domenica 30 maggio 2021

Piazza di Siena: manifestazione dello specismo

 

Oggi a Villa Borghese c'è Piazza di Siena, una manifestazione equestre, così dicono.

In pratica si tratta di cavalli schiavizzati e domati costretti a esibirsi con in sella il loro padrone (qui il termine padrone ha senso perché di questo si tratta: se sei schiavo devi avere per forza un padrone).

La gente tutta contenta, felice, esultante, guai anche solo a dirgli che i cavalli non si dovrebbero sfruttare, scherzi, son nati per quello, gli piace, loro adorano saltare ostacoli, replicare posizioni forzate, camminare in un certo modo, obbedire obbedire obbedire... E guai se sbagli, cavallino bello, liscio, spazzolato, lavato per allietare gli occhi del pubblico, guai se non rispondi come si deve, frustrate sui fianchi a non finire perché l'esercizio richiede perfezione, del resto, tu, cavallo, libero non lo sei mai stato, sei nato e subito hai dovuto imparare quanto costa guadagnarti il fieno, sei costato così tanto, purosangue di razza specifica, figlio di, nato lì, di proprietà del tuo primo padrone che ti chiama amico, ma lo sei finché farai il compito per cui sei nato, finché renderai, e sappi che se per caso ti farai male, cosa abbastanza frequente, o se non risponderai come si deve perché sei stanco o perché un giorno ti prende il ghiribizzo di correre più piano o più veloce, insomma, al ritmo tuo, senza quelle briglie a frenarti o accelerarti, allora sarai punito, o venduto, a far lo schiavo in un maneggio, o chissà dove, passando di mano in mano di altri padroni. Ma nessuno di loro ti vedrà per quel che sei, un individuo che vorrebbe essere libero. Tutti studieranno, leggeranno, si informeranno, sapranno tutto su come domarti, su come farti correre più forte, su come far risplendere il tuo pelo al sole, su come farti crescere robusto e sano, ma nessuno ti vedrà mai veramente. 

Quanta sofferenza celata, camuffata, quanto specismo invisibile, quanta banalità del male agita indisturbata davanti agli occhi di tante brave persone.

Guarda, guarda il cavallino come salta... Batti le mani, bambino, il cavallino è contento, è felice. 

Il doppio addestramento comincia in tenera età, da una parte i cavalli domati senza pietà, dall'altra i bambini educati al dominio.

Oggi a Villa Borghese va in scena una delle manifestazioni più plateali e paradigmatiche dello specismo: invisibile, naturalizzata, perfino romanticizzata.

venerdì 28 maggio 2021

Gli animali nel cinema

 



Visto che in questo blog ho parlato spesso di cinema, vi riporto un estratto del mio libro, in particolare il capitolo dedicato agli animali nell'arte, cinema e letteratura in cui sommariamente si parla dell'uso, simbolico o reale che sia, degli animali nel cinema. Di come sono narrati, mostrati, raccontati. 

