domenica 22 aprile 2018

Non c'è giustizia senza sensibilità


Ieri un mio amico mi ha fatto riflettere su una cosa che molti di noi, presi come siamo dal dimostrare l'aspetto politico e sociale dell'antispecismo con argomentazioni razionali, abbiamo accantonato, ma dalla quale, non possiamo prescindere: la sensibilità.

Ora, è vero che la sensibilità è anche una questione culturale e sociale perché è la cultura in cui viviamo e in particolare l'ambiente in cui cresciamo che ci insegnano a dirigere il nostro sentire in particolare verso alcuni e meno o per niente verso altri, ma è altrettanto vero che senza questo sentire ogni nostra argomentazione, per quanto forte e inoppugnabile, cadrà nel vuoto, cioè non troverà gli appigli giusti per radicarsi e trasformarsi poi in una battaglia sociale.
Se la persona con cui stiamo parlando non ha la nostra stessa sensibilità, di fronte a video di animali al macello e dentro gli allevamenti non proverà mai i nostri sentimenti di ingiustizia o li proverà in maniera attenuata. Ciò che a noi indigna e fa star male - lo sguardo degli animali dentro i tir, i loro corpi ammassati e martoriati e poi fatti a pezzi - può lasciare altri del tutto o in parte indifferenti. 
Le persone possono dirci: ok, per te è sbagliato uccidere animali, ma a me non importa nulla perché la loro sofferenza non mi tocca e di conseguenza non percepisco quanto ciò sia ingiusto.

Cos'è che ci fa dire che qualcosa è ingiusto? Il sentire che quello che si sta facendo a qualcun altro ci farebbe star male se fosse fatto a noi. Ma se questo sentire non c'è, l'ingiustizia non si percepisce.

E così noi ci sbracciamo e sgoliamo per spiegare quanto lo specismo sia affine al razzismo, al fascismo e ad altre forme di oppressioni; ci spertichiamo in sofisticate analisi politiche sulla nascita della società del dominio e facciamo analogie su questa o quell'altra forma di oppressione. Ma senza il sentire, cioè senza una certa forma di sensibilità, tutte queste argomentazioni scivolano via. O meglio, si riconoscono magari come vere e persino ovvie, ma non portano le persone a sentire quell'urgenza di volerle cambiare, a sentire quell'intima ribellione.

Se vogliamo cambiare la società, dobbiamo cambiare la sensibilità. Dobbiamo fare in modo che la cultura in cui cresciamo ci insegni a essere sensibili verso gli altri, allo stesso modo in cui ci insegna a essere sensibili verso i bambini o altre persone; dobbiamo fare in modo che non ci siano più individui di serie A e di serie B e che tutti siano considerati importanti.

Infine, l'altro giorno scrivevo che la nostra è una battaglia di giustizia e non di amore per gli animali; e lo penso ancora. Ma il il percepire qualcosa come ingiusto o giusto dipende dalla sensibilità, dal sentire.

La battaglia per i diritti animali non ha precedenti nella storia perché richiede una forma di sensibilità estesa ad individui che non sono come noi e che una cultura millenaria ci ha insegnato a considerare inferiori e utili al solo scopo di soddisfare alcuni nostri interessi; individui di cui non comprendiamo il linguaggio e nemmeno la mente. Anzi, a cui nemmeno attribuiamo un linguaggio o una mente.
Dobbiamo scendere in piazza in loro rappresentanza per chiedere il loro diritto alla vita e a non essere più considerati risorse rinnovabili. In piazza non ci sono loro, se non nelle foto o video. E non c'è questa sensibilità condivisa che porta le persone a percepire la tragedia del loro sfruttamento. 
Dobbiamo tener conto di tutto questo se vogliamo essere efficaci.
Dobbiamo smetterla di illuderci che basterà dire alle persone cosa avviene dentro gli allevamenti e mattatoi per farle schierare dalla parte degli animali.

