domenica 31 ottobre 2021

Lo specismo su FB

 Lo specismo non è soltanto l'esclusione degli altri animali dalla nostra considerazione morale, ma è proprio la frattura profonda tra l'umanità e il resto dell'animalità: è un'assegnazione di diverso valore a tutto discapito del secondo insieme; diverso valore che viene continuamente rimarcato e rinnovato.

Ad esempio, noto che FB ha modificato alcune impostazioni riguardo la segnalazione per incitamento all'odio, spiegando che: "Rimuoviamo solo i contenuti che attaccato direttamente le persone in base a determinate caratteristiche protette. Gli attacchi diretti includono ad esempio:

Incitamento alla violenza o alla disumanizzazione

Ad esempio, paragonare tutte le persone di una determinata razza a insetti o animali"

Soffermiamoci sull'ultima frase: "paragonare tutte le persone di una determinata razza a insetti o animali".

Questa frase presuppone e indica implicitamente che gli insetti e gli animali in generale siano un termine di paragone negativo, un'offesa, un insulto. 

Perché? Perché gli animali e gli insetti sono considerati esseri inferiori, sono ontologicamente inferiori. 

Questo è lo specismo. Non soltanto l'oppressione che subiscono gli altri animali, non soltanto la discriminazione in base alla specie, ma proprio la dichiarazione (del tutto irrazionale, peraltro, cioè basata su assunti che abbiamo assimilato come veri e che riteniamo veri senza bisogno di dimostrazione) di uno status ontologico di inferiorità.

Ripensare il modo in cui definiamo gli altri animali è uno dei compiti fondamentali dell'antispecismo.

giovedì 28 ottobre 2021

(Ri)Considerazioni sul nostro rapporto con gli animali

 Ho risposto ad alcune domande sul mio libro e in generale sul nostro rapporto con gli altri animali per La Gallina Commedia, sito che prende il nome dal libro omonimo di Debora Fabietti, che è anche la curatrice di questa mini intervista.

Vi posto l'inizio, come faccio di solito, e poi se volete proseguire nella lettura potete andare al link indicato.


Come nasce l'idea per 'Ma le pecore sognano lame elettriche?' e di cosa parla?

L’idea del libro è nata dall’esigenza di mettere insieme tante riflessioni fatte nel corso di oltre dieci anni di attivismo e di studio dell’antispecismo. Ho sempre scritto articoli incentrati su argomenti specifici e ho pensato che fosse utile raccoglierli in un testo unico che affrontasse le varie problematiche della questione animale; inoltre mi premeva trattare alcuni punti su cui c’è molta confusione, per esempio il veganismo o il dibattuto tema del cosiddetto benessere animale, come anche quello dell’uso degli argomenti indiretti.  

Il libro parla dello specismo, ossia spiega cosa sia questa forma di ideologia invisibile - invisibile perché normalizzata e interiorizzata - che definisce il nostro rapporto con gli altri animali.  

Quando parliamo dell’oppressione di cui gli animali sono vittime spesso mettiamo in discussione solo gli aspetti più evidenti, ossia la sofferenza, i maltrattamenti, il dolore, quindi ci concentriamo sulle varie modalità di allevamento o di uccisione, ma non ci poniamo la domanda principale, ossia se sia giusto che le altre specie debbano essere al nostro servizio. Non ce lo chiediamo perché l’idea che abbiamo degli altri animali e che abbiamo interiorizzato è sempre stata quella di pensarli, immaginarli, nominarli, rappresentarli in funzione della nostra specie e comunque asserviti a precise funzioni (mucca da latte, vitello da carne, animali da compagnia, gallina ovaiola, cavallo da corsa, topi da laboratorio ecc.).  

