lunedì 13 febbraio 2023

Blonde (film di Andrew Dominik)

 

Tratto dall'omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, Blonde è un film bellissimo. 

Difficile isolare un solo elemento narrativo perché ce ne sono tanti. 

Il principale è lo scollamento tra l'identità di Norma Jean - una ragazza con un passato doloroso e traumatico, quindi immensamente fragile, alla disperata ricerca di una figura paterna che poi tenterà invano di trovare negli uomini con cui ha delle relazioni (sintomatico il fatto che li chiami tutti "Daddy") - e l'immagine pubblica della diva Marilyn, luminosa come una stella del firmamento, ma anche sola, proprio come le stelle. 

Gli elementi più belli del film sono altri a mio avviso, per esempio l'incapacità di Norma Jean a opporsi a ciò che le veniva chiesto di fare ed è in questa incapacità a dire no, o debolezza con cui lo dice, che poi si traduce in un'accondiscendenza esteriore, che si snoda il dramma più significativo; un dramma polisemico, dalle molteplici interpretazioni, un dramma secolare e generazionale, il dramma di tutte le donne: quello di essere usate dagli uomini, di essere sminuite nel non essere considerate nient'altro che corpi, madri e mogli o stelle di Hollywood. Allora forse questo tratto marcatissimo dell'incapacità di opporsi è innanzitutto l'incapacità della società di allora di ascoltare le donne, che però si traduce in inevitabile senso di colpa personale perché scambiata appunto per accondiscendenza. 

(Rircordate il MeToo?).

Norma Jean dice "no" tante volte, ma lo dice flebilmente, talmente flebilmente da non essere sentita. O si fa solo finta di non aver sentito?

Norma Jean viene usata dagli uomini, da Hollywood, dai suoi amanti, da chiunque. Spesso si riferisce a sé stessa come "a un pezzo di carne"  ("Non voglio essere un pezzo di carne", "Sono solo questo, dunque, un pezzo di carne fresca consegnata a domicilio?), viene svilita in ruoli cinematografici spesso frivoli ("Sono stanca di salire sul set per essere sminuita"), dove doveva interpretare solo la donna sexy e compiacente, magari un po' stupida, non viene presa sul serio ai provini, non viene minimamente considerata per la sua intelligenza, è solo un corpo che incarna il desiderio di ogni uomo, o meglio, un corpo dietro l'immagine patinata e costruita a tavolino per rappresentare proprio quei desideri lì. Persino Arthur Miller, che pure le riconosce cultura e intelligenza, la usa, usa le sue idee, le sue frasi pronunciate in privato e si compiace nell'esporla come Marilyn. 

Il destino di Norma Jean è il destino di tutte le donne dell'epoca, famose o meno. Chiamate a recitare dei ruoli prestabiliti dalla società, e poco importa che siano quelli domestici della brava moglie e mamma o quelli di una star di Hollywood.

L'ossessione di Norma Jean per il padre, quel "Daddy, Daddy, Daddy" che risuona come un mantra sulle sue labbra imbronciate è il segno di una precisa concezione della donna dell'epoca: donne fragili, bambine, bisognose di una figura maschile accanto che le guidi, che scelga e decida per loro (sottotesto: le donne non sanno cosa è giusto per loro).

A Norma Jean non è concesso affrancarsi da questo ruolo di bambina, infatti non le è concesso nemmeno essere madre e ogni volta che ci prova fallisce miseramente, per sfortuna o perché qualcosa di più grande di lei glielo impedisce. Soprattutto Marilyn non può essere madre perché deve continuare a essere il sogno proibito di ogni uomo, il sex symbol per antonomasia, l'attrice da cui spremere soldi, su cui guadagnare soldi a palate. 

Per la società del tempo non è previsto che il corpo di una stella si sformi e infatti non la vediamo mai con la pancia. 

"Dunque è per questo che ho ucciso il mio bambino?" dice, distrutta dal senso di colpa, mentre un pubblico in visibilio la seppellisce sotto uno scroscio di applausi.

Credo che il dramma di Norma Jean sia soprattutto in questo di scollamento, più che in quello della ragazza e la diva: nell'impossibilità di conciliare i suoi desideri più profondi (essere amata per quello che è, avere una famiglia, un bambino) con ciò che il mondo voleva che lei rappresentasse, il desiderio degli uomini. E dal senso di colpa che ne deriva per non riuscire a identificarsi pienamente con Marilyn e non riuscire a essere pienamente Norma. Ciò che vive appieno invece è la scissione, il turbamento, lo straniamento di una scissione che tiene a bada con gli psicofarmaci e l'alcol perché essere scissi è doloroso, è traumatico. 

Alla fine, preso atto di questa impossibilità a essere, Norma Jean stessa ha bisogno di Marilyn, capisce che data l'impossibilità di essere sé stessa non le rimane che la maschera e la invoca, la chiama, spera che arrivi, che non la deluda, che non la tradisca, che non la lasci sola perché è tutto quel che ha: "Entra nel cerchio di luce e portalo sempre con te". 

Gli ultimi minuti sono quanto di più struggente il cinema ci abbia regalato: muore sola. Vediamo il suo corpo dapprima illuminato da un raggio di sole, che piano piano, con il passare delle ore, svanisce. Vediamo il passaggio del tempo, dalle tiepide luci dell'alba, a quelle accese del primo pomeriggio, poi il tramonto e infine la notte. E  nessuno si accorge di lei. Nessuno sa che la stella si è spenta per sempre. Cosa può rappresentare meglio la solitudine di una donna che muore da sola in un appartamento e nessuno si accorge di lei?

Una menzione speciale alla fotografia, alle luci, che sono superlative e alle trovate estetiche che non sono mai estetizzanti, ma raccontano sottotesti importanti. 

Norma Jean è spesso in controluce, a rilevare la sua doppia identità. Sempre al centro dello schermo, come una stella, ma spesso dai primi piani la telecamera si allontana e si allarga sulle persone che la circondano, non di rado la folla e i fotografi o il pubblico di una sala cinematografica. Dunque lei diventa piccina piccina, sopraffatta, ma costretta a ridere, a essere Marilyn. Sintomatica la scena - una delle più belle - in cui arriva a un evento pubblico insieme a Miller e quando scende dall'auto si sforza di sorridere: intorno a lei bocche distorte, enormi, ghigni feroci, la folla che, letteralmente, la divora. 

Il dramma di essere Marilyn, dunque, ma soprattutto il dramma di essere donna e cioè di non riuscire a essere sé stessa, a Hollywood, come nella società del tempo. 

So che il film è candidato agli Oscar. Spero che vinca.