domenica 29 settembre 2013

Brevissimamente (sulla dichiarazione di Guido Barilla)

Libertà di parola, non è libertà di esprimere commenti e pensieri discriminatori e offensivi.

(dedicato a quelli che difendono Guido Barilla; per la cronaca, parlare di una sedicente "famiglia tradizionale" da cui i gay sono esclusi, è una dichiarazione che discrimina ed esclude per l'appunto le famiglie non connotate "tradizionalmente"; ma, al di là del discriminare i gay, fatto gravissimo - ammesso che ai gay poi importi davvero di essere rappresentati dall'atmosfera melensa e finta degli spot Barilla - ciò che trovo veramente pericoloso è il fatto che si continui a veicolare e diffondere questo concetto di una "famiglia tradizionale" astorico e stereotipizzato. C'abbiamo già il Vaticano che ci pensa, possiamo fare a meno del pensiero del sig. Barilla? Grazie).

sabato 28 settembre 2013

Pensierino del sabato




Etica e politica. Farò un esempio per spiegare ancora una volta cosa penso quando dico che tutto deve partire dall'etica.

In questi giorni molti cittadini romani, me compresa, si stanno ribellando contro l'amministrazione che sta abbattendo alberi secolari e spianando interi parchetti per far spazio ai cantieri per i lavori della metro C.

L'afflato che ci ha mossi tutti è etico. Poi si è deciso di organizzarci politicamente con varie azioni e strategie (informare la collettività sullo scempio in atto, volantinare, bloccare i lavori, presentare esposti e denunce ecc.).
Ma senza quella spinta etica che ci porta a immaginare una società diversa e senza la determinazione nel credere che i contributi di tutti siano importanti, per quanto presi singolarmente possano apparire minimi e irrilevanti, non sarebbe stato possibile muoverci in alcuna direzione politca.

Per quanto concerne la liberazione animale, il veganismo è il primo passo di quell'intima ribellione che, insieme a concertate e studiate mille altre strategie politiche, potrebbe veramente cambiare il mondo.

E aggiungo che una politica senza etica non è proprio possibile, altrimenti diventa altro, diventa bieco affarismo.

Purtroppo si ha la tendenza a credere che le cose siano immodificabili e, qualsiasi iniziativa si intraprenda, destinate a restare uguali.

La storia invece ci insegna - ma non sui libri canonici, poiché in questi ultimi si dà solo e sempre rilievo alle rivoluzioni compiute con le armi, alle guerre ecc. - che quando le minoranze (di qualsiasi tipo siano, sparuto gruppetto di cittadini che sta lottando per una causa giusta o altro) prendono coscienza della loro forza e si organizzano in azioni nonviolente di disobbedienza civile, queste possano dare risultati significativi.
Il problema delle minoranze - e quindi di tutti noi singoli - è pensare che, essendo tautologicamente tali - si sarà sempre destinati a compiere azioni irrilevanti e a non esercitare nessuna influenza.

Ma il mondo non è un ente astratto, astorico, sovratemporale. Il mondo lo facciamo noi, diviene con noi. 

Capire questo è fondamentale perché se le cose rimangono invariate è proprio perché ci si arrende in partenza convinti che debbano restare invariate.

A Roma in questi giorni ci siamo mobilitati e qualcosa siamo riusciti a ottenere. Forse è tardi perché avremmo dovuto muoverci prima, ma che ci serva di lezione. 
Il potere è tale solo fino a che noi lo riconosciamo come tale, inchinandoci al suo cospetto. Ma una volta preso atto della nudità del re, non ci resta che metterlo da parte.

lunedì 23 settembre 2013

Di tronchi e tronchesi




"Quando l'ingiustizia diventa legge,
la resistenza diventa dovere"

(Bertolt Brecht)

Questa mattina ho assistito - ma non senza opporre resistenza nonviolenta - all'ennesimo scempio compiuto dall'amministrazione romana.

Questa la notizia (riportata dall'evento pubblico creato su FB):

Dopo la distruzione dello storico parco di via Sannio, cornice verde della basilica di San Giovanni ( coperto da vincolo paesaggistico), anche le alberature di di piazzale Ipponio sono state abbattute per fare spazio ai cantieri della Metro C. Si tratta già di decine di alberi secolari, polmone di tutta la zona, uccise per non toccare bancarelle e campi da calcio e da tennis di proprietà privata.
Se ai primi abbattimenti ha assistito impotente un piccolo gruppo di residenti contrari allo scempio, a piazzale Ipponio la protesta è cresciuta: il cantiere è stato occupato da una ventina di persone per due ore, 3 attiviste e un attivista si sono incatenati ad un albero fino a che la polizia non ha tagliato la catena con le tronchesi e costretto tutti ad uscire, mentre al di fuori della recinzione un gruppo sempre più nutrito di persone indignate gridava il proprio sdegno per quello che è stato definito blitz vandalico dell'amministrazione non solo contro l'ambiente, ma anche contro la democrazia.
Gli alberi della città sono un bene comune dal valore inestimabile, che non può essere devastato impunemente in barba alla salute dei romani, alla sopravvivenza degli animali che vi abitano ed alla bellezza della città eterna, in nome degli interessi dei soliti noti. 