Forse verrà il giorno in cui, anche se in pochi, dovremo pretendere la loro liberazione, anche se non sarà ancora capita dai più. Ma per pretenderla dovremo arrivare a essere una massa critica abbastanza significativa da essere ascoltata da chi detiene gli strumenti legislativi; si dovrà arrivare a una sorta di circolo virtuoso in cui l'aumento della sensibilità porti all'approvazione di determinate leggi e misure educative (per misure educative ovviamente non intendo nulla di coercitivo, bensì fare cultura nelle scuole, attraverso l'informazione, l'arte, la letteratura, il cinema, il linguaggio, la filosofia, l'economia ed entrando in ogni settore perché non c' settore che non sia intriso di specismo) e queste, a loro volta, modifichino la sensibilità e così via attraverso una serie di cerchi concentrici che arrivino al cuore della liberazione animale.

Per ora le leggi tutelano in parte solo gli animali cosiddetti da affezione e questo perché appunto c'è una sensibilità condivisa dalla maggioranza.

Oppure, può essere che semplicemente lo sfruttamento degli animali finirà quando non sarà più conveniente sotto il profilo economico. Finirà per motivi economici e non etici. 

venerdì 20 aprile 2018

Brave persone


Tutti pensano di essere brave persone, persino quelle che commettono i peggiori crimini si convincono di avere delle ottime ragioni o di non avere altre scelte.

In particolar modo è convinzione comune che non ci sia nulla di male nel mangiare animali, anche se questa pratica è causa di sofferenze indicibili e della negazione di infinite esistenze considerate solamente risorse rinnovabili. Già, infinite, fatte nascere e maciullate senza sosta in quell'immenso tritacarne che è l'industria della carne, del latte, delle uova, del pesce, del pellame, della sperimentazione animale e del divertimento con gli animali. Altrettanto infinite sono le giustificazioni che le persone si danno per non ritenersi responsabili di tutto ciò e per continuare a pensare a loro stesse come "brave persone" che mai torcerebbero un capello a chicchessia.

giovedì 19 aprile 2018

Io non amo gli animali!


- Tu che ami gli animali...

- No, io non amo gli animali, io lotto contro l'ingiustizia del loro sfruttamento, che è diverso...

Precisate questo quando vi appellano come "amanti degli animali", facendo passare in sordina il concetto che della sorte di questi individui oppressi e schiavizzati debbano occuparsi e interessarsi solo coloro che li amerebbero. 
La nostra società è un grattacielo (per usare la ben nota metafora di Horkheimer) che si regge sullo sfruttamento dei viventi e in particolare degli animali. Non c'è settore economico che in qualche modo non usi gli animali e non attinga alle risorse del territorio e manovali dei paesi più poveri. 
Dunque, se ribellarsi allo sfruttamento dei bambini, donne, uomini che vengono sfruttati per fabbricare oggetti poi rivenduti a migliaia di euro in occidente è una questione di giustizia e non di semplice amore, allo stesso modo ribellarsi allo sfruttamento degli altri animali è una questione sociale e politica.

P. S.: anche perché per "amore degli animali" spesso le persone intendono un atteggiamento zoofilo, cioè di passione per gli animali in un'accezione esclusivamente egoistica e di possesso. Amante degli animali è il collezionista di rettili esotici, la signora che compra il gatto o cane di razza per esibirlo alle mostre, il macho man che si prende il pit-bull come estensione della propria forza fisica, la famiglia che porta il figlio allo zoo, al circo o all'acquario e via dicendo. Insomma, nell'espressione "amore per gli animali" continua a sussistere un atteggiamento antropocentrico che vede gli altri animali ancora come esseri inferiori alla nostra mercè di cui si può disporre a nostro piacimento per soddisfare i nostri interessi e non come individui soggetti della loro stessa vita. 

venerdì 13 aprile 2018

Mangiarsi la felicità altrui


Allevare e uccidere gli animali è un'ingiustizia non soltanto perché li si priva prematuramente della vita, ma soprattutto perché li si priva di un'infinità di esperienze.
L'esperienza è ciò che rende importanti le nostre esistenze, non semplicemente il fatto di esser vivi. 
Relazionarsi con gli altri, comunicare, conoscere, dare affetto, muoversi nella natura, sentire il sole, la pioggia, il vento, volare, nuotare, correre, giocare, essere felici. 
Noi priviamo gli altri animali cosiddetti "da reddito" di tutto ciò.
Ci mangiamo, letteralmente, la felicità altrui. La potenzialità della felicità altrui.
Nella foto, scattata durante uno dei presidi di The Save Movement, un maiale socchiude gli occhi per godere dell'unico raggio di sole della sua vita.

