lunedì 19 dicembre 2022

La scuola cattolica

 

Ieri sera ho visto La scuola cattolica, film di Stefano Mordini, tratto dal romanzo di Edoardo Albinati (che ancora non ho letto e che immagino sia molto più complesso).

Il film è narrato dal punto di vista del protagonista che interpreta Albinati e racconta il clima dei suoi anni di liceo all'interno di una scuola cattolica privata, solo maschile, che egli stesso ha frequentato. La stessa scuola di Angelo Izzo e Gianni Guido, noti per essere, insieme ad Andrea Ghira, gli autori di quello che è noto come "Il massacro del Circeo" (da notare, ma lo spiego meglio sotto, come da tale scelta terminologica ci siano delle referenti assenti, cioè "massacro", mentre si dovrebbe dire "stupro e femminicidio").

Il film ha la pretesa di narrare l'ambiente sociale e privato da cui ha potuto germogliare il fatto delittuoso. 

Ci sono tanti elementi, per esempio l'educazione cattolica, tra il bigottismo e l'ipocrisia, senz'altro il machismo di un ambiente tutto maschile (cito a memoria: nascere uomini è una condanna - dice il protagonista - devi dimostrare ogni giorno di esserlo e non basta farlo una volta, bisogna sempre ricominciare da capo e ancora e ancora; e se fallisci una volta, sei rovinato per sempre), e poi genitori assenti o fragili che educano tramite "persuasione, minacce e punizione", violenza quindi fisica e psicologica, sia in famiglia che a scuola, bullismo, e poi i primi turbamenti sessuali, tra timore e desiderio. 

Manca però, a mio avviso, un elemento fondamentale, che è l'analisi della cultura patriarcale, la misoginia, il maschilismo.

Donatella e Rosaria, nonostante siano protagoniste e vittime, loro malgrado, di violenza e femminicidio, sono delle referenti assenti. 

Il punto di vista è maschile, il focus è il maschio e le sue pulsioni, frustrazioni, desideri. 

Ora, questa è una scelta innanzitutto drammaturgica perché la storia è narrata dal punto di vista del giovane protagonista e perché l'intento è descrivere l'humus di quell'ambiente, del suo ambiente, quindi della scuola maschile, e poi di quel periodo, di quelle famiglie, anche con incursioni introspettive, intimiste. 

Non è la scelta a essere sbagliata, quindi, ma lo è la messa in scena, la riuscita, il risultato perché da tale ricostruzione sarebbe dovuto emergere un elemento importante, cardine e cioè appunto il rapporto di questi ragazzi con il femminile. Questo sarebbe dovuto emergere con forza anche se narrato tramite ellissi. Questo perché nella strage del Circeo non c'è solo il classismo, l'esplosione delle pulsioni quasi in un rito dionisiaco che distrugge per creare (peraltro suggerito, anche se in chiave cattolica e non pagana, da una scena in cui il professore di storia dell'arte equipara la vittima ai suoi carnefici perché "chi fa del male agli altri lo fa a sé stesso e per divenire uomo devi immergerti o quanto meno lasciarti contaminare dal male"), la metafisica e l'ontologia del male, la sfida machista tra maschi, ma c'è soprattutto la misoginia, il patriarcato, il sessismo. C'è la considerazione delle donne, il modo in cui la Storia ha sempre oppresso, denigrato, sminuito le donne. C'è l'opposizione ontologica tra maschio e femmina per cui (esattamente come accade tra uomo e animali) quanto più si denigrano le donne tanto più si esaltano gli uomini. 

Solo l'attore che interpreta Izzo a un certo punto, dopo il massacro, sulla via del ritorno, dentro quella famosa 127 bianca che poi sarebbe diventata il simbolo di quell'incubo, pronuncia la frase: "Pezzi di carne erano e pezzi di carne sono rimaste", riferendosi ai corpi di Donatella e Rosaria (fatti reali, questi, ricostruiti tramite la testimonianza di Donatella, che si salvò solo perché si finse morta). 

Poi: nei titoli di coda si fa riferimento un fatto importantissimo, cruciale: all'epoca lo stupro non era ancora reato contro la persona, ma contro la morale pubblica e solo nel 1996 è divenuto tale, grazie alle lotte femministe.

Ecco, un film che ha l'ambizione di ripercorrere, descrivere, raccontare quegli anni, anche nel tentativo di comprendere quell'orrenda e spietata violenza sulle due ragazze, non può evitare di raccontare la morale e cultura patriarcali, la lotta femminista dell'epoca (per esempio i movimenti femministi poi si schierarono come parte civile al processo e, ribadisco, è merito di questi ultimi se lo stupro poi è diventato reato contro la persona nel 1996), la considerazione maschile delle donne, la violenza sulle donne. Un dibattito pubblico tra i protagonisti manca totalmente.

Perché è ovvio che se lo stupro era solo reato contro la morale ci doveva essere stata una percezione degli intenti e dei fatti del tutto attenuata.

Il massacro del Circeo, quindi, è figlio della cultura patriarcale. Non della scuola cattolica, delle famiglia fragili o di altro. È figlio del modo in cui Donatella e Rosaria, come tutte le ragazze, venivano considerate: pezzi di carne utili a sfogare le proprie pulsioni, malate. 

Ripeto, il problema non è, a livello drammaturgico, dell'ellissi, ammesso e non concesso che questa sia stata una scelta (ma ho come il dubbio che si tratta più di una mia lettura perché ovviamente io guardo le cose dal punto di vista femminista), ma che non funziona. 

Mi chiedo se il fatto che le donne, le ragazze, quindi le protagoniste loro malgrado, cioè Donatella e Rosaria, volutamente tratteggiate come referenti assenti proprio a rimarcare la scarsa considerazione di loro come individui non sia stato anch'esso una scelta; ma anche in questo caso allora il risultato è dubbio, tale solo perché chi guarda, in questo caso io, appunto ha già adottato una chiave femminista con cui leggere il film. 

Per il resto, che dire, è recitato dignitosamente, ma non in modo impeccabile, soliti problemi di audio dei film italiani per cui a volte non si capiscono le battute, personaggi un po' sottili e soprattutto un automatismo drammaturgico quasi fastidioso. I dialoghi sembrano forzati e funzionali a far procedere in modo appunto automatico la storia.