domenica 28 febbraio 2021

Il mostro della porta accanto

 Veterinari della Asl che si occupano degli animali cosiddetti da reddito, etichetta che ovviamente attribuiamo in modo arbitrario, che ti dicono che "la mucca non sente" e "non si accorgono quando vengono uccisi, non sentono nulla".

 Famigliole che infilzano un'anguilla e la mettono ad arrostire sul camino mentre si dibatte, condannandola a una lenta agonia; sullo sfondo voci di bambini umani che così apprendono la normalità della violenza.

Questi, due aneddoti a caso di cui sono venuta, ahimè, tristemente a conoscenza durante il fine settimana. 

Queste persone sono mostri? Non direi, cioè non nel senso comunemente inteso per il termine "mostro".

Queste persone sono normali, così come normale è il male che agiamo quotidianamente nei confronti di tanti individui di cui disconosciamo il valore e le percezioni. 

Lo specismo è questo concetto qui: una fede granitica in credenze, idee, convinzioni cosiddette definizionaliste, cioè che vengono credute per vere per definizione, senza bisogno di passare al vaglio della discussione, della critica, della validità.

C'è ovviamente, alla base, anche l'effetto di una profonda dissonanza cognitiva, cioè l'accantonamento inconscio di quella parte di realtà che bussa alla porta e che si fa finta di non udire perché altrimenti crollerebbero tutte le idee che abbiamo anche di noi stessi, di persone perbene che mangiano gli animali perché "così si è sempre fatto, perché non sentono, perché non sono come noi e perché non sentono dolore".

Poi c'è, almeno per quanto riguarda veterinari asl e allevatori, pure moltissima malafede finalizzata a mantenere l'impianto specista in quanto gli animali costituiscono materia prima da lavorare e su cui guadagnare, materiale rinnovabile pressoché infinito.

La coscienza di molti è come il dolore di quell'anguilla: forse urla, in un angolino, in profondità, ma le sue urla sono mute, non vengono ascoltate, si fa finta di non sentirle; peggio, si fa finta che non ci siano.

Negare il dolore altrui è forse la peggiore forma di violenza. 

Preferisco i sadici, coloro che godono del dolore altrui, ma almeno lo riconoscono.

martedì 2 febbraio 2021

The Crown

 


Ho iniziato a guardare la serie The Crown dopo anni in cui ogni volta che ne sentivo parlare bene, puntuale, mi ripetevo "sì, ma a me che mi frega della storia della regina Elisabetta?". 

Ok, mi piace tanto l'Inghilterra, sono appassionata della loro cultura, della loro lingua, letteratura, ma della famiglia reale anche no.

Poi però, in una di quelle sere al limite della noia esistenziale, mi son detta: vabbè, guardiamo un episodio, è pur sempre una serie stra-premiata e pare tra le più costose che Netflix abbia prodotto. Se tutti ne parlano così bene, ci sarà un perché. Andiamo a scoprire questo perché.

E così sono arrivata alla fine della seconda stagione con tutti i classici sintomi dell'astinenza giornaliera da serie tv, cioè quella in cui non vedi l'ora che viene sera per poterti sdraiare, senza sensi di colpa, sul divano (copertina sulle gambe e miciotta fusacchiante è il must d'accompagnamento perfetto) e riprendere a guardarla. Fedele alla mia regola: mai guardare le serie tv prima di una certa ora. Ma dopo ci puoi fare anche mattina.

Da dove iniziare? Non dirò le cose ovvie e scontate, attori bravissimi, costumi meravigliosi, ricostruzione storica eccellente ecc. ecc.

Dirò alcune cose che mi hanno colpito e pensieri che ho fatto.

Ci sono tanti elementi che la rendono interessante, in primis quello di raccontare fatti realmente accaduti e per fatti non intendo solo quelli relativi al privato della famiglia reale (di cui, appunto, anche chissene... o almeno pensavo), ma fatti storici e una rinfrescatina alla memoria in fondo non fa mai male. Poi c'è ovviamente il racconto ravvicinato della vita di questi reali, il loro vissuto privato e pubblico, o meglio pubblico alla luce del privato e viceversa. 