Consiglio la lettura de Il maiale che cantava alla luna di Jeffrey Masson. 

mercoledì 11 aprile 2018

Pensieri calcistici

Stanotte non riuscivo a dormire perché sembrava che lo stadio intero si fosse trasferito sotto casa mia,  fatto sta che un pensiero tira l'altro e mi sono ritrovata a riflettere sul concetto del rispetto della scelta personale così tanto propugnata dai carnisti.
Spesso questa frase salta fuori non appena si scopre che si sta parlando con una persona che non mangia animali. Come a voler mettere le mani avanti. Come se la sola presenza di qualcuno che ha fatto una scelta simile facesse vacillare le proprie certezze. Ed è così infatti.
Ora, mi domando, se veramente siete certi del fatto che mangiare animali sia normale e naturale, perché ci tenete così tanto ad avere anche la nostra approvazione? Perché è questo che cercano i carnisti: l'approvazione socialmente indiscussa. Un'approvazione che sentono venire meno.
Ciò dimostra che il mangiare carne non è tanto un convincimento rafforzato da solide basi logiche, scientifiche e argomentazioni inoppugnabili, quanto una credenza culturale popolare basata su luoghi comuni e pregiudizi. Un'ideologia invisibile tanto forte quanto appunto rimane invisibile, ma facile a incrinarsi non appena la si evidenzi come tale.

domenica 8 aprile 2018

La forma dell'acqua


Beh, alla fine due righe su La forma dell'acqua voglio scriverle anche io. 
Non sto scrivendo a caldo, il film l'ho visto più di una settimana fa e la mia è un'analisi dei significati e non un giudizio emotivo.

Se mi è piaciuto? Sì, certo. Mi ha sorpresa? No, è esattamente il tipo di film che mi aspettavo di vedere dopo averne letto qualche recensione.

Non sono affatto d'accordo sul fatto che vi siano ravvisabili concetti antispecisti. È una storia sulla diversità e sulla solitudine, non sul rispetto dell'altro in quanto diverso.
Anzi, nell'impresa di Elisa di salvare la creatura c'è un egoismo sentimentale. Quando Giles, il suo amico e vicino di casa, alla fine si convince a darle una mano, è questo che le dice: "ti aiuterò perché ho capito che tu hai bisogno di lui (la creatura)". Ed Elisa stessa, quando tenta di convincerlo, non gli espone motivazioni altruistiche quali il rispetto dell'altro o la necessità di lottare contro la decisione altruistica dei suoi datori di lavoro di voler vivisezionare la creatura, bensì tenta di fargli comprendere quanto lei finalmente si sia sentita riconosciuta e vista per quello che è, oltre la sua diversità fisica. Elisa e la creatura sono due anime che si sono incontrate. Non c'è un discorso ampio contro lo sfruttamento dell'altro per il solo fatto di appartenere a una specie diversa, a parte un accenno quando il medico russo dice agli americani che non si può vivisezionare una creatura che comunque sembra avere una certa intelligenza, sembra sentire, capire, ascoltare la musica. Sì, qui ovviamente il mio pensiero è andato a ciò che noi diciamo sempre degli altri animali: come si possono mangiare individui che sentono, capiscono, soffrono e sono in grado di avere esperienza del mondo? 
Ma queste sono riflessioni derivate dal nostro sguardo sul mondo, che è uno sguardo antispecista e non sono esplicitamente ravvisabili nel film. 
Quindi è una storia sull'amore oltre la specie, certo, ma questo non si era già visto in Edward mani di forbice (che in più ha l'elemento gotico capace di renderla una storia ultraterrena, atemporale ecc. e la capacità visionaria di un Tim Burton), o ne La bella e la bestia, o, se vogliamo anche in Dracula (e certo che l'immaginario visivo di Coppola è di ben altro spessore) o, banalmente, in Twilight? V Vi sembrerà che stia dicendo un'eresia, ma guardate che i topoi letterari sono questi: una protagonista sola, un po' emarginata perché diversa, incontra un'anima gemella, diversa anche lei e proprio perché si riconoscono come anime affini in virtù di questa diversità (e solitudine, derivata dal fatto che il mondo non li comprende e non li vede nemmeno) finiscono per innamorarsi. Il loro amore però deve superare alcuni ostacoli. La società, in primis, con i suoi pregiudizi e scopi poco altruisti, che da una parte non riesce a vedere la bellezza della creatura, dall'altra vuole solo sfruttarla per denaro. Un classico. 
Prima di attivarsi, c'è una frase abbastanza significativa: "noi non siamo niente", dice Giles; lei risponde: "non siamo niente, se non facciamo niente". 
Ciò che muove Elisa e anche Giles è una sorta di ricerca di riscatto personale. Non c'è puro altruismo nell'aiutare la creatura, ma c'è voglia di riscattarsi da una società avida e superficiale e desiderio di non perdere una creatura che finalmente apprezza Elisa per quello che è perché possono comunicare anche senza parlare.