"In The Elephant Man di David Lynch (1980), il protagonista affetto da una malattia che gli causa la crescita anomale di cellule, tessuti, ossa e tumori, viene di fatto paragonato e trattato come un animale, esibito negli spettacoli e rifiutato dalla società civile. Nella scena alla stazione in cui fugge da un gruppo di persone che lo stava inseguendo, accusandolo ingiustamente di aver colpito un bambina (in realtà l’aveva semplicemente urtata mentre tentava di allontanarsi da altri ragazzini che lo stavano bullizzando), urla disperato: “io non sono un animale!!! Sono un essere umano!!!”. Un’espressione come questa, come abbiamo visto a proposito del linguaggio, rimarca e rafforza la distanza ontologica che la nostra specie percepisce nei confronti degli altri animali, di fatto giustificandone un diverso trattamento poiché implicitamente sottolinea il fatto che gli animali si possono trattare male, picchiare, esibire, possedere, mentre gli esseri umani vanno rispettati. John Merrick urla la propria appartenenza al genere umano e quindi pretende il rispetto, il riconoscimento di uno status morale superiore. E di fatto, alla fine del film, lo otterrà perché proverà di possedere quelle qualità morali che appartengono al genere umano, nonostante il suo aspetto mostruoso. Gli altri animali appartengono ai regni inferiori, sono pura materia, dotati di solo istinto. Difficile che il cinema ne dia una rappresentazione diversa, poiché anche quando si tratta di specie amiche dell’uomo come cani, gatti, delfini, cavalli, questi rimangono pur sempre oggetti di proprietà, inferiori, strumentalizzati, usati. I pets nei film muoiono o addirittura vengono uccisi per sbaglio e si ricomprano per non far piangere il bambino; i pesci rossi vengono mostrati dentro acquari e bocce di vetro, chiamati per nome e vezzeggiati, gli uccellini in gabbiette, idem per quanto riguarda topolini e criceti. Nelle pellicole comiche non è raro vedere scene di violenza sugli animali (cani lanciati dalla finestra, pesci gettati nello scarico del water, gatti investiti), salvo poi dichiarare nei titoli di coda che era per finzione. Sì, ma intanto si comunica qualcosa di importante, ossia che pesci rossi, cani e gatti si possono comprare nei negozi e che se muoiono si rimpiazzano, come fossero oggetti. Di recente ho visto un film intitolato “28 giorni” con Sandra Bullock: diretto da Betty Thomas, affronta il tema della tossicodipendenza e dell’alcolismo. A un certo punto il terapeuta dice ai ricoverati presso una struttura di recupero di attendere prima di avere una relazione affettiva poiché un eventuale fallimento potrebbe farli ricadere in uno stato depressivo. Quindi gli consiglia, una volta usciti, di prendere una pianta e un pet (animale domestico) e se dopo un anno questi sono ancora vivi, vorrà dire che i pazienti saranno guariti, e in grado di prendersi cura di loro stessi e degli altri, quindi pronti per iniziare una relazione. Il riferimento al pet è esemplificativo del poco valore che attribuiamo persino a quelle specie che consideriamo amiche dell’uomo. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di dire: adotta un neonato e vedi se dopo un anno è ancora vivo. Ma con un cane o gatto si può fare il test di guarigione. Tanto se muore non è poi così grave."

Pagg. 84 - 85 - 86, dal capitolo intitolato Gli animali nell'arte, cinema, letteratura" del libro Ma le pecore sognano lame elettriche pubblicato da Marco Saya Editore.

giovedì 27 maggio 2021

Lo specismo è invisibile

 

Noi antispecisti ci focalizziamo soprattutto sullo sfruttamento degli animali cosiddetti "da reddito".

Eppure lo specismo non comincia e non finisce lì.

Rendiamoci conto che là fuori c'è tantissima gente che ancora abbandona cani e gatti appena nati dentro i cassonetti, o anche cani e gatti adulti semplicemente perché deve andare in vacanza, gente che porta i figli allo zoo, nei delfinari, che assiste senza batter ciglio mentre i figli prendono a calci i piccioni, danno fuoco alle formiche o prelevano piccoli animali marini per metterli dentro al secchiello, gente che compra conigli e pesci rossi come fossero caramelle e altrettanto velocemente li getta nel cestino dei rifiuti quando si è stancata di doverli accudire, gente che per trascorrere una bella giornata in mezzo alla natura va a pesca o a caccia, gente che va a cavallo e costringe i cavalli ad esibirsi compiendo esercizi contro la loro natura (in questi giorni a Villa Borghese c'è Piazza di Siena, per dire... ). Potrei fare decine di altri esempi, ma penso che abbiate capito che la questione non riguarda semplicemente i modi in cui usiamo alcune specie per nutrircene, il loro impatto sul pianeta, ma il modo in cui trattiamo e pensiamo l'animalità in generale, l'altra animalità, quella che respingiamo da noi stessi dopo averla connotata negativamente per definire la nostra identità di umani. 

Lo specismo è ovunque ed è invisibile. 

E non è parlando di salute e impatto ambientale che lo mettiamo in discussione.

Una delle prove, semmai ce ne fosse stato bisogno, che l'uso degli argomenti indiretti si rivela fallimentare come strategia nella lotta antispecista l'abbiamo avuta negli ultimi anni: si è molto insistito sul cambiamento climatico e l'impatto ambientale degli allevamenti, così come sulle zoonosi che causano epidemie e che si riscontrano negli allevamenti. 

