mercoledì 26 luglio 2023

Sul cambiamento climatico

 Oggi sono in vena di dispensare banalità ovvie, ma di cui a quanto pare c'è ancora bisogno. 

Dicono che i cambiamenti climatici ci sono sempre stati. Sì, ma nell'arco di migliaia di anni. 

Invece dall'industrializzazione in poi, in pratica da metà ottocento in su, diciamo, che già i treni a carbone inquinavano un casino, abbiamo ridotto il pianeta a una discarica a cielo aperto e contestualmente abbiamo pure distrutto tantissimo verde che serviva a far respirare la terra, accelerando quindi in modo incredibile questo cambiamento. 

Già nel Protocollo di Kyoto del 1997 si invitavano gli Stati e i governi a prendere provvedimenti. Non è una cosa che sappiamo da oggi.

Il Greenwashing non è il fine, come dicono gli ignoranti (non uso il termine complottista perché ormai è un'etichetta che chiunque riempie a modo proprio a seconda di quello che vuole dimostrare), ma semmai la causa del disastro, nel senso che ovviamente gli Stati capitalisti vogliono continuare a spremere il massimo con il minimo dispendio dando l'illusione che stiano facendo qualcosa (appunto il Greenwashing). Il greenwashing è semmai la toppa che vogliono mettere al disastro, un rimedio, una cura palliativa, quando è ovvio che servirebbe una rivoluzione radicale nelle pratiche e consumi. 

Leggete Ecocidio di Rifkin. Un testo interessantissimo che spiega in maniera articolata, ma comprensibile, i danni che diverse attività e pratiche umane (tra cui gli allevamenti, di ogni genere e no, il danno non si limita alla produzione di CO2, ma anche desertificazione e diboscamento) stanno facendo al pianeta.

Elkann e il fallimento della ricerca del tempo perduto

 Voglio dire la mia sul pezzo di Elkann e il suo viaggio in treno. 

Ecco, a parte la descrizione di sé stesso come la parodia di un riccone snob che mi ha fatto pensare a Mr Scrooge o a uno dei tanti personaggi classisti dickensiani, nel suo racconto c'è una sola cosa interessante dalla quale sarebbe potuta scaturire una riflessione di ben altro spessore e anche più interessante per tutti noi: il fatto che stia leggendo Alla ricerca del tempo perduto (e no, non è interessante sapere se fosse in francese o tradotto, o meglio, lo è come caratterizzazione ulteriore della parodia del suo personaggio, ci fa capire che ha studiato il francese, così bene da consentirgli di leggere in lingua originale, ma irrilevante ai fini di questa riflessione che si sarebbe potuta fare). Da questa menzione sarebbe potuta nascere una riflessione nostalgica e malinconica sul tempo che passa, e da qui, non da altro, il rancore verso le nuove generazioni, l'invidia forse per qualcosa che loro hanno e che lui invece ha perduto per sempre: la giovinezza. La giovinezza, Elkann, quella che ti fa sentire in capo al mondo, anzi, il re del mondo (anche se indossi solo un paio di Nike dozzinali e un cappellino da baseball sdrucito e a dispetto del tuo completo di lino firmato e della tua stilografica probabilmente vintage e costosa), quella densa di aspettative per la serata e gli incontri, quella dell'adrenalina per le infinite possibilità di un'estate, delle vacanze, di un viaggio.

La nostalgia di un mondo perduto che nemmeno la più evocativa delle madeleine ti restituirà mai, Elkann, perché se c'è una cosa che ci accomuna tutti, ricchi e poveri, è il tempo che ci sfugge, la sabbia del tempo di cui non ci resta nemmeno un granello tra le dita (come diceva Poe). E avresti potuto scrivere dello scontro generazionale, del bei vecchi tempi passati che ci sembrano sempre migliori, ma perché eravamo giovani e guardavamo al mondo dalla prospettiva delle infinite possibilità. 

Avresti potuto scrivere di questo. E invece, nonostante il tuo bel Proust in francese, edizione limitata, scommetto, ti sei fermato alla formalità delle apparenze e quello che ci ha restituito il tuo pezzo è solo una scialba fotografia del tuo snobismo e classismo. 

Per inciso: anche a me i giovani rumorosi danno fastidio, ma il punto, anzi, i punti, sono tanti altri.

sabato 22 luglio 2023

Non è un paese per donne, Parte 2

 Un altro femminicidio, solito schema, donna lascia il marito violento, violenza conclamata per cui si era anche beccato 8 mesi, fatto che a lui evidentemente era andato poco giù, come osi tu donna ribellarti e così inizia a perseguitarla, la minaccia, le dice io t'ammazzo, lei continua a denunciarlo, guardi che m'ammazza, ormai dovreste saperlo come vanno a finire queste storie visto che c'è un femminicidio ogni tre giorni, MA LE AUTORITÀ NON FANNO NIENTE, as usual, così lei ieri se lo trova davanti con una pistola, prova a fuggire, a raggiungere casa di un'amica, ma viene freddata prima che possa raggiungere il portone. Finisce così la vita di una donna, sull'asfalto rovente in una giornata di luglio. 