Ne La forma dell'acqua c'è in più l'elemento sociale dello scontro di classe e anche del patriarcato. Appena accennati. Il cattivo è un cattivo a tutto tondo che vive con una moglie sottomessa, la usa sessualmente come se fosse una bambola di gomma e si sente attratto da Elisa poiché muta. Ciò che lo eccita è proprio il fatto che non parli perché una donna non deve parlare, deve solo saper stare al suo posto, dentro casa e dentro il letto. 
Elisa si ribella contro l'ordine costituito, non si fa spaventare perché l'amore che prova per la creatura è il cardine della sua rivoluzione personale e per compiere l'impresa trova altri alleati che finalmente trovano il coraggio di ribellarsi. 
C'è la ribellione al sistema, ma data dalla spinta dell'amore, più che da un sentimento di giustizia. Il sentimento che muove Elisa è l'amore, non rispetto o giustizia. E l'antispecismo non è amore per l'altro, ma rispetto dell'altro.

Complessivamente lo giudico un film abbastanza banale, pure se emotivamente mi è piaciuto, ho fatto il tifo per Elisa e mi sono anche commossa. Ma il giudizio di pancia è una cosa e quello analitico un altro.

Molto più bello, sempre dello stesso regista, è invece Il labirinto del fauno. Anche lì attinge a piene mani dai topoi delle favole classiche, ma li usa come allegoria per raccontare un periodo storico realmente esistito, quello della dittatura franchista.

Ne La forma dell'acqua, tutto è esplicito, tutto è in superficie. Le immagini, abbastanza leziose, non vanno oltre, non hanno quella capacità di evocare un mondo interiore, o onirico.

Sono rimasta in attesa tutto il tempo di una svolta narrativa, che non c'è stata. Piatto, lineare, diretto, esplicito, semplice, ma di una semplicità che, purtroppo, impoverisce e banalizza.

venerdì 6 aprile 2018

L'estremismo del vegano

L'ultima spiaggia del carnista, talvolta anche del vegetariano convinto, quando proprio non sa come replicare di fronte all'evidenza della violenza di cui si rende complice: l'accusa di estremismo.

Sei estremista se non rispetti la scelta di mangiare animali, sei estremista se dici che allevamenti e mattatoi sono strutture di violenza, sei estremista se spieghi cosa accade alle mucche, e lo sei anche se usi il massimo tatto e gentilezza possibili. 
Sei estremista per il solo fatto che tu, vegano, con il tuo semplice esistere, osi mettere in discussione un sistema basato su sfruttamento e violenza, l'approvazione del quale, invece, a quanto pare, sarebbe indice di buon senso, equilibrio, sanità mentale.

martedì 3 aprile 2018

Ma i vegani cosa danno dai mangiare ai "loro" cani e gatti?


Ogni tanto qualcuno mi domanda cosa dovremmo, da vegani, dare da mangiare ai cani e gatti che vivono con noi.

Dirò la mia, ma non intendo assolutamente polemizzare con chi la pensa diversamente. 
Innanzitutto tra cani e gatti c'è una differenza: i primi possono mangiare vegano perché non sono carnivori obbligati. Proteine vegetali, verdure, cereali integrali possono andar bene; in commercio ci sono anche croccantini e scatolette di umido già bilanciati con tutti i nutrienti. 
I gatti invece sono animali carnivori per necessità. In natura mangerebbero solo piccole prede (uccellini, lucertole, insetti, topini e altri animali di questa taglia). 
Esistono prodotti vegani arricchiti di taurina e altre vitamine di cui necessitano. Alcuni vegani glieli danno. Io ai miei non li do per due motivi: non gli piacciono (ho provato), costano anche molto e, poiché sfamo anche i gatti delle colonie, comunque non potrei permettermele. Poi ho saputo di gatti di miei conoscenti alimentati con scatolette veg che dopo un po' hanno avuto problemi di salute e hanno dovuto ricominciare a mangiare carne. Ma forse dipende dai singoli individui, ci saranno quelli che li tollerano e altri no.

