosee. 
Il caso del povero cane Excalibur è emblematico in questo senso ed evidenzia lo specismo cui è improntata la nostra cultura: appartenuto all’infermiera spagnola che ha contratto il terribile virus dell’Ebola, è stato soppresso senza pietà e senza gli approfondimenti necessari a verificare se anch’egli fosse stato contaminato o meno. A nulla è valso l’appello di una signora di Siviglia, formalizzato alle autorità attraverso una petizione sottoscritta da migliaia di persone di svariati paesi e seguita da presidi e proteste, a metterlo in quarantena, ossia riservandogli lo stesso trattamento cui è stato sottoposto il marito dell’infermiera. 

Continua su Gallinae in Fabula.

sabato 4 ottobre 2014

Spigolature (9)

Perché dico che la mia libertà COMINCIA dove inizia quella degli altri e non, come recita il più celebre detto, finisce dove inizia quella degli altri?
La differenza ovviamente è semantica, ossia riguarda il significato che si intende trasmettere con tale monito.
Se invitiamo il prossimo a non commettere certe azioni affinché, nel momento in cui rendo possibile ad altri godere dei loro diritti e libertà, io stessa divento più libera, sto mettendo l'accento sulla conquista di un contesto più libertario entro il quale vivere anziché sulla rinuncia o costrizione.
Così, ad esempio, se invito a non nutrirsi più di animali e derivati per non essere più partecipi del sistema di sfruttamento degli animali, non sto in realtà contemplando il concetto di una rinuncia, ma di una conquista.
Libera il tuo prossimo e sarai più libero anche tu. Non di rinunce, non di costrizioni o obblighi si tratta, ma di conquiste per una società più libertaria.

venerdì 3 ottobre 2014

Spigolature (8)

Una delle maniere per assimilare al sistema un movimento di critica sociale è quello di copiarne i metodi di protesta, così neutralizzandone la valenza sovversiva.
Qualche esempio: cacciatori che rivendicano il loro "diritto" a uccidere sdraiandosi a terra e fingendosi morti. 
Quanto meno curioso che mimino lo stato cui riducono le loro vittime.
Pro-test e allevatori che scendono in piazza.
Adozione del nostro stesso linguaggio.
Stiamo allerta! Se il sistema è arrivato a copiarci, vuol dire che è arrivato il momento di inventarci e mettere in atto nuovi metodi di lotta.

mercoledì 1 ottobre 2014

WVD


Pensierino del giorno: oggi è il World Vegetarian Day. Quindi auguri a tutti i vegetariani. Bella scelta! Mi complimento con voi.
Un tempo sono stata vegetariana anche io ed ero convinta che aver fatto questa scelta - per motivi etici, ossia per non partecipare più allo sfruttamento degli animali - fosse stata la decisione migliore di tutta la mia vita. 
Poi ho scoperto che industria di produzione della carne e industria di produzione del latte e delle uova sono praticamente la stessa cosa, ossia si sorreggono a vicenda (non devo spiegarvi perché vero? Se qualcuno dei miei contatti ancora non sa faccia un segno, sono disponibile a spiegare o a postare qualche video) e quindi ho capito che restare vegetariana, se proprio volevo non rendermi più partecipe dell'olocausto animale, non aveva senso, per cui sono diventata vegana. 
Ma non penso più che sia la scelta migliore che abbia fatto, ossia, per quanto riguarda me, la mia evoluzione individuale, certamente sì, però non mi sento affatto gratificata o arrivata perché gli animali continuano lo stesso a essere sfruttati e uccisi a miliardi e so che oltre a diventare vegani quello che più conta è farsi parte attiva nella rivoluzione culturale, sociale e politica che vogliamo, ossia diventare attivisti. 
Non sto criticando chi è vegetariano, è una persona che ha già capito alcune cose e che si sta impegnando. Sto invitando a prendere coscienza dell'orrore che ci circonda e ad attivarsi al meglio per combatterlo.
Dei vegani e vegetariani per motivi salutistici invece non mi interessa, anche se forse anche loro inconsciamente hanno capito alcune cose, ma non hanno il coraggio di opporsi apertamente al sistema e quindi cercano motivazioni di altro genere per smettere di mangiare animali e derivati.
Ovviamente per veganismo non intendo solo lo smettere di mangiare animali e derivati, ma tradurre in fatti l'acquisizione di una consapevolezza politica che miri a opporsi e contrastare tutto il sistema di sfruttamento degli animali, quindi che includa il boicottaggio dei vari lager tipo zoo, delfinari, circhi ecc., la lotta contro la vivisezione, l'industria della pelle e pelliccia, le corse dei cani, cavalli ecc. e in generale tutto ciò che comporti appunto sfruttamento, oppressione, dominio di individui senzienti appartenenti ad altre specie.