Qui le foto della protesta e degli attivisti che si sono incatenati all'albero.
Domani 24 settembre, ore 18,00, assemblea pubblica nei giardini di Porta Metronia per discutere delle prossime azioni per fermare la strage di alberi per i lavori della metro C.
Chi è di Roma e può, per favore intervenga. Gli alberi sono un bene pubblico, ogni albero è un piccolo ecosistema, ospita insetti, uccelli, fornisce ossigeno, dà riparo e ombra. Una città senza verde è una città che muore.  
Il disturbo del deficit di natura colpisce sempre più spesso i bambini e gli adulti costretti a vivere in spazi invasi dal cemento.
Quello di cui non riesco a capacitarmi è pensare a quante decine e decine di anni ci son voluti per far crescere un albero, un albero che ora era divenuto praticamente un piccolo ecosistema a sé stante, ospitante insetti, uccelli, larve e altre specie animali, capace di offrire ombra e ossigeno, beneficio per gli occhi; e a quanto poco ci è voluto per vederlo andar giù, ormai distrutto per sempre.
La noncuranza e la totale incoscienza con cui si compiono certi atti irreparabili penso che sia quanto di peggiore possa esistere al mondo.

E un'altra cosa che mi ha colpito è vedere come la maggior parte delle persone che stamattina si sono trovate a passare di lì procedesse oltre nella fretta automizzata dell'andare a lavoro. Ma si può nascere e vivere restando incatenati per sempre a un ruolo che il sistema ha stabilito per noi: produrre e consumare, produrre e consumare, produrre e consumare? 
Tutto il resto vissuto in un totale obnubilamento della coscienza e dei sensi.

mercoledì 18 settembre 2013

Orgoglio macellaio




Dicono di avere abolito i sacrifici animali!

Soltanto il rito hanno abolito: li sterminano ininterrottamente, illimitatamente, senza bisogno: il sacerdote si è fatto industria


(Guido Ceronetti - Il silenzio del corpo)



Non c'è niente di peggio del voler provare a rivestire di una patina "culta" la barbarie dello sfruttamento e sterminio degli animali.

Ma forse dovremmo gioirne: è il sistema che sta reagendo, che ancora una volta sta tentando di "normalizzare" l'orrore istituzionalizzato. 

Come sempre è la semplice squallida logica del marketing che va in onda, travestita da pornografica spettacolarità.

lunedì 16 settembre 2013

Specismo in pillole




Si trova un animale ferito: la natura fa il suo corso, lasciamo fare alla natura ecc..

Non ne posso più di sentire questa espressione rivelatrice di tutto lo specismo e l'antrocentrismo di cui siamo capaci.

Se ad esseri feriti fossimo noi? O anche il "nostro" cane/gatto? Diremmo la stessa cosa?

Lo specismo non è soltato quell'ideologia che giustifica e legittima lo sfruttamento istituzionalizzato, ma esso si manifesta anche ogni qualvolta riserviamo una diversa considerazione morale agli animali non umani. Ad esempio quando troviamo un animale ferito in natura e passiamo oltre, senza soccorrerlo, senza intervenire.

Un animale ferito e sofferente, anche in mezzo a un bosco, è comunque un animale ferito e sofferente. Non è che soffre di meno perché sta in mezzo alla natura.

Antispecismo è anche sfatare il più falso dei miti: ossia che la natura sia questo luogo idilliaco in cui tutti gli animali conducono una vita meravigliosa, senza mai soffrire, senza mai avere incidenti di alcun tipo ecc..

Antispecismo è sfatare quell'altro mito, falsissimo, secondo cui noi non dovremmo mai intervenire nella natura, neppure per soccorrere un animale in pericolo, nemmeno per dare una chance in più a chi si trova svantaggiato nella lotta per la sopravvivenza.

Noi interveniamo continuamente nella natura, lo facciamo quasi sempre in maniera distruttiva e devastante, se almeno per una volta abbiamo la possibilità di intervenire per il meglio, prestando soccorso a un animale in pericolo, perché passare oltre? 

