venerdì 24 dicembre 2021

Gli ultimi

 

Alcune riflessioni dopo la notizia del divieto di allevare visoni e altri animali "da pelliccia" nel nostro paese.

Perché penso che sia una buona notizia.

L'Italia ha seguito la rotta già indicata da altri paesi europei riguardo l'abolizione degli allevamenti di animali "da pelliccia"; nel mentre molti grandi brand - i quali, che ci piaccia o meno, dettano tendenze nell'industria del fashion, contribuendo anche a condizionare socialmente l'idea che le persone hanno delle pellicce - hanno dichiarato che non confezioneranno o venderanno più pellicce.

Sì, è vero, le pellicce potranno essere ancora importate dai paesi extraeuropei o da quei pochi allevamenti rimasti in UE che allevano visoni e altri animali, ma oltre ai costi maggiori, c'è da considerare appunto l'impatto sociale che un simile passo comporta.

Da qualche parte si deve pur partire, i cambiamenti avvengono sempre gradualmente; l'importante - non smetterò mai di dirlo - è che siano passi in direzione abolizionista e non semplicemente protezionista o welfarista che dir si voglia.

E del resto ogni nostra azione, battaglia, campagna ecc. non potrà che essere limitata nel tempo e nello spazio: pensare a vittorie globali nello stesso momento è pura illusione. I cambiamenti iniziano sempre da qualche parte e poi semmai si diffondono. Oppure possono avvenire anche simultaneamente in più paesi, indice di cambiamenti culturali significativi diffusi globalmente in una certa misura, ma è impensabile che una pratica cessi dall'oggi al domani in tutto il mondo anche perché ogni paese ha le sue leggi e normative. 

Il nostro paese comunque intanto sta facendo un passo abolizionista. Attenzione, non welfarista o protezionista, non stiamo parlando di gabbie più grandi, ma di dismissione di queste gabbie. E questo è qualcosa di cui dobbiamo gioire. Per una volta possiamo essere d'esempio. 

A proposito di "benessere animale", noi sappiamo che è una menzogna, ma è su questa menzogna che le aziende italiane produttrici di pellicce basavano i loro "valori" e la loro "etica", cioè asserivano che le pellicce da loro confezionate venivano prodotte nel "rispetto degli animali allevati". Ora che in Italia non ci saranno più gli allevamenti e dovranno acquistare all'estero, sicuramente non potranno più dire la stessa cosa perché è risaputo che in Cina, per esempio, il benessere animale non è rispettato nemmeno come menzogna, cioè a livello di diritti animali sono ancora più indietro di noi. 

Le persone si lasciano ingannare facilmente dalla propaganda del benessere animale perché desiderano credere che gli animali non siano trattati poi così male.

Ora che viene a cadere anche questa possibilità di credere in una menzogna, forse smetteranno di acquistare pellicce o giacconi con guarniture di pelliccia. 

E del resto è la stessa cosa che è successa riguardo la chiusura di Green Hill (che tutti noi abbiamo accolto come notizia assolutamente positiva) e il divieto che ne è seguito di allevare cani destinati alla vivisezione nel nostro paese.

La vivisezione non è finita, purtroppo e cani continuano a essere comprati all'estero per poi essere torturati nei nostri laboratori, ma intanto quello è stato un traguardo che ha contribuito a un cambio di paradigma nei confronti della vivisezione e che ha acceso un dibattito e i riflettori sugli orrori compiuti nel nome della scienza. 

Lo stesso avverrà per le pellicce, che pian piano saranno percepite sempre di più per quello che sono: un prodotto frutto di enorme violenza sugli altri animali.

Alcuni chiedono: che fine faranno gli animali attualmente detenuti in questi ultimi allevamenti.

Ho letto che molti di loro, si spera tutti (sono più di 7.000 individui) potrebbero essere accolti nei rifugi. 

Io mi auguro che gli altri vengano semplicemente liberati. 

Ma ad ogni modo, se anche non dovessero farcela a vivere liberi o dovessero venire uccisi, almeno saranno gli ultimi. L'importante è che non saranno più fatti nascere per essere poi uccisi. Lo so, per quelle vite la loro esistenza è tutto e se fossimo noi al loro posto non diremmo così e non diremmo così nemmeno se fossero umani, ma la società è ancora specista e forse al momento per questi visoni è il massimo che ci potremo augurare (che siano almeno liberati). Questo problema riguarderà in futuro anche tutti gli altri animali nel momento in cui si deciderà di abolire altri tipi di allevamenti. Sicuramente non tutti potranno essere salvati.

Ci saranno gli ultimi uccisi, ma almeno saranno gli ultimi.

Le ragioni del veganismo: considerazioni sull'animalità e l'umanità

 Bisogna essere gente alquanto stupida per affermare che gli animali non provano né piacere, né collera, né paura, che ignorano sia l’anticipazione che il ricordo: secondo costoro, tutto accade come se l’ape avesse memoria, come se il leone diventasse collerico, come se la cerva avesse paura. Cosa risponderebbero se dicessimo loro, che non vedono e non intendono niente, ma che tutto avviene come se essi intendessero e vedessero, come se gridassero, come se, infine, vivessero, mentre di fatto sono morti? Tali propositi sono tanto contrari all’evidenza quanto ciò che quella gente vuol farci credere.” 

Plutarco, De sollertia animalium


Le menzogne

A volte l’esperienza mi viene in aiuto, Jung la chiamerebbe sincronicità, fatto sta che mentre mi accingo a scrivere la terza parte di questo lungo articolo dal titolo Le ragioni del veganismo (le prime due parti potete leggerle qui e qui), mi imbatto in un commento di una persona che sotto a un post in cui si fa informazione riguardo la crudeltà dell’industria del latte – in particolare citando la sofferenza delle mucche e dei vitellini al momento dell’inevitabile separazione – dichiara la necessità di dover intervenire per fare corretta informazione poiché noi antispecisti senz’altro umanizzeremmo troppo gli animali, dal momento che: le mucche non sarebbero capaci di proiettarsi nel futuro, non avrebbero coscienza, né memoria della loro gravidanza, insomma, non la vivrebbero affatto come noi, con i nostri stessi sentimenti, e quindi la separazione del vitellino sarebbe poco più di un accidente momentaneo, un disturbo dell’entità di poco superiore a quello provocato da un rumore improvviso, il tempo di voltarsi dall’altra parte e sarebbe già dimenticato.


Cosa mi ricorda questa sequenza di menzogne?

Continua a leggere su Progetto Vivere Vegan.

giovedì 16 dicembre 2021

L'idea che ci facciamo degli animali

 

Tramite il linguaggio comune si insegna ai bambini che esiste "il leone", "l'elefante", "il maiale" ecc., cioè, più che la conoscenza di individui, l'idea di un esemplare intercambiabile con gli altri della sua specie (appunto: esemplare).

Andiamo al circo a vedere l'elefante, andiamo allo zoo a vedere l'orso, andiamo all'acquario a vedere il delfino. E se anche sono più di uno, quindi nominati al plurale, il discorso non cambia, sono sempre esemplari di una specie, intercambiabili gli uni con gli altri. 

E ovviamente ciò che vengono costretti a fare o che fanno costretti dalle necessità della cattività rafforza questa idea poiché di fatto sono obbligati a eseguire tutti gli stessi esercizi o a muoversi in spazi ristretti (quelli apatici o aggressivi, che quindi si comportano ai poli opposti dello spettro, sono allontanati e non vengono fatti esibire oppure mostrano comportamenti ripetitivi e stereotipati che però le persone comuni, i cosiddetti spettatori, non sono in grado di interpretare). 

Questa idea di individui intercambiabili si fissa nella mente dei bambini che così la interiorizzano.

Anche il concetto di benessere animale lavora in questo modo. Si pensa cioè che esista un'idea di un animale, per esempio il maiale, con determinate caratteristiche identiche per tutti gli esemplari. 

"Il maiale ha bisogno di paglia" e quindi gli si mette la paglia in qualche allevamento che così viene definito "rispettoso degli animali".

Ma gli animali sono innanzitutto individui e il loro carattere e comportamento sono sempre il frutto delle esperienze, non una caratteristica deterministica biologica. 