I fatti storici vengono raccontati per il riflesso che hanno sulle vite dei reali, ed è interessante vedere come sono state gestite alcune crisi, alcuni momenti particolarmente drammatici. Si scoprono anche tante cose che magari non tutti conoscono o ricordano. 

Insomma, man mano che conosciamo da vicino questi personaggi, i loro drammi interiori, esteriori, le scelte che devono fare e che non vorrebbero fare ma sono costretti a fare in osservanza al protocollo, la loro infanzia, i loro amori, la loro formazione, i loro hobby, le loro passioni si finisce, al solito, per provare empatia, per non dire simpatia e quasi quasi per parteggiare per loro. 

Questa è una cosa che a me disturba un po' perché ovviamente stiamo pur sempre parlando di una famiglia che gode di privilegi infiniti, ricchezze immense e fa molta impressione vedere i loro rapporti, ma soprattutto i rapporti dell'Inghilterra di allora, con i paesi coloniali. 

Così come fa impressione vedere alcune scene di caccia (abbastanza frequenti, devo dire, questi nobili vanno sempre a caccia) e sul mondo dei cavalli da corsa, di cui la regina era (è, presumo) una fan. Una delle cose più assurde è vedere come credevano nell'investitura divina e come effettivamente si sentissero diversi rispetto alle persone comuni. C'è parecchio snobismo che disturba un po'.

Nel complesso, cioè, al netto di tanti aspetti critici, è una serie che merita appunto di essere vista per l'interesse storico e anche per conoscere più da vicino un mondo che oggi appare senz'altro assurdo, ma che pure resiste perché ha saputo modernizzarsi e accorciare un po' le distanze dalle gente comune, dal mondo reale. Tutto molto calcolato, certamente, e nella serie viene spiegato bene, ma anche abbastanza complesso.

E sapete quando ci si accorge che una serie è fatta bene? Quando appunto ti ritrovi a immedesimarti in personaggi verso cui nella realtà non provi nessun interesse e che non ammiri nemmeno un po', lontani anni luce dalle tue convinzioni e da quella che per te è l'idea di come dovrebbe andare il mondo.

Cioè, alla fine questi reali sono dei parassiti, usurpatori di terre e ricchezze che comunque poi hanno ereditato e mantenuto anche quando le monarchie hanno perso il potere di un tempo. Loro stessi, nella serie, o almeno alcuni di loro, si ritrovano spesso a riflettere sul senso delle loro esistenze poiché, in una società in cui comunque hanno perso il potere di governare e gli rimane solo quello di regnare simbolicamente, si sentono come della marionette costrette a recitare un copione sempre uguale, che è il protocollo. 

Ma ovviamente il loro chiedersi il senso della vita è anch'esso un privilegio, rispetto alla stessa domanda che si poteva porre un minatore nel secolo scorso. Tutto un altro paio di maniche. 

Insomma, nonostante le tante contraddizioni che una serie così ti sbatte davanti, alla fine ti ritrovi a sospendere l'incredulità (quella del tuo stesso pensiero critico) e a familiarizzare con cristalli, argenterie, corone di diamanti, servitù e quant'altro. 

Un po' come quando guardi Dexter e ti ritrovi a fare il tifo per un serial killer o House of Cards e fai il tifo per Underwood, che è un uomo privo di scrupoli, assetato di potere e pure assassino. Qui fai il tifo per la regina Elisabetta, anche quando prende decisioni decisamente impopolari e sfoggia la sua coroncina da milioni e milioni di sterline. È una serie che forse tocca anche alcuni ricordi infantili perché in fondo a tutti noi hanno raccontato storie di principi, re e regine e castelli e palazzi. Una serie che attinge quindi al già noto, a ciò che ci è familiare, rassicurante e forse è proprio questo l'ingrediente segreto del suo successo, quel perché che ho voluto cercare e penso di aver trovato.

P.S.: uno degli episodi più belli è quello in cui si racconta del rapporto tra Churchill e l'artista commissionato per dipingere il suo ritratto. Lì ci sono dialoghi sull'arte, sull'invecchiare, sul tempo, sulla decadenza, sulla morte che fanno decisamente salire la serie di livello.

E voi, l'avete vista?