mercoledì 30 marzo 2016

NOmattatoio 16° presidio: il resoconto



GRATTACIELI

Miglia e miglia
di orizzontali sbarre metalliche arrugginite,
piani su piani su ulteriori innumerevoli piani
di maleodoranti brulicanti depositi,
bulloni, cerchioni, usura da chilometri di viaggio
di ruote enormi come Giove
di cui a stento intravedo il limite.

M'addolora il non riconoscermi
nel maiale paurosamente ingrassato,
nell'agnello di poco più di un mese,
nel vitello strappato alle cure materne.
M'addolora il non rivedermi
nel pulcino neonato e tritato,
nella mucca ingravidata di continuo,
nel cavallo inerte in un lago di sangue.

M'addolora il sentirmi formica
al cospetto di un piede umano
che, inesorabile, calpesta.

E' l'epoca delle rivoluzioni architettoniche.
Grattacieli mobili.

Danilo Gatto


Il sabato prima di Pasqua siamo tornati in prossimità del mattatoio di Roma per il sedicesimo mese consecutivo.

Il clima mite della primavera alla porte non ha certo addolcito quello che è stato uno dei presidi emotivamente più pesanti da quando abbiamo dato inizio alla campagna.

Sapevamo che in quei giorni di aumentata mattanza avremmo visto entrare più camion pieni di animali, ma non si è mai abbastanza preparati allo spettacolo della violenza su esseri inermi e maltrattati fino all’inverosimile.

Il passaggio di un aberrante tir a quattro piani stracolmo di corpi ammassati dovrebbe risvegliarci dal torpore e riportarci alla realtà, ossia alla comprensione dell’orrore che siamo stati capaci di produrre nei secoli, e invece, tra le macchine in coda, completamente a proprio agio nella follia collettiva in cui è stato immerso sin dalla nascita, c’è stato anche chi si è lamentato per aver perso due secondi del proprio tempo, incapace di arrivare a fare quella piccola, ma fondamentale, riflessione in più: ossia che davanti a lui c’erano centinaia di individui che stavano andando a perdere la vita... altro che secondi!

Per fortuna le persone che si prodigano in commenti imbarazzanti (imbarazzanti per loro in quanto ne mettono a nudo la pochezza d’animo) di fronte alle nostre proteste mensili sono davvero poche e quasi sempre si tratta di individui che hanno evidenti interessi (lavoratori dei mattatoi, allevatori e simili).

Quello che accade invece più di frequente è che abbassino lo sguardo in segno di rassegnazione, ammissione e, chissà, forse vergogna.

Continua su NOmattatoio.

martedì 29 marzo 2016

Il vegano fa audience!

Questo antagonismo da stadio che viene proposto in tv tra vegani e carnisti, come se fossero due fazioni in lotta, è orribile.
Non ho capito se è una strategia del sistema per evitare di parlare della vera questione, che è quella etica dello sfruttamento animale, se siamo ancora troppo lontani dal far comprendere l'antispecismo o se, nel tentativo di renderlo fruibile alla massa, viene enormemente banalizzato.
Forse son vere tutte e tre le ipotesi. 
Una cosa è certa: a discuterne, dalla parte dei carnisti, vengono chiamati personaggi imbarazzanti poiché del tutto impreparati sulla questione o perché difensori dello sfruttamento animale per motivi ideologici, quindi con conflitti di interessi vari (lavoratori del settore, cattolici oltranzisti della centralità dell'uomo nell'universo rimasti ancorati al concetto dell'animale-macchina di Cartesio, cuochi vanesi difensori della tradizione per tautologia).
Venghino siori, venghino, lo spettacolo sta per iniziare!
Basta prenderlo per quel che è, spettacolo e nulla più.
La lotta vera dovrebbe essere altrove. 
Riconosco il potere mediatico, ma è quello che dovremmo combattere. 
Non dico che non dovremmo andare in tv a parlare della questione animale, dico solo che dovremmo pretendere più serietà, interlocutori validi, dettare un minimo le regole del gioco, opporci alla banalizzazione. 
Se spettacolo dev'essere, che sia un minimo di qualità, almeno.

P.S.: un animale carnivoro è un animale che mangia solo carne o che comunque deve necessariamente mangiare carne per sopravvivere. Come i felini. O altri predatori. 
I carnisti sono invece quelli che difendono il mangiar carne o che amano mangiare carne.
Così, tanto per mettere i puntini sulle i.