Negli allevamenti il problema è triplice: gli animali non vengono mai percepiti e trattati da individui, ma sempre visti in funzione di qualcosa; le normative non possono quindi mai essere rispettose della loro individualità; comunque sia, dopo una vita privata delle esperienze, relazioni ecc. e quindi di qualsiasi forma di vero benessere (a prescindere dalle modalità), vengono uccisi. 

Mangiare animali, andare a vederli allo zoo, al circo, negli acquari è sempre una scelta che implica violenza nei loro confronti. Violenza simbolica (nell'idea che ci facciamo degli altri animali) e quindi violenza nella pratica perché l'idea che ci facciamo di essi è sempre sbagliata. Una menzogna utile solo a chi ne trae profitto.

mercoledì 15 dicembre 2021

"Gli manca solo la parola"

 

Ariel, questa splendida gatta, oggi ci ha mostrato la sua zampa destra anteriore per farci capire che aveva un'unghietta lunga incarnita (è anziana e può succedere che i gatti anziani non si facciano più le unghie come un tempo). 

Il suo gesto è stato inequivocabile. È come se mi avesse detto: "Ehi, umana, ho un problema a questa zampa, guarda un po' che succede, mi aiuti?". 

In realtà la mia frase è sbagliata perché non è "come se mi avesse detto", lei, di fatto, mi ha DETTO questa cosa, solo attraverso un linguaggio non verbale.

Si dice che agli altri animali manchi solo la parola. Non è vero. A loro non manca nulla, sono perfetti così come sono, siamo noi, semmai, talvolta, carenti di empatia.

martedì 14 dicembre 2021

Veganismo e serie tv

 Nelle serie tv americane progressiste e politically correct si cerca sempre di dare visibilità a tutte le categorie possibili, solo che lo si fa in maniera spesso superficiale.

Ho notato per esempio che un accenno al veganismo non manca mai, il problema è che viene presentato o come una dieta alternativa da provare ogni tanto (es.: persone riunite a tavola che tra i vari piatti includono anche la torta vegan portata da tizia o comprata nella pasticceria x), o come una scelta personale, ma di cui non vengono mai menzionati i motivi e se vengono menzionati sono sempre quelli relativi alla salute o al minor impatto ambientale, non di rado accompagnati da battutine.

È così che le nostre società inglobano, masticano e risputano fuori le istanze di cambiamento più radicali facendole diventare un'opzione tra le tante o al più una scelta personale e non una battaglia di una minoranza che lotta contro un'ingiustizia.

Vorrei vedere dei bei dialoghi, anche accesi, in cui un personaggio vegano espone i motivi della sua scelta ed evidenzi la criticità in primis morale del mangiare gli animali. 

E comunque la normalità è ancora sempre mangiare animali. Cucinare bistecche, ordinare sushi, andare a pesca, grigliare salsicce e fare battutine o bere latte fresco appena munto perché si sa che il sogno di tanti americani è andare a vivere in una fattoria immersa nel verde. 

Nella serie This is Us, quinta stagione, c'è una scena in cui un personaggio attende fuori da un ospedale e fa amicizia con un anziano signore, anche lui in attesa di notizie. Quest'ultimo ha sul cruscotto una collezione di maialini di tutte le fogge e colori e spiega come siano diventati dei portafortuna per lui e sua moglie. Il fatto di parlare di maiali in modo affettuoso non fa mettere in discussione il loro uso che anzi, a un certo punto, viene persino rafforzato: "Qui abbiamo un'intera famiglia di bacon" o qualcosa del genere (vado a memoria). La funzione degli animali, anche quando vengono descritti come carini, dolci, affettuosi, simpatici, portafortuna, non è mai, mai, messa in discussione.

I maialini sono carini, ma sono pur sempre "bacon". 

Oppure nella serie Sex Education, la leader di un gruppo di un liceo dice all'amica che sta mangiando un sandwich al pollo "Ma come, non ti ricordi, ora siamo vegan!" con lo stesso tono con cui si direbbe e di fatto poi si dirà nel corso degli episodi, "Da oggi ci vestiamo così oppure il lunedì indossiamo tutti il colore viola e via dicendo". 

Alla luce di tutto ciò, ossia di narrazioni esplicitamente speciste, non ha alcun senso parlare di veganismo o inserire personaggi che portano torte vegan. 

Vorrei che questo accadesse solo nelle serie tv, invece le serie tv sono da una parte lo specchio della realtà (colgono alcuni segnali e li ripropongono), dall'altro spingono esse stesse verso dei cambiamenti solo di superficie; in sostanza, per citare il buon Tomasi di Lampedusa, per cambiare tutto senza cambiare niente.

venerdì 10 dicembre 2021

Giornata internazionale dei diritti animali

 


10 dicembre, giornata internazionale dei diritti animali.

Riporto un estratto dal mio libro "Ma le pecore sognano lame elettriche?" pubblicato da Marco Saya Edizioni, a proposito del concetto di diritti animali, che io vedo in modo critico in quanto penso che vada fatto un lavoro più profondo di cambiamento culturale. 

In questo passaggio peraltro faccio un'analogia con i diritti delle donne spiegando come al raggiungimento di questi sulla carta non è corrisposto un cambiamento radicale nel modo in cui veniamo trattate poiché la cultura in cui viviamo è rimasta sostanzialmente maschilista. 

"Una cosa importante, su cui tornerò meglio nei prossimi capitoli, è che non è sufficiente parlare di diritti animali, o chiedere riforme per migliorare la loro condizione, per liberarli dalla nostra oppressione e per smettere di agire come oppressori che mantengono determinati privilegi da questo sfruttamento. È anche importante riconoscere che persino la persona più povera e oppressa di questo mondo nei confronti degli animali si può comportare come oppressore.

Le leggi possono cambiare in superficie la modalità di alcune pratiche o anche ad arrivare, man mano che la società progredisce su alcuni temi, all’abolizione di altre, ma se non cambiamo nel profondo il nostro rapporto con gli altri animali - che deriva dall’interiorizzazione profonda dello specismo – tali leggi saranno soltanto palliativi o diritti che potrebbero essere rimessi in discussione in qualsiasi momento. È vero che la legittimazione, in senso giuridico, e la stigmatizzazione sociale che deriva dal fatto che un qualcosa sia illegale, nel tempo, tramite un percorso virtuoso, possono cambiare la mentalità e sensibilità collettiva, ma in genere si verifica il contrario, cioè il sistema giuridico è pronto ad accogliere alcune richieste ed istanze solo quando la sensibilità pubblica è veramente cambiata. Altrimenti le leggi non vengono nemmeno applicate o si cercano attenuanti per applicarle in modo meno rigido. Oppure, semplicemente – ed è ciò che accade più di frequente - le denunce vengono archiviate.

Di fatto oggi abbiamo delle leggi che tutelano alcune specie, come ad esempio cani e gatti e fauna selvatica (quest’ultima però si può cacciare in alcuni periodi dell’anno). Ma chi tortura e uccide un cane o gatto non va in galera, e molto spesso non prende nemmeno una multa. L’opinione pubblica, il giudice, gli avvocati, il sistema giuridico nel suo insieme non percepiscono ancora come grave l’uccisione di un cane, non la mettono sullo stesso piano di quella di una persona umana, pertanto al riguardo si cercano e usano attenuanti. Casi di maltrattamenti di animali spesso non sono nemmeno denunciati. Come ho raccontato nel primo capitolo, a proposito dei piccioni presi a calci dai ragazzini, la maggior parte delle persone rimane indifferente. I casi di cronaca di cui veniamo a conoscenza sono soltanto la punta di un iceberg. Altri avvengono indisturbati, senza che nessuno ne venga a conoscenza, tranne la vittima stessa. 