Eppure non mi pare che si sia modificata di una virgola la concezione degli animali, anzi, è persino aumentato il consumo dei pesci a fronte delle richieste di sushi.

Stessa cosa per i discorsi incentrati sul famigerato concetto del "benessere animale": il neo-welfarismo in ambito animalista attira molti consensi perché non mette in discussione l'idea di allevare, sfruttare, uccidere e consumare gli animali, ma rassicura le persone convincendole che siano comunque trattati bene, rispettati ecc. In più garantisce anche un "prodotto finale" migliore e un minore impatto ambientale. Mette d'accordo tutti.
Così il riduzionismo che fa capo al diabolico pensiero "se tutti mangiassimo meno carne, ci sarebbero meno animali uccisi", come se il problema fosse nel numero e non nel modo di vedere, pensare, usare gli animali.

Foto trovata in rete.

sabato 22 maggio 2021

Il cambiamento culturale lo fai tu

 Molte persone sarebbero anche contrarie a supportare alcune forme di sfruttamento degli animali (per sfruttamento si intende il semplice uso, a prescindere dalle modalità), ma si adagiano nell'attesa di un cambiamento culturale a venire. 

Pensano: se domani i delfinari e gli zoo venissero chiusi sarei contenta, ma nel frattempo che io ci vada o meno non fa la differenza; oppure, se venisse abolita l'industria della carne mi adatterei e diventerei vegano, ma nel frattempo...

Ecco, queste persone non hanno capito una cosa fondamentale e cioè che il cambiamento culturale siamo noi, parte da noi, non possiamo aspettarcelo dall'alto perché in alto, nel sistema capitalista in cui viviamo, c'è sempre l'interesse a mercificare il vivente, a trarre profitto da chi si trova in un rapporto di forza svantaggiato. E se tu non fai scelte diverse, allora sei dalla parte di chi agisce la forza, il potere, il dominio sugli altri animali. 

Il cambiamento culturale lo facciamo noi. Non dobbiamo aspettare che siano altri a farlo per noi. 

Se pensiamo che usare e uccidere gli animali sia ingiusto, dobbiamo agire di conseguenza e comportarci in accordo ai nostri valori morali.

Stesso discorso per quanto riguarda l'azione diretta. Molti dicono: "ci vorrebbero gli ALF" (vabbè, intanto magari sarebbe utile andarsi a informare su cosa significhi ALF, le origini del gruppo, il suo significato, cosa propugna, come si è evoluto nel tempo), oppure, "ma gli animalisti dove sono, cosa fanno?". 

Se pensate che un animale sia in difficoltà, se volete agire, se avete abbastanza sensibilità da indignarvi per il trattamento che subiscono gli animali, allora gli animalisti siete voi e gli ALF potete essere voi.


giovedì 13 maggio 2021

Lo specismo è più in salute che mai

 La nuova frontiera dello specismo è il riduzionismo. 

Mette d'accordo tutti. Si aiuta l'ambiente, il pianeta, la salute, placa i sensi di colpa. Ora al discorso dell'ambiente e della salute si è aggiunto anche quello della pandemia. Mangia green per prevenire altre epidemie. Mangia green per salvare il pianeta. Mangia green per salvare la specie umana. I nuovi slogan. 

Gli altri animali continuano a restare oggetti, presenti sul piatto come ingredienti - e ovunque come oggetti sacrificabili, come simboli, qualsiasi cosa - ma invisibili come individui. 

Gli effetti di un uso massiccio degli argomenti indiretti. 

Ovvio che laddove non si propugni l'antispecismo, tutto si riduca a ricette vegetali da alternare a quelle tradizionali; così pensiamo di fare la nostra parte, di essere etici, responsabili, attenti   semplicemente introducendo più ricette vegetali nella nostra dieta, ma continuando a non vedere i referenti assenti tutte le altre volte e soprattutto senza che la gerarchia di valore dei viventi subisca la benché minima alterazione o scossone. Gli altri animali continuano a restare l'alterità negativa rispetto a noi. Le bestie, gli irrazionali, gli stupidi, i sacrificabili (che sia per la ricerca o perché ci danno fastidio quando camminiamo nei boschi o perché, semplicemente, possiamo farlo), quelli che si possono uccidere impunemente, scacciare, usare, sfruttare, spremere, rinchiudere, imprigionare, deridere, guardare come inferiori.

domenica 9 maggio 2021

Maternità e infanzia negate

 


"Negli allevamenti, a seconda delle razze, sono sfruttate sia per il latte, che per la lana. I piccoli vengono uccisi perché la carne di agnello è molto richiesta e non soltanto nei periodi di Pasqua e Natale. 

