venerdì 25 febbraio 2022

Gli animali in guerra. Loro malgrado

 


(Foto di Andrea Festa. Monumento intitolato Animals in War che si trova a Londra)

Un mio articolo su R-evolver.

"Come tutti, ho passato gli ultimi due giorni a documentarmi sull’invasione russa in Ucraina.

Le immagini e testimonianze che più colpiscono sono quelle degli sfollati, dei feriti, delle persone comuni – comuni come me, come voi che state leggendo – che hanno visto irrompere nel loro quotidiano una tragedia immensa. Molti Ucraini che abitano nelle zone colpite dai missili o nelle vicinanze si sono messi in viaggio per raggiungere la Polonia. Le immagini televisive e le foto sui giornali mostrano file di auto lunghissime e anche gruppi di persone che si incamminano a piedi. Hanno abbandonato tutto per mettersi in salvo.

Sono eventi scioccanti che ci toccano da vicino perché riusciamo a immedesimarci con le loro storie, con il loro vissuto. Perché sono esseri umani come noi.

Ci sono però altre immagini, altre storie che non vengono narrate e che, se anche lo fossero, susciterebbero l’empatia di pochi: sono quelle degli animali. Di altri esseri viventi senzienti, ma diversi da noi e che abbiamo imparato a considerare inferiori a noi, quindi con un valore ontologico irrisorio oppure quantificabile soltanto in termini di profitto.

Già mi immagino l’obiezione: in un momento come questo in cui ci sono persone umane che hanno perso casa, lavoro e ogni punto di riferimento, ti metti a parlare degli animali?"

Per leggere l'articolo per intero, cliccare qui: https://bit.ly/3t973Kn


giovedì 24 febbraio 2022

R-evolver

 


(Immagine di Andrea Festa – 3D model Tito_Rufo)

Tempismo sbagliatissimo, si potrebbe pensare, o forse perfetto per il lancio di un nuovo blog che si chiama R-evolver e che si occuperà di attualità, cultura, costume, politica, ma anche di argomenti più leggeri quali film, serie tv e rubriche varie. Della redazione faccio parte anche io e scriverò sicuramente di antispecismo, ma non solo. 

Per ora abbiamo messo on line la presentazione, nei prossimi giorni pubblicheremo qualcosa sulla, ahimè, guerra appena iniziata, con uno sguardo particolare sugli animali non umani.

"Qualcuno si chiederà cosa avrà da dire, in questo giorno di guerra, un nuovo media in un panorama per lungo tempo “infodemico”.

Prosegue qui: https://bit.ly/3BUOpKk


giovedì 17 febbraio 2022

Cose scomode

 A volte bisogna dire delle cose scomode, pur sapendo che le proprie parole verranno strumentalizzate*. 

Il 15 febbraio è stata emessa la sentenza che condanna a venti anni di carcere l'uomo che ha violentato e ucciso Agitu Gudeta, la donna etiope che si guadagnava da vivere allevando capre e vendendo formaggi.

La sua storia passa per essere un simbolo del riscatto. Lei era arrivata in Italia nel 2010 fuggendo dal proprio paese e dandosi da fare per rendersi autonoma lavorativamente e integrandosi.  Della sua storia, leggo: "Agitu era scappata dalle violenze e gli scontri in Etiopia ed era arrivata in Trentino nel 2010. Poi si è laureata in Sociologia a Trento e si è specializzata in arte casearia in Francia. Aveva iniziato con sole 15 capre di razza pezzata mochena e camosciata ma ora ne aveva 180 e grazie a “La Capra Felice”, azienda agricola biologica dove coltivava anche ortaggi, produceva uova e una linea cosmetica, si guadagnava da vivere vendendo i prodotti del suo lavoro."

Ora, mi rendo conto che lo sfruttamento degli animali è una pratica normalizzata e naturalizzata e di questo non posso fare una colpa ad  Agitu, che comunque sia non meritava certo di morire ammazzata. 

Quello che però va contestata, almeno se siamo antispecisti, è la narrazione stucchevole, fuorviante, mistificante che viene fatta della sua attività. 

Addirittura sono state fatte vignette in cui si mostrano le capre piangenti vicino a un pezzo di formaggio o le capre felici attorno alla figura disegnata di Agitu. La vignetta è dell'artista che si fa chiamare Roby il pettirosso e sulla sua pagina potrete vederla. È stata pubblicata anche sulla pagina GreenMe

Le capre non sono felici di essere sfruttate, soprattutto tenendo conto del fatto che per produrre il latte devono essere ingravidate di continuo e che poi in ogni allevamento di capre finalizzato a produrre latte e formaggi, i cuccioli maschi, gli agnellini, saranno inevitabilmente mandati al macello in quanto inutili per l'attività. 