È molto difficile opporsi a queste idee e credenze - in generale a questa visione del mondo assolutamente antropocentrica e antropocentrata - in quanto sono e sono state funzionali alla costruzione della nostra identità di umani e al concetto di umanità: ossia, noi ci definiamo tanto più umani quanto più ci distanziamo da questa idea di animalità che rappresentiamo in negativo rispetto a noi. Così l’animalità, l’animale, è il luogo di tutto ciò che vorremmo allontanare da noi (l’irrazionalità, la malvagità, il bruto istinto, l’ignoranza, la stupidità, la sporcizia, la mostruosità ecc.). Per connotare qualcuno negativamente si dice “sei un animale”, oppure più in dettaglio “sei stupido come una capra”, “sei un pecorone”, “sei un lurido porco” e via dicendo. Nel libro infatti ho parlato anche del linguaggio e delle espressioni linguistiche che abbiamo fatto nostre senza davvero chiederci cosa abbiano di vero e che però, nel ripeterle, rafforzano e definiscono in continuazione lo specismo in una sorta di cortocircuito continuo che si può spezzare solo appunto mettendoci in discussione come specie.

Perché trova sia importante sensibilizzare un numero sempre maggiore di persone su certe tematiche? Qual è l'attuale rapporto fra esseri umani ed animali? Quale, secondo lei, è la causa di tale visione e cosa andrebbe modificato?

Prosegue qui.

mercoledì 27 ottobre 2021

Dal pascolo a casa tua

 

Passando ovviamente dal mattatoio, ma questo non lo dicono.

"Un prodotto che rispetta l'ambiente e il benessere animale"

Il bi-pensiero funziona perché è funzionale a rassicurare senza doversi far carico dell' impegno di fare scelte diverse e senza l'assunzione di responsabilità delle proprie azioni. 

In più scoraggia i singoli che magari, se non fossero costantemente rassicurati sull'eticità del "prodotto che rispetta ambiente e benessere animale", forse inizierebbero a pensare in modo diverso anziché dire "Tanto per ora non intendo diventare vegano, ma almeno compro carne di animali trattati bene". 

Poi notate l'incongruenza tra il termine "prodotto" e "benessere animale". Da una parte sono prodotti, dall'altra animali che possono morire ma devono essere trattati bene. 

L'invisibilità di questa incongruenza, ossia ciò che ne rende possibile la tacita accettazione senza che se ne rilevi criticità alcuna, è ovviamente l'effetto dello specismo: ideologia invisibile, interiorizzata e normalizzata secondo cui gli animali sono prodotti, nascono per diventarlo, vengono fatti riprodurre costantemente per diventare altro, carne, scarpe, vestiti, materiale su cui testare prodotti ecc. e persino feticci su cui riversare sentimenti narcisistici di possesso.

martedì 26 ottobre 2021

Save the Date!

 

Ciao, sono Henriette e vi volevo dire che sabato 30 Ottobre, alle ore 17,00, la mia compagna umana parlerà di un libro che ha scritto per aiutare tutti i miei fratelli animali di specie diversa. 

Dove ne parlerà? Al VEGAN STORE di Roma. 

Poi il primo novembre andrà anche a Firenze per il World Vegan Day organizzato da Progetto Vivere Vegan ODV a  parlare di una cosa stupida come il benessere animale insieme ad altri attivisti, stupida perché noi animali non abbiamo bisogno di leggi per essere sfruttati o uccisi in modo diverso, ma chiediamo semplicemente di poter vivere le nostre vite in pace. 

E prossimamente questo libro andrà anche in un'altra città per un altro evento importante, ma di questo vi dirò un'altra volta. Per cui, come si dice sui social, Stay Tuned! 

Ciao ciao amici umani, vi aspettiamo.


lunedì 18 ottobre 2021

Ricorrenze

 

Domani sono due anni che è morto mio padre. Questo significa che il 18 ottobre di due anni fa è stata l'ultima volta che ci ho parlato. Al telefono, per l'esattezza.