Non c'è nessuna ragione per non spendere qualche minuto del nostro tempo nell'aiutare un animale in difficoltà, se non l'adeguamento a una cultura antropocentrica che non ha più alcun fondamento logico, se non il mantenimento delle giustificazioni funzionali all'oppressione e sopraffazione degli altri animali e di chi, di volta in volta, viene associato ad essi.

giovedì 12 settembre 2013

Questione di prospettive

Da un po' di giorni sono inspiegabilmente felice.

Forse ho imparato a osservare la mia vita dall'esterno, con distacco e partecipazione insieme, e così facendo mi sono resa conto che non ho motivi di cui lamentarmi. Non che non abbia problemi, intendiamoci, li ho e anche abbastanza consistenti e significativi, ma credo che il lamentarsi e piangersi addosso sia la caratteristica precipua di chi non riesce ad alzare gli occhi oltre il proprio ombelico.
Solo chi è esclusivamente concentrato su sé stesso è perennemente infelice. Chi riconduce ogni cosa, ogni evento, ogni fatto e sensazione a sé stesso per forza di cose rimane in balia di ogni minima variazione e per questo sempre agitato, sempre scosso, sempre in tensione, mai sereno.

Smania di controllo degli eventi, termometro sulle proprie sensazioni sono tutti meccanismi che impediscono e offuscano la meraviglia dell'accadere, dell'esistere.

Se capiamo che tutto ciò che accade è sintomo dello stupore del vivere, anche l'ansia, la paura, il panico si trasformano magicamente in sensazioni da lasciar fluire liberamente. Non malattia, ma espressione dello stupore per la vita che ci colpisce.

Basterebbe immaginare come ci vedono gli altri - che sovente apprezzano di noi ciò cui nemmeno facciamo più caso per abitudine - per rendersi conto che la felicità è davvero una questione di prospettive.

mercoledì 11 settembre 2013

The dark side




Quando si parla di una certa attitudine al dominio connaturata alla specie umana, si viene accusati di essere misantropi. Non che ci sia qualcosa di male nell'esserlo, purtuttavia le cose non sono così semplici e al solito le etichette e le definizioni risultano molto strette. Cosa vuol dire misantropo? Letteralmente, ossia secondo l'etimologia originaria, significa colui che odia gli uomini.
Ora mi pare ovvio che parlando di attitudine al dominio e alla sopraffazione l'odio c'entri come i cavoli a merenda, ma tant'è. Non è tanto questione di odiare e odiarsi infatti, quanto di prendere atto di alcune nostre caratteristiche, riconoscerle come proprie, quindi accettarle, per poi provare a superarle insieme.
Fingere che non ci sia un lato oscuro nella nostra specie di cui prendere consapevolezza, significa restare per sempre nel cono d’ombra dello stesso; al contrario, è solo illuminandolo - facendone emergere le contraddizioni e risaltandone tutto ciò che ci disturba e ferisce il nostro orgoglio e amor proprio di specie - che potremo iniziare un percorso per affrancarcene.

Quello che a me pare evidente è che tale predisposizione al dominio, alla sopraffazione, alla violenza sui più deboli non è solo frutto del sistema sociale in cui ci si viene a trovare, ma ha radici più profonde che pertengono proprio alla maniera in cui noi ci siamo evoluti.

Se è vero, come sostengono l'antropologia biologica, la neurobiologia, la psicologia e altre scienze, che il cervello è plastico e si modifica col tempo in base alle azioni che ripetiamo - così come i suoi schemi, dinamiche e meccanismi cognitivi - mi pare ovvio che dopo millenni di devastazione e conquista del pianeta e dei suoi abitanti, animali umani e non, abbiamo interiorizzato questa attitudine così tanto da farne una reale caratteristica della nostra specie.
Ovunque l'uomo ha messo piede nel pianeta ha conquistato, distrutto, ucciso, modificato, alterato, dominato, violentato, sfruttato, schiavizzato. Senza risparmiare nulla e nessuno, né i suoi stessi simili appartenenti alla sua specie, né i nostri fratelli animali appartenenti alle altre, né la vegetazione, né i mari, né le montagne, nulla, nemmeno l’aria che respira.
Non ha avuto rispetto per nulla. Nemmeno per sé stesso e per i suoi stessi figli.
Ora, può essere che tutto ciò un tempo sia stato l'effetto di una qualche organizzazione sociale sbagliata, ma poiché questi effetti si sono protratti nei secoli, ormai tale vocazione al dominio ci è divenuta peculiare.
Ma questo non significa che non sia possibile – e proprio perché il nostro cervello e i nostri comportamenti sono modificabili nel tempo – fare un passo indietro e riuscire a far emergere e coltivare l’altra caratteristiche che pure ci appartiene e che è divenuta predominante in molti di noi: l’empatia. Se non credessi che ciò fosse possibile non sarei qui a scrivere, non mi impegnerei così tanto nelle tematiche e problematiche connesse alla liberazione animale. Per questo sostengo che parlare di misantropia sia fuorviante, non odio la mia specie infatti, solo ne riconosco il terribile lato oscuro.