La specie umana non è carnivora, né onnivora come si sente dire comunemente. Se fossimo onnivori mangeremmo tutto, ma proprio tutto, anche i sassi. Invece, a rigor di termini, dovremmo definirci polifagi, con riferimento a chi mangia diversi alimenti; carnisti, con riferimento a - vedi sopra - chi ama la carne o difende le ragioni del mangiarla; vegani, con riferimento a chi non mangia animali e i derivati del loro sfruttamento.

mercoledì 23 marzo 2016

Immigrati e animali


"Immigrati trattati come animali", dicono...
Però si fa fatica a comprendere che alla radice di tutto c'è proprio il trattamento che riserviamo agli animali perché finché permetteremo che essi vengano considerati merce, ci sarà sempre qualcuno che li userà come metro di paragone per chi farà comodo sfruttare, deportare o massacrare di volta in volta.
E ancora osano venirci a dirci: "con tutti i problemi che ci sono nel mondo, voi state a pensare agli animali!".
La maniera in cui trattiamo gli altri animali è IL problema. Tutto il resto ne consegue.

Foto scattata durante il 16° presidio NOmattatoio. Qui potete vedere il video. 

mercoledì 16 marzo 2016

Attesa immobile


Gli allevamenti sono quel posto dove la vita si ferma.
Sottratti al divenire, gli animali sperimentano solo l'immobilità nell'attesa della morte.
Poi quelli strani sono coloro che si rifiutano di prender parte a tutto questo orrore... 

martedì 15 marzo 2016

Quel male oscuro


(immagine tratta da Melancholia di Lar von Trier)

Molti credono che la depressione sia uno stato dell'animo e abbia cause psicologiche, in realtà è una malattia vera e propria che comporta alterazioni chimiche a carico del cervello e dei ricettori della serotonina. Più o meno. Non sono un medico, diciamo che ho capito come funziona, ma non saprei descriverlo e non voglio scopiazzare da wikipedia.
Di depressione ci si ammala, così come ci si ammala di cancro. E per fortuna da entrambi si può guarire. 
Certo, esistono anche fasi depressive nella vita che hanno cause ben precise come un lutto, un trauma, la perdita di un lavoro, di motivazioni o altro, ma sono risposte, diciamo, fisiologiche, ben diverse dalla depressione come patologia che può colpire chiunque in qualsiasi momento, senza apparenti cause scatenanti, a prescindere dal fatto che si sia persone sensibili, emotive o meno. 
Una delle caratteristiche precipue della malattia è quella di far credere al malato che non ne uscirà mai più, che non avrà possibilità alcuna di guarigione, che è tutto finito e non tornerà più com'era prima di ammalarsi, ma è proprio questo l'inganno da cui il malato va aiutato a guarire.
I malati di depressione non si curano con le frasi come "coraggio, alza il culo da quel letto, datti una svegliata" perché sarebbe come dire a un malato di cancro "coraggio, alzati, un po' di buona volontà". Anzi, frasi come queste, solitamente, hanno l'effetto di indurre nel malato uno stato di ancora maggior scoramento perché egli ha la percezione che nessuno possa comprenderlo o possa anche solo lontanamente immaginare il suo dolore.
La depressione va curata. Con psicoterapia e anche farmaci nella fase acuta. 
Personalmente sono contrarissima agli psicofarmaci per una serie di ragioni che ora non mi metto ad elencare, ma così come se mi venisse una grave malattia fisica e potessi guarire solo con gli antibiotici, li prenderei, allo stesso tempo, essendo la depressione una vera malattia al pari di quelle fisiche, prenderei anche gli psicofarmaci, se mi ammalassi. Credo che gli psicofarmaci non vadano presi tutta la vita, in quanto curano solo il sintomo e non la causa, ma che nella fase acuta possano aiutare il malato a riavere la giusta percezione della sua esistenza.
Non è vero che i malati di depressione non amino la vita; al contrario, essi la amano così troppo da non poter sopportare l'idea che essa non riesca più a dargli stimoli, a farli sentire vivi come un tempo.
Perché scrivo questo? Perché ho conosciuto, molto da vicino, nel corso della mia vita, diverse persone malate di depressione e ho imparato qualcosina nel tentativo di aiutarle. Purtroppo ho imparato anche che stare vicino a un depresso, quando è un familiare stretto, è molto difficile perché c'è sempre una parte di noi che non riesce ad accettare che egli vorrebbe morire o che stia così male.
La depressione è una malattia subdola perché non si vede all'esterno. E non la si può immaginare fino a che non la si prova. Io infatti posso solo immaginare cosa voglia dire "voler morire perché non si riesce più a vivere", ma non l'ho mai davvero provato.

lunedì 14 marzo 2016

Fiction Vs realtà


Ho scoperto che tutti, ma proprio tutti, hanno un vicino di casa contadino che alleva galline libere e passa il tempo a distribuirne le uova a tutto il vicinato. 
Poi ha anche una mucca che, guarda caso, ha sempre il latte. Che fine abbia fatto il vitellino non è dato saperlo, ma in fondo che importa, quando si vive dentro una fiction l'importante è essere giusto un minimo credibili, non è che si debba per forza riportare la realtà.

