lunedì 24 febbraio 2014

Anni ottanta


L'altra sera ho rivisto un classico degli anni ottanta: "Ritorno al futuro" di Zemeckis, autore peraltro di quel capolavoro senza tempo che è "Contact" e mi è sembrato che ci fosse un'ingenuità in quegli anni che abbiamo perduto. Peraltro è abbastanza sconcertante vedere poi il resto della trilogia in cui i protagonisti vanno nel futuro fino ai giorni nostri, a questi attuali, immaginandosi cose che non si sono avverate. Un po' fa sorridere, un po' mette tristezza. Quante potenzialità sprecate...
In questo sta l'ingenuità... penso, ma non solo, proverò a spiegare meglio. 
Quello che secondo me abbiamo perduto è l'allegria, la leggerezza e li abbiamo soppiantati con una specie di cinismo, ma saltando a piè pari la fase della consapevolezza. Il risultato è un'amarezza che però non deriva dalla maturità, quanto piuttosto da una specie di atteggiamento, di posa, che è finzione all'ennesima potenza. 
In quegli anni, negli anni ottanta, tutto era giocoso, persino il vestire, le acconciature, la musica, ma era autentico, aveva una sua autenticità che oggi è del tutto svanita; eppure da una parte non posso non pensare che tutta quella smania intorno all'apparire, cominciata proprio allora e poi aumentata esponenzialmente negli anni novanta (American Psycho di Bret Easton Ellis, così come Less than zero, sempre suo, sono due romanzi che esprimono pienamente l'apoteosi e al tempo stesso il disagio di questo passaggio, la perdita dell'autenticità per scivolare nell'autorappresentazione di sé stessi totalmente svuotata di ogni contenuto) sia stata l'inizio della fine.
Così oggi mi ritrovo a guardare gli anni ottanta con un misto di rimpianto e di rabbia insieme. 
Sarà un caso che siano stati anche gli anni della mia adolescenza? 
Non so quanto questa riflessione possa essere condivisibile anche da altri o riguardi in fondo solo me, ma proprio per questo l'ho scritta qui.

venerdì 21 febbraio 2014

Lady of Shalot


Amo i Preraffaeliti e questo di Waterhouse è uno dei dipinti che preferisco; si tratta di The Lady of Shalot, tratto dall'omonimo poema romantico di Tennyson. La leggenda narra di questa donna che vive in una torre sull'isola di Shalot, nei pressi di un fiume, vicino a Camelot (il castello di Re artù), vittima di una maledizione: se guarderà direttamente verso Camelot morirà, così non le rimane che osservare la realtà solo attraverso uno specchio, per poi riportare ciò che vede su una tela. Un giorno però, vedendo Lancillotto, sempre attraverso lo specchio, si rende conto di quanto la sua esistenza, passata a osservare il mondo solo attraverso le immagini riflesse e mai vissuta pienamente, sia vuota, inutile e priva di stimoli, quindi, stanca della sua condizione, decide di uscire dalla torre e di dirigersi verso Camelot; ma così facendo, anche incontro alla morte. 
La barca approda sulle rive del castello quando il suo corpo è già freddo; accanto, la tela su cui aveva tessuto la vita riflessa nello specchio.
Il dipinto di Waterhouse ce la restituisce appunto nel momento in cui lei si avvia verso Camelot attraverso il fiume. Lo sguardo determinato di chi sta andando incontro al proprio destino.
L'attimo di un destino particolare così fissato sulla tela diviene al tempo stesso paradigmatico di ogni destino perché il viaggio verso la morte è implicito nel vivere.

(In questi giorni in esposizione a Roma al Chiostro del Bramante).