Lo stesso accade nei casi di femminicidio e di stupro. La narrazione mediatica è spesso assolutoria nei confronti degli uomini che hanno commesso il crimine. Si giudica ancora la vittima per come era vestita o se aveva bevuto o meno, anziché il criminale, che anzi, viene spesso giustificato perché era depresso o soffriva di ansia oppure era stato, poverino, vittima di un raptus improvviso. Fino a oltre la metà del secolo scorso esisteva il delitto d’onore che assolveva gli autori di femminicidio. Oggi non più, ma a livello di opinione pubblica chi uccide la compagna perché aveva un amante, è ancora leggermente giustificato. Chi stupra e uccide le donne spesso non viene nemmeno arrestato, è messo ai domiciliari o esce di prigione dopo pochi anni. Questo perché, nonostante la legge, la cultura patriarcale è ancora molto radicata e diffusa. Sulla carta avremmo dei diritti, ma a livello di pregiudizi noi donne siamo ancora considerate inferiori o isteriche (termine che già di per sé esprime un pregiudizio, a partire dall’etimologia), quindi non veniamo credute. Spesso le vittime di stupro sono messe nella situazione paradossale di dover dimostrare di non essersi comportate in modo equivoco. C’è ancora la convinzione profonda che dire “no”, talvolta, equivalga a un “sì”.

Uno sguardo all’evoluzione del movimento femminista ci consente di fare una semplice analogia: nel tempo abbiamo ottenuto molti diritti che ci hanno concesso, appunto, questa parità formale. Oggi abbiamo accesso allo studio, lavoriamo, entriamo in politica, non si pensa più che la donna debba stare a casa ad allevare figli (o almeno non lo si dice ad alta voce, ma i social, specchio della società, ci raccontano una realtà ben diversa, basti guardare i commenti sotto alle pagine femministe), non ci identifichiamo più nel ruolo esclusivo di madri e mogli (ma ci fanno sentire ancora sbagliate se decidiamo di non volere figli).

Eppure siamo ancora immersi in una società maschilista e patriarcale. Siamo costantemente e sistematicamente oggettificate; in continuo disagio nei nostri corpi, che al naturale vengono percepiti e giudicati negativamente; siamo condizionate sin dall’infanzia a seguire determinati canoni estetici, pena il bullismo o comunque la mancata accettazione sociale; non siamo libere di uscire da sole la sera perché temiamo ancora di essere molestate, stuprate, uccise. Che si verifichi un femminicidio ogni tre giorni è un dato di fatto, non una fantasia. Non esiste donna che nella propria vita non abbia subito molestie di vario genere, dal cat-calling (molestie verbali in strada), alle battutine in ufficio, fino alle violenze vere e proprie. Il movimento MeToo ha scoperchiato un vaso di Pandora e rivelato quanto fosse comune, cioè normale e quasi naturale, che una donna ricevesse avances sul luogo di lavoro da parte di uomini con una posizione di prestigio e di grado superiore.

Molte sono ancora costrette a prostituirsi per necessità, ed esiste un mondo sommerso di violenza legato alla tratta delle donne schiavizzate e vendute nei bordelli o gettate sulla strada.

E ancora: 

"I diritti giuridici sono come la struttura di una casa: se mancano gli infissi, le porte, le finestre, l’arredamento, quella casa rimarrà sempre uno scheletro vuoto. Gli infissi, le porte ecc. ce li può fornire solo un cambiamento culturale profondo. Cambiamento che, tornando agli animali, non si otterrà chiedendo riforme protezioniste improntate sul concetto mistificante delle normative sul benessere animale, perché nel momento stesso in cui queste normative vengono chieste continuano a riproporre e confermare l’idea degli altri animali come cibo, come risorse da consumare.

Una società giusta ed equa non si valuta infatti soltanto sulla base del corpus normativo e legislativo, ma sull’effettiva applicazione pratica di suddette leggi, e soprattutto sulle consuetudini, pratiche e abitudini reali - appunto gli infissi, le porte, le finestre, ossia ciò che rende una casa vera e non soltanto scheletro incompiuto.

Inoltre i diritti, come abbiamo visto spesso accadere nel corso della storia, possono essere revocabili in qualsiasi momento, se non accompagnati da un mutamento profondo della nostra considerazione dell’altro, chiunque sia questo altro."

(Ma le pecore sognano lame elettriche? Pag. 104 - 105 - 106 - 107 e 110)

P.S.: per tutto il mese di dicembre è libro, acquistabile sul sito della casa editrice, è scontato del 15%.

lunedì 6 dicembre 2021

Da che parte della gabbia stai?

 

"Ce stanno ingiustizie peggiori", "Ma li trattano bene", "Semo tutti in gabbia", "Annate a lavorà", "M'avete fatto piagne er regazzino"

Proviamo a rispondere alle solite frasi fatte dette dalla gente che sta portando i bambini al circo.

"Ce stanno ingiustizie peggiori". 

Peggiori non lo so, perché non mi risulta che ci siano umani tenuti a catena tutto il giorno, soli, in ambienti del tutto inadatti, costretti a fare esercizi contrari alla loro natura dietro il ricatto della privazione del cibo o le promesse delle botte. 

Che ci siano anche altre tante ingiustizie, sì, è vero, ma non mi pare che siano considerate un passatempo divertente.  

E sì, perché portare i figli al circo in fondo è come portarli ad assistere a una manifestazione di bullismo invitandoli a riderci su. 

"Ma li trattano bene". 

E no che non li trattano bene perché intanto li tengono in gabbia, e poi li costringono ogni giorno a esibirsi dietro il ricatto della privazione del cibo e delle botte. Gli animali addestrati nei circhi imparano sin da piccoli a ubbidire perché, essendo ovviamente intelligenti, capiscono che se vogliono mangiare ed evitare le botte devono proprio fare quello che gli vien chiesto. Anche se questo consiste nel fare cose che da soli non farebbero mai. 

Sono animali selvatici isolati, cioè che vivono soli, separati dal loro branco d'origine o genitori (spesso vengono venduti da circo a circo, se li passano come fossero oggetti), impossibilitati a esprimere le loro emozioni, sentimenti, necessità. 

Come si fa a pensare che un elefante sia felice di esibirsi a comando sotto a un tendone con la musica a palla di fronte a degli umani che sghignazzano, schiamazzano, urlano? O una tigre, un leone, un cavallo, uno scimpanzé? 

"Semo tutti in gabbia". Dipende. Metaforicamente sì, in molti paesi se la passano molto peggio di noi, siamo schiavi del lavoro e della società che noi stessi abbiamo costruito con le nostre stesse mani. Ma almeno possiamo prendercela con noi stessi. Perché questa società l'abbiamo costruita noi. E possiamo anche attivarci per cambiarla.

Gli animali invece sono vittime assolute, sempre, da sempre. E per quanto si attivino per ribellarsi, la sproporzione del dominio che subiscono è talmente enorme rispetto ai loro tentativi di resistenza che in qualche modo finiscono sempre per soccombere. 

Sì, ogni tanto qualche leone o elefante si ribella e uccide o ferisce gravemente il domatore, cioè il suo aguzzino, ma poi viene ucciso o comunque picchiato e domato con ancora più ferocia. Figuriamoci! Non è che poi gli altri del circo gli dicono "bravo!".

E comunque, se tu sei qui per passare una domenica al circo, forse non sei proprio nelle medesime condizioni degli animali che stai andando a guardare, per i quali la gabbia è reale, continua, fino alla morte.

Loro sono in gabbia. Tu stai dall'altra parte. E questa mi pare una differenza non da poco.

"Annate a lavorà". Lavoriamo tutti, a parte i ricchi, e nel tempo libero ci dedichiamo a lottare contro la peggiore ingiustizia che sia mai esistita. Ah, se sei un circense a dirmelo, magari comincia tu senza sfruttare gli animali, che ne dici?

"M'avete fatto piagne er regazzino". 

Forse perché qualcuno gli ha detto la verità? 

Pensa un po' quanto piangono gli animali schiavi da una vita...

Grazie agli  Attivisti Gruppo Randagio per aver organizzato un bel presidio ieri, purtroppo penalizzato dal fatto che al solito le forze dell'ordine impediscono di posizionarci di fronte all'entrata rendendo quindi difficile volantinare e informare. 

Viviamo proprio nel paese di Pinocchio (vi ricordate la parte di chi sta in carcere e chi esce?): chi vessa individui prigionieri, gli usa violenza e ci lucra sopra è protetto dalla legge; chi lotta per combattere un'ingiustizia viene fatto passare per uno da "controllare a vista". 