Per colpa di un uomo, sì, ma anche dello Stato che è al corrente del tasso altissimo di femminicidi (praticamente una costante: come detto, uno ogni 3 giorni), ma non fa nulla.

E se vai a denunciare uno perché ti stalkera, ti segue, ti minaccia, puoi anche ancora incappare nel paternalista di turno che ti dice: "Signorina, è colpa sua che ha dato confidenza all'uomo sbagliato, noi finché lei non giace in una pozza di sangue non possiamo fare nulla e anche dopo stia tranquilla che troveremo tutte le attenuanti del caso perché si sa che poverino era stressato, depresso, ferito, umiliato, poverino e tutti quello che desiderava era solo continuare a stare con lei, signorina, perché l'amava tanto, ma proprio tanto e tutto quello che lei avrebbe dovuto fare, signorina, era accontentarlo, farlo felice, restare con lui ché Un altro femminicidio, solito schema, donna lascia il marito violento, violenza conclamata per cui si era anche beccato 8 mesi, fatto che a lui evidentemente era andato poco giù, come osi tu donna ribellarti e così inizia a perseguitarla, la minaccia, le dice io t'ammazzo, lei continua a denunciarlo, guardi che m'ammazza, ormai dovreste saperlo come vanno a finire queste storie visto che c'è un femminicidio ogni tre giorni, MA LE AUTORITÀ NON FANNO NIENTE, as usual, così lei ieri se lo trova davanti con una pistola, prova a fuggire, a raggiungere casa di un'amica, ma viene freddata prima che possa raggiungere il portone. Finisce così la vita di una donna, sull'asfalto rovente in una giornata di luglio. 

Per colpa di un uomo, sì, ma anche dello Stato che è al corrente del tasso altissimo di femminicidi (praticamente una costante: come detto, uno ogni 3 giorni), ma non fa nulla.

E se vai a denunciare uno perché ti stalkera, ti segue, ti minaccia, puoi anche ancora incappare nel paternalista di turno che ti dice: "Signorina, è colpa sua che ha dato confidenza all'uomo sbagliato, noi finché lei non giace in una pozza di sangue non possiamo fare nulla e anche dopo stia tranquilla che troveremo tutte le attenuanti del caso  tanto l'avrebbe comunque corcata di botte, prima o poi, ma è così che va il mondo. Un consiglio, se rinasce, la prossima volta si metta con l'uomo giusto perché in definitiva, signorina, la colpa è sempre vostra".

Non è un paese per donne

 Ieri a Viterbo una donna di 30 anni è stata ricoverata in stato di shock, con ferite e abiti strappati, all'ospedale di Belcolle. Arrivata due giorni prima con il treno per andare a trovare un'amica, appena scesa è stata avvicinata da due uomini in una macchina, costretta a salire a forza, rapita e portata in un appartamento, dove è stata stuprata e picchiata per 48 ore.

Praticamente il peggior incubo che una donna possa immaginare. 

Lo scorso settembre un'altra donna è stata stuprata nei bagni della stazione di Orte. Era andata in bagno, quando ha aperto la porta per uscire si è trovata di fronte un uomo con i pantaloni slacciati e i genitali all'aria che l'ha rispinta all'interno. 

Un altro degli incubi di noi donne. Vi risparmio il racconto di quando, diversi anni fa, ho rischiato la stessa cosa in un locale, per fortuna il mio compagno si accorse di questo ragazzo che mi aveva seguita fino in bagno ed è stato scongiurato il peggio. Ma potrei raccontare tanti altri aneddoti: di molestie, catcalling, violenze scampate ecc. 

Ecco, prima di usare un termine orrendo come "nazifemminismo", conseguente a una falsa idea secondo cui noi donne avremmo già tutti i diritti e vorremmo prevaricare gli uomini, pensate a questo: al fatto che nessuna di noi si sente al sicuro quando viaggia, quando esce la sera, quando si trova su una strada isolata e vede arrivare una macchina, un uomo o più uomini, quando va in un bagno pubblico, entra in un garage o sottopassaggio di notte, attraversa un parco, va a correre su una strada fuori mano ecc. Il più delle volte non succede nulla, ma l'ansia, la paura, lo stress, quelli non mancano mai. E perché a volte è anche questione di fortuna. 

Non siamo nemmeno libere di ubriacarci perché significa comunque abbassare la guardia, e poi magari ti ritrovi nel letto di uno la mattina e giudici e vox popoli ti dicono pure che te la sei andata a cercare perché non sia mai che vedano il fatto che una sia ubriaca come impossibilità a dare il suo consenso e quindi un aggravante che qualcuno si sia approfittato di lei...