Ma, a questo punto, come la mettiamo con il discorso etico? Come risolvo il mio dilemma? Questa è una domanda che mi fanno spesso: mentirei se dicessi che compro scatolette di pollo per i mici a cuor leggero. No, ogni volta provo disagio, se non vero dolore.

La mia speranza è che commercializzino presto la carne sintetica. Esiste già, è brevettata, ha le stesse proprietà nutrizionali e stessa consistenza e sapore di quella vera degli animali. 
Questo è il mio sogno: non dover più comprare scatolette di pollo ai mici e avere per loro un'alternativa sana e cruelty-free.

Ed ora, un breve concetto che vorrei spiegare a coloro che mi giudicano ipocrita è questo: ognuno, nel lasso di tempo in cui si trova, dovrebbe cercare di fare del proprio meglio in base anche alle possibilità che quel periodo offre. Noi dipendiamo dalla contingenza spazio-temporale in cui ci troviamo. Se fossimo nati duecento anni fa, non ci faremmo queste domande. I cambiamenti sociali e culturali non si verificano di punto in bianco, sono dei processi e spesso molto lunghi.
Per cui, sono sicura che quando spariranno allevamenti e mattatoi, si sarà trovata anche un'alternativa per nutrire cani e gatti. In fondo esiste già, appunto: la carne sintetica. Certamente non faremo morire di fame cani e gatti e non continueremo ad allevare animali solo per sfamarli. 
Cani e gatti vivono con noi da molto tempo; anche quando, come spero, cesserà la loro vendita come animali domestici e anche quando avremo svuotato i canili e gattili, è probabile che resteranno vicini a noi. Ora, poiché è difficile immaginare un ipotetico scenario di questo tipo perché nel frattempo anche la società nel suo complesso sarà cambiata in moltissimi altri aspetti, è anche abbastanza ozioso e superfluo porre ai vegani domande del tipo: "eh, ma come farete con i vostri cani e gatti?". Ozioso non meno di quanto lo sarebbe chiedere oggi che tipo di umanità e situazione ci sarà nell'anno 3000. Certo, si possono fare delle previsioni e la mia è che, appunto, semmai ce la faremo a cambiare il nostro rapporto con gli altri animali e a realizzare una società solidale e non più impostata su rapporti di dominio, allora avremo anche, nel frattempo, trovato una soluzione per coabitare tutti insieme su questo pianeta senza dover dare scatolette di pollo ai gatti. Ma altro non saprei dire.

Mi basta sapere, per acquietar un po' la coscienza, che al momento, in questo presente, lotto affinché scompaia lo sfruttamento sistematico degli animali e affinché cambi la cultura antropocentrica e specista. Sono incoerente perché do da mangiare scatolette di pollo ai mici? Oh, beh, sì. Cerco di fare del mio meglio, come tutti. 
Mi capita anche, involontariamente, di calpestare insetti quando cammino e chissà di quale altro danno sarò responsabile nell'impossibilità di determinare ogni singolo rapporto di causa-effetto di ogni mia singola azione e scelta. Però cerco di non fare del male intenzionalmente e di non finanziare direttamente prodotti che comportano violenza e sfruttamento su altri individui. Per questo non mangio più animali e derivati, non indosso pelle, lana, seta, non vado al circo con animali, zoo, acquari e simili, se vedo qualcuno (umano o non) in difficoltà mi fermo a soccorrerlo, cerco di prestare attenzione in generale alle conseguenze di ciò che faccio, almeno quelle più dirette e prevedibili, mi informo su cosa avviene nel mondo e faccio attivismo in vari modi per portare un po' di informazione e consapevolezza.

Spero che questo confronto possa essere utile a qualcuno.

Nella foto, micio Silvestrino, uno dei gatti che convive con noi.