mercoledì 19 febbraio 2014

Quel linguaggio ornamentale che nasconde l'indicibile


Nel prossimo fine settimana a Roma si terrà un’esposizione di animali vivi dal titolo “Animal Live Show”. Di mostre feline e canine ce ne sono ogni anno, ma questa volta l’evento è stato parecchio pubblicizzato perché nei padiglioni della nuova Fiera della capitale sarà possibile “ammirare” non solo razze più prestigiose di cani e gatti, ma anche tanti altri animali appartenenti a specie selvatiche, esotiche e persino uccelli. Presenti ovviamente tutti gli allevatori che su tale esposizione lucreranno un bel po’.
La riflessione che vorrei fare però non riguarda tanto l’evento in sé – nulla di diverso rispetto alle tristi esposizioni permanenti negli zoo, o a quelle ambulanti dei circhi, che condanniamo senza se e senza ma – quanto il linguaggio usato dagli organizzatori per promuovere il tutto.
Riporto volentieri un estratto dal sito: “Martin Luther King aveva un sogno: la vita migliora e non poco, coltivando sogni! Il nostro è stato sempre quello di suscitare il rispetto verso il mondo degli animali e questo rispetto non può che nascere dalla conoscenza; nel nostro paese poca è la conoscenza e troppo poco è il rispetto! Eppure ogni animale su questa terra possiede un fascino inimmaginabile per chi guarda senza saper vedere. Nasce in noi il desiderio di condividere con gli altri la voglia di scoprire, di vedere, di sapere e talvolta, molto spesso di amare gli animali e le storie che essi ci raccontano. Questa esposizione ne vuole raccontare alcune e vuole chiamare l’attenzione su quanto c’è da scoprire, magari assieme anche nelle edizioni successive che con il vostro aiuto vorremo realizzare.
Il percorso degli uccelli veri gioielli della natura ci inviterà ad alzare gli occhi al cielo.
Ci avvicineremo ai nostri parenti più prossimi: i mammiferi gli animali più evoluti, che ci hanno regalato amici insostituibili che hanno accompagnato il cammino dell’uomo come i gatti ed il simbolo dell’amicizia e fedeltà: il cane.
Ma non vogliamo trascurare animali che appaiono lontani e per questo non meno interessanti: gli invertebrati. Gli animali comunicano con la loro diversità, con il fascino che molti scopriranno.
La mia prima reazione è stata di indignazione: come osano questi parlare di rispetto degli animali e di invito a conoscere la diversità promuovendo al contempo il solito avvilente spettacolo dell’indiscusso dominio dell’uomo sugli animali in cui questi ultimi, al di là delle belle parole usate, continuano a venire considerati e trattati come oggetti?
L’unica vera maniera per conoscere gli altri animali è quella di osservarli liberi nel loro habitat e non allineati in una fiera – rinchiusi dentro gabbie o legati su trespoli - in cui vengono esposti come fenomeni da baraccone.
La parole usate dagli organizzatori sono una mistificazione totale: “Il percorso degli uccelli veri gioielli della natura ci inviterà ad alzare gli occhi al cielo.” Al cielo? I volatili sono prigionieri all’interno del padiglione della fiera, rinchiusi in voliere, più o meno grandi, comunque di certo impossibilitati a volare liberi nel cielo.
Addirittura hanno scomodato Martin Luther King...

Continua su Gallinae in Fabula.

martedì 18 febbraio 2014

Mi spiace


Mi spiace di non aver passato più tempo con voi quando avrei potuto, mi spiace di non avervi fatto uscire giù nel cortile ogni volta che lo chiedevate, mi spiace di non aver sempre avuto voglia di giocare, mi spiace di non avervi comprato sempre la vostra pappa preferita, mi spiace di avervi "tormentato" negli ultimi tempi facendovi prendere medicine a forza e disturbandovi dal vostro sonnellino - sempre più lungo - per mettervi i colliri negli occhietti belli, mi spiace di avervi strillato qualche volta quando facevate certe birichinate, mi spiace di non avervi sempre donato tutte le attenzioni che chiedevate, mi spiace di non essere stata in grado di dispensarvi dal dolore e dalle malattie, mi spiace di avervi insegnato molto meno di quanto voi abbiate insegnato a me, mi spiace che mi abbiate vista a volte triste, depressa o scontrosa (ma non per causa vostra, certamente, ché voi mi davate solo gioia), mi spiace che a volte mi sono lamentata perché dovevo pulirvi la lettiera e non mi andava, anche se poi alla fine lo facevo sempre con amore, seppure oggettivamente fosse un lavoro un po' antipatico, mi spiace che abbiate visto la neve solo una volta nella vostra vita, mi spiace che questa primavera che è ormai alle porte ve la siate persa, mi spiace che non abbiate mai visto il mare, mi spiace che non vi possiate più bagnare di pioggia, mi spiace che non possiate più odorare l'aria che sa di sole in estate, mi spiace che non possiate più sciogliere il vostro sguardo nel rosso di un tramonto, mi spiace che non possiate più guardare la luna con fare curioso, mi spiace proprio davvero tanto che ve ne siate andati così presto, così giovani, così belli, così buoni, così innocenti. 
Ciao Emily e Blake.