Dialogo tra uno specista e un ecologista


"Sono andato in Australia e ho mangiato il canguro"

"Ma... come, stai scherzando? Mangiare il canguro è un po' come mangiare il cane da noi"

"Sì, lo so, ma mi hanno assicurato che ce ne sono tanti, la specie non è a rischio, anzi, sono addirittura in sovrannumero".

domenica 13 marzo 2016

Meno apericene e più attivismo


Non un atto d'accusa, ma una domanda: come mai agli aperitivi e cene vegane c'è sempre il pienone (e si scopre una presenza di vegani davvero insospettabile), ma poi su strada siamo sempre gli stessi?
Capisco che fare attivismo costantemente per una causa a lungo termine come questa della liberazione animale sia stancante e frustrante perché non si vedono risultati immediati, capisco che ognuno abbia i propri impegni, lavoro, famiglia e anche legittimo diritto di trascorrere del tempo libero dedicandosi alle proprie passioni (cosa che faccio anche io, peraltro), capisco tutto, ma possibile che non si riesca a trovare due ore al mese per partecipare a un presidio, banchetto o altro evento? 
E come mai qui su FB leggo sempre tanta rabbia, indignazione, voglia di fare questo e quello e poi però tutto muore una volta spento il pc?
Ma non lo capite che gli animali in gabbia hanno solo noi come testimoni della loro schiavitù? Lo sapete, ad esempio, che le condivisioni su Facebook raggiungono solo un cerchio limitato di persone (i vostri amici e tra loro solo quelli con cui interagite più spesso) e che non sarà un post a raggiungere la gran massa là fuori che sta incollata ai media di stato e che recepisce un messaggio fuorviante sul veganismo e sugli allevamenti? 
C'è bisogno di attivisti seri e preparati e tanti di voi lo sono, tanti di voi qui su FB scrivono post interessanti e illuminati e allora... cosa aspettare a fare quel poco di più che però farebbe la differenza per tutti quegli altri animali che dite tanto di voler salvare?
Qui a Roma un paio di anni fa l'attivismo sembrava essere agli sgoccioli, poi siamo ripartiti, oggi ci sono tanti gruppi e associazioni che son tornati nelle piazze, ai presidi NOmattatoio c'è una presenza costante di 60/70 persone ogni volta, a volte anche di più, quindi qui non ci si può lamentare però nel corso di questi anni di attivismo ho notato che molti che avevo conosciuto agli inizi, via via hanno hanno allentato la loro partecipazione, fino a sparire del tutto, anche se in compenso ce ne sono parecchi nuovi: in pratica c'è un ricambio generazionale che da una parte è positivo, ma dall'altra preoccupante perché significa che il numero di attivisti rimarrà sempre stabile e non ci sarà mai una crescita esponenziale come invece sarebbe auspicabile. Pare infatti che la vita media dell’attivista sia al massimo di cinque anni, poi si smette. Come mai? Se non fosse così, oggi avremmo le piazze piene, andremmo in mille davanti ai mattatoi, riempiremmo le strade durante le manifestazioni e sicuramente avremmo un impatto maggiore. Una volta anche Chris DeRose, durante una sua conferenza, fece notare questa cosa: la mancanza di costanza, il numero di attivisti che non aumenta nonostante il numero di vegetariani e vegani -  e che lo sono diventati per motivi etici - sia invece in costante crescita nel mondo. 
Certo, come scrivevo qualche giorno fa, noi ci siamo scelti una battaglia difficile, i cui risultati probabilmente non vedremo mai, eppure non possiamo permettere che il movimento muoia senza lasciare il testimone alle nuove generazioni. La frustrazione, la rabbia, il dolore non possono essere deterrenti ad agire, bensì devono farsi motore di azione e ricerca di nuove strategie. 
Siamo a un punto cruciale perché i media parlano sempre più spesso dei vegani e del veganismo, solo che lo fanno tacendo le motivazioni del perché si diventa vegani e ovviamente non parlano dell’attivismo, della lotta contro lo sfruttamento animale e delle condizioni di schiavitù in cui sono tenuti gli animali dentro gli allevamenti; tacciono sulle pratiche di violenza istituzionalizzata che vengono perpetrate con assoluta normalità, tacciono sull’orrore dei macelli o, peggio, lo normalizzano. Per non parlare della cultura antropocentrica che non viene ancora minimamente scalfita. Per cui c’è bisogno di noi, adesso, adesso più che mai! E non su Facebook, che dà solo l’illusione di cambiare la realtà. Va bene per comunicare (come sto facendo io adesso), ma è insufficiente a cambiare la realtà  anche perché ne dà una visione distorta. C’è gente che sta in pena per un like mancato, persone che trascorrono il loro tempo a polemizzare senza mai proporre qualcosa di costruttivo e si sentono anche fighe nel farlo non immaginando quanto questa mancanza di costruttività sia il riflesso del vuoto che le opprime, persone che riempiono la bacheca di cazzate sentendosi importanti per questo. Si crede, a torto, che la propria bacheca sia un palcoscenico dal quale parlare al mondo. Beh, svegliatevi gente, non è così. Ve lo hanno fatto credere, ma non funziona così. 