E purtroppo non è stata una bella telefonata. Ci siamo lasciati male, o meglio, lui ha riattaccato frettolosamente e arrabbiato, o meglio, deluso, perché voleva che io l'indomani andassi a trovarlo e invece gli avevo detto che non potevo, che sarei andata il sabato, cioè due giorni dopo.

Nella mia testa questo fatto è un macigno enorme perché mi sono convinta che sia stato a causa di questa arrabbiatura se poi durante la notte ha avuto un infarto ed è stramazzato a terra. O meglio, una parte di me si è raccontata questa verità. E con questa verità ci faccio i conti da due anni e probabilmente per il resto della mia vita.

Non scrivo questa cosa molto personale, forse la cosa più personale che abbia mai scritto su un social, per farmi compatire o perché spero che voi mi diciate "Ma no, non è stata colpa tua" perché io questo, razionalmente, già lo so.

Perché l'altra verità, una verità molto più oggettiva, razionale e sensata, è che mio padre aveva la bronchite ostruttiva cronica, aveva bisogno dell'ossigeno per respirare, aveva già avuto un infarto una decina di anni prima, era stato un grosso fumatore, aveva l'asma e l'enfisema polmonare sin da quando era bambino. In più aveva 81 anni e ridotto così era chiaro che prima o poi il cuore gli avrebbe ceduto. Forse l'arrabbiatura glielo ha fatto cedere prima, forse sarebbe morto lo stesso quella notte, ma, ed è questa la cosa che più mi fa male, se io avessi acconsentito alla sua richiesta di andare a trovarlo, almeno sarebbe morto sereno, contento, felice. Invece è morto pensando "Quella stronza di mia figlia non ha tempo per venire a trovare il suo povero padre malandato". E questo è vero: per quanto gli volessi bene, non avevo mai tempo, sempre presa da tante cose, gli animali in primis. 

Infatti mi diceva: tu pensi più agli animali che ai tuoi genitori anziani.

Quando morì mia madre, lei nel 2015, io dopo una settimana ho partecipato con NOmattatoio a un festival vegano. Per dire... Nella mia vita non c'era tempo nemmeno per il lutto. Che sarà mai la perdita di una madre a fronte dei milioni di animali che muoiono ogni giorno? Pare che concedersi il dolore personale sia sottovalutare la tragedia degli animali. Ma questa è un'altra storia. 

Poi so anche che c'è un'altra verità ancora e che cioè, in definitiva, quello che i genitori pensano di noi è stato costruito nell'arco di una vita e focalizzarsi sull'ultima volta in cui ci siamo parlati, sulle parole che ci siamo detti in quell'ultima telefonata è non soltanto inutile, ma anche sbagliato. E penso pure che i miei genitori alla fine avessero capito l'importanza della questione animale. Il perché totalizzasse la mia vita, il mio tempo. 

Tornando a mio padre, sì, vero, quella sera, l'ultima sera, ci siamo salutati male. Ma tante altre sere, innumerevoli sere, ci siamo salutati bene. E ci siamo fatti tante belle chiacchierate negli anni, di politica, di tante cose, anche di antispecismo. 

Io e mio padre eravamo molto in sintonia, così in sintonia che potevamo anche stare ore intere vicini senza parlare. Ricordo l'estate del 2004, un'estate in cui io e lui la mattina ci alzavamo presto e andavamo al mare. Ci facevamo quasi due ore di macchina per raggiungere il litorale toscano, quello che ci piaceva di più e che poi era quello dove era nata mia madre. 

In macchina ascoltavamo la musica, il radiogiornale, commentavamo le notizie, poi sulla spiaggia prendevamo due lettini, l'ombrellone, lui leggeva il giornale, io un libro, prendevamo il sole, andavamo a pranzo nel ristorante sulla spiaggia, insomma, ci trattavamo bene. 