I cuccioli vengono sottratti alle madri quando hanno poche settimane. Come nell’episodio al mattatoio che ho raccontato poco sopra, ovviamente belano disperati per chiamare la mamma. Ogni pecora riconosce, tra tutti gli altri, il belato del proprio cucciolo. Se avessero la possibilità di crescere insieme  rimarrebbero legati per tutta la vita. Gli agnellini chiamano una mamma che non verrà. Al suo posto, troveranno la lama gelida del macellaio.

Le pecore allevate per il latte, esattamente come le mucche, vengono munte fino allo sfinimento. Le loro mammelle si deformano a causa della mungitura continua. Quando la produzione di latte cala, anche loro vengono mandate al macello.

Una vita votata alla sofferenza: separazione dai cuccioli, sfruttamento, uccisione nei mattatoi."

Tratto da "Ma le pecore sognano lame elettriche?" - pag. 132 - pubblicato da Marco Saya Editore.

Nella foto: Greta e sua figlia Marilù, liberate e rifugiate presso il Rifugio La Tana del Bianconiglio.

venerdì 7 maggio 2021

Ospite virtuale di Progetto Vivere Vegan

 Progetto Vivere Vegan ODV, associazione che da anni si occupa di diffondere il veganismo secondo i principi antispecisti, mi ha chiesto di parlare del mio libro. Opportunità che ho accettato con molta gratitudine. 

Nel 2008, con una vaga coscienza animalista e l’idea di diventare vegetariana in un futuro imprecisato, mi imbattei in un libro che avrebbe avuto un ruolo determinante nella mia formazione antispecista. Quel libro era “I diritti animali” di Tom Regan e mi convinse di due cose: una, che non avevo assolutamente più scuse per continuare a mangiare gli animali o usufruire dei prodotti derivati dalla loro uccisione e sfruttamento; due, che questa decisione non riguardava me soltanto, ossia, non era una mia scelta personale, ma diventava una presa di posizione contro uno sterminio di proporzioni gigantesche e non soltanto per numeri e modalità, ma soprattutto poiché invisibile, cioè non riconosciuto come tale, ma naturalizzato, normalizzato, legittimato socialmente e legalizzato.


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giovedì 6 maggio 2021

Lo sguardo dei maiali

 

"Qualche anno fa sono entrata in un allevamento di maiali. Era inverno e freddo, ma all’interno della struttura ci saranno stati più di 30 gradi. L’odore è stata la prima cosa che mi ha colpito. L’odore e il calore sprigionato dai corpi. Queste strutture assomigliano molto ai lager nazisti, sono concepite architettonicamente più o meno allo stesso modo. Corridoi in mezzo e stanzoni ai lati - con barriere, delle specie di vasche di cemento – pieni di maiali.

L’odore è forte perché gli animali vivono lì dentro per tutto il tempo. Mangiano, urinano e defecano nello stesso vascone. Hanno ferite aperte, tumori, malattie. Tra loro vivono anche topolini, scarafaggi e altre creature. Talvolta un topolino che corre sui bordi di queste vasche rappresenta un diversivo, una forma di intrattenimento per i più piccoli, che, come tutti i bambini, vorrebbero giocare.

Quando ti vedono, si spaventano. Si ammucchiano tutti insieme in un angolo. Poi qualcuno, curioso (lì dentro non succede mai niente, ogni novità rappresenta quindi un momento di svago), si avvicina. E ti guarda.

Resistere allo sguardo dei maiali è difficile e straziante. Perché loro ti vedono, ti osservano, ti scrutano, ti interrogano. La loro muta domanda ti mostra ciò che sei, ciò che fai. La disperazione che provano è il riflesso del tuo potere su di loro."

Un estratto dal libro: "Ma le pecore sognano lame elettriche?" pubblicato da Marco Saya Editore - pag. 136-137.