Alla fine ho intercettato, dalla strada, per un attimo, l'elefante dentro al tendone. L'elefante, quello che il circo in questione usa come simbolo per farsi pubblicità. 

La cosa che più mi ha messo tristezza, credetemi, non è stata sapere che fosse prigioniero da una vita, ma che fosse solo. Solo.

Cioè quell'elefante non ha nemmeno la possibilità di comunicare a un altro suo simile l'angoscia del vivere in quella condizione. 

E i circensi cosa scrivono? Che guardare un animale negli occhi vale più di mille documentari. 

Sicuri sicuri?

Ma li avete veramente mai guardati negli occhi gli animali prigionieri? 

Sicuri di voler veramente sapere cosa ci trovereste? 

Ci trovate la vostra immagine riflessa. Perché le chiavi della loro prigione le avete voi. Loro sono in gabbia e voi dall'altra parte.

Ecco, dopo che l'avrete fatto, potrete scegliere se iniziare ad aprirla un po' quella gabbia oppure no.

Dalla parte delle bambine che siamo state

 Ho appreso che ci sono donne solidali con il molestatore della giornalista Greta Beccaglia e che hanno organizzato una tavolata nel suo ristorante per esprimergli, appunto, solidarietà.

Proprio vero che il patriarcato interiorizzato (esattamente come ogni altra forma di oppressione, specismo compreso) è quello peggiore da combattere. 

Io li capisco questi meccanismi, sono gli stessi che per tantissimo tempo mi hanno portata a essere accondiscendente verso gli uomini anche quando si comportavano palesemente da stronzi, mi molestavano e usavano (psicologicamente o fisicamente non ha importanza). 

Mi sentivo in colpa e mi vergognavo perché pensavo sempre che fossi io a provocare certi comportamenti e se qualche volta reagivo e li trattavo male subito me ne pentivo perché se c'è un qualcosa che, per fortuna, nel bene e nel male, anche a mio discapito, ho sempre posseduto è l'empatia, ossia la capacità di mettermi nei panni altrui, aguzzini e oppressori compresi. 

Fino a che non ho capito il perché di certi meccanismi, dove nasceva quel senso di colpa e di vergogna e quell'incapacità di portare fino in fondo le denunce e le reazioni. 

Nasceva dai condizionamenti di cui noi donne siamo vittime sin da quando veniamo al mondo. 

C'è un libro che mi ha dato il là per riflettere e che insieme ad altri poi mi ha fatto meglio comprendere cosa significhi nascere donne, ossia femmine, cioè persone di sesso femminile (al netto di identità di genere varie) in una società maschilista ed è Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti. Così come ho poi trovato puntuale il seguito aggiornato scritto da Loredana Lipperini, Sempre dalla parte delle bambine.

Che non è mettere donne contro uomini, ma mettersi dalla parte di chi ha talmente interiorizzato la svalutazione di se stessa da non riuscire nemmeno a portare a termine un discorso di denuncia. 

Alzare la testa e dire basta non significa diventare cattive. Significa reagire e fare un primo passo per sentirsi finalmente persone pari agli uomini. La parità sulla carta non serve a niente se non ci si emancipa interiormente.


domenica 5 dicembre 2021

Cos'è il totalitarismo?

 

La violenza sugli altri animali è invisibile perché loro sono invisibili.

I pesci e in generale gli animali acquatici lo sono ancora di più.

Non vengono nemmeno nominati al plurale, ma indicati con un termine singolare che racchiude una moltitudine, cioè "il pesce".

Le scene di pesca nei film non nascondono l'agonia perché non ce n'è bisogno, cioè non viene minimamente percepita.

Anche i bambini pescano e tirano su con l'amo creature che poi soffocano davanti ai loro occhi e lo fanno tanto al mare per gioco, quanto con i loro genitori appassionati di questa pratica crudele.

Del resto anche nei ristoranti "di pesce" migliori vengono mostrati individui vivi negli acquari senza che questo fatto susciti la benché minima riprovazione o disagio. 

Se ci fossero dei maialini o degli agnellini in un recinto e poi si assistesse alla scena di qualcuno che li afferra per metterli in pentola e cucinarli, così come sono, magari direttamente nell'acqua bollente mentre sono ancora vivi, la gente fuggirebbe inorridita o tenterebbe di salvarli; sì, quella stessa gente che comunque non dovendo assistere direttamente alle scene di cattura e uccisione, poi ordina maiali e agnelli e vitelli o li compra direttamente a pezzi nei supermercati, ma che ancora saprebbe riconoscerne la violenza se li vedesse vivi. Violenza che è pronta a giustificare e a minimizzare facendo appello alle credenze speciste, ma che comunque viene riconosciuta.

Per i pesci salta anche questo passaggio. Non si riconosce la violenza nemmeno quando è agita dai bambini. Non si riconosce la prigionia dei loro corpi costretti in acquari, non si riconosce il significato autentico di quello che si fa quando li si sottrae al mare, al lago o al fiume, cioè un vero e proprio atto di deportazione fisica.

Giorni fa un amico mi ha chiesto cosa significhi per me "totalitarismo".

Dopo averci pensato ho risposto che ne abbiamo un esempio costante davanti agli occhi, cioè gli allevamenti di animali, di qualsiasi tipo. Compresi quelli acquatici. 

Totalitarismo è controllo della vita, dell'esistenza, è programmazione dei corpi dal concepimento all'uccisione. Di più, è anche modificazione di quei corpi affinché i loro corpi siano sempre più funzionali allo scopo per cui vengono fatti nascere.

Totalitarismo è quindi programmazione e controllo della vita.

Cioè l'antitesi esatta di quello che dovrebbe essere la vita. 

Ma il totalitarismo è soprattutto l'insieme delle false sicurezze date dalle gabbie invisibili. Le gabbie invisibili che la cultura e il sistema in cui viviamo ci costruisce attorno giorno dopo giorno e che poi ci rende sopportabili facendoci indossare le lenti della propaganda, di qualsiasi tipo sia.

Lo specismo è propaganda, la politica istituzionale lo è, lo è la scuola, la televisione tutto. E sì, tutti ne siamo vittime in qualche modo, ma tra noi e gli altri animali c'è una differenza sostanziale, cioè che noi siamo sempre i loro oppressori (mentre tra noi siamo sia vittime che oppressori) e che essi subiscono il dominio nella forma peggiore che esista, dal concepimento in poi. Non potendo nemmeno avere il conforto dell'illusione della propaganda, per loro le gabbie sono reali e visibili in qualsiasi momento. Vedono e sentono la violenza sui loro corpi istante dopo istante. 

Una violenza che noi non sappiamo riconoscere o che, all'occorrenza, subito giustifichiamo e minimizziamo. 

Una violenza che deridiamo. Costantemente. Deridendo anche chi ha deciso di opporvisi, come le persone vegane.

Credo che non ci sia nulla di più becero di chi deride gli altri animali. Vittime assolute di ogni sistema che l'umano abbia saputo costruire.

Qualsiasi tentativo di progresso morale e politico che non tenga conto dello specismo è vuoto. 

Foto presa da Wikipedia.

lunedì 29 novembre 2021

Appunti di femminismo che prendono spunto dal quotidiano

 Un uomo tocca il culo a una giornalista che sta facendo il suo lavoro.

Altri uomini: non prendertela. 

Sminuire le molestie che le donne subiscono da parte degli uomini, così come le battute sessiste, è tipico della cultura patriarcale.

Magari quegli stessi uomini che hanno detto "non prendertela" non lo farebbero mai, cioè non si comporterebbero così, non toccherebbero il culo a una sconosciuta, ma continuando a restare accondiscendenti verso chi lo fa, diventano a loro volta complici della cultura patriarcale.

Inoltre, sminuire la gravità di un'azione è quanto di peggio ci possa essere per far sentire ancora peggio le donne che subiscono le molestie perché il loro disagio non viene riconosciuto.

E aggiungo che il gesto di toccare il culo a una professionista che sta svolgendo il suo lavoro è doppiamente grave: primo, per la molestia in sé, secondo perché si nega anche la sua professionalità; è come se implicitamente le si dicesse, tu non vali, tu sei solo un pezzo di carne. 