Il primo passo da fare quindi è riconoscere che siamo specie dominatrice e votata alla sopraffazione dei deboli, e lo siamo ormai a prescindere dal sistema in cui ci veniamo a trovare. Riconoscendo questo, che non è misantropia, ma accettazione e riflessione su CHI siamo, potremo anche finalmente cominciare a elaborare una nuova idea di civiltà, quella che Rifkin chiama “dell’empatia”.

lunedì 9 settembre 2013

Ma poi c'è anche questo

E questa è l'altra faccia dello sfruttamento animale, quella in cui l'orrore è lavato via e rimane la speranza.


Dall'allevamento al frigo


Se tu che mi stai leggendo consideri "normale" mangiare animali e derivati, allora dovresti avere il coraggio di guardare la "normalità" di ciò che accade dietro le quinte.

Si tratta di scene di ordinaria amministrazione: nulla di più e nulla di meno di quello che quotidianamente avviene negli allevamenti e mattatoi di tutto il mondo. 

Buona visione!

domenica 8 settembre 2013

Io sono il maiale che viene ucciso: ripartire dal dolore degli animali




Il mio punto di partenza è che la sofferenza animale non è relativizzabile e che il dolore degli animali è oggettivo. Partendo da qui, si capisce come si possa formulare un'etica oggettiva (per approfondimenti in merito leggasi "Il maiale non fa la rivoluzione" di Leonardo Caffo, il quale ha messo nero su bianco e teorizzato tutto ciò su cui io penso sia necessario riflettere per poter parlare di liberazione animale).
Il dolore degli animali va messo al centro di ogni discorso perché continuando a eluderlo si riduce il tutto a uno scambio dialettico tra me e l'altro, ove il vero soggetto in gioco, l'animale - perché in definitiva è della sua vita e morte che stiamo discettando - viene messo da parte ancora una volta. Certo che ho la pretesa di dire cosa sia giusto e cosa sbagliato perché esistono indubbiamente azioni sbagliate: far soffrire, sfruttare, uccidere altri esseri senzienti è sbagliato. Se ci mettiamo a relativizzare pure questo, allora che ci stiamo a fare? E non si tratta di essere moralisti o di aggredire le persone, bensì di svelare loro la realtà dello sfruttamento animale, legittimando l'urgenza e la specificità della nostra battaglia; una battaglia che, in quanto a importanza, non è secondaria a nessun'altra perché, ditemi, cosa ci può essere di più grave del fatto che vengono sistematicamente fatti a pezzi 50 miliardi di esseri senzienti all'anno e solo per l'industria alimentare?

Mi pare assurdo che quando si tratti di tragedie umane allora si sia disposti a condannare, senza se e senza ma, fatti, idee, massacri, stermini e ideologie che riteniamo assolutamente sbagliate (il fascismo, il nazismo, le guerre ecc.), mentre quando si tratta degli animali ancora una volta, persino noi che ci fregiamo del titolo di antispecisti, siamo disposti a barattare, dialogare, confrontarci su un piano dialettico, relegando nuovamente sullo sfondo gli animali e la loro sofferenza.

Il nostro compito è quello di puntare il riflettore sulla tragedia dello sfruttamento degli animali e di certo non è sminuendo la portata della sua ingiustizia che faremo un passo avanti.

Io sono il maiale che viene ucciso. Non apro bocca per esprimere le mie personali prese di posizione, ma per il maiale che soffre e sanguina.

Una volta capito questo, si capisce anche la radicalità della nostra battaglia.

Si dimentica troppo spesso che i veri soggetti implicati nella liberazione animale sono gli animali stessi (noi siamo solo dei portavoce, degli intermediari) e si continua a discutere dialetticamente come se entrambe le posizioni - quelle di chi opprime e quelle di chi difende gli oppressi - fossero valide e legittime.

È questo che trovo assurdo. Il vivisettore NON ha ragione. La sua posizione non è giustificabile, non è valida, non è accettabile, non è difendibile.

Che poi, se solo capissimo che siamo tutti fatti della stessa sostanza... non dei sogni, come diceva qualcuno, ma invece di carne, sangue, nervi e con la stessa voglia di vivere e paura di morire, forse ci renderemmo conto che l'ideologia dell'antropocentrismo non ha alcun senso, è solo una finzione.

Nasciamo, vogliamo vivere, siamo destinati a morire. Capito questo, perché aggiungere altra sofferenza, altro dolore, e sfruttamento e miseria e meschinità?

Le cose sono semplici, più semplici di quello che appaiono. Per questo servono poche parole, pochi discorsi, ma chiari e lucidi. E convinti, perdinci.