Quelli sono dei bei ricordi. Ricordi che hanno soppiantato anche i brutti perché poi non è che i rapporti con lui fossero sempre stati facili. Sì, eravamo in sintonia come caratteri, ma ci scontravamo parecchio nel vissuto quotidiano e quando era più giovane era stato molto autoritario. Però ecco, io mio padre voglio ricordarlo in quelle mattine dell'estate del 2004. Perché quello era un rapporto maturo che finalmente avevamo conquistato.

E così voglio sperare che lui, in quegli ultimi attimi prima di morire, abbia fatto lo stesso. Mi abbia ricordata come in quelle mattine e non come nell'ultima telefonata.

Penso che fosse abbastanza orgoglioso di me negli ultimi tempi.

Sono sicura che mi volesse bene.


giovedì 7 ottobre 2021

Il diritto alla rabbia

 Rivendico il diritto alla rabbia.

Diversi anni fa scrissi un articolo in cui dichiaravo che rivendicavo il diritto al sentimento nei confronti negli animali respingendo l'accusa di essere giudicata pato-sensibile o sentimentale. Ovviamente intendevo il sentimento di giustizia, di empatia, di riconoscimento dell'altro in quanto individuo con un valore di vita inerente e non funzionale al reddito o all'uso. Non il sentimentalismo, non l'amore zoofilo per alcune specie trascurando le altre, ma il sentimento inteso come appunto "sentire", quindi vedere, ascoltare l'altro. 

Sto pensando che qualche volta sarebbe giusto anche rivendicare il diritto alla rabbia. Sì, alla rabbia. Non quella priva di argomentazioni, urlata a mo' di slogan nelle piazze, ma quella sana, giusta, quella che ci accende e ispira a lottare contro le ingiustizie che i nostri fratelli animali subiscono ogni giorno.

Pensate al movimento Black Lives Matter, ogni volta che un fratello viene ucciso ingiustamente dalla polizia, manifesta con rabbia e a volte alza anche i toni della protesta mettendo a ferro e fuoco la città (ahimè talvolta usando simboli specisti). Nessuno dice "non puoi essere rabbioso".

La rabbia è sana a volte, è giusta, è necessaria. Sì, va indirizzata possibilmente in azioni costruttive, ma qualche volta va anche semplicemente lasciata esprimere.

Ho notato un fatto: a tutti i movimenti è concesso essere rabbiosi, tranne che alle femministe e agli animalisti (a proposito, c'è un bellissimo documentario su Netflix intitolato "She's beautiful when she's angry", ne ho parlato qui). 

Chiedetevi, chiediamoci come mai. 

Le femministe devono essere gentili, aggraziate, far capire le cose senza accusare, senza puntare il dito, guai a offendere i maschietti, non sia mai; gli animalisti pure, guai a colpevolizzare, responsabilizzare, non sia mai. 

E puntualmente cadiamo in questo tranello: ossia mettere gli animali in secondo piano per dimostrare che siamo anche persone morigerate, tranquille, moderate. 

Noi non dobbiamo dare il buon esempio, non siamo tenuti a questo, non siamo tenuti a essere perfetti in tutto, bravi e gentili con tutti, no, noi dobbiamo lottare per gli animali e se un umano è stronzo, è semplicemente stronzo, punto. Tanto chi non vuole capire l'antispecismo perché gli conviene non capirlo, non è che cambia idea al cambiare della comunicazione.

Ho conosciuto intellettuali bon ton di sinistra ferocemente pro-corrida e pro salsiccia e salame che facevano tutti gli schizzinosi con atteggiamento elitario nei confronti degli animalisti rabbiosi. Ma non è che presentandogli il tema in modo argomentato e gentile poi hanno cambiato idea. 

No. Niente affatto. E quindi, rivendico il mio diritto al vaffanculo quando ci vuole.


mercoledì 6 ottobre 2021

Riconoscere lo specismo

Tutti gli animali, cosiddetti "pets" compresi, vengono visti in funzione di qualcosa.