Per molti, troppi uomini, come testimoniano fatti recenti, siamo solo pezzi di carne su cui fare commenti di natura sessuale o, peggio, da usare. 

Vero, non tutti gli uomini sono stupratori, molestatori seriali o maschilisti, ma tutte noi abbiamo paura degli uomini. 

Giorni fa ho commentato sotto a un post che parlava dei cronisti Rai licenziati per aver espresso commenti maschilisti su delle nuotatrici, dicendo che hanno fatto bene a licenziarli perché sebbene il provvedimento non risolverà i tanti problemi di una società e cultura patriarcali, è pur sempre un segnale. Gli uomini devono capire che non possono più parlare delle donne in un certo modo. Non lo possono più fare. 

Sotto al mio commento è arrivato un tipo che ha espresso una rabbia e una violenza da far paura perché chi è maschilista e misogino ha paura di perdere il proprio privilegio e potere sessuale. Sì, sessuale, cioè di sesso, del sesso maschile su quello femminile. 

Ovviamente l'autore del post si è guardato bene dal rimuovere quel commento perché molti altri uomini, anche se non sono maschilisti, rimangono comunque solidali al sesso di appartenenza, acquiescenti, zitti. 

Oppure, nella migliore delle ipotesi, vengono a dirci cosa noi femministe dovremmo o non dovremmo fare, e persino per cosa dovremmo indignarci e per cosa dovremmo gioire perché "ci vorrebbe ben altro!", secondo loro, ché tanto le molestie, gli stupri e i femminicidi mica avvengono sulla loro pelle!

Ecco, noi non vogliamo uomini femministi, il femminismo è di noi donne per noi donne, noi vogliamo uomini che isolino e prendano le distanze e sanzionino e condannino la violenza maschile, e gli uomini che la mettono in pratica, nelle sue tante forme, da quella espressa tramite il linguaggio, a quella reale che avviene sui nostri corpi.


venerdì 14 luglio 2023

Coltiviamo l'antispecismo, non la carne

 

Foto di Veganzetta

Un mio articolo per Veganzetta sulla carne coltivata che analizza la questione da una prospettiva antispecista.

Nel dibattito sulla carne coltivata sembrano esserci solo due possibili risposte: favorevoli o contrari. Ogni narrazione alternativa, come quella proposta da Adriano Fragano in questo articolo viene presa come atto di lesa maestà, accompagnato dal ricatto morale: non ci pensi a tutte le vite che potresti salvare?

Eppure trattandosi di un’innovazione importante il discorso merita di essere approfondito sotto tantissimi aspetti, in particolare quello antispecista perché in quanto persone umane attiviste per la liberazione animale dovremmo innanzitutto avere non solo sempre presente l’obiettivo che ci prefiggiamo, ma anche essere in grado analizzare ogni campagna, progetto o invenzione alla luce di quest’ultimo.

In questo articolo vorrei provare a fare un discorso ampio in cui la carne coltivata non è tanto l’oggetto principale, semmai il pretesto.

L’antispecismo (analogamente all’anarchismo), non è una teoria finalizzata a riformare l’esistente – la nostra società, la politica, l’economia, il sistema culturale, simbolico e materiale, entro cui viviamo e di cui assorbiamo e interiorizziamo schemi di pensiero, di valori e morale –, ma a cambiarlo radicalmente.

Uno dei capisaldi del nostro attuale sistema è il dominio: sulla Natura in senso ampio, ossia i territori, le foreste, i fiumi, i mari, le montagne, ecc., le mappe geopolitiche (che vengono ridefinite continuamente in base a interessi economici o di controllo delle risorse) e su tutti i viventi del pianeta, in particolare le minoranze, i più fragili e soprattutto sugli altri Animali. Per giustificare questo dominio la nostra specie nel corso dei secoli ha elaborato ideologie diverse usando di volta in volta le narrazioni più efficaci in base al contesto: razzismo, specismo, sessismo, motivazioni economiche, equilibri politici, per citarne alcune.

Lo specismo, che è quello che ci interessa in questa trattazione, è appunto un’ideologia finalizzata a giustificare, normalizzare e naturalizzare il trattamento di assoluto dominio che riserviamo agli Animali di altre specie; la loro esclusione morale da cui ne consegue la definizione di un sistema di valori del vivente, gerarchico e autoreferenziale, o meglio, autoriferito. Dentro questo sistema specista prendono vita alcune vie di fuga che risultano però illusorie. E lo sono, non tanto perché non vanno dritte al punto, ma perché da questo punto ideale, che nel nostro caso è la liberazione animale (materiale e simbolica) deviano in maniera pericolosa; il problema infatti, metaforicamente parlando, non è il passo intermedio o la deviazione in sé, ma il tipo di deviazione o di strategia attuate.

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