Io non ce l'ho con Agitu, come già scrissi a suo tempo, anzi, il suo femminicidio mi colpì moltissimo e vorrei che non fosse mai accaduto. Ovviamente è con i media che me la prendo, i media che la dipingono come una benefattrice delle capre, quando lei le capre le allevava e usava per profitto, non certo per spirito animalista.

Le storie di donne che si riscattano da una vita di abusi, violenza e povertà, ma lo fanno sfruttando, usando (l'abuso è nell'uso!) e condannando al macello altri individui senzienti, non sono storie di riscatto, ma storie di dinamiche di potere del più forte sul più debole. Il potere è trasversale e anche persone che sono state vittime o che non hanno diritti possono a loro volta diventare oppressori. 

Agitu era una donna immigrata e in quanto donna immigrata ha lottato all'interno di un sistema feroce ed è diventata vittima di un uomo violento e maschilista, probabilmente frustrato e arrabbiato che una donna ce l'avesse fatta e incapace di accettare il suo successo. Ma in questo stesso sistema di logica di dominio sui più deboli, Agitu è stata a sua volta carnefice di esseri più deboli e incapaci di difendersi, cioè quelle capre che asseriva di amare, ma che usava per profitto. 

So che lo specismo, ideologia invisibile naturalizzata, normalizzata, legittimata, rende difficile capire che la vita degli altri animali ha un valore non minore di quello di noi animali umani, ma noi antispecisti abbiamo il dovere di dirlo, di opporci alla narrazione mediatica che faceva di lei "la regina delle capre felici" e soprattutto di raccontare le menzogne sugli allevamenti etici. 

Non esistono allevamenti etici, non c'è proprio modo di rispettare qualcuno allevato per profitto.


*Qualcuno ha chiesto: dunque meritava di morire? Penso che porre una domanda simile significhi essere incapace di leggere un testo, di elaborare un pensiero, in poche parole, o si fa una domanda del genere al solo scopo di provocare, oppure si è analfabeti funzionali. 

Comunque rispondo: no, non meritava certo di morire. Nessuna merita di morire ammazzato. Ma la cosa scomoda da dire è che non era una benefattrice delle capre, ma un'imprenditrice che sfruttava gli animali. 

Qualcun altro ha obiettato che non era il momento di stare a rimarcare lo specismo. E invece lo è perché i media hanno colto l'occasione per raccontare la solita menzogna dell'allevamento felice e stupidaggini simili e queste menzogne vanno combattute perché le capre meritano rispetto quanto una donna uccisa.

Quindi, chi ha mancato di rispetto ad Agitu non è stato qualche antispecista che ha ricordato cosa significhi realmente allevare capre, ma i media che hanno strumentalizzato la sua morte per fare l'elogio dell'allevamento felice (che non esiste!).

venerdì 4 febbraio 2022

Le ragioni del veganismo: cambiare i significati culturali associati alla carne

 


Articolo pubblicato su Progetto Vivere Vegan.

Nella quarta e ultima parte di questo lungo articolo sulle ragioni del veganismo proviamo ad analizzare il mito della carne e l’ideologia carnista alla luce dei significati ad essi associati culturalmente.

Si tende a credere che la nostra specie abbia sempre mangiato animali perché ne avrebbe necessità al pari delle specie carnivore. Questo è falso. Noi non siamo animali carnivori, ma onnivori, questo significa che possiamo avere una dieta varia e che non ci è affatto necessario mangiare altri animali per stare in salute. Da dove deriva allora questa convinzione che sia necessario mangiare animali e i loro derivati?

Sappiamo che sin dall’antichità ci sono state persone, più o meno famose, vegetariane e strettamente vegetariane (vegane, anche se il termine all’epoca non era ancora stato coniato) e senza che vi fossero in commercio tutti i prodotti sostitutivi che è facile trovare oggi. La gente comune mangiava soprattutto legumi, vegetali, cereali. La carne era considerata un “bene” di lusso.

Jeremy Rifkin, nel suo saggio Ecocidio, racconta come la “cultura della bistecca” si sia imposta in occidente attraverso i secoli, “dagli albori della civiltà umana, passando attraverso il mito dei cowboy, gli infernali mattatoi di Chicago e le stalle superautomatizzate, fino ai giorni nostri” per poi diffondersi su tutto il globo.

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