Idem quando a una professionista, nel suo ruolo di professionista, le si dice "sei bella", così evidenziando sempre il suo corpo, e mai la sua preparazione.

Credenze speciste

 



Lo specismo non consiste tanto nell'uccidere e usare gli animali - perché è ovvio che in molte pratiche c'entri soprattutto il profitto - ma nelle giustificazioni che adottiamo e che abbiamo interiorizzato e normalizzato per poterlo fare; queste giustificazioni assurgono al ruolo di credenze e convinzioni e non necessitano nemmeno più di essere poste al vaglio del pensiero critico e del dubbio.
Inoltre a loro volta producono effetti nefasti riguardo il ruolo degli altri animali in generale che continuano a essere visti sempre in funzione di qualcosa, cani e gatti compresi e ogni qualvolta questa funzione smette di funzionare (scusate l'allitterazione), allora si scatena tutta la teriofobia irrazionale possibile (vedasi animali selvatici come i cinghiali nel momento in cui superano i confini mentali e fisici da noi pensati e creati).

giovedì 25 novembre 2021

L' altra pelle

 

Negli ultimi anni ho letto spesso di progetti al femminile in cui giovani donne decidono di avviare aziende di produzione di formaggi mettendo su allevamenti di capre, pecore, mucche o aziende di salumi con maiali allevati in proprio. 

Ed eccolo qua l'articolo (già accennato tramite il post di Paola Gagliano condivido poc'anzi) che parla di questo progetto inclusivo per le donne vittime di violenza. 

Si chiama "La.b L'ALTRA PELLE" ed è un laboratorio dove si lavorano le pelli delle bufale per confezionare borsette: https://bit.ly/3p2pez8

L'altra pelle, cioè quella delle bufale anziché delle solite mucche (o coccodrillo, pitone ecc.). 

Lo specismo è evidente laddove riguardo un progetto inclusivo per le donne vittime di violenza, cioè per persone che hanno subito la violenza sulla loro PELLE, il collegamento con la violenza sulla PELLE di altre femmine dovrebbe venire naturale, se queste fossero riconosciute come individui senzienti e non soltanto come macchine viventi - cioè che respirano, mangiano, sì, ma che comunque non esistono per loro stesse, bensì sempre in funzione di (metteteci quello che volete, produrre latte, uova, carne, pelle); il termine "altra pelle" infatti continua a significare "altro materiale", cioè materiale diverso da quello usato solitamente e non "altra pelle vittima di violenza", come dovrebbe essere se gli altri animali non fossero visti attraverso la lente dello specismo.

La pelle delle bufale non è percepita quindi come pelle di un senziente, ma sempre con materia da usare.

Detto questo, un femminismo che non riconosce l'orrore che subiscono le femmine di altre specie e che anzi si afferma proprio sfruttandole per me è davvero miope. Io non sono nemmeno intersezionalista, cioè riconosco la specificità e unicità di ogni oppressione e quindi lotta - proprio perché appunto, riguardo gli altri animali, se non si analizza e mette in discussione lo specismo, ecco che continua a restare invisibile -, ma penso che a maggior ragione quando si parla di progetti di accoglienza per persone abusate, la critica per aiutare ad aprire gli occhi su quello che accade agli altri animali sia doverosa. E no, non è questione di benessere animale o etica del lavoro, di trattare questi individui più o meno bene, quindi di modalità di allevamento, ma di combattere proprio lo specismo intrinseco nel continuare a negargli il valore di individui e quindi delle loro esistenze.

Riscattarsi avviando allevamenti o aziende basate sulla lavorazione dei corpi animali è semplicemente riproporre un modello di dominio fondato su una gerarchia ontologica del vivente. Che è la stessa che poi discrimina anche noi donne, per secoli considerate inferiori agli uomini e viste unicamente nei ruoli di procreazione, accudimento dei figli e della famiglia o come oggetti sessuali che devono soddisfare sguardi e piacere maschili.

Come femministe abbiamo messo in discussione i ruoli assegnatici per una differenza anatomica e biologica, come persone umane ora dobbiamo mettere in discussione quelli assegnati agli altri animali per differenze di specie, quindi sempre biologiche e anatomiche.


mercoledì 17 novembre 2021

Il benessere animale è l'ingrediente segreto (dello specismo)

 Aspettando domenica, l'evento al Bookcity in cui si parlerà proprio della menzogna del benessere animale. 

Il consorzio che produce il parmigiano reggiano dichiara che l'ingrediente segreto della qualità dei loro formaggi è il benessere animale perché, in sintesi, meno stress per le bovine da latte (sic) consente la produzione di un latte migliore. 

Poi aggiunge che allevare animali nelle stalle, cioè tenerli sempre al chiuso, non è detto che sia un male, anzi, in estate è sicuramente un bene in quanto nella pianura padana all'aperto ci sarebbe un caldo eccessivo.

In sintesi: allevano mucche in funzione della produzione (bovine DA latte), le tengono tutta la vita chiuse dentro le stalle, gli sottraggono i cuccioli appena nati, quando la produzione calerà le manderanno al macello, però vogliono convincere che il benessere animale sia l'ingrediente segreto.

Infatti lo è: il benessere animale è l'ingrediente segreto che serve a perpetuare lo specismo. E di conseguenza l'ingrediente segreto che consente ad aziende e consorzi che traggono profitto dallo sfruttamento degli animali di continuare a esistere. Il benessere animale è una manna per gli allevatori e i consumatori, ma lascia inalterato lo specismo, ossia ciò che consente la normalizzazione dello sfruttamento degli animali.

Il problema al solito è parlare di benessere animale all'interno di un contesto di sfruttamento in cui gli altri animali vengono concepiti esclusivamente in funzione del prodotto che sono e che renderanno. 

Questo fatto del rispetto del benessere animale strettamente legato alla qualità del prodotto è dichiarato esplicitamente, cioè si dice "meno stress per le bovine consente la produzione di un latte di qualità migliore" però ci dev'essere un passaggio nella mente delle persone che gli consente di credere alla menzogna dell'allevatore che ama e tratta bene gli animali e a quella che sia possibile continuare a mangiarli e a trattarli come macchine senza che sorga un problema di natura etica. 

Questo passaggio io lo chiamo, citando Orwell, semplicemente bi-pensiero: ossia, sai che è una menzogna, ma continui a crederci.

Questo in alcuni casi. 

In tutti gli altri vale il solito specismo, ossia la convinzione diffusa, la mastodontica credenza che gli altri animali siano inferiori, che siano inferiori i loro sentimenti, che inferiore sia la loro sofferenza emotiva, psicologica e fisica, che inferiore sia la loro capacità di esperire il mondo (e quindi cosa importa se li teniamo chiusi in una stalla?), che inferiore sia la capacità di godere del sole, dei tramonti, di stringere relazioni, di interrogare il mondo, di fare esperienze emotivamente complesse, e quindi inferiore, cioè minimo, di poco conto, irrilevante, il danno che loro infliggiamo costantemente usandole e schiavizzandole per far guadagnare qualcun altro e per avere un sapore che è solo gusto apprezzabile poiché indotto dall'abitudine.

La cosa più grave oggi non è tanto che le aziende che usano gli animali parlino di benessere animale, ma che ne parlino anche associazioni animaliste così reiterando e rafforzando la convinzione che sia giusto usare gli animali (neowelfarismo).



martedì 9 novembre 2021

L'ultimo raggio di sole


 Per sensibilizzare sulla questione animale - questione? Tragedia, direi più tragedia - ci sono immagini che funzionano meglio di altre.

Spesso quelle che raffigurano l'atto brutale della macellazione allontanano le persone.

Invece questa è perfetta nella sua disarmante tragicità. Un individuo si abbandona al tepore del sole, un sole che probabilmente sta assaporando per la prima volta, socchiude gli occhietti, ignaro che a breve gli saranno chiusi per sempre. Violentemente, barbaramente, ferocemente.

Ignaro di esser nato per diventare prodotto.

Noi però, noi che possiamo, dobbiamo smetterla di chiudere gli occhi di fronte a questo sterminio sistematico. Noi gli occhi dobbiamo mantenerli ben aperti. E imparare a vedere gli altri animali oltre la patina sporca dello specismo. Una patina viziata e violenta. Mangiare animali non è un'abitudine, ma un vizio immondo.