Ognuno di noi può interagire solo su una piccola porzione di realtà, ognuno di noi ha spazio di manovra limitato, ma ce l’ha, nel reale. Dunque, attiviamoci e spendiamo il nostro tempo per questo, interagendo con quelle poche persone su strada con le quali ci può essere una vera interazione. 
Ciò che i governi e il potere (multinazionali, finanza ecc.) temono di più è la presa di coscienza dei singoli della loro capacità di cambiare la realtà con le loro scelte e con il farsi attivi politicamente, senza più delegare. Ecco, se fossi una complottista (ma non lo sono perché la realtà è troppo complessa per essere ridotta a pochi schemi e banali rapporti di causa ed effetto diretti), penserei che Facebook sia stato creato proprio per dare questa illusione di cambiamento, ma in sostanza lasciando tutto così com’è, nelle mani di pochi. 
Il vero cambiamento è nell’agire, nel fare, dopo aver ovviamente ben pensato e ben meditato sulle migliori strategie. Per agire e pensare io mi riferisco a tante cose: all’azione diretta (che però richiede molta preparazione e una notevole possibilità di rischiare), alla disobbedienza civile, al volontariato, ma anche alla semplice partecipazione a un presidio, a un banchetto, a una campagna, a una manifestazione. Sono sicura che ognuno troverà la forma  più congeniale di attivismo. L’importante è non restare  a guardare.
Bisogna inoltre scrollarsi di dosso quella falsa idea di cambiamento politico che ci hanno cucito addosso: ossia che basti votare il deputato che ha a cuore gli animali per cambiare qualcosa. C’è troppa distanza tra l’individuo e la politica attiva dal basso di tutti i giorni. Si crede, a torto, che andando a mettere la x dentro la cabina elettorale sia sufficiente e poi si torna a casa, contenti e pasciuti, convinti di aver fatto il proprio dovere.
Non è così! In parlamento si faranno sempre gli interessi delle multinazionali e di chi vuole mantenere il potere, si tenderà sempre a mantenere lo status quo che regala privilegi a pochi a discapito di molti. E vi ricordate chi c'è nelle cantine del grattacielo di Horkheimer (metafora di come è strutturata la società capitalista)? Ci sono gli animali. E lì, per la politica istituzionale, devono restare. Perché è restando lì che si avranno materie prime a costo zero e si faranno arricchire industriali e multinazionali. 
Ricordiamoci cosa diceva Barry Horne: “Se non ora, quando? Se non tu, chi?”. Lui si riferiva all’azione diretta, ma è un monito che può essere esteso a qualsiasi tipo di attività. Purché ci si riappropri della consapevolezza del potere di cambiare la realtà che noi tutti abbiamo come singoli. 
Inoltre, un conto è vedere che ci sono centinaia di persone che protestano davanti a uno dei tanti luoghi di sfruttamento o che informano nelle piazze, un altro è vederne due; più persone ci saranno e più la parte restante della collettività avrà il sentore che ciò che prima era considerato “normale e necessario” dalla maggioranza, adesso non lo sia più tanto, stia iniziando a essere messo in discussione. Sono i numeri a fare la differenza. 
Se nella vostra città non ci sono gruppi attivi o associazioni che fanno attivismo, potreste iniziare qualcosa per conto vostro: un semplice volantinaggio o presidio, un banchetto, cercando di coinvolgere i vostri amici e contatti. 
Ecco, alla luce di queste considerazioni, la mia domanda ora è: cosa vi ha spinto a mollare? Cosa vi trattiene dal fare attivismo? 
Non pensate che almeno un paio di ore al mese - che farebbero la differenza! - potreste impegnarvi a ritagliarle per quegli animali che assolutamente volete liberi dalla gabbia? 
Pigrizia, frustrazione, timidezza, cos'è che vi trattiene?
Quand’è che riempiremo le strade, le piazze, gli spazi, che occuperemo gli edifici del potere, gli allevamenti, i mattatoi, gli stabulari della vivisezione? Possiamo farlo in venti? No. Ma in cento, mille, diecimila sarebbe tutto un altro paio di maniche!
Ah, ultima cosa: partecipare a una cena vegana non è attivismo! 

lunedì 7 marzo 2016

Neuroni specchio


Perché è importante mostrare agli altri che noi negli animali che vanno al macello vediamo individui, anziché merce?
Perché abbiamo i neuroni specchio e il nostro sguardo inedito può essere seguito da altri che fino a quel momento non avevano saputo vederli come tali.