Per il contadino, i gatti servono a scacciare i topi, ma ne bastano uno o due, se la femmina fa i cuccioli, vanno ammazzati, altrimenti poi diventano troppi; il cane si prende per bellezza, per fare la guardia, persino per la pet-therapy, ad ogni modo sempre in funzione delle necessità del "padrone" e se non si comporta come noi vogliamo - un robottino che faccia pipì dove e quando lo diciamo noi, che esca dove e quando lo diciamo noi, che dorma dove e quando lo diciamo noi - allora si chiama l'addestratore perché è ovvio che vada educato; il cavallo si monta, se non ubbidisce bene, non è un buon cavallo. E via dicendo. Ogni animale deve avere una funzione precisa per noi, per i nostri bisogni e necessità. Se non serve o se diventa "invasivo" secondo i nostri standard, si uccide. 

Questo è lo specismo. E non si tratta di ripensare il sistema alimentare, semplicemente, ma il modo in cui consideriamo gli altri animali.

Nel caso della foto sopra, non si tratta infatti di mera dissociazione cognitiva, ma di attribuire proprio un valore agli animali in funzione di quello che dovrebbero diventare. Le persone vedono benissimo la mucca e il vitellino, ma la mucca è il vitellino esistono esclusivamente per darci la bistecca.

Questo è lo specismo. Questo è quello che dobbiamo combattere: la diversa considerazione morale degli altri animali. Ossia il considerarli sì individui, ma in funzione del prodotto che dovranno diventare. 

Tutto ciò che non va in questa direzione, cioè neo-welfarismo, argomenti indiretti, continua a rafforzare e rimarcare lo specismo.

Lo specismo è il focus del mio libro "Ma le pecore sognano lame elettriche?" e ho scelto di parlarne non a caso, ma proprio perché è un'ideologia talmente invisibile che va analizzata, smontata e soprattutto evidenziata. 

In questo autunno inizierò a fare alcune presentazioni, non solo a Roma. Intanto anticipo che il 21 novembre sarò al BookCity di Milano insieme a Teodora Mastrototaro con il suo Legati i maiali (raccolta di poesie antispeciste, di cui una selezionata anche nel mio libro). Presenteremo insieme. Più in là darò tutte le informazioni del caso, data, orario, luogo.

lunedì 4 ottobre 2021

Se l'ingiustizia non smuove, proviamoci con il disgusto

 


Post semi-serio.

Pensavo alle tante battutine che si fanno sul fatto che noi vegani mangeremmo solo verdurine. 

Disinformazione a parte, - perché è chiaro che non mangiamo solo verdurine e se qualcuno è convinto che la scelta degli alimenti commestibili per noi vegani, tolti animali e derivati, quindi, si riduca solo alle verdurine vuol dire che è una persona proprio ignorante sul piano alimentare e che non sa che moltissimi alimenti, che non si definirebbero proprio verdurine, sono in realtà vegetali e preparazioni vegetali -, mi chiedo come mai le verdure, i vegetali, la frutta, che sono tutti alimenti belli, profumati, colorati, facili da cucinare, godano di una reputazione così pessima e di contro i pezzi di corpi di animali massacrati, grondanti sangue, che puzzano, letteralmente, e che per essere mangiati necessitano di tanti condimenti, spezie, o preparazioni lunghe come gli insaccati, gli affumicati ecc., invece facciano gola?

Vi piace l'odore delle pescherie, delle macellerie? O non preferite invece quello dei banchi di frutta e verdure profumati? 

Siete mai stati nei pressi di un mattatoio? Avete mai sentito l'odore di putrefazione, di sangue, quell'odore ferroso, misto all'odore di urine e feci dei poveri animali che vengono sterminati senza pietà e che se la fanno addosso dalla paura?

E invece l'odore di un orto? Quale odore preferireste avere vicino casa vostra? Dove preferireste lavorare, al banco ortaggi o al banco pescheria e macelleria?