Foto: We Animals Media.

mercoledì 5 maggio 2021

Appropriazione terminologica

 Per rassicurare i consumatori sempre più attività (ristorazione, aziende che sfruttano direttamente gli animali, allevamenti di vario genere ecc.) si appropriano, letteralmente, di termini svuotati del loro significato originario.

In home mi compare la pagina di un'attività di ristorazione  che offre ai clienti tartare di daino, specificando che trattasi di carni ottenute nel rispetto del benessere animale, a filiera corta perché loro ci tengono all'etica, all'equità ecc. 

Purtroppo concetti quali "benessere animale" e "filiera corta" servono a mantenere e rafforzare lo specismo poiché non suggeriscono minimamente l'idea che si possa abbandonare l'uso degli animali, ma anzi, lo ripropongono in tutta la sua orribile normalità dopo avergli dato una mano di vernice, una ripulitina, diciamo così.

L'attenzione è ovviamente tutta rivolta ai clienti, ai consumatori, che così possono mangiare "carni" più buone, migliori, non trattate da antibiotici o ormoni, di animali che secondo loro sono vissuti felici, nel pieno rispetto del loro benessere. 

Animali sempre visti come cose, come prodotti da consumare, come esseri inferiori la cui esistenza è funzionale all'uso che la nostra specie vorrà farne, che sia il sollazzo di cacciatori, il guadagno di allevatori e ristoratori, o il piacere di clienti che vorranno mangiarne le carni trasformate in manicaretti alla moda. 

Animali che contano meno di noi, meno di tutto, numeri rinnovabili all'infinito, chiamati, semplicemente, "selvaggina". 

Ogni volta che ci soffermiamo a rimarcare la differenza tra intensivo ed estensivo, che citiamo il rispetto di norme del benessere animale o che parliamo di impatto ambientale o ancora di antibiotici, stiamo rafforzando implicitamente lo specismo.

sabato 1 maggio 2021

1° maggio, festa del lavoro

 


1° maggio, festa del lavoro.

Ricordiamo però che là fuori ci sono individui schiavizzati e oppressi, usati, martoriati, uccisi, consumati. 

E che alcuni lavori non sono lavori perché implicano un esercizio continuo di violenza su questi individui. 

Essere antispecisti significa vedere la cose dalla prospettiva degli oppressi, delle vittime, quindi è importante non spostare il focus da quello che subiscono i loro corpi al discorso della scelta di chi ne consuma i corpi o di chi sarebbe costretto dalle circostanze a lavorare dentro i mattatoi. 

Gli operai potranno essere persone sfruttate, ma gli animali sono letteralmente divorati. 

L'ipocrisia maggiore comunque è messa in atto dai mandanti, da chi non si sporcherebbe mai le mani dentro un mattatoio, ma vuole tranquillamente accedere al "prodotto finito". 

Bisogna riflettere sulla dissonanza cognitiva della maggior parte delle persone, far leva sul momentaneo senso di colpa che sembra provare nel momento in cui afferma che sì, si dispiace per tutti quegli animali che vanno a morire, ma poi continua a trovare giustificazioni assurde e insensate per continuare come sempre, senza far seguire al senso di colpa un cambiamento delle proprie abitudini. 

A nessuno piace pensarsi come persona che fa del male agli animali, eppure continuando a mangiarli e a usarli si è parte di quel sistema che ne violenta i corpi e si continua a normalizzare l'idea che non ci sia niente di sbagliato nel farlo.

La cosa più importante è combattere lo specismo che è alla base di tutti questi discorsi, ossia è fondamentale smantellare il sistema di valori specista che fa credere alle persone che ci siano cose più importanti cui pensare rimandando il discorso sulla questione animale a un futuro imprecisato, lontano nel tempo. Le vite degli altri animali contano quanto la nostra, hanno un valore intrinseco non prescindibile dall'utilità di nessun altro.

Gli altri animali non esistono sul pianeta terra per noi, non sono schiavi al nostro servizio e se ci dichiariamo libertari, progressisti, per il rispetto degli altri, dobbiamo ricercare la coerenza nei nostri discorsi e far seguire scelte e fatti alle parole.

Foto di: © Tomas Castelazo, www.tomascastelazo.com

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