lunedì 17 febbraio 2014

Terzo anniversario del blog e una breve considerazione sul potere salvifico della letteratura

Sono giorni molto difficili per me, nel giro di una settimana ho perso due gatti, oltre a Blake, se n'è andata anche la piccola Emily, apparentemente per la stessa malattia. Si suppone fortemente che avessero contratto la FIP, una malattia infettiva che, come tutti i gattari sanno, dal momento in cui diviene sintomatica non lascia scampo. La percentuale dei gatti che si ammala di FIP e muore entro un mese è del cento per cento. 
Per cui, oltre al dolore incommensurabile, sono anche molto angosciata e preoccupata per la sorte di tutti gli altri che quasi sicuramente hanno già contratto il virus, ma non è detto - e spero fortemente che sia così - che si ammalino. 
Mi sento di conseguenza molto lontana da tutto e tutti, ma cerco di farmi forza e di continuare a coltivare i miei interessi. 
Il 14, venerdì scorso, erano tre anni dall'apertura di questo blog. Non avevo voglia (era proprio il giorno in cui Emily è morta) di scrivere un post per festeggiare, ma lo faccio oggi. 
Poiché quando sono particolarmente giù l'unica attività che veramente è capace di distrarmi e di risollevarmi un poco lo spirito rimane la letteratura (sarà pure un luogo comune, ma io a ragion veduta sento di poter dire che mi ha salvata tantissime volte e che su di me esercita un potere medicamentoso e lenitivo del dolore), vorrei festeggiare oggi, anche se con qualche giorno di ritardo, la nascita del blog parlando del libro che sto leggendo e aggiungendo qualche considerazione sulla letteratura in genere. 
Si chiama Tiger, Tiger, scritto da Margaux Fragoso ed è una storia vera. 
Il tema è scabroso e molto triste. Parla della sua relazione con un pedofilo - che lei conobbe quando aveva sette anni, mentre lui era già cinquantunenne - durata ben quindici anni e terminata con il suicidio dell'uomo. 
Da ragazzina circuita e sedotta ad amante consenziente, seppure sottomessa. 
Mi ha incuriosita perché in copertina è riportato un giudizio positivo di Alice Sebold, conosciuta per il bel romanzo dal titolo Amabili resti da cui Peter Jackson ha tratto un film, ma che aveva esordito con una storia autobiografica e non meno tragica di quella della Fragoso, raccontata in Lucky (la storia ripercorre il terribile episodio del suo stupro, quando era ancora adolescente, e poi il trauma degli anni a seguire, l'identificazione dello stupratore e quindi il processo ecc.). 
Ciò che rende Lucky della Sebold un'opera di letteratura, mentre non si può dire altrettanto di quella della Fragoso - per quanto in entrambe l'atto dello scrivere sia stato finalizzato ad affrontare, lenire e curare un vissuto drammatico - è proprio la capacità di astrarre dal proprio dato autobiografico per tendere a un universale in cui il lettore sente di potersi in qualche modo riconoscere. 
Io credo che le vicende personali e i romanzi autobiografici in generale interessino poco se non anche paradigmatici di una condizione universale. Persino la morbosità che potrebbe portare a scegliere letture come quelle sopra indicate, è indice comunque di un voler sbirciare nell'altro accadimenti, sentimenti, perversioni, emozioni che comunque sia, in quanto umani, appartengono, seppure in maniera infinitesimale, a tutti (e quindi è riconoscibile un processo di astrazione o immedesimazione). Nella vittima e carnefice, seppure simbolicamente, alla fine si riconosce ognuno di noi. Ma tanto più una lettura sarà efficace, quanto più la storia diviene appunto simbolica di altro, di un qualcos'altro entro cui ogni lettore - per quanto abbia fatto esperienze del tutto lontane e diverse da quelle raccontate dallo scrittore o scrittrice - potrà ricondurre il proprio orizzonte interpretativo, quale esso sia.
Io penso che un bravo scrittore possa riuscire a rendere interessante qualsiasi storia o piccolo evento autobiografico purché appunto sappia connotarlo di quell'astrattezza necessaria a renderlo polisemantico. Che è esattamente ciò che manca, almeno fino al punto in cui sono arrivata, al libro della Fragoso (e che invece apparteneva a Open di Agassi, di cui ho parlato qui o al succitato Lucky della Sebold).
Un vero peccato avere sotto mano un materiale così incandescente come quello narrato in Tiger, Tiger e non riuscire a plasmarne gli elementi in un tutto alchemico capace di trasformare il fatto di cronaca in opera di letteratura. 
I fatti si susseguono in maniera quasi automatica, a tratti noiosa (specialmente nella prima parte in cui descrive i rituali delle loro giornate) e ciò è un peccato perché comunque la prosa è buona, la capacità descrittiva eccellente. Quel che manca è il mordente, le atmosfere e soprattutto l'elaborazione del dato vissuto. L'esperienza non diventa riflessione e quindi non aggiunge spessore alcuno al racconto. 
Non so se nella seconda parte, che ho iniziato da poco, ci sarà qualche progresso in questo senso, ma d'altronde siamo già a metà libro e se anche decollasse, sarebbe per un brevissimo volo, cosa che quindi non cambierebbe di molto il giudizio complessivo. 
Tornando al potere salvifico della letteratura, indubbiamente l'atto dello scrivere in sé, specie se autobiografico, ha una valenza enorme in questo senso; però la letteratura diventa tale pure per chi legge solo quando in qualche modo il percorso mentale dell'autore si sovrappone a tratti - simbolicamente o metaforicamente - a quello di chi legge.

giovedì 13 febbraio 2014

Dont' be sorry


C'è stato un tempo in cui volevo tanto diventare vegetariana, ma non trovavo mai il momento giusto per decidermi. Rimandavo, rimandavo e mi pascevo del mio senso di colpa ogni volta che con la forchetta infilzavo un pezzo di un animale morto.
Una sera, ormai son passati diversi anni, mi trovavo a cena con una ragazza che era già vegetariana, io mi complimentai con lei e poi mi ordinai un piatto di spaghetti con le vongole. 
Lei non mi disse nulla.
Quando il cameriere portò il piatto cominciai a mangiare e dopo un po' sentii il bisogno di esprimere il mio solito senso di colpa ad alta voce.
Fu solo allora che questa ragazza si pronunciò e mi disse una cosa tanto semplice e banale, quanto profonda e vera: "non sentirti in colpa perché gli animali del tuo senso di colpa non sanno che farsene. Se pensi che sia sbagliato mangiarli, smetti di farlo, semplicemente. Altrimenti è perfettamente inutile che tu ti colpevolizzi così".

C'è stato un insieme di ragioni, di incontri, di conversazioni, di letture, di esperienze fatti nel tempo che mi hanno portata a diventare dapprima vegetariana, poi vegana, infine attivista per la liberazione animale, ma sicuramente quel dialogo tra me e quella ragazza avvenuto in quel ristorante è stato tra i più decisivi e illuminanti.


venerdì 7 febbraio 2014

A Blake


Ogni animale è un individuo unico al mondo con cui si instaura una relazione unica al mondo. E in fondo se sono diventata antispecista lo devo anche a te, Blake, perché mi hai fatto capire meglio di altri il valore di ogni singolarità vivente.
Chissà, forse ci siamo incontrati per questo. Oltre a tutto l'amore che ci siamo dati.
Te ne sei andato troppo presto, ieri sera ho ripercorso con la mente tanti ricordi di momenti vissuti insieme, a partire da quel singolo irripetibile istante in cui i nostri occhi si sono incrociati e mi sembra che il tempo che abbiamo avuto a disposizione sia stato troppo breve, che non ti abbia potuto dimostrare a sufficienza quanto ti amavo e che, sapendolo, avrei potuto far tesoro di attimi che sono invece andati perduti nell'oblio. 
Tu sei sempre stato un po' speciale, lo dicevano tutti, e non solo perché eri bellissimo (l'aspetto esteriore conta davvero poco), ma proprio perché avevi un qualcosa che rendeva subito manifesta la tua bontà, affettuosità, pazienza, saggezza felina. Eri un gatto riflessivo, calmo, tranquillo, elegante e orgoglioso. Buono, sì, ma sapevi anche farti rispettare. Infatti nessuno degli altri di casa ha mai osato sfidarti più di tanto, ma se accadeva, tu, troppo signore, senza metterti a discutere o a litigare, cedevi volentieri il posto, ben sapendo che tanto, nel mio cuore, quel posticino speciale che avevi nessun altro l'avrebbe mai occupato.
Certo, io immaginavo che saremmo invecchiati insieme e mi domandavo spesso come saresti diventato, se avresti perso un po' del tuo splendore o se, fino alla fine, avresti mantenuto le sembianze da cucciolone. 
E poi è successo che malauguratamente ti sei ammalato e sei invecchiato tutto insieme: nel giro di poche settimane sei diventato il fantasma di te stesso, pur senza perdere la tua grazia. Anche barcollante, pelle ossa, col pelo arruffato, eri sempre tu. 
Quei due occhioni belli come due stelle si sono spenti, non vedevi quasi più nulla, ma lo stesso hai continuato a rivolgerli verso di me quando ti chiamavo, quasi fino all'ultimo. Non dimenticherò mai lo strazio di quando ci siamo accorti che eri diventato quasi totalmente cieco. Ho sentito la tua paura e mi dispiace, mi dispiace immensamente non essere riuscita a spiegarti cosa ti stava accadendo.  
Hai smesso di chiamarmi con quella tua vocetta così dolce, ma, credimi Blake, la sento ancora dentro di me. 
Tu facevi sempre una cosa bellissima: avevi capito che i baci sono segni d'affetto nel linguaggio di noi animali umani e avevi imparato a rispondermi con una leccatina sul mento. Negli ultimi giorni non avevi più la forza nemmeno di fare le fusa, ma lo stesso, quando ti baciavo sulla testolina, avvicinavi il musetto al mio viso per farmi capire, con quel gesto, che stavi ricambiando il mio, anche se meno platealmente perché proprio di più non riuscivi a fare.
Te ne sei andato comunque serenamente, almeno negli ultimi istanti, addormentandoti tra le mie carezze. 
Credimi Blake, auguro a me stessa una morte dolce quanto la tua. 
Stranamente, non avverto quel vuoto che immaginavo, ti sento ancora qui, ancora presente, in ogni dove. 
Mi sembra di sentire la tua vocetta e mi aspetto di vederti saltare sulle mie gambe da un momento all'altro.
Ieri sera, quando sono andata a dormire, mi è sembrato di vederti precedermi, come facevi sempre, per prendere posto sul letto e farci un po' di coccole. E stamattina mi è sembrato strano non vederti salire sul tavolo nell'attesa della colazione. 
So che quel vuoto arriverà, ma so anche che quel vuoto che sentirò non è il nulla, ma la tua presenza che si fa ricordo vivo dentro di me.
So che non morirai mai, finché anche io ci sarò. 
Mentre del dopo, nessuno sa, sospesi tra dubbio e speranza del rivederci ancora.
L'esistenza forse non ha un senso, ma la morte sì perché ci insegna a vivere meglio, ad apprezzare e valorizzare ogni momento trascorso accanto a chi amiamo.
Poi sembrerà sempre che non sarà stato mai abbastanza, ma almeno ci avremo provato.
Blake, se ti stessi chiedendo dove sei adesso, non aver paura, sei in un posto sicuro: per sempre nel mio cuore.
E non voglio dimenticare, per quanto il dolore della tua perdita adesso sia straziante, che migliaia di animali muoiono ogni giorno, persino in questo momento e solo a pochi è concesso di andarsene senza soffrire, tra braccia amate, come hai potuto tu. 

lunedì 3 febbraio 2014

Giorno infausto per il cinema


La giornata che si è appena conclusa (mentre sto scrivendo è passata da poco la mezzanotte) è stata veramente infausta per il cinema: è morto Philip Seymour Hoffman, attore straordinario e versatile che ha interpretato ruoli memorabili in film memorabili; ne cito giusto qualcuno: la triade andersoniana composta da Boogie Nights, Magnolia e The Master, poi Il dubbio, Onora il padre e la madre, Truman Capote. 
A concludere il tutto vengo a sapere tramite un sms inviatomi da mia cugina che Lynch è stato ospite da Fazio. 
La prima notizia mi addolora molto, la seconda mi fa veramente cadere le braccia.
Ma Lynch, ma come ti sei ridotto? Ospite da quell'antipatico, insulso, bon ton e politically correct di Fazio? 
A parlare - mi riferiscono sempre tramite sms - dopo il siparietto della Littizzetto?