Pensate al profumo delle fragole, delle pesche, dei meloni o dei pomodori, delle erbe aromatiche (sì, quelle che poi vengono messe in abbondanza per coprire l'odore disgustoso dei corpi morti degli animali), delle piante, dei fiori di zucca, dei piselli freschi, tanto per fare degli esempi e ditemi, quale vi sembra migliore?

Dunque, perché questo odio per le verdure?

È ovvio che si tratti di un pregiudizio. 

Ed è ovvio che sia così per tutti i significati che vi sono associati culturalmente e che possono essere riassunti nei seguenti luoghi comuni: i bambini schifano gli spinaci, le verdure sono cibo per "signorine delicate e inappetenti" - mentre la "carne" è cibo per veri uomini, machi, forti, coraggiosi; se ami le insalate o le zuppe sei un "finocchio" (omofobia e misoginia insieme, che vanno sempre di pari passo) e via dicendo. 

Insomma le verdure sono associate alle donne, la carne agli uomini. Gli uomini sono cacciatori (le donne preda). 

Quindi se mangi verdure sei una femminuccia. E le femminucce, si sa, valgono meno degli uomini. Poi se lo fai perché ami gli animali, ah, allora sei proprio un pato-sensibile, femminuccia al quadrato.

Le verdure sono cibo per anoressici, ortoressici e chi più ne ha più ne metta.

Luoghi comuni, nient'altro che luoghi comuni, ripetuti da secoli, rivendicati tramite battutine nei film, nelle serie tv, nei libri, ovunque.

Che banalità, che noia, che livello misero.


sabato 2 ottobre 2021

Il tritacarne

 

Paragonare la nostra situazione attuale a quella degli animali diretti al macello, come sto leggendo ultimamente, con tanto di uso di metafore "ora siamo noi vittime di una mattanza" è non solo improprio, ma irrispettoso per tutti quegli individui che nei mattatoi - reali, concreti, luoghi intrisi di sangue, dolore, urla, feci, urina, terrore puro - ci vanno a finire davvero.

Sì, ci viene impedito di lavorare se non abbiamo il GP - e come sapete sono sempre stata contraria all'introduzione di questa norma -, ma nessuno viene a prenderci per caricarci su un tir diretto al mattatoio. Non concretamente.

Io sono una grande amante dell'uso di analogie, metafore, simboli, ma ci sono situazioni in cui l'unica descrizione possibile è quella data dallo sguardo sul reale. 

E la realtà di quello che subiscono i corpi degli altri animali - progettati per essere prodotti ancora prima di venire al mondo - non regge paragoni con nessun'altra. 

La realtà di quello che accade agli altri animali è qualcosa di talmente distante da ciò che accade a noi che non possiamo nemmeno immaginarla e per pensarla o vederla dobbiamo spingerci sul bordo di un abisso di cui non riusciamo a scorgere la profondità. Su questo abisso ci affacciamo ogni tanto - e qualcuno, nel corso della nostra storia, ci è anche precipitato - ma gli altri animali ci sono spinti continuamente, sistematicamente, violentemente; di più, ci nascono: sono (non)esistenze prese in un vortice di violenza che termina con la loro trasformazione in qualcosa di ontologicamente diverso da ciò che sarebbero, dovrebbero, essere: cioè, sono individui che poi diventano cose, prodotti. 

Potete immaginare qualcosa di più temibile e orribile della cancellazione non soltanto della vostra identità, ma entità, cioè, del processo che vi porta a essere da esseri viventi a cose? 

Quando si dice "trattato come un animale" si immagina questo, ma nessun essere umano raggiunge mai il culmine di questo abisso in continuo e sistematico movimento, come un gigante tritacarne (e questa non è una metafora) in cui individui di altre specie nascono, vivono e muoiono continuamente, con implacabile e inimmaginabile ferocia.