Lo specismo nell'arte

 


L'antefatto. Vittorio Sgarbi si fa fotografare di fronte a una vetrina con parti di corpi di animali squartati. I vegani lo criticano. Lui liquida la questione dicendo che i vegani dovrebbero studiare la storia dell'arte e cita La bottega del macellaio di Carracci.* 

Vittorio Sgarbi dice che noi vegani dovremmo studiare la storia dell'arte perché di dipinti che raffigurano macellerie o animali squartati è piena l'arte.

Che novità!

E dunque? La storia dell'arte è anche piena di donne uccise, seviziate, martirizzate, di neonati abbandonati, gettati giù dalla rupe, di schiavi, di racconti mitologici. 

Non per questo oggi giustifichiamo certi orrori del passato, cioè non perché grandi artisti li hanno riprodotti sulla tela facendoli diventare dei capolavori. Un conto è raccontare la realtà, un altro è giustificarla, infatti, specialmente se questa realtà inizia a essere messa in discussione per tutta una serie di motivi assai significativi.

Io posso anche riconoscere il capolavoro di un Carracci, ma ne contestualizzo la scena in riferimento ai tempi. Tempi in cui degli altri animali non si sapeva nulla e si credeva che fosse necessario mangiarne i corpi per vivere. 

L'arte infatti riflette e riproduce i valori dell'ideologia dominante, rappresenta precise visioni del mondo e della società. Il fatto che gli altri animali siano sempre stati riprodotti come esseri al servizio dell'uomo, che siano cadaveri esposti sui banchi delle macellerie, o buoi che tirano l'aratro o anche cavalli montati da cavalieri in guerra, non è di per sé indicativo di qualcosa di necessariamente giusto, normale e  naturale; è invece il racconto di un dominio, di un'oppressione, di un rapporto egocentrico, antropocentrico e specista con il resto dell'animalità.

La storia dell'arte, come il resto della produzione culturale (libri, film, filosofia) ci racconta una storia: una storia appunto fatta di dominio e di attribuzione arbitraria di valore secondo una scala rigidamente antropocentrica in cui la nostra specie si erge a capo del resto dei viventi. Ci racconta lo specismo. Anzi, studiare l'arte - e analizzarla magari da una prospettiva antispecista - è interessante proprio per capire meglio lo specismo e come l'idea che abbiamo maturato nel corso dei secoli degli altri animali sia stata veicolata proprio anche grazie ad essa che nel riproporre valori e idee del mondo attuali li normalizza e naturalizza consegnandoli ai posteri. 

Ma i posteri dovrebbero avere la capacità critica appunto di contestualizzare quei valori e quelle idee del mondo che per fortuna nello scorrere dei secoli mutano, o dovrebbero, con il mutare della sensibilità e in accordo con le nuove scoperte scientifiche, etologiche ecc.

Sarebbe ora di mettere in discussione questa visione arcaica in cui la nostra specie si arroga il diritto di usare tutte le altre solo perché ha la forza e i mezzi per farlo e di approfondire un po' quello che dicono i vegani senza liquidarli con frasi fatte. Il problema infatti non è che i vegani non studino l'arte (poi quali vegani? Perché etichettare e ridurre così un movimento eterogeneo?), ma che non si studino abbastanza gli altri animali, o meglio, che li si continui a guardare soltanto attraverso il filtro dello specismo, quindi non vedendoli quali gli individui senzienti che sono, ma come prodotti da consumare, come massa di carne indistinta.

Che Sgarbi studi un po' l'antispecismo, quindi, quanto meno, prima di definire i vegani esaltati o talebani. 

Che legga i testi dei principali filosofi prima di dire la sua e che abbia il coraggio di confrontarsi sui contenuti senza buttare tutto in caciara, come si dice a Roma. 

Quella del vegano esaltato è una fallacia, la fallacia dello straw man, per l'esattezza. Cioè, si crea un fantoccio e lo distrugge con sarcasmo senza prendersi la briga di riflettere sui contenuti che propone.

Liquidare le critiche delle persone vegane definendo queste ultime come persone ignoranti che non studiano l'arte non è un argomento. 

E anzi che ci ha risparmiato almeno il suo "Capra, capra, capra!", frase indicativa di un linguaggio antropocentrico che si serve degli altri animali per insultare la nostra specie, indicativo quindi di un'attribuzione arbitraria di inferiorità che nell'uso reiterato viene interiorizzata, senza riflettere sul fatto che ogni specie ha la sua intelligenza specie-specifica e che paragonare intelligenze diverse, intese come sforzo di adattamento all'ambiente, è non solo sbagliato, ma proprio scientificamente insensato.

*Di macellerie (e pescherie) nella storia dell'arte ho accennato anche in un capitolo di "Ma le pecore sognano lame elettriche?"

lunedì 8 novembre 2021

"Il benessere animale è il loro malessere" al BookCity di Milano

 

Tra qualche giorno inizierà il BookCity di Milano, evento culturale dedicato ai libri, alla letteratura, agli incontri con gli autori, editori, lettori diffuso su tutta la città, in spazi pubblici o privati.

Ci saremo anche io e Teodora Mastrototaro, insieme al nostro editore Marco Saya Editore per parlare di antispecismo in un evento intitolato "Il benessere animale è il loro malessere".

Sono molto felice di portare la questione animale in uno spazio diverso dal solito, di fronte a un pubblico che magari non avrà ancora mai avuto modo di riflettere sulle implicazioni del nostro rapporto di dominio sugli altri animali.

L'evento sarà domenica 21 novembre alle ore 12,00 presso Il Mare Culturale Urbano, sala Polivalente. 

                                                ***

"Ma le pecore sognano lame elettriche?" di Rita Ciatti  è un testo che analizza il nostro rapporto con gli animali alla luce dello specismo. Il titolo, in omaggio al noto capolavoro di Philip K. Dick (“Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”), ci mette in guardia da soluzioni future ancora più alienanti e distruttive per gli animali che passano sotto il nome di “benessere animale” e che, nel pretendere di migliorarne leggermente le sorti, ne ribadiscono e continuano a legittimarne il silente sterminio. Questo libro è sicuramente portatore di una visione radicale, ma ormai non più rimandabile.

Raramente in poesia è accaduto che un argomento come lo sfruttamento animale sia stato approfondito attentamente. Fu il caso del fortunato libro di Ivano Ferrari, Macello, racconto in versi di un’esperienza crudissima vissuta in un mattatoio. Ed è anche il caso di questo secondo libro di Teodora Mastrototaro, dal titolo "Legati i maiali". Con le dovute e ovvie differenze, l’autrice di origini pugliesi attraversa un’esperienza simile a quella di Ferrari, muovendo però le due sezioni del libro in altrettanti momenti dove sono inizialmente gli stessi animali a parlare del proprio dolore, e di seguito i loro carnefici.  È questo il messaggio più importante di un libro di denuncia del genere: che la vita resti alla vita e che la morte non sia un esercizio voluto dall’uomo ma solo il destino di ogni essere vivente.

Amici di Milano, mi farebbe molto piacere se veniste ad ascoltarci e a darci sostegno. 

Qui il link all'evento, la prenotazione è obbligatoria:

https://bookcitymilano.it/.../il-benessere-animale-e-il...

venerdì 5 novembre 2021

Cosa mangiano i vegani, o meglio, chi non mangiano e perché

 


Lo so, è una frase che avrete sentito miliardi di volte, almeno se siete vegani, ma poiché altrettante viene posta come domanda, ho approfittato dello spazio sempre gentilmente offertomi da Progetto Vivere Vegan per puntualizzare alcune cose.

***

Riprendo in questo articolo le argomentazioni in favore del veganismo, o meglio le risposte che noi vegani siamo chiamati a dare tutte le volte che ci confrontiamo con i carnisti. Nella prima parte avevo affrontato il tema dell’etica al ribasso, mentre qui affronto, da una prospettiva comunque antispecista, quello della nutrizione.

Sembra incredibile, eppure, nonostante il web pulluli di canali Youtube su cosa mangino i vegani, di account Instagram dedicati all’alimentazione vegetale e via dicendo, c’è ancora chi chiede “ma allora cosa mangi?” supportato dalla convinzione che senza corpi di animali a fettine e bicchieroni di latte di altri animali non si possa vivere.

Non sono ironica e non voglio fare sarcasmo, ma è davvero strano anche perché se c’è un argomento che è riuscito a passare a livello di comunicazione mainstream è proprio quello della cucina e alimentazione vegetale, che è altra cosa dal veganismo, come sappiamo. Infatti si può benissimo mangiare vegetale senza per questo essere vegani, il che, se da una parte ci crea non pochi problemi nel comunicare il concetto giusto di antispecismo e liberazione animale perché in sostanza non si arriva mai a mettere in discussione lo specismo, dall’altra dovrebbe quanto meno aiutarci nel superamento di alcuni luoghi comuni.

Continua la lettura sul blog di Progetto Vivere Vegan.


Ne approfitto anche per ricordare il ventennale della scomparsa di Barry Horne. Ne avevo parlato la prima volta dieci anni in questo post.


mercoledì 3 novembre 2021

È morta Laika

 

Il 3 novembre del 1957 Laika fu mandata nello spazio a morire da sola (non che se fosse stata in compagnia sarebbe stato meno grave).

Ecco, oggi vorrei che si riflettesse su una cosa in particolare.

Spesso lo specismo viene giustificato con il ricorso a una presunta superiorità di specie, la nostra, e facendo riferimento a tutti i traguardi tecnologici che abbiamo raggiunto.

Il punto è che questi traguardi sono stati raggiunti proprio grazie alla sopraffazione, uso, uccisione di miliardi di individui di altre specie.

Traguardi quindi materiali, ma fondati sulla morte, sul dolore, sulla sofferenza, sul sangue di tanti animali.

Assumere una prospettiva antispecista significa allora provare a guardare questi nostri traguardi dal punto di vista delle vittime: ai loro occhi appariamo certamente superiori, ma per violenza, sadismo, aggressività, mancanza di empatia.

Siamo oppressori fortissimi e lo siamo diventati specializzandoci sempre di più nell'uso proprio degli animali, che quindi sono al tempo stesso mezzi (test) e risorse da trasformare in prodotti ultimati.

Il termine umanità e umani oggi, per quanto mi riguarda, ha una connotazione assolutamente negativa. 

Senza questa massa di schiavi sterminata - e uso il termine "sterminata" con duplice valenza semantica: sterminata perché massa destinata a essere oggetto di sterminio e sterminata in senso  di sconfinata poiché massa continuamente rinnovata - noi oggi forse avremmo raggiunto qualche traguardo tecnologico in meno, saremmo un po' più animali e meno umani.

L'antispecismo è proprio il ribaltamento del significato di questi due termini e concetti: umanità e animalità, laddove il primo è portatore di significati negativi, di violenza, di morte e distruzione, di gerarchie di valore del vivente, di attribuzioni arbitrarie di merito, di irrazionalità e aggressività, di relativismo culturale pronto a giustificare le peggiori nefandezze e i peggiori abusi in nome di valori di volta in volta discutibili, mentre il secondo fa propri i valori di riconoscimento, accoglienza e rispetto della diversità.

Essere più animali e meno umani direi che quindi dovrebbe iniziare a essere visto nella sua accezione assolutamente positiva. 

Non offendiamoci, almeno noi che ci reputiamo antispecisti, quando ci dicono "Sei un animale!" con tutte le varianti che ben conosciamo, ma anzi, facciamo notare cosa significa invece essere umani. 

Siamo fieri di essere animali!

LAIKA (1954-1957)

È morta Laika.

Piccola bastarda.

Giovane e carina.

Nome vero: Kudrjavka

(in russo vuole dire “ricciolina”).

Naso umido e innocente.

È morta sola.

In assenza di gravità.

Sola come un cane in assenza di pietà.

È morta come solo un cane solo su una capsula spaziale

sovietica sparata dalla terra in orbita verso l’infinito.

Ha sentito caldo e freddo.

Poi ha guaito.

Poi niente: il vuoto siderale.

Il requiem delle stelle.

La notizia sul giornale.

(Francesca Genti)


domenica 31 ottobre 2021

Lo specismo su FB

 Lo specismo non è soltanto l'esclusione degli altri animali dalla nostra considerazione morale, ma è proprio la frattura profonda tra l'umanità e il resto dell'animalità: è un'assegnazione di diverso valore a tutto discapito del secondo insieme; diverso valore che viene continuamente rimarcato e rinnovato.

Ad esempio, noto che FB ha modificato alcune impostazioni riguardo la segnalazione per incitamento all'odio, spiegando che: "Rimuoviamo solo i contenuti che attaccato direttamente le persone in base a determinate caratteristiche protette. Gli attacchi diretti includono ad esempio:

Incitamento alla violenza o alla disumanizzazione

Ad esempio, paragonare tutte le persone di una determinata razza a insetti o animali"

Soffermiamoci sull'ultima frase: "paragonare tutte le persone di una determinata razza a insetti o animali".

Questa frase presuppone e indica implicitamente che gli insetti e gli animali in generale siano un termine di paragone negativo, un'offesa, un insulto. 

Perché? Perché gli animali e gli insetti sono considerati esseri inferiori, sono ontologicamente inferiori. 

Questo è lo specismo. Non soltanto l'oppressione che subiscono gli altri animali, non soltanto la discriminazione in base alla specie, ma proprio la dichiarazione (del tutto irrazionale, peraltro, cioè basata su assunti che abbiamo assimilato come veri e che riteniamo veri senza bisogno di dimostrazione) di uno status ontologico di inferiorità.

Ripensare il modo in cui definiamo gli altri animali è uno dei compiti fondamentali dell'antispecismo.

giovedì 28 ottobre 2021

(Ri)Considerazioni sul nostro rapporto con gli animali

 Ho risposto ad alcune domande sul mio libro e in generale sul nostro rapporto con gli altri animali per La Gallina Commedia, sito che prende il nome dal libro omonimo di Debora Fabietti, che è anche la curatrice di questa mini intervista.

Vi posto l'inizio, come faccio di solito, e poi se volete proseguire nella lettura potete andare al link indicato.


Come nasce l'idea per 'Ma le pecore sognano lame elettriche?' e di cosa parla?

L’idea del libro è nata dall’esigenza di mettere insieme tante riflessioni fatte nel corso di oltre dieci anni di attivismo e di studio dell’antispecismo. Ho sempre scritto articoli incentrati su argomenti specifici e ho pensato che fosse utile raccoglierli in un testo unico che affrontasse le varie problematiche della questione animale; inoltre mi premeva trattare alcuni punti su cui c’è molta confusione, per esempio il veganismo o il dibattuto tema del cosiddetto benessere animale, come anche quello dell’uso degli argomenti indiretti.  

Il libro parla dello specismo, ossia spiega cosa sia questa forma di ideologia invisibile - invisibile perché normalizzata e interiorizzata - che definisce il nostro rapporto con gli altri animali.  

Quando parliamo dell’oppressione di cui gli animali sono vittime spesso mettiamo in discussione solo gli aspetti più evidenti, ossia la sofferenza, i maltrattamenti, il dolore, quindi ci concentriamo sulle varie modalità di allevamento o di uccisione, ma non ci poniamo la domanda principale, ossia se sia giusto che le altre specie debbano essere al nostro servizio. Non ce lo chiediamo perché l’idea che abbiamo degli altri animali e che abbiamo interiorizzato è sempre stata quella di pensarli, immaginarli, nominarli, rappresentarli in funzione della nostra specie e comunque asserviti a precise funzioni (mucca da latte, vitello da carne, animali da compagnia, gallina ovaiola, cavallo da corsa, topi da laboratorio ecc.).  

È molto difficile opporsi a queste idee e credenze - in generale a questa visione del mondo assolutamente antropocentrica e antropocentrata - in quanto sono e sono state funzionali alla costruzione della nostra identità di umani e al concetto di umanità: ossia, noi ci definiamo tanto più umani quanto più ci distanziamo da questa idea di animalità che rappresentiamo in negativo rispetto a noi. Così l’animalità, l’animale, è il luogo di tutto ciò che vorremmo allontanare da noi (l’irrazionalità, la malvagità, il bruto istinto, l’ignoranza, la stupidità, la sporcizia, la mostruosità ecc.). Per connotare qualcuno negativamente si dice “sei un animale”, oppure più in dettaglio “sei stupido come una capra”, “sei un pecorone”, “sei un lurido porco” e via dicendo. Nel libro infatti ho parlato anche del linguaggio e delle espressioni linguistiche che abbiamo fatto nostre senza davvero chiederci cosa abbiano di vero e che però, nel ripeterle, rafforzano e definiscono in continuazione lo specismo in una sorta di cortocircuito continuo che si può spezzare solo appunto mettendoci in discussione come specie.

Perché trova sia importante sensibilizzare un numero sempre maggiore di persone su certe tematiche? Qual è l'attuale rapporto fra esseri umani ed animali? Quale, secondo lei, è la causa di tale visione e cosa andrebbe modificato?

Prosegue qui.

mercoledì 27 ottobre 2021

Dal pascolo a casa tua

 

Passando ovviamente dal mattatoio, ma questo non lo dicono.

"Un prodotto che rispetta l'ambiente e il benessere animale"

Il bi-pensiero funziona perché è funzionale a rassicurare senza doversi far carico dell' impegno di fare scelte diverse e senza l'assunzione di responsabilità delle proprie azioni. 

In più scoraggia i singoli che magari, se non fossero costantemente rassicurati sull'eticità del "prodotto che rispetta ambiente e benessere animale", forse inizierebbero a pensare in modo diverso anziché dire "Tanto per ora non intendo diventare vegano, ma almeno compro carne di animali trattati bene". 

Poi notate l'incongruenza tra il termine "prodotto" e "benessere animale". Da una parte sono prodotti, dall'altra animali che possono morire ma devono essere trattati bene. 

L'invisibilità di questa incongruenza, ossia ciò che ne rende possibile la tacita accettazione senza che se ne rilevi criticità alcuna, è ovviamente l'effetto dello specismo: ideologia invisibile, interiorizzata e normalizzata secondo cui gli animali sono prodotti, nascono per diventarlo, vengono fatti riprodurre costantemente per diventare altro, carne, scarpe, vestiti, materiale su cui testare prodotti ecc. e persino feticci su cui riversare sentimenti narcisistici di possesso.

martedì 26 ottobre 2021

Save the Date!

 

Ciao, sono Henriette e vi volevo dire che sabato 30 Ottobre, alle ore 17,00, la mia compagna umana parlerà di un libro che ha scritto per aiutare tutti i miei fratelli animali di specie diversa. 

Dove ne parlerà? Al VEGAN STORE di Roma. 

Poi il primo novembre andrà anche a Firenze per il World Vegan Day organizzato da Progetto Vivere Vegan ODV a  parlare di una cosa stupida come il benessere animale insieme ad altri attivisti, stupida perché noi animali non abbiamo bisogno di leggi per essere sfruttati o uccisi in modo diverso, ma chiediamo semplicemente di poter vivere le nostre vite in pace. 

E prossimamente questo libro andrà anche in un'altra città per un altro evento importante, ma di questo vi dirò un'altra volta. Per cui, come si dice sui social, Stay Tuned! 

Ciao ciao amici umani, vi aspettiamo.


lunedì 18 ottobre 2021

Ricorrenze

 

Domani sono due anni che è morto mio padre. Questo significa che il 18 ottobre di due anni fa è stata l'ultima volta che ci ho parlato. Al telefono, per l'esattezza.

E purtroppo non è stata una bella telefonata. Ci siamo lasciati male, o meglio, lui ha riattaccato frettolosamente e arrabbiato, o meglio, deluso, perché voleva che io l'indomani andassi a trovarlo e invece gli avevo detto che non potevo, che sarei andata il sabato, cioè due giorni dopo.

Nella mia testa questo fatto è un macigno enorme perché mi sono convinta che sia stato a causa di questa arrabbiatura se poi durante la notte ha avuto un infarto ed è stramazzato a terra. O meglio, una parte di me si è raccontata questa verità. E con questa verità ci faccio i conti da due anni e probabilmente per il resto della mia vita.

Non scrivo questa cosa molto personale, forse la cosa più personale che abbia mai scritto su un social, per farmi compatire o perché spero che voi mi diciate "Ma no, non è stata colpa tua" perché io questo, razionalmente, già lo so.

Perché l'altra verità, una verità molto più oggettiva, razionale e sensata, è che mio padre aveva la bronchite ostruttiva cronica, aveva bisogno dell'ossigeno per respirare, aveva già avuto un infarto una decina di anni prima, era stato un grosso fumatore, aveva l'asma e l'enfisema polmonare sin da quando era bambino. In più aveva 81 anni e ridotto così era chiaro che prima o poi il cuore gli avrebbe ceduto. Forse l'arrabbiatura glielo ha fatto cedere prima, forse sarebbe morto lo stesso quella notte, ma, ed è questa la cosa che più mi fa male, se io avessi acconsentito alla sua richiesta di andare a trovarlo, almeno sarebbe morto sereno, contento, felice. Invece è morto pensando "Quella stronza di mia figlia non ha tempo per venire a trovare il suo povero padre malandato". E questo è vero: per quanto gli volessi bene, non avevo mai tempo, sempre presa da tante cose, gli animali in primis. 

Infatti mi diceva: tu pensi più agli animali che ai tuoi genitori anziani.

Quando morì mia madre, lei nel 2015, io dopo una settimana ho partecipato con NOmattatoio a un festival vegano. Per dire... Nella mia vita non c'era tempo nemmeno per il lutto. Che sarà mai la perdita di una madre a fronte dei milioni di animali che muoiono ogni giorno? Pare che concedersi il dolore personale sia sottovalutare la tragedia degli animali. Ma questa è un'altra storia. 

Poi so anche che c'è un'altra verità ancora e che cioè, in definitiva, quello che i genitori pensano di noi è stato costruito nell'arco di una vita e focalizzarsi sull'ultima volta in cui ci siamo parlati, sulle parole che ci siamo detti in quell'ultima telefonata è non soltanto inutile, ma anche sbagliato. E penso pure che i miei genitori alla fine avessero capito l'importanza della questione animale. Il perché totalizzasse la mia vita, il mio tempo. 

Tornando a mio padre, sì, vero, quella sera, l'ultima sera, ci siamo salutati male. Ma tante altre sere, innumerevoli sere, ci siamo salutati bene. E ci siamo fatti tante belle chiacchierate negli anni, di politica, di tante cose, anche di antispecismo. 

Io e mio padre eravamo molto in sintonia, così in sintonia che potevamo anche stare ore intere vicini senza parlare. Ricordo l'estate del 2004, un'estate in cui io e lui la mattina ci alzavamo presto e andavamo al mare. Ci facevamo quasi due ore di macchina per raggiungere il litorale toscano, quello che ci piaceva di più e che poi era quello dove era nata mia madre. 

In macchina ascoltavamo la musica, il radiogiornale, commentavamo le notizie, poi sulla spiaggia prendevamo due lettini, l'ombrellone, lui leggeva il giornale, io un libro, prendevamo il sole, andavamo a pranzo nel ristorante sulla spiaggia, insomma, ci trattavamo bene. 

Quelli sono dei bei ricordi. Ricordi che hanno soppiantato anche i brutti perché poi non è che i rapporti con lui fossero sempre stati facili. Sì, eravamo in sintonia come caratteri, ma ci scontravamo parecchio nel vissuto quotidiano e quando era più giovane era stato molto autoritario. Però ecco, io mio padre voglio ricordarlo in quelle mattine dell'estate del 2004. Perché quello era un rapporto maturo che finalmente avevamo conquistato.

E così voglio sperare che lui, in quegli ultimi attimi prima di morire, abbia fatto lo stesso. Mi abbia ricordata come in quelle mattine e non come nell'ultima telefonata.

Penso che fosse abbastanza orgoglioso di me negli ultimi tempi.

Sono sicura